Il “governo” del sistema di istruzione tra Stato e Regione nella c.d. seconda ondata. “Precauzione” o “programmazione”?

Annamaria Poggi1

 

1. Introduzione

Anche questo numero della Rivista deve fare i conti con la situazione del Paese e della nostra Regione “al tempo della pandemia”, e perciò la Direzione della Rivista mi ha chiesto di riflettere su un altro fronte altrettanto caldo quanto quello della sanità (su cui si è soffermato Francesco Pallante nel precedente Editoriale) e cioè sull’istruzione.

Premetto che essendo i punti di vista da cui è possibile osservare il tema davvero molti (dispersione scolastica, efficacia della didattica a distanza, incidenza sulle competenze, organizzazione scolastica…..) ed è impresa che rasenta l’impossibile quella di tenerli tutti insieme- se non scontando una buona dose di superficialità – ho deciso di assumere la prospettiva del suo “governo” in questo periodo di c.d. seconda ondata. A causa del rilievo sociale e mediatico che hanno assunto due “scontri” finiti in sede giudiziaria relativamente a provvedimenti assunti dalla Regione, infatti, si è posto il problema delle “decisioni”, di chi deve assumerle (tra Stato e Regione) dei loro presupposti e della loro legittimità. Il riferimento è alle vicende della misurazione della temperatura degli studenti (da cui è scaturita un’impugnativa governativa contro un decreto del Presidente della Regione) e della riapertura delle scuole medie e superiori dopo la riclassificazione del Piemonte in zona arancione (che ha visto un gruppo di genitori impugnare un altro decreto del Presidente della Regione).

Analizzando quanto emerge da tali vicende emergono almeno tre profili cui porre attenzione per cercare di tirare le file del discorso e cioè, in primo luogo il piano giuridico – che ha riguardo all’intreccio di competenze normative e amministrative di Stato e Regione; in secondo luogo la prospettiva del nesso tra decisioni politiche e dato tecnico – le decisioni restrittive regionali debbono essere direttamente connesse al solo dato sanitario? – ed infine la questione del bilanciamento tra i diversi valori in campo – la tutela della salute per un verso e il diritto allo studio per l’altro -.

Anticipando per un verso le conclusioni, quanto è accaduto (che per inciso ha lasciato tutti scontenti) pare non tanto conseguenza del pur caotico assetto delle competenze che ci ha consegnato la revisione del Titolo V, neppure pare conseguenza necessitata della situazione sanitaria quanto della difficoltà – che investe tutti i livelli di governo – di “programmare”gli interventi, operando davvero il bilanciamento tra i vari interessi in gioco

Il che dovrebbe condurre a meditare sul prossimo futuro (la riapertura delle scuole di gennaio) e sulla necessità di trovare nelle sedi opportune (che pure ci sono) momenti di raccordo (tra Stato e Regioni sul tema dei trasporti, ad esempio) pena spostare continuamente il fuoco sulla sola emergenza sanitaria.

2. Le questioni “giuridiche” e il caos delle fonti tra statali e regionali.

Le questioni giuridiche sono state in entrambi i casi altamente emblematiche.

La prima si è sviluppata a ridosso del riavvio dell’anno scolastico ed ha riguardato una questione solo incidentalmente marginale (la misurazione della temperatura) che è diventata l’arena dello scontro tra Stato e Regioni.

Con il d.P.C.M. 7.9.2020 ( attuativo dei decreti legge. 25.3.2020, n. 19, e 16.5.2020, n. 33) si attribuiva alle istituzioni scolastiche il compito di predisporre ogni misura utile per l’avvio e il regolare svolgimento dell’anno scolastico 2020/2021, anche sulla base delle indicazioni operative per la gestione di casi e focolai di SARS-COV-2, elaborate dall’Istituto Superiore di Sanità in un allegato ad un precedente d.P.C.M. del 7.8.2020 (il 21). Tra le varie indicazioni indirizzate alle scuole vi era quella di prevedere un sistema di monitoraggio dello stato di salute degli alunni e del personale scolastico con il coinvolgimento delle famiglie nell’effettuare il controllo della temperatura corporea del bambino/studente a casa ogni giorno prima di recarsi al servizio educativo dell’infanzia o a scuola.

La Regione, ritenuto che le fonti statali non contenessero elementi sufficientemente chiari e delineati relativi al coinvolgimento delle famiglie e, soprattutto, elementi relativi al controllo da parte delle scuole della misurazione della temperatura effettuata, adottava un decreto del Presidente della Giunta (9.9.2020, n. 95) con cui, invocando l’art. 32, comma 3, della legge 23 dicembre 1978, n. 833, in materia di igiene e sanità pubblica (materia di competenza concorrente), ordinava che “le scuole di ogni ordine e grado del Piemonte verificano giornalmente l’avvenuta misurazione della temperatura corporea agli alunni da parte delle famiglie, come previsto dall’allegato 21 del D.P.C.M. del 7 agosto 2020, come integrato dal D.P.C.M del 7 settembre 2020

Il 15 settembre la Presidenza del Consiglio dei ministri, e i Ministeri dell’Istruzione e della Salute ricorrevano in via cautelare contro il decreto regionale in quanto a loro avviso esso non poteva ritenersi meramente integrativo delle previsioni statali (come sostenuto dalla Regione) poiché spostando l’incombenza e la responsabilità della misurazione della temperatura sugli istituti scolastici, avrebbe sovvertito l’impianto e l’equilibrio del d.P.C.M. e dunque invaso il campo di azione normativa statale esclusiva sulla “profilassi internazionale”. A detta del Governo, inoltre, l’originaria scelta di coinvolgere direttamente i genitori costituiva una misura di prevenzione, finalizzata a limitare la diffusione del virus, mentre la misura regionale avrebbe potuto provocare un ritardo nella misurazione della temperatura e dunque favorire la diffusione del virus stesso.

Il T.A.R. Piemonte in data 17 settembre respingeva il ricorso statale asserendo che il provvedimento regionale non sovvertiva la prescrizione statale, limitandosi unicamente a renderla operativa ed attuale ed, inoltre, esso doveva considerarsi legittimo, essendo stato adottato in materia di competenza concorrente e, per espressa previsione dell’art. 32 della legge del 1978, senza necessità di passaggio in Conferenza. Inoltre, proseguiva il T.A.R., alla base della decisione regionale vi era stato un oggettivo peggioramento della situazione dei contagi che avrebbe legittimato l’intervento “precauzionale”, tantopiù in vista della riapertura delle scuole.

Dopo essere uscita (giuridicamente) indenne da questa prima controversia, la Regione si è vista recapitare ai primi di dicembre un altro ricorso, questa volta non dallo Stato, bensì da un gruppo di genitori che lamentavano un eccesso di cautela, rispetto ad una politica statale più blanda sulla riapertura.

In estrema sintesi, il 4 novembre il Ministro della salute aveva inserito la Regione Piemonte nella c.d. zona rossa (massima gravità) che, ai sensi del d.P.C.M 3 novembre, consentiva lo svolgimento della didattica in presenza solo sino alla prima classe media ed imponeva, al contrario, quella a distanza per tutti i gradi successivi. Il successivo 27 novembre la Regione, sempre con ordinanza del Ministro della salute, era stata riclassificata in zona arancione (elevata gravità) e ciò, a detta dei genitori ricorrenti, avrebbe implicato un’estensione della didattica in presenza alla seconda e terza media.

Viceversa, il Presidente della Regione con il decreto n. 132 del 28 novembre ordinava “ai sensi dell’art. 32, comma 3 della legge 21 dicembre1978, n. 833, in materia di igiene e sanità pubblica, e tenuto conto delle misure già disposte con decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, nel territorio regionale si adottino le seguenti misure: a decorrere dal 29 novembre 2020, nelle classi seconde e terze delle Istituzioni Scolastiche Secondarie di Primo Grado, Statali e Paritarie, l’attività didattica in presenza è sospesa e sostituita dalla didattica digitale a distanza fino al 23 dicembre 2020”.

Due i profili evidenziati dai ricorrenti. Il primo attinente le fonti e relativo ad un principio di prevalenza della fonte amministrativa statale (l’ordinanza del Ministro della salute sul decreto del Presidente della Regione) con riguardo alla possibilità di limitare le libertà individuali. Inoltre, a loro avviso, le misure regionali più restrittive sarebbero possibili solo nelle more dell’adozione dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri e in relazione a specifiche situazioni sopravvenute di aggravamento del rischio sanitario limitatamente alle attività di loro competenza e senza incisione delle attività produttive e di quelle di rilevanza strategica per l’economia nazionale. Il secondo – di cui si tratterà ampiamente più avanti – metteva in discussione il bilanciamento effettuato dalla Regione, soprattutto con riguardo all’estensione di aperture rispetto agli esercizi commerciali. In sostanza, lamentavano i ricorrenti: riaprono i negozi ed i centri commerciali e rimangono chiuse le scuole.

Il T.A.R. Piemonte in un primo momento (3 dicembre) respingeva l’istanza cautelare e a distanza di pochi giorni (il 12 dicembre) respingeva il ricorso, ribaltando, anzitutto, il ragionamento fatto in punto di fonti del diritto. Il punto di partenza per il giudice amministrativo è costituito dal fatto che “il decreto presidenziale regionale de quo è stato espressamente adottato nell’esercizio del potere generale di ordinanza previsto dall’art. 32,comma 3 della legge 23 dicembre 1978, n. 833 giusta il quale, in materia di igiene e sanità pubblica e di polizia veterinaria, “sono emesse dal presidente della giunta regionale e dal sindaco ordinanze di carattere contingibile ed urgente, con efficacia estesa rispettivamente alla regione o a parte del suo territorio comprendente più comuni e al territorio comunale”. La latitudine dell’esercizio di questo generale potere di ordinanza è stata progressivamente rimodellata dallo stratificarsi della legislazione emergenziale nell’ottica di calibrare in modo ottimale il concorso delle fonti regolatorie”. Tali fonti (l’art. 1, comma 16 D.L. 33/2020 e l’art. 3 del D.L.19/2020), secondo il giudice amministrativo, consentono alla Regione di intervenire con provvedimenti più restrittivi in relazione all’aggravamento del rischio sanitario nella Regione stessa (certificato da evidenze sanitarie). Inoltre lo stesso d.P.C.M. del 3 novembre paventava la possibilità per le Regioni non in zona rossa ma arancione di adottare misure più rigorose.

Difficile contestare il ragionamento svolto dal T.A.R. in punto di diritto, soprattutto se, il punto di partenza del ragionamento viene incardinato sull’emergenza sanitaria e sui poteri assegnati alla Regioni dalla legge del 1978 in proposito e certamente confermati dai provvedimenti statali (decreti legge e d.P.C.M) nella parte in cui consentono alla Regione stessa provvedimenti più restrittivi, ove fondati su evidenze sanitarie.

Su di un piano completamente diverso, invece, vanno collocati i ragionamenti circa il “bilanciamento” dei vari valori o interessi in gioco (il diritto alla salute e quello all’istruzione/studio) su cui il ragionamento del T.A.R. lascia assai perplessi, anzi non convince per nulla.

Tale bilanciamento, infatti, sarebbe frutto di una scelta discrezionale disponibile dall’amministrazione e fondata su una correlazione con il dato scientifico e con le sue “evidenze”.

3. Le questioni “scientifiche”: i dati sono così incontrovertibili?

Ed è proprio su tale correlazione che ora è bene fermarsi.

