Recensione del libro di Ran Hirschl “City, State: Constitutionalism and the Megacity” (Oxford University Press 2020)

Gabriella Saputelli 1

Non è detto che Kublai Kan creda a tutto quel che dice Marco Polo quando gli descrive le città visitate nelle sue ambascerie, ma certo l’imperatore dei tartari continua ad ascoltare il giovane veneziano con più curiosità e attenzione che ogni altro suo messo o esploratore. (…) Solo nei resoconti di Marco Polo, Kublai Kan riusciva a discernere, attraverso le muraglie e le torri destinate a crollare, la filigrana d’un disegno così sottile da sfuggire al morso delle termiti” (Italo Calvino, Le città invisibili, Milano 1993, cap. I)

 

La percezione che ci si trovi davanti a un lavoro innovativo, destinato a diventare un punto di riferimento negli studi di diritto costituzionale comparato dei prossimi anni, si ha sin dalle prime pagine del libro, che mettono il lettore di fronte ad uno dei fenomeni più significativi del nostro tempo: la crescente urbanizzazione di vasti territori e l’emergere di grandi città (megacities) in varie parti del mondo.

La ricchezza di dati e statistiche sull’aumento della popolazione e sulla densità abitativa di alcuni centri urbani, i numerosissimi esempi, l’ampiezza delle esperienze considerate e l’accurata descrizione delle dinamiche politiche e istituzionali tra vari livelli di governo ‘costringono’ il giurista a guardare una realtà imponente e in rapida trasformazione che pone molte sfide alla governance costituzionale.

Pur rappresentando il segno di uno dei più importanti sviluppi dei tempi moderni, infatti, le megacities risultano assolutamente trascurate negli studi pubblicistici, mentre sono da tempo oggetto di studio da parte di altre scienze sociali. Detto attraverso le parole di un noto testo di Italo Calvino – da cui l’A. dichiara di aver tratto ispirazione – le città sono pressoché ‘invisibili’ alla maggior parte delle costituzioni e agli studi di diritto costituzionale e diritto costituzionale comparato. Eppure esse rappresentano le istituzioni politiche più antiche e il luogo concreto in cui la vita si svolge, determinano e condizionano i servizi essenziali che danno contenuto ai diritti di cittadinanza; la loro organizzazione e gestione influenza la qualità della vita e la quotidianità più di ogni altro livello di governo. Per continuare con Calvino: ci sono delle ragioni profonde che “hanno portato gli uomini a vivere nelle città, ragioni che potranno valere al di là di tutte le crisi. Le città sono un insieme di tante cose: di memoria, di desideri, di segni d’un linguaggio; le città sono luoghi di scambio, come spiegano tutti i libri di storia dell’economia, ma questi scambi non sono soltanto scambi di merci, sono scambi di parole, di desideri, di ricordi”2.

Come dichiarato dall’A., lo studio intende colmare questo ‘vuoto fondamentale’ – o ‘silenzio assordante’3 – degli studi di diritto costituzionale e stimolare nuove riflessioni su un tema che tocca il cuore di tale disciplina: il rapporto tra popolazione, territorio e organizzazione politica.

Da questa prospettiva vengono affrontate anzitutto le ragioni della ‘irrilevanza’ costituzionale delle città nella maggior parte degli ordinamenti contemporanei, nella giurisprudenza, così come nelle scienze giuridiche, che l’A. riconduce ad una concezione stato-centrica degli ordinamenti costituzionali in cui le città sono pensate come componenti e, spesso, come ‘creature dello stato’4. In particolare, viene definito ‘spatial statism’5 il prodotto di una evoluzione storica che ha visto affermarsi la centralità dello stato nel controllo sul proprio territorio e che rappresenta il cuore del modello vestfaliano di cui gli studi di diritto costituzionale sono permeati. Questa concezione continua a dominare anche la teoria e la pratica del federalismo6, anch’esso ostile al livello municipale e, pertanto, inadeguato ad affrontare i problemi di governance posti dalla crescente urbanizzazione, come si può constatare nelle esperienze di più antica tradizione federale (Stati Uniti, Germania, Canada).

Si scopre così che a restare ancorato a questa visione è il vecchio mondo (il Global North) – Europa e Nord America – dove dal punto di vista costituzionale le città continuano ad essere profondamente dipendenti e condizionate dallo stato7. Esempi di innovazione costituzionale sulla governance delle grandi metropoli provengono invece dal sud del mondo (il Global South) – Asia, America Latina e Africa – dove sono stati sperimentati nuovi approcci al fenomeno dell’urbanizzazione8 e che può essere considerato laboratorio vivente per nuove riflessioni di diritto costituzionale9. La spinta all’innovazione, in questi casi, proviene dalla necessità di rispondere alla massiccia urbanizzazione e alla crescita della popolazione, cui si accompagna una flessibilità costituzionale ad adattarsi ai cambiamenti e, non meno importante, un contesto politico in grado di agevolare tali trasformazioni10. Molte volte, infatti, la maggiore autonomia costituzionale concessa alle città è parte di una strategia volta a supportare lo sviluppo economico del territorio che diviene il volano della modernizzazione e della trasformazione economica dell’intero paese (è il caso di Tokio, Seul, Shangai).

All’esame top-down segue quello bottom-up delle varie esperienze, ovvero l’analisi dei tentativi messi in campo da alcune città allo scopo di emanciparsi ‘costituzionalmente’ e far sentire la propria voce in un contesto dominato dallo stato11: la partecipazione a network internazionali (international city network); l’adozione di carte di diritti o di cittadinanze urbane (‘urban citizenship’); l’utilizzo del concetto ‘right to the city’ per sostenere movimenti in favore di alcuni diritti o dell’ambiente – ‘human rights cities’ o ‘sustainable cities’ – spesso in contrasto con politiche nazionali. Tra i tanti esempi, si possono richiamare le sanctuary cities, che negli Stati Uniti si sono opposte alle politiche migratorie del governo federale, o le ‘solidarity cities’ in Europa12. Tali tentativi sono spesso limitati nell’apportare cambiamenti significativi allo status delle città laddove non sono accompagnati da mutamenti del contesto costituzionale, tuttavia hanno una forte valenza simbolica e, spesso, anche pratica; certamente, come afferma l’A., esse denotano una presa di consapevolezza del ruolo che le città possono avere nelle società moderne13.

Attraverso la prospettiva delle città, ci si accorge che il libro di Hirschl offre, invero, anche una lettura degli effetti o delle cause di molti fenomeni contemporanei: i movimenti secessionisti e di rivendicazione di una maggiore autonomia, la retorica ‘us first’ e il crescente risentimento localista che si registrano in molti paesi.

Dopo aver preso consapevolezza di alcuni ‘pregiudizi’ che condizionano il modo di concepire l’organizzