prova 14 luglio

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea boccia l’Italia (e il Piemonte) sulla qualità dell’“aria ambiente” (nota a CGUE, sentenza del 10 novembre 2020, causa C-644/18)

Valentina Cavanna[1]

Sommario: 1. Premessa: breve inquadramento normativo. 2. Il caso all’attenzione della Corte e la decisione. 3. Brevi considerazioni sulla decisione. 4. Alcune riflessioni a margine della decisione: il problema dell’inquinamento atmosferico in Italia e le prospettive.

In data 10 novembre 2020 la Corte di Giustizia UE (“CGUE”) ha condannato l’Italia (causa C-644/18) per violazione della Direttiva 2008/50/CE avente ad oggetto la qualità dell’aria ambiente[2]. Tra le violazioni contestate, alcune riguardano la Regione Piemonte.

In particolare, il superamento (in maniera sistematica e continuata) dei valori limite fissati per il PM10 (superamento che è tuttora in corso) integra una violazione del combinato disposto dell’art. 13 e dell’allegato XI della direttiva, mentre la mancata adozione, a partire dall’11 giugno 2010, di misure appropriate per garantire il rispetto dei valori limite fissati per il PM10 integra una violazione degli obblighi imposti dall’articolo 23, paragrafo 1, della direttiva, letto da solo e in combinato disposto con l’allegato XV, parte A, di detta direttiva (in particolare, all’obbligo previsto all’articolo 23, paragrafo 1, secondo comma, di far sì che i piani per la qualità dell’aria prevedano misure appropriate

affinché il periodo di superamento dei valori limite sia il più breve possibile).

Scopo del presente contributo è dunque quello di illustrare la decisione e il suo contesto, con particolare riferimento ai profili di interesse regionale.

1. Premessa: breve inquadramento normativo

La direttiva in parola prevede misure volte a evitare, prevenire o ridurre gli effetti nocivi per la salute umana e per l’ambiente nel suo complesso contribuendo alla lotta contro l’inquinamento dell’aria[3].

Dette misure hanno lo scopo, tra l’altro, di stabilire obiettivi di qualità dell’“aria ambiente” (definita dall’art. 2, par. 1, n. 1) della direttiva come «l’aria esterna presente nella troposfera, ad esclusione di quella presente nei luoghi di lavoro quali definiti dalla direttiva 89/654/CEE[4] a cui si applichino le disposizioni in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro e a cui il pubblico non ha accesso regolare»), nonché di monitorare le tendenze a lungo termine e i miglioramenti ottenuti con l’applicazione delle misure nazionali e comunitarie (art. 1).

Per fare ciò, in estrema sintesi gli Stati debbono, innanzitutto designare, «ai livelli adeguati», le autorità competenti e gli organismi responsabili, tra l’altro, della valutazione della qualità dell’aria ambiente e dell’approvazione dei sistemi di misurazione (art. 3).

In secondo luogo, essi devono istituire zone (una “zona” è definita all’art. 2, par. 1, n. 16) come la «parte del territorio di uno Stato membro da esso delimitata, ai fini della valutazione e della gestione della qualità dell’aria») e agglomerati (un “agglomerato” è definito all’art. 2, par. 1, n. 17) come la «zona in cui è concentrata una popolazione superiore a 250 000 abitanti o, allorché la popolazione è pari o inferiore a 250 000 abitanti, con una densità di popolazione per km2 definita dagli Stati membri») in tutto il loro territorio (art. 4)[5].

Infine, essi devono valutare la qualità dell’aria ambiente (Capo II) e gestire la qualità dell’aria ambiente (Capo III).

In particolare, l’art. 12, par. 1 prevede che «nelle zone e negli agglomerati nei quali i livelli di biossido di zolfo, biossido di azoto, PM10[6], PM2,5[7], piombo, benzene e monossido di carbonio presenti nell’aria ambiente sono inferiori ai rispettivi valori limite[8] indicati negli allegati XI e XIV, gli Stati membri mantengono i livelli di tali inquinanti[9] al di sotto dei valori limite e si adoperano per preservare la migliore qualità dell’aria ambiente che risulti compatibile con lo sviluppo sostenibile».

Due articoli chiave della direttiva in parola, la cui violazione è stata accertata dalla Corte nel caso di specie, sono l’art. 13 e l’art. 23.

Innanzitutto, secondo l’art. 13, par. 1, «gli Stati membri provvedono affinché i livelli di biossido di zolfo, PM10, piombo e monossido di carbonio presenti nell’aria ambiente non superino, nell’insieme delle loro zone e dei loro agglomerati, i valori limite stabiliti nell’allegato XI».

Gli obblighi in capo agli Stati sono completati dalle previsioni del Capo IV, che disciplina i «Piani per la qualità dell’aria», definiti all’art. 2, par. 1, n. 8) come «piani che stabiliscono misure per il raggiungimento dei valori limite o dei valori-obiettivo».

In particolare, per quanto di interesse ai fini del presente contributo, l’art. 23, par. 1 stabilisce un obbligo di fare in capo agli Stati allorquando i valori soglia vengano superati: esso infatti dispone che «se in determinate zone o agglomerati i livelli di inquinanti presenti nell’aria ambiente superano un valore limite o un valore-obiettivo qualsiasi, più qualunque margine di tolleranza eventualmente applicabile, gli Stati membri provvedono a predisporre piani per la qualità dell’aria per le zone e gli agglomerati in questione al fine di conseguire il relativo valore limite o valore-obiettivo specificato negli allegati XI e XIV». A tal proposito, si noti che il valore-obiettivo è definito all’art. 2, par. 1, n. 9) come il «livello fissato al fine di evitare, prevenire o ridurre effetti nocivi per la salute umana e/o per l’ambiente nel suo complesso, da conseguirsi, ove possibile, entro un termine prestabilito»; il margine di tolleranza è, secondo l’art. 2, par. 1, n. 7), la «percentuale di tolleranza del valore limite consentita alle condizioni stabilite dalla presente direttiva».

L’art. 23, par. 2 prevede altresì che «in caso di superamento di tali valori limite dopo il termine previsto per il loro raggiungimento, i piani per la qualità dell’aria stabiliscono misure appropriate affinché il periodo di superamento sia il più breve possibile. I piani per la qualità dell’aria possono inoltre includere misure specifiche volte a tutelare gruppi sensibili di popolazione, compresi i bambini».