Dunque, afferma il T.A.R., la discrezionalità dell’amministrazione regionale sarebbe censurabile solo se irrazionale ed illogica o arbitraria, “ovvero fondata su di un palese e manifesto travisamento dei fatti” (decreto T.A.R. 3/13/2020). Travisamento che non vi sarebbe stato, poiché, la Regione, sempre secondo quanto si legge nel decreto T.A.R. “sulla base della valutazione del rischio compiuta dai propri organi di consulenza scientifica – ha stabilito che una delle misure di precauzione necessarie ad attuare il contenimento dei contagi dovesse avere per oggetto la limitazione dell’attività in presenza nelle scuole medie, in quanto tali scuole costituiscono sede “privilegiata” di diffusione del virus” (decreto TAR suddetto).

Il punto è che tale conclusione (che le scuole siano sedi privilegiate di diffusione del virus), secondo quanto afferma lo stesso T.A.R. sarebbe in realtà fondata sul principio di “precauzione” come lo stesso organo giurisdizionale afferma – sia nel decreto che respingeva l’istanza cautelare – sia – soprattutto nella successiva sentenza del 12 dicembre – con cui decide nel merito il ricorso proposto dai genitori -. Sarebbe dunque, il principio di precauzione il vero cardine “scientifico” su cui poggia la decisione della Regione, che subentra quando, secondo l’espressione utilizzata dalla Commissione UE il 2 febbraio 2020 “vi sono ragionevoli motivi di temere che i potenziali pericoli potrebbero avere effetti negativi sull’ambiente o sulla salute degli esseri umani …, ma i dati disponibili non consentono una valutazione particolareggiata del rischio, il principio di precauzione è stato politicamente accettato come strategia di gestione dei rischi”. Al successivo par. 5.5. il giudice amministrativo rammentava, a sostegno dell’applicazione del principio al caso de quo, una recente pronuncia del Consiglio di Stato secondo cui: “il c.d. « principio di precauzione », di derivazione comunitaria (art. 7, Regolamento n. 178 del 2002), impone che quando sussistono incertezze o un ragionevole dubbio riguardo all’esistenza o alla portata di rischi per la salute delle persone, possono essere adottate misure di protezione senza dover attendere che siano pienamente dimostrate l’effettiva esistenza e la gravità ditali rischi; l’attuazione del principio di precauzione comporta dunque che, ogni qual volta non siano conosciuti con certezza i rischi indotti da un’attività potenzialmente pericolosa, l’azione dei pubblici poteri debba tradursi in una prevenzione anticipata rispetto al consolidamento delle conoscenze scientifiche” (Consiglio di Stato sez. III, 3 ottobre 2019, n. 6655).

Il fatto che i dati disponibili al momento dell’adozione del decreto ad opera del Presidente della Regione non consentissero una valutazione particolareggiata (o comunque univocamente conclusiva) è del resto ribadito a chiare lettere nella sentenza al punto 5.2.: “la prima constatazione da cui prendere le mosse è che, secondo la migliore scienza ed esperienza attualmente correnti, non si ha contezza di una legge scientifica di copertura – né universale, né statistica (quali usualmente sarebbero i modelli esplicativi della scienza epidemiologica) – che dia ragione della dinamica di propagazione del contagio negli ambienti scolastici, tantomeno quindi che possa discriminare tra classi di allievi di diversa età (quindi, di ciclo di studi)”. Ne consegue secondo il giudice amministrativo “che l’esercizio della discrezionalità regionale non si è poggiato sulle dibattute leggi scientifiche di copertura, allo stato mancanti all’appello, bensì si è sviluppato sul crinale dell’ormai ben noto principio di precauzione” (punto 5.3).

Del resto nel Decreto adottato dal Presidente della Regione il 28 novembre non si cita una correlazione tra aumento dei contagi e attività didattica, ma ci si riferisce sempre ed unicamente al possibile rischio, ad un principio di precauzione, ad una ragionevole prevenzione, alla prevedibilità (…).