La direttiva è stata recepita in Italia con il decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 155[10], il cui art. 1, c. 4, stabilisce tra l’altro che «la zonizzazione dell’intero territorio nazionale è il presupposto su cui si organizza l’attività di valutazione della qualità dell’aria ambiente» e richiede la previa individuazione degli agglomerati individuati sulla base dell’assetto urbanistico, della popolazione residente e della densità abitativa) e la successiva individuazione delle altre zone («individuate, principalmente, sulla base di aspetti come il carico emissivo, le caratteristiche orografiche, le caratteristiche meteo-climatiche e il grado di urbanizzazione del territorio, al fine di individuare le aree in cui uno o più di tali aspetti sono predominanti nel determinare i livelli degli inquinanti e di accorpare tali aree in zone contraddistinte dall’omogeneità degli aspetti predominanti»).

Si noti che, in ossequio a quanto previsto dall’art. 2, par. 1, n. 17) della direttiva summenzionato, l’art. 2, c. 1, lett. f) del d.lgs. n. 155/2010 ha definito l’agglomerato come la zona costituita da un’area urbana o da un insieme di aree urbane che distano tra loro non più di qualche chilometro oppure da un’area urbana principale e dall’insieme delle aree urbane minori che dipendono da quella principale sul piano demografico, dei servizi e dei flussi di persone e merci, avente una popolazione superiore a 250.000 abitanti, oppure una popolazione inferiore a 250.000 abitanti e una densità di popolazione per km 2 superiore a 3.000 abitanti.

Inoltre, secondo l’art. 1, c. 5, le funzioni amministrative relative alla valutazione ed alla gestione della qualità dell’aria ambiente competono, di volta in volta, allo Stato, alle Regioni e alle Province autonome e agli enti locali.

Oltre a quanto si dirà infra in relazione alla predisposizione dei Piani per la qualità dell’aria, a titolo esemplificativo, ai sensi dell’art. 5, c. 7, le stazioni di misurazione previste nel programma di valutazione della qualità dell’aria ambiente devono essere gestite dalle Regioni e dalle Province autonome ovvero, su delega, dalle Agenzie Regionali per la protezione dell’ambiente, oppure da altri soggetti pubblici o privati. In quest’ultimo caso, sono sottoposte al controllo delle regioni e delle province autonome ovvero, su delega, delle agenzie regionali.

In linea con quanto previsto dal summenzionato art. 1, l’art. 3 del d.lgs. n. 155/2010 stabilisce che «l’intero territorio nazionale è suddiviso in zone e agglomerati da classificare ai fini della valutazione della qualità dell’aria ambiente»; i criteri per la zonizzazione sono stabiliti all’allegato I del decreto legislativo. Alla zonizzazione provvedono le Regioni e le Province autonome; ciascun progetto di zonizzazione è trasmesso al Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (“MATTM”) e all’ISPRA. Il MATTM, avvalendosi dell’ISPRA, valuta, entro i successivi quarantacinque giorni, la conformità del progetto, tra l’altro, alle disposizioni del d.lgs. n. 155/2010. In caso di mancata conformità, il MATTM, con atto motivato diretto alla Regione o alla Provincia autonoma, indica le variazioni e le integrazioni da effettuare ai fini dell’adozione del provvedimento di zonizzazione e di classificazione.

L’art. 9 disciplina, poi, i «Piani e le misure per il raggiungimento dei valori limite e dei livelli critici, per il perseguimento dei valori obiettivo e per il mantenimento del relativo rispetto»[11]. In particolare, il comma 1 prevede che le Regioni e le Province autonome adottino un Piano per la qualità dell’aria qualora, in una o più aree all’interno di zone o di agglomerati, i livelli degli inquinanti di cui all’art. 1, c. 2 (si tratta in particolare di biossido di zolfo, biossido di azoto, benzene, monossido di carbonio, piombo e PM10) superino i valori limite di cui all’allegato XI. Inoltre, se, in una o più aree all’interno di zone o di agglomerati, è superato il valore obiettivo previsto per il PM2,5 all’allegato XIV, il Piano contiene, ove individuabili, le misure che non comportano costi sproporzionati necessarie a perseguirne il raggiungimento. Ai sensi del c. 7, ai fini dell’elaborazione e dell’attuazione dei Piani, le Regioni e le Province autonome assicurano la partecipazione degli enti locali interessati mediante opportune procedure di raccordo e concertazione.

L’art. 11 dispone, altresì, che i Piani per la qualità dell’aria possano introdurre svariate misure, tra cui criteri per limitare la circolazione dei veicoli a motore, valori limite di emissione, prescrizioni per l’esercizio, criteri di localizzazione ed altre condizioni di autorizzazione per gli impianti di cui alla Parte Quinta, Titolo I e Titolo II, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (sostanzialmente, impianti e attività che producono emissioni in atmosfera, nonché impianti termici civili), per gli impianti di trattamento dei rifiuti che producono emissioni in atmosfera e per gli impianti soggetti ad Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) che producono emissioni in atmosfera.

Inoltre, secondo quanto previsto all’art. 9, c. 7, ai fini dell’elaborazione e dell’attuazione dei Piani devono essere assicurati la partecipazione degli enti locali interessati, nonché il coordinamento di tali Piani e degli obiettivi stabiliti dagli stessi con gli altri strumenti di pianificazione settoriale e con gli strumenti di pianificazione degli enti locali.

Infine, secondo quanto previsto dall’art. 9, c. 9, è consentita l’adozione di misure di carattere nazionale nel caso in cui, sulla base di una specifica istruttoria svolta e su richiesta di una o più Regioni o Province autonome, risulti che le possibili misure individuabili nei Piani per la qualità dell’aria non siano in grado di assicurare il raggiungimento dei valori limite in aree di superamento influenzate, in modo determinante, da sorgenti di emissione su cui le Regioni e le Province autonome non hanno competenza amministrativa e legislativa.

A livello regionale, per quanto riguarda il Piemonte, la legge regionale 7 aprile 2000, n. 43 (recante «Disposizioni per la tutela dell’ambiente in materia di inquinamento atmosferico. Prima attuazione del Piano regionale per il risanamento e la tutela della qualità dell’aria») disciplina gli obiettivi e le procedure per l’approvazione del Piano regionale per il risanamento e la tutela della qualità dell’aria (PRQA) ai sensi del d.lgs. n. 155/2010, nonché le modalità per la realizzazione e la gestione degli strumenti della pianificazione: il “Sistema Regionale di Rilevamento della Qualità dell’Aria”[12] (finalizzato alla direzione ed al coordinamento dei sistemi di rilevamento della qualità dell’aria installati sul territorio regionale) e l’inventario delle emissioni “IREA”[13]. Quest’ultimo consente di stimare le emissioni annuali in atmosfera derivanti dalle attività svolte sul territorio piemontese; attraverso le stime è possibile valutare la qualità dell’aria e individuare i settori in cui intervenire per la riduzione delle emissioni inquinanti.

2. Il caso all’attenzione della Corte e la decisione

La Commissione europea aveva posto all’attenzione del nostro Paese il mancato rispetto della direttiva già da diversi anni. In data 11 luglio 2014 (procedura di infrazione n. 2014/2147) la Commissione aveva inviato all’Italia una lettera di messa in mora riguardante la violazione degli articoli 13 e 23 della direttiva, a causa del continuato superamento dei valori limite applicabili alle concentrazioni di PM10 nel corso del periodo compreso tra il 2008 e il 2012; successivamente, il 16 giugno 2016 aveva inviato una lettera di messa in mora complementare. Infatti, molte aree del bacino del Po non erano state incluse nella lettera di messa in mora iniziale e le relazioni sulla qualità dell’aria ambiente ai sensi dell’articolo 27 della direttiva per gli anni 2013 e 2014 erano state inviate in ritardo (in particolare, i dati relativi a Piemonte, Sicilia e Calabria per quel periodo erano stati presentati solo il 4 febbraio 2016); nella predetta lettera di messa in mora, la Commissione aveva dunque denunciato la violazione persistente e continuata dei valori limite stabiliti dall’articolo 13 e la violazione dell’articolo 23 della medesima direttiva.

Con ricorso del 13 ottobre 2018, la Commissione aveva dunque chiesto alla CGUE la condanna dell’Italia allegando, tra l’altro, il superamento (peraltro ancora in corso oggi), in maniera sistematica e continuata, dei valori di concentrazione di PM10, in molteplici zone, tra il 2017 e il 2018.

Tra queste, per quanto concerne la Regione Piemonte, vi sono le seguenti: zona IT0119 (Piemonte, pianura); zona IT0120 (Piemonte, collina); zona IT0118 (agglomerato di Torino) [14].

Tale superamento rappresentava una violazione dell’art. 13 e dell’allegato XI della direttiva.

Inoltre, si contestava all’Italia di aver violato l’art. 23, par. 1 della direttiva per non aver adottato a partire dall’11 giugno 2010 misure appropriate per garantire il rispetto dei valori limite fissati per il PM10 in tali zone (in particolare, per non aver adottato le misure atte a fare in modo che il periodo di superamento dei valori limite fosse il più breve possibile).

La CGUE, nella decisione in commento – richiamando quanto sostenuto in altre decisioni (ed in particolare la CGUE 5 aprile 2017, causa C-488/15, Commissione contro Bulgaria[15] e la CGUE 30 aprile 2020, causa C-638/18, Commissione contro Bulgaria[16]) –ritiene fondata la contestazione circa la violazione di entrambe le disposizioni.

Come anticipato, l’art. 13 è una delle disposizioni chiave della Direttiva in parola, in quanto chiede agli Stati di provvedere affinché i livelli di talune sostanze (come il PM10) non superino, nell’insieme delle loro zone e dei loro agglomerati, i valori limite stabiliti nell’allegato XI.

Nel caso di specie, la Corte ricorda dunque come il superamento dei valori limite fissati per il PM10 nell’aria ambiente sia di per sé sufficiente per poter accertare un inadempimento. Peraltro, «un inadempimento può rimanere sistematico e costante nonostante un’eventuale tendenza parziale al ribasso evidenziata dai dati raccolti, la quale non comporta tuttavia che tale Stato membro si conformi ai valori limite al cui rispetto è tenuto» (punto 77), proprio come nel caso di specie[17].

La CGUE respinge altresì l’argomento dedotto dalla Repubblica italiana secondo cui la direttiva prevedrebbe solo un obbligo di riduzione progressiva dei livelli di concentrazione di PM10 e, pertanto, il superamento dei valori limite avrebbe l’unico effetto di obbligare gli Stati membri ad adottare un Piano per la qualità dell’aria; ciò anche perché, altrimenti, la realizzazione dell’obiettivo di tutela della salute umana sarebbe lasciato alla sola discrezionalità degli Stati membri, il che è contrario alle intenzioni del legislatore dell’Unione.

Per la CGUE, inoltre, l’Italia non può tentare di giustificare il superamento dei valori limite sostenendo che talune fonti d’inquinamento dell’aria sono disciplinate dalle politiche dell’Unione (in particolare in materia di trasporti, di energia e di agricoltura) e ciò riduce le possibilità per un solo Stato membro di intervenire su di esse; né le zone e gli agglomerati in questione presentano particolarità topografiche e climatiche particolarmente sfavorevoli alla dispersione delle sostanze inquinanti.

Secondo la CGUE, infatti, di tali aspetti la direttiva tiene già conto, prevedendo la possibilità, per uno Stato membro, di far valere le deroghe all’uopo stabilite dagli articoli 20, 21 e 22 (cosa che l’Italia non ha fatto).

Né, infine, può rilevare il fatto che il superamento sia avvenuto in una percentuale ristretta del Paese: infatti, è sufficiente che un livello di inquinamento superiore a tale valore sia misurato presso un singolo punto di campionamento[18] (punto 96) e «non esiste una soglia “de minimis” per quanto riguarda il numero di zone nelle quali può essere constatato un superamento, o relativo al numero di stazioni di rilevamento di una determinata zona per le quali sono registrati superamenti»[19] (punto 97).

Come detto in precedenza, l’obbligo di evitare i superamenti dei valori limite fissati dalla Direttiva si completa con quanto disposto dall’art. 23, che disciplina le azioni da porre in essere nel caso si verifichino dei superamenti.

Nel caso di specie, si noti in particolare quanto segue.

L’Italia aveva tra l’altro tentato di sostenere che, in base al principio di sussidiarietà, spetterebbe alle autorità nazionali, per quanto attiene alle loro competenze, studiare e adottare misure idonee a contenere le concentrazioni di inquinanti; la Commissione non potrebbe pertanto sostituirsi a tali autorità, ma non potrebbe neppure limitarsi a denunciare genericamente l’insufficienza delle misure nazionali, senza dimostrarne la manifesta inidoneità tecnica (punto 117).

Secondo l’Italia, sostanzialmente, i principi di proporzionalità, di sussidiarietà e di equilibrio tra gli interessi pubblici e gli interessi privati consentirebbero di autorizzare proroghe, anche di un periodo molto lungo, quanto al rispetto dei valori limite.

La Corte respinge dunque, in tale contesto, l’argomentazione dell’Italia.

Infatti, secondo la Corte i Piani per la qualità dell’aria possono essere predisposti solo garantendo l’equilibrio tra l’obiettivo della riduzione del rischio di inquinamento e i diversi interessi pubblici e privati in gioco.