Indubbiamente se fondato solo sul principio di precauzione e non su una correlazione accertata (attività didattica-aumento dei contagi) ci si poteva chiedere – e probabilmente i genitori ricorrenti si sono chiesti – ma il rischio “possibile”, “probabile” “eventuale” riguarda solo l’attività didattica o non è, invece, applicabile anche alle attività commerciali? E come mai queste riaprono e le scuole no?

Saranno state forse anche queste domande ad aver spinto la consigliera regionale Francesca Frediani a chiedere i dati del contagio nelle scuole del Piemonte che sono stati poi diffusi dopo il decreto del T.A.R e qualche giorno prima della sentenza. Ne è emersa una situazione non più di rischio “probabile”, bensì di rischio “accertato”: 14.359 contagi tra il 21 settembre e il 6 dicembre e una incidenza molto alta (quasi il 300%) in almeno una settimana (quella del 2 novembre) rispetto al resto della popolazione.

Del resto che nella scuola la situazione non fosse quella superficialmente sbandierata da settimane dal Ministro Azzolina con dati poi rivelatisi non veritieri (!), veniva accertato, più o meno in quel frangente di giorni.

Il 30 novembre la Rivista Wired pubblicava dati ottenuti grazie ad una richiesta di accesso al Ministero dell’Istruzione da cui emergeva che al 31 ottobre erano stati rilevati 64.980 casi di contagio nella popolazione scolastica su un campione di 2546 comuni sugli oltre 6700 sede di istituzioni scolastiche.

Secondo la Rivista Tuttoscuola (7 dicembre 2020) nel mese di ottobre il Ministro Azzolina aveva parlato di quantità irrisorie dei contagi, (lo 0,021% tra gli studenti e lo 0,047% tra i docenti). Uno studio statistico elaborato da Livio Fenga (Istat) riferiva, invece, di un impatto ben più rilevante (quantificabile in circa 225.815 contagi). L’A. dello studio precisava, tuttavia, che il dato poteva risultare inquinato dalla sovrapposizione con le elezioni. Insomma, la situazione dei contagi tra la popolazione scolastica risultava “significativa”, sia in Italia che in Piemonte.

Tuttavia tale significatività, almeno con riguardo alla situazione piemontese portata dinnanzi al T.A.R., non poteva considerarsi conclusiva per almeno due ordini di ragioni. In primo luogo non vi erano dati (o perlomeno non erano resi noti) che consentissero di verificare se i contagi avvenissero nelle aule scolastiche ovvero in altri momenti (es. nel tragitto, sui mezzi pubblici, etc…). In secondo luogo il dato dei contagi tra la popolazione non veniva comparato ad altre categorie o situazioni allo scopo di comprendere la sua reale incidenza.

Proprio perciò il principio di precauzione richiamato dal T.A.R. Piemonte (che sarebbe il vero fondamento dei provvedimenti regionali) non poteva che risultare insoddisfacente per i ricorrenti (e non solo per loro). L’assenza di una reale correlazione tra numero complessivo dei contagi nella Regione e numero dei contagi nella popolazione scolastica e, soprattutto, l’assenza di una reale comparazione con i dati dei contagi sviluppatisi come conseguenza di altre attività rendono evidente che quel principio, in realtà, può diventare una formula risolutoria di situazioni complesse che non si riescono a programmare per tempo.

La programmazione (che è il contrario del principio di precauzione) richiede, infatti, di ragionare per dati, numeri ed evidenze tecniche e scientifiche e, soprattutto, richiede tempi adeguati di intervento e coordinamento tra le funzioni (statali e regionali) necessarie ad assicurare il servizio (trasporti, medicina di prevenzione, presidi sanitari adeguati nelle scuole, personale necessario….).