Pertanto, la Corte afferma che il fatto che uno Stato membro superi i valori limite fissati per il PM10 (violando l’art. 13) non è sufficiente, di per sé, per ritenere che tale Stato membro sia venuto meno anche agli obblighi previsti dall’articolo 23, par. 1, della direttiva; tuttavia, sebbene gli Stati membri dispongano di un certo margine di manovra per la determinazione delle misure da adottare, queste ultime devono, in ogni caso, consentire che il periodo di superamento dei valori limite sia il più breve possibile.

In linea generale, occorre dunque verificare, mediante un’analisi caso per caso, se i Piani siano conformi all’articolo 23, par. 1; nel caso di specie, tale analisi conduce a ritenere sussistente l’inadempimento da parte del nostro Paese.

Tra le contestazioni, per quanto di interesse ai fini del presente contributo, si afferma che il Piano per la qualità dell’aria della Regione Piemonte all’epoca vigente aveva fissato gli obiettivi relativi alla qualità dell’aria al 2030, termine considerato troppo lungo.

Infatti, la Corte precisa che i Piani per la qualità dell’aria ambiente esaminati attestano che sia attualmente in corso in Italia un processo diretto a raggiungere i valori limite; tuttavia, «le misure ivi previste, in particolare quelle intese a comportare cambiamenti strutturali specificamente alla luce dei fattori principali di inquinamento nelle zone e negli agglomerati che conoscono superamenti di detti valori limite dal 2008, sono state previste, per una grande maggioranza di esse, solo in aggiornamenti recenti di detti piani e, pertanto, appena prima della scadenza del termine di risposta al parere motivato, se non anche dopo la scadenza di detto termine o sono ancora in corso di adozione e di pianificazione. Pertanto, non solo tali misure sono state adottate almeno sei anni dopo l’entrata in vigore dell’obbligo di prevedere misure appropriate che consentano di porre fine a detti superamenti nel periodo più breve possibile, ma, inoltre, spesso esse prevedono periodi di realizzazione particolarmente lunghi» (punto 143).

Peraltro, la Corte fa anche notare come in alcune zone ed agglomerati (ad esempio in Piemonte) si sia invero registrato un aumento di concentrazioni di PM10 (ad esempio nel 2017).

La Corte respinge l’argomentazione dell’Italia secondo cui le tempistiche per l’adozione di misure appropriate erano pienamente adeguate in considerazione delle difficoltà relative alla sfera socioeconomica e finanziaria degli investimenti da realizzare e alle tradizioni locali: infatti, la Corte ribadisce che lo Stato membro deve dimostrare che le difficoltà da esso invocate per porre fine ai superamenti sarebbero idonee ad escludere che sarebbe stato possibile stabilire termini più brevi (dette difficoltà non sono infatti sufficienti di per sé).

Infine, se è vero che, dovendo tenere in considerazione l’equilibrio tra l’obiettivo della riduzione del rischio di inquinamento e i vari interessi pubblici e privati, non si può esigere che le misure adottate garantiscano il rispetto immediato dei valori limite, non può neppure accogliersi l’approccio dell’Italia, che porterebbe ad ammettere un’ipotesi generale, eventualmente sine die, del termine per rispettare tali valori (cosa senz’altro non ammissibile alla luce degli obiettivi di protezione della salute umana e dell’ambiente).

3. Brevi considerazioni sulla decisione

Innanzitutto, la decisione che si commenta non rappresenta un unicum, né per l’Italia, né per altri Stati membri.

Infatti, già nella sentenza del 19 dicembre 2012 (C-68/11)[20], la CGUE aveva dichiarato che l’Italia non aveva garantito, per gli anni 2006 e 2007, che le concentrazioni di PM10 nell’aria ambiente non superassero i valori limite giornaliero e annuale fissati dalla previgente direttiva 1999/30/CE[21] in numerose zone e agglomerati italiani.

La Commissione ha dunque deferito nuovamente il nostro Paese per la violazione della direttiva, ma, come si è visto, a differenza che in passato, sotto il duplice profilo del superamento dei limiti di PM10 e della omessa adozione delle misure adeguate a evitare superamenti dei valori soglia.

Duplici, come visto, sono infatti gli obblighi posti in capo agli Stati membri al fine di tutelare l’ambiente e la salute umana garantendo una buona qualità dell’aria ambiente: di non superare determinati valori limite in talune sostanze e di adottare misure adeguate al fine di ottenere una cessazione degli eventuali superamenti.

La Corte accerta nel caso di specie un doppio inadempimento. Da un lato, viene riscontrata una costante violazione dell’art. 13, connessa al superamento dei valori del PM10. Peraltro, a nulla rileva il fatto che il predetto superamento sia stato riscontrato solo in talune aree del Paese.

Dall’altro lato, la Corte evidenzia come – pur essendovi un processo di miglioramento in corso – l’Italia non ha fatto abbastanza per porre fine al predetto superamento: analizzando i Piani per la qualità dell’aria adottati nel periodo in esame, la Corte ritiene infatti che gli stessi (per svariati motivi) non siano rispondenti a quanto richiesto dall’art. 23.

Come già anticipato, inoltre, la Corte nel caso di specie fa molteplici richiami a decisioni precedentemente rese in relazione alla violazione degli articoli 13 e 23 della direttiva.

Di particolare interesse paiono essere le considerazioni sulla argomentazione dell’Italia circa la necessità che le misure adottate siano “sostenibili” sul piano sociale ed economico e tali da non ledere i valori fondamentali del diritto dell’Unione (quali, ad esempio, la libertà di circolazione delle merci e delle persone, la libertà dell’iniziativa economica o il diritto ai servizi di pubblica utilità, come l’accesso al riscaldamento civile), dovendo ricercarsi un equilibrio tra i diversi valori sottesi.

Già in diverse pronunce la Corte aveva sostenuto che i Piani per la qualità dell’aria ambiente possono essere predisposti solo sulla base dell’equilibrio tra l’obiettivo della riduzione del rischio di inquinamento e i diversi interessi pubblici e privati in gioco.

A tal proposito, può menzionarsi la sentenza CGUE 5 aprile 2017, causa C-488/15, Commissione contro Bulgaria, in cui la Corte aveva condannato la Bulgaria, richiamando in particolare (punto 105) la sentenza 25 luglio 2008, causa C-237/07, Janecek (avente ad oggetto una domanda di pronuncia pregiudiziale sulla Direttiva 96/62/CE, allora vigente e successivamente abrogata dalla Direttiva 2008/50/CE)[22].

La Corte aveva richiamato altresì le conclusioni dell’Avvocato Generale rese in data 10 novembre 2016, secondo cui «la grande rilevanza della qualità dell’aria ai fini della protezione della vita e della salute lascia invero solo uno spazio molto esiguo per la presa in considerazione di altri interessi. Essa impone pertanto anche un rigoroso riesame della ponderazione adottata».

Da un lato, dunque, «esistono interessi incontestabilmente prevalenti che possono ostare a talune misure appropriate» (ad esempio, la necessità di assicurare il riscaldamento, senza il quale sarebbero prevedibili pregiudizi ancor più gravi per la salute umana), per cui la determinazione di quale sia l’intervallo di tempo «più breve possibile» può essere effettuata solo sulla base di un esame caso per caso.

Dall’altro, interessante è anche l’affermazione dell’Avvocato Generale per cui occorrerebbe ispirarsi alla giurisprudenza in materia di rifiuti, secondo cui gli Stati membri hanno l’obbligo di garantire che la gestione dei rifiuti sia effettuata senza danneggiare la salute umana o senza recare pregiudizio all’ambiente: la persistenza di una situazione di fatto non conforme a detto obiettivo, ad esempio di una discarica abusiva di rifiuti, in particolare quando comporta un degrado rilevante dell’ambiente per un periodo prolungato senza intervento delle autorità competenti, indica una violazione di tali obblighi. A tal proposito, l’Avvocato Generale cita numerose sentenze della CGUE, alcune rese nei confronti dell’Italia[23], riferite alla Direttiva 2006/12/CE[24] (abrogata e sostituita dall’attuale Direttiva 2008/08/CE[25] e ss.mm.ii.).

Più di recente, peraltro, tale assunto è stato ripetutamente confermato: si veda a tal proposito la sentenza CGUE 6 aprile 2017, causa C-153/16, Commissione contro Slovenia, secondo cui «la persistance d’une telle situation de fait, notamment lorsqu’elle entraîne une dégradation significative de l’environnement pendant une période prolongée sans intervention des autorités compétentes, peut révéler que les États membres ont outrepassé la marge d’appréciation que leur confère cet article» (punto 62). Il riferimento in questo caso è all’obbligo per gli Stati (sancito dall’art. 13 della Direttiva 2008/98/CE), di prendere le misure necessarie per garantire che la gestione dei rifiuti sia effettuata senza danneggiare la salute umana, senza recare pregiudizio all’ambiente e, in particolare, senza creare rischi per l’acqua, l’aria, il suolo, la flora o la fauna, senza causare inconvenienti da rumori od odori e senza danneggiare il paesaggio o i siti di particolare interesse.

Similmente, si può affermare dunque che una violazione dei valori limite per il PM10, prolungata nel tempo determina conseguenze gravi per la salute della popolazione ed in ciò si trova un importante indizio circa la violazione dell’obbligo derivante dall’articolo 23, par. 1, secondo comma, della Direttiva 2008/50/CE.

4. Alcune riflessioni a margine della decisione: il problema dell’inquinamento atmosferico in Italia e le prospettive

Secondo l’Agenzia Ambientale Europea (“EEA”) [26] l’inquinamento atmosferico continua ad avere impatti significativi, tra l’altro, sulla salute della popolazione europea: è infatti il più importante rischio ambientale per la salute umana e, peraltro, alcune fasce della popolazione sono più esposte (come bambini, anziani e soggetti a basso reddito).

Come ricorda l’EEA, per combattere l’inquinamento atmosferico, occorrono la collaborazione e l’azione coordinata a livello internazionale, nazionale e locale, in aggiunta alle altre politiche ambientali e climatiche[27]. Occorrono dunque soluzioni “olistiche” che richiedono non solo sviluppi tecnologici, bensì anche cambiamenti strutturali e comportamentali.

D’altra parte, come evidenziato dalla dottrina[28], il quadro normativo adottato in sede europea è considerato non del tutto efficace ed è stato largamente disatteso da molti Stati membri; così come la normativa italiana di recepimento.

La situazione di inquinamento dell’aria nel nostro Paese è peraltro evidente da molti anni e, come evidenziato dalla Corte, sembra essere stato avviato un processo finalizzato alla riduzione dell’inquinamento atmosferico che coinvolge sia lo Stato che le Regioni.

In particolare, già nel 2017, alcune Regioni ordinarie (Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna) avevano sottoscritto con il MATTM un Accordo di Programma per contrastare l’inquinamento atmosferico e migliorare la qualità dell’aria (l’Accordo di Bacino Padano)[29]. Tra le misure previste (da recepire tra l’altro nei Piani per la qualità dell’aria), vi erano misure temporanee «al verificarsi di condizioni di accumulo e di aumento delle concentrazioni di PM10 correlate all’instaurarsi di condizioni meteo sfavorevoli alla dispersione degli inquinanti». A seconda del livello di inquinamento, le misure da implementare variavano dalla limitazione all’utilizzo delle autovetture private al divieto di combustioni all’aperto di qualsiasi tipologia.

La Regione Piemonte nel 2019 ha adottato medio tempore un nuovo Piano per la qualità dell’aria[30], con deliberazione del Consiglio regionale 25 Marzo 2019, n. 364 – 6854. Peraltro, nel predetto Piano si legge che «la metodologia utilizzata, per lo sviluppo del Piano nel suo complesso (…) prevede la realizzazione di uno scenario di riferimento (baseline) a legislazione comune su cui calare uno scenario futuro – ci si è concentrati sul 2030 -, con l’inserimento delle misure che verranno prese per ridurre le emissioni in atmosfera, e verificare, mediante l’uso di modelli tridimensionali di diffusione e trasporto in atmosfera, la possibilità di rientrare nei limiti di legge posti a tutela della salute dei cittadini».

Tuttavia, il problema dell’inquinamento atmosferico nel nostro Paese (e così anche in Piemonte) non risulta ancora risolto.

A questo proposito, va ricordato innanzitutto il rapporto Mal’Aria di Città 2020 di Legambiente[31] (che ha evidenziato superamenti per il PM10 , tra le altre, nelle città di Torino, Alessandria ed Asti). A tal riguardo, Legambiente Piemonte e Valle d’Aosta ha chiesto, tra l’altro, un decisivo intervento sui trasporti (con investimenti sulla mobilità sostenibile). Inoltre, la problematica è stata segnalata ripetutamente anche dal Comitato “Torino Respira”, che da anni organizza una campagna di monitoraggio civico (“Che aria tira”) in relazione alla qualità dell’aria[32].