 

4. La questione “politica”: “precauzione” o “programmazione”?

Sulla “precauzione”, va precisato, vi era accordo generalizzato tra le varie autorità nazionali e locali, come emerge chiaramente già dal primo provvedimento cautelare del T.A.R. del 3 dicembre in cui si legge: “La scelta della Regione – ferma restando la discrezionalità che la sorregge – non appare manifestamente irragionevole ed è stata condivisa o quantomeno non contraddetta:

– dal Ministro della Salute, a cui il provvedimento impugnato è stato trasmesso (come risulta dal doc. 1, pag. 4) e che non ha sollevato alcuna obiezione, né osservazione sul suo contenuto dispositivo;

– dal Ministro dell’Istruzione, a cui pure è stato dato avviso dell’adozione del suddetto provvedimento, e che ha riscontrato la comunicazione del Presidente della Regione Piemonte condividendone espressamente “il disorientamento e lo sconforto” per la situazione epidemiologica, chiedendo che venissero trasmessi al Ministero “i dati scientifici che hanno motivato la decisione regionale” ed affermando che “il Ministero dell’Istruzione è pronto ad assicurare le forme più idonee di efficace cooperazione” (v. la lettera del 1°.12.2020: doc. 19);

– da tutti i rappresentanti delle comunità locali, ai quali – in occasione della riunione all’uopo fissata per il 26.11.2020, a cui erano presenti anche i Prefetti: v. il verbale di cui al doc. 20 – è stato illustrato “l’andamento epidemiologico in riferimento al comparto scolastico, rappresentando come i dati in possesso della Regione evidenzino l’aumento dei contagi a partire dall’inizio scolastico e come, a partire dalle ordinanze assunte nello scorso mese di ottobre, questo andamento abbia iniziato a migliorare. Il Presidente spiega che i suggerimenti già ricevuti dai tecnici sono quelli di adottare un comportamento precauzionale, vista anche l’imminenza del periodo di festività natalizie che, questo è l’auspicio, potrebbe contribuire ad abbassare il numero dei contagi … Il Presidente, infine, chiede di valutare l’adozione – attraverso propria specifica ordinanza – della decisione di mantenere la DDI per le classi seconde e terze degli istituti di istruzione secondaria di primo grado … I Presidenti delle Province e i Sindaci, contestualizzando la situazione rispetto alle realtà locali amministrate, condividono tale scelta. Gli intervenuti confermano l’intesa per tale punto, condividendone le ragioni e l’opportunità. I Prefetti hanno ricevuto informativa delle decisioni assunte”.

Il Presidente della Regione, dunque, aveva informato tutte le autorità sull’ordinanza che avrebbe assunto e tutte concordarono sulla necessità di restringere ulteriormente il servizio scolastico, proprio applicando la precauzione e nella comune speranza che ciò avrebbe condotto alla diminuzione dei contagi e aperto la strada alla riapertura completa il 7 gennaio.

In realtà le cose stanno andando diversamente e ciò dimostra che continuare ad applicare la “precauzione” e non la “programmazione” conduce in un vicolo cieco.

Il 9 dicembre u.s. in sede di Conferenza delle Regioni si era prefigurata la situazione in cui ci si sarebbe trovati il 7 gennaio: la ripresa in presenza si sarebbe nuovamente scontrata con un coefficiente massimo di riempimento dei mezzi di trasporto al 50%.

Fulvio Bonavitacola (Vicepresidente della Regione Campania e coordinatore della Commissione Infrastrutture e trasporti della Conferenza delle Regioni) lo aveva esplicitamente dichiarato durante un’audizione parlamentare di fronte alla Commissione Istruzione del Senato: “Occorre agire con decisione dal lato dell’offerta, con potenziamento dei servizi, e della domanda, con diversificazione degli orari d’ingresso alle scuole secondarie di secondo grado ponendo fine ad una situazione non gestibile, che ha lasciato il tema orari nella discrezionalità dei singoli dirigenti scolastici. È chiaro che così non si programma niente, se non il caos. È auspicabile che i tavoli previsti presso le Prefetture dal dpcm del 3 dicembre possano garantire una programmazione condivisa fra i diversi soggetti coinvolti…..Per questo, accertati i limiti del potenziamento di linee aggiuntive, che le Regioni comunque continueranno a perseguire d’intesa con le aziende di trasporto, non resta altra strada che la diversificazione degli orari, decongestionando le fasce di punta.
Con questa linea, peraltro in sintonia con le posizioni espresse dal Ministro dei trasporti, parteciperemo – ha concluso Bonavitacola – agli incontri in Prefettura previsti nei prossimi giorni
”.