La consapevolezza circa la gravità della situazione è stata ben rappresentata dal Ministro per l’Ambiente Sergio Costa: nel comunicato del 10 novembre 2020[33], si legge che «la sentenza della Corte di Giustizia sul superamento dei limiti di PM10 non ci coglie di sorpresa, visti i dati su cui è basata e che sono incontrovertibili alla prova dei fatti. Dati che, benché si fermino al 2017, indicano un problema che purtroppo non è ancora risolto». Inoltre, «rispetto alla qualità dell’aria l’Italia vede al momento tre procedure di infrazione aperte: oltre quella relativa al superamento dei livelli di polveri sottili PM10, sono infatti da contare le due ulteriori relative al superamento dei livelli di ossidi di azoto, oggetto di ricorso presso la Corte di Giustizia UE[34], e polveri ultrasottili PM2,5, aperta la scorsa settimana[35]».

Il Ministro Costa ha altresì indicato alcune iniziative che sarebbero volte al miglioramento della qualità dell’aria.

Tra queste, si può ricordare che, nel giugno 2019, si è tenuto a Torino il Clean Air Dialogue[36], ad esito del quale è stato approvato un Protocollo d’Intesa con le Regioni ed un correlato Piano d’azione[37]. Nel predetto Piano si prevede, tra l’altro, la predisposizione e all’approvazione di ulteriori accordi regionali per il miglioramento della qualità dell’aria, alla luce delle due procedure di infrazione connesse ai superamenti relativi al PM10 e al biossido di azoto. La strada della collaborazione tra Stato e Regioni sembra dunque essere quella preferita al fine di ovviare alla problematica dell’inquinamento atmosferico e delle inadempienze rispetto a quanto previsto dalla normativa europea[38].

Secondariamente, il decreto-legge 14 ottobre 2019, n. 111, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, c. 1, legge 12 dicembre 2019, n. 141 (noto come “Decreto Clima”)[39], contiene alcune previsioni che dovrebbero intervenire sulla qualità dell’aria – come il Programma strategico nazionale per il contrasto ai cambiamenti climatici e il miglioramento della qualità dell’aria (art. 1), il c.d. “buono mobilità” (art. 2), gli stanziamenti per i Comuni che vogliano implementare il trasporto scolastico dei bambini della scuola dell’infanzia statale e comunale attraverso mezzi di trasporto ibridi elettrici (art. 3), la riforestazione urbana (art. 4) .

Infine, non può non menzionarsi la proposta del “Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza” (ossia il programma di investimenti che l’Italia deve presentare alla Commissione Europea nell’ambito del Next Generation EU, volto a rispondere alla crisi pandemica provocata dal Covid-19)[40], che contiene una missione che dovrebbe contenere misure con l’obiettivo di ripristinare livelli adeguati di qualità dell’aria in tutta la Penisola (il riferimento è alla missione “Rivoluzione verde e transizione ecologica”[41]).

A livello regionale, si sottolinea in particolare che la legge regionale n. 43/2000 è stata recentemente modificata dalla legge regionale 4 gennaio 2021, n. 2[42], che istituisce in particolare un sistema informativo atto a rilevare e monitorare le percorrenze chilometriche dei mezzi di trasporto, correlandole alle rispettive emissioni, consentendo così di individuare modalità di utilizzo degli stessi conformi alle previsioni definite nel PRQA.

D’altra parte, tuttavia, le misure restrittive per fronteggiare l’emergenza Covid-19 hanno fatto sorgere ripetutamente la necessità di sospendere le limitazioni alla circolazione previste per talune categorie di veicoli[43], circostanza che potrebbe rendere necessari interventi di compensazione per evitare un peggioramento della qualità dell’aria.

Col tempo si vedrà dunque se le misure intraprese e quelle da implementare avranno i risultati sperati, o se il processo (di cui dà atto anche la Corte nella decisione in commento) è ancora troppo “blando”[44]; certo è che occorre agire in maniera decisa, atteso che «l’inquinamento atmosferico è un problema ambientale (e sanitario) rilevante attualmente e lo sarà sempre più in futuro»[45] e che peraltro le prime evidenze dimostrano una correlazione tra l’inquinamento atmosferico e il diffondersi del virus SARS-CoV-2 (quanto meno per un aumento della vulnerabilità dell’uomo al virus stesso)[46].

D’altra parte, l’analisi degli effetti del lockdown sulla matrice aria necessita di ulteriori approfondimenti[47], anche se, per quanto riguarda il PM10 in Piemonte, è stato osservato che «le quantità totali emesse fino alla prima metà di aprile sono rimaste sostanzialmente invariate rispetto a quelle che si sarebbero avute nello stesso periodo in assenza di lockdown, in quanto la riduzione del contributo da parte dell’industria e del trasporto stradale è stata compensata dall’aumento complessivo delle emissioni da riscaldamento domestico, che in Piemonte sono quelle percentualmente prevalenti per questo inquinante anche in condizioni standard; solo a partire dalla seconda metà di aprile, venendo a mancare il contributo del riscaldamento, si osserva una riduzione delle emissioni legata principalmente alla diminuzione del traffico stradale»[48].

[1] Avvocato e dottoranda di ricerca in Diritti e Istituzioni presso la Scuola di Dottorato dell’Università degli Studi di Torino. [1]↑

[2] Direttiva 2008/50/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 21 maggio 2008 relativa alla qualità dell’aria ambiente e per un’aria più pulita in Europa, in GUUE L 152 dell’11 giugno 2008, pp. 1–44. [2]↑

[3] Oltre alla Direttiva 2008/50/CE, deve altresì menzionarsi la Direttiva 2016/2284/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 14 dicembre 2016, concernente la riduzione delle emissioni nazionali di determinati inquinanti atmosferici (in GUUE L 344 del 17 dicembre 2016, pp. 1–31), recepita in Italia con il Decreto Legislativo 30 maggio 2018, n. 81. Detti strumenti normativi hanno lo scopo di ridurre le emissioni di taluni inquinanti come l’ammoniaca. In argomento, si vedano A. Castelli, Riduzione dell’inquinamento e miglioramento della qualità dell’aria: l’impatto della Direttiva Ue 2016/2284, in Ambiente&Sviluppo, 2020, n. 3, pp. 211 ss.; E. Ferrero, Le principali novità del diritto europeo in materia ambientale nel biennio 2016-2017, in DPCE on line, 2018 n. 1, pp. 317 ss.; M. Gasparinetti, La direttiva 2008/50/Ce sulla qualità dell’aria: applicazione e prospettive di revisione, in Istituzioni del Federalismo, 2015 n. 1, pp. 105 ss.

Direttiva 89/654/CEE del Consiglio, del 30 novembre 1989, relativa alle prescrizioni minime di sicurezza e di salute per i luoghi di lavoro (prima direttiva particolare ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1 della direttiva 89/391/CEE), in GUUE L 393 del 30 dicembre 1989, pp. 1–12.

L’art. 4 precisa altresì che «le attività di valutazione e di gestione della qualità dell’aria sono svolte in tutte le zone e gli agglomerati».

PM10 è definito dall’art. 2, par. 1, n. 18) come «il materiale particolato che penetra attraverso un ingresso dimensionale selettivo conforme al metodo di riferimento per il campionamento e la misurazione del PM10, norma EN 12341, con un’efficienza di penetrazione del 50 % per materiale particolato di un diametro aerodinamico di 10 μm».

Secondo l’art. 2, par. 1, n. 19), PM2,5 è «il materiale particolato che penetra attraverso un ingresso dimensionale selettivo conforme al metodo di riferimento per il campionamento e la misurazione del PM2,5 norma EN 14907 con un’efficienza di penetrazione del 50 % per materiale particolato di un diametro aerodinamico di 2,5 μm».

Definito all’art. 2, par. 1, n. 5) come il «livello fissato in base alle conoscenze scientifiche al fine di evitare, prevenire o ridurre gli effetti nocivi per la salute umana e/o per l’ambiente nel suo complesso, che deve essere raggiunto entro un termine prestabilito e in seguito non deve essere superato».

“Inquinante” è definito dall’art. 2, par. 1, n. 2 come «qualsiasi sostanza presente nell’aria ambiente e che può avere effetti nocivi per la salute umana e/o per l’ambiente nel suo complesso».

In argomento, si vedano: A. Muratori, Tutela della qualità dell’aria e inquinamento atmosferico: novità estive, in Ambiente&Sviluppo, 2010 n. 10, pp. 781 ss.; A. Muratori, Aria ambiente e polveri sottili: dilettanti allo sbaraglio contro un’ovvia “emergenza annunciata”, in Ambiente&Sviluppo, 2016 n. 2, pp. 105 ss.; M. Granieri, M. Volta, Something in the air. Per un approccio integrato alla regolazione della qualità dell’aria in Italia e in Europa, in Mercato Concorrenza Regole, 2020 n. 1, pp. 163 ss.

L’art. 10 disciplina invece i «Piani per la riduzione del rischio di superamento dei valori limite, dei valori obiettivo e delle soglie di allarme».

Di cui all’indirizzo

https://www.regione.piemonte.it/web/temi/ambiente-territorio/ambiente/aria/sistema-regionale-rilevamento-della-qualita-dellaria-srqa (ultimo accesso 13 febbraio 2021).

Di cui all’indirizzo http://www.sistemapiemonte.it/cms/privati/ambiente-e-energia/servizi/474-irea-inventario-regionale-delle-emissioni-in-atmosfera (ultimo accesso 13 febbraio 2021).

A tal proposito, si veda la zonizzazione di cui alla Deliberazione della Giunta Regionale 29 dicembre 2014, n. 41-855, in attuazione del D. Lgs. 155/2010.

Nella predetta decisione la Corte condanna la Bulgaria per aver violato, analogamente all’Italia, gli articoli 13 e 23 della direttiva in relazione al PM10.

Nella predetta decisione la Corte condanna la Romania per aver violato, analogamente all’Italia, gli articoli 13 e 23 della direttiva in relazione al PM10.

Così già: CGUE 22 febbraio 2018, causa C-336/16, Commissione contro Polonia (punto 65); CGUE 30 aprile 2020, causa C-638/18, Commissione contro Romania (punto 70).

CGUE 26 giugno 2019, causa C-723/17, Craeynest et al. (punto 68).

CGUE 30 aprile 2020, causa C-638/18, Commissione contro Romania (punto 74).

Su cui si veda E. Maschietto, Un’altra condanna dell’Italia in materia ambientale: questa volta per l’inosservanza dei limiti relativi alle concentrazioni di PM 10 nell’aria: e non è ancora finita, in Riv. Giur. Amb, 2013 n. 3-4, pp. 381 ss..

Recante «Direttiva 1999/30/CE del Consiglio del 22 aprile 1999 concernente i valori limite di qualità dell’aria ambiente per il biossido di zolfo, il biossido di azoto, gli ossidi di azoto, le particelle e il piombo».

Per un’applicazione interna di detta decisione, si veda E. Murtula, Prima applicazione in Italia della giurisprudenza comunitaria « Janecek » sull’obbligo (regionale) di adottare i Piani per la qualità dell’aria, in Riv. Giur. Amb., 2013 n. 1, pp. 111 ss..

Si vedano, ad esempio, le sentenze del 9 novembre 1999, Commissione contro Italia («San Rocco», C‑365/97, punto 68); del 18 novembre 2004, Commissione contro Grecia (C‑420/02, punto 22); del 4 marzo 2010, Commissione contro Italia (C‑297/08, punto 97); dell’11 dicembre 2014, Commissione contro Grecia (C‑677/13, punto 78); del 16 luglio 2015, Commissione contro Slovenia (C‑140/14, punto 69); del 21 luglio 2016, Commissione contro Romania (C‑104/15, punto 81).

Direttiva 2006/12/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 aprile 2006 , relativa ai rifiuti, in GUUE L 114 del 27 aprile 2006, pp. 9–21.

Direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008 , relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive, in GUUE L 312 del 22 novembre 2008, pp. 3–30.

In argomento, EEA, Air quality in Europe — 2020 report, Lussemburgo, 2020, consultabile all’indirizzo https://www.eea.europa.eu//publications/air-quality-in-europe-2020-report (ultimo accesso 13 febbraio 2021).

In argomento, si veda F. Gorini, F. Bianchi, Gli impatti della pandemia sull’ambiente (cioè su tutti noi), 20 agosto 2020, all’indirizzo https://www.rivistamicron.it/approfondimenti/gli-impatti-della-pandemia-sullambiente-cioe-su-tutti-noi/ (ultimo accesso 13 febbraio 2021).

A titolo esemplificativo, si veda M. Granieri, M. Volta, Something in the air. Per un approccio integrato alla regolazione della qualità dell’aria in Italia e in Europa, in Mercato Concorrenza Regole, cit..