Ministero e Regioni, dunque, a priori, avevano già preannunciato di non essere in grado di aumentare il servizio del trasporto pubblico locale e contestualmente deciso che avrebbero dovuto essere le scuole a modificare i propri orari allo scopo di consentire il ritorno in presenza inizialmente al 75% per poi sperare di arrivare al 100%.

Conseguentemente la Regione Piemonte ha elaborato un Piano emergenziale del trasporto pubblico in cui viene ribadita la disponibilità di carico dei mezzi al 50% della capacità, mentre per risolvere il problema della distribuzione non uniforme dell’utenza sui mezzi si indica la costituzione di gruppi di circa 35 studentiche utilizzano il trasporto pubblico con origine e destinazione analoghi e stabili nel tempo. Per attuare tali misure, tuttavia, si specifica nel Piano, occorre che le scuole riorganizzino le lezioni su due turni, in modo da ridurre la domanda di trasporto nelle ore di punta e spalmarla in un arco temporale più ampio. Infine si indicano anche gli archi temporali di ingressi e uscite: il primo turno potrebbe comprendere ingresso alle 8 e uscita alle 14, il secondo ingresso alle 10 e uscita alle 16.

Contro il Piano si sono negativamente espressi i segretari regionali di Flc Cgil, Uil Scuola, e Cisl Scuola, osservando come l’ingresso per una parte degli studenti alle 9,30 provocherebbe problemi per l’organizzazione interna, disagi alle famiglie nel conciliare il loro tragitto casa-lavoro, difficoltà per le numerose attività laboratori ali pomeridiane e infine maggiori costi dettati dalla necessità di garantire il riscaldamento prolungato delle scuole.

Inoltre, sempre secondo i sindacati “l’eccessivo ritardo nella conclusione delle attività scolastiche, che potrebbero protrarsi per alcuni istituti anche fino alle ore 19, avrà una ricaduta sull’attività didattica in presenza, con grave compromissione del processo di apprendimento degli studenti, sull’orario di rientro degli studenti alle loro abitazioni, che risulterebbe difficoltoso in caso di mancata riprogrammazione degli orari e di mancato potenziamento dei mezzi di trasporto in orari pomeridiani, anche in modo integrato con le province limitrofe, sulla gestione di un adeguato tempo da dedicare allo studio domestico di tutti gli alunni, con conseguente grave compromissione dell’apprendimento, con particolare riferimento agli studenti in condizione di maggior fragilità e con bisogni educativi speciali”.

Insomma si prefigura nuovamente un “non rientro” completo a scuola il 7 gennaio e presumibilmente un rientro al 50%.

Pare che sia questa, a detta del Presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, Stefano Bonaccini, la decisione concordata nella riunione della Conferenza Unificata del 23 dicembre: “il ritorno della didattica in presenza che, attraverso un’ordinanza del ministro della Salute, consenta di partire dal 7 gennaio con una soglia comune del 50% in tutte le Regioni. Con la speranza e l’auspicio di veder crescere questa percentuale, sulla base di uno stretto controllo della curva epidemiologica“.

Viene, dunque, nuovamente applicato il principio di precauzione, mentre la programmazione nuovamente rinviata a data da destinarsi: “Inoltre nelle linee guida –- ha concluso Bonaccini – si punta, attraverso un’attività di collaborazione con i prefetti, a una rimodulazione dell’orario di entrata e uscita delle scuole secondarie di secondo grado, che consenta una riprogrammazione dei servizi di trasporto pubblico locale e regionale in un’ottica di sicurezza e sostenibilità“.

 

1 Professoressa di Diritto costituzionale e di Diritto regionale presso l’Università di Torino.