Si vedano a tal proposito ex multis: la Deliberazione della Giunta Regione Piemonte 5 giugno 2017, n. 22-5139; la Deliberazione della Giunta Regionale 28 settembre 2018, n. 57-7628 recante «Integrazione alla DGR 42-5805 del 20.10.2017, approvata in attuazione dell’Accordo di Programma per l’adozione coordinata e congiunta di misure di risanamento della qualità dell’aria nel Bacino Padano»; la D.D. 24 settembre 2019, n. 467, recante «Aggiornamento del protocollo operativo per l’attivazione delle misure temporanee omogenee, di cui alla D.D. 353 del 28 settembre 2018, relativa all’attuazione delle misure temporanee e dei provvedimenti stabili, di cui alla D.G.R. 42-5805 del 20 ottobre 2017»; la Deliberazione della Giunta Regionale 25 settembre 2020, n. 14-1996 recante «DGR n. 22-5139 del 5 giugno 2017. Accordo di Programma per l’adozione coordinata e congiunta di misure di risanamento della qualià dell’aria nel Bacino Padano. Aggiornamento dello schema di ordinanza sindacale tipo e dell’elenco dei comuni interessati, di cui alla d.g.r. 9 agosto 2019, n. 8-199, per l’applicazione delle misure di limitazione delle emissioni a partire dalla stagione invernale 2020/2021»; la D.D. 30 settembre 2020, n. 505 recante «Procedure per l’attivazione delle misure temporanee omogenee, di cui alla d.g.r. 42-5805 del 20 ottobre 2017. Aggiornamento del protocollo operativo, di cui alla D.D. n. 467 del 24 settembre 2019».

http://relazione.ambiente.piemonte.it/2019/it/aria/risposte/strategia-qualita (ultimo accesso 13 febbraio 2021).

Consultabile all’indirizzo https://www.legambiente.it/wp-content/uploads/2020/01/Malaria-di-citta-2020.pdf (ultimo accesso 13 febbraio 2021).

A tal proposito, si veda l’indirizzo https://www.torinorespira.it (ultimo accesso 13 febbraio 2021).

All’indirizzo https://www.minambiente.it/comunicati/smog-ministro-costa-campo-tutti-gli-strumenti-lavorare-con-le-regioni-al-superamento-la (ultimo accesso 13 febbraio 2021).

Procedura di infrazione n. 2015/2043; causa C-573/19.

Procedura di infrazione n. 2020/2299.

Si tratta di dialoghi bilaterali strutturati, previsti dal Clean Air Policy Package (il pacchetto di misure per la qualità dell’aria adottato dalla Commissione Europea nel 2013): maggiori informazioni sono rinvenibili all’indirizzo https://ec.europa.eu/environment/air/clean_air/dialogue.htm (ultimo accesso 13 febbraio 2021).

All’indirizzo http://www.regioni.it/newsletter/n-3624/del-04-06-2019/protocollo-di-intesa-per-il-piano-dazione-per-il-miglioramento-della-qualita-dellaria-19832/ (ultimo accesso 13 febbraio 2021). In argomento, si veda E. Ferrero, “Decreto Clima”: contrasto ai cambiamenti climatici e miglioramento della qualità dell’aria, in attesa del Green New Deal, in Ambiente&Sviluppo, 2019 n. 11, pp. 795 ss..

Invece, ad esempio, dell’attivazione dei poteri sostitutivi previsti all’articolo 5 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, e all’articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131, qualora applicabili.

Su cui si veda E. Ferrero, “Decreto Clima”: contrasto ai cambiamenti climatici e miglioramento della qualità dell’aria, in attesa del Green New Deal, cit..

Maggiori informazioni all’indirizzo http://www.politicheeuropee.gov.it/it/comunicazione/approfondimenti/pnrr-approfondimento/ (ultimo accesso 13 febbraio 2021).

Come indicato dalla proposta di “Linee Guida per la definizione del Piano nazionale di ripresa e resilienza”, approvata dal Comitato interministeriale per gli affari europei del 9 settembre 2020, in coordinamento con tutti i Ministeri e le rappresentanze delle Regioni e degli Enti locali, e trasmessa alle Camere il 16 settembre 2020. Il 13 ottobre 2020, la Camera e il Senato hanno approvato le risoluzioni delle Commissioni sulla proposta delle predette Linee Guida (maggiori informazioni all’indirizzo http://www.politicheeuropee.gov.it/it/comunicazione/notizie/linee-guida-pnrr-parlamento/?seduta_assemblea=14901, ultimo accesso 13 febbraio 2021).

Recante «Modifiche alla legge regionale 7 aprile 2000, n. 43 (Disposizioni per la tutela dell’ambiente in materia di inquinamento atmosferico. Prima attuazione del Piano regionale per il risanamento e la tutela della qualità dell’aria)».

In argomento, si veda ad esempio l’ordinanza del Presidente della Regione Piemonte 19 novembre 2020, n. 130.

Per alcune riflessioni critiche si veda A. Muratori, Se l’inquinamento da PM2,5 va un po’ meglio nelle aree urbane, non va ringraziato il “Decreto Clima”, ma … il Covid-19, in Ambiente&Sviluppo, 2021 n. 1, pp. 5 ss..

Così A. Bordin, L’inquinamento atmosferico nelle città ai tempi del COVID-19, in Ambiente&Sviluppo, 2020 n. 8-9, pp. 682 ss..

Si vedano ex multis: M. Travaglio et al., Links between air pollution and COVID-19 in England, in Environmental Pollution, 2021 n. 268, 1° gennaio 2021; M. Cole et al., Air pollution exposure and COVID-19, IZA Discussion Paper n. 13367, 17 giugno 2020, consultabile all’indirizzo https://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=3628242 (utimo accesso 13 febbraio 2021).

A tal proposito, si vedano: ARPA Friuli-Venezia Giulia, Effetti sulla matrice ambientale ARIA delle azioni di contenimento del COVID-19. Relazione tecnica, giugno 2020, consultabile all’indirizzo http://www.arpa.fvg.it/export/Report_Lockdown_ARPAFVG_Approvato.pdf ( ultimo accesso 13 febbraio 2021); SNPA, Report n. 17/2020, all’indirizzo https://www.snpambiente.it/wp-content/uploads/2020/12/QUALITA-DELLARIA-E-LOCKDOWN.pdf (ultimo accesso 13 febbraio 2021).

ARPA Piemonte, Analisi sul territorio piemontese degli effetti sulla qualità dell’aria e sulle emissioni in atmosfera dei provvedimenti legati all’emergenza COVID-19, giugno 2020, consultabile all’indirizzo http://www.arpa.piemonte.it/arpa-comunica/file-notizie/2020/Qualit_aria_COVID_Piemonte.pdf (ultimo accesso 13 febbraio 2021).

In argomento, si vedano anche: ARPA Piemonte, Polveri sottili PM10: prime valutazioni dei dati del 2020, 5 gennaio 2021, all’indirizzo http://www.arpa.piemonte.it/news/polveri-sottili-pm10-prime-valutazioni-dei-dati-del-2020 (ultimo accesso 13 febbraio 2021); ARPA Piemonte, SARS-CoV-2: un metodo per determinare la presenza del virus nell’aria, 8 gennaio 2021, all’indirizzo http://www.arpa.piemonte.it/news/sars-cov-2-nellaria-un-medoto-per-determinare-la-presenza-del-virus-nellaria (ultimo accesso 13 febbraio 2021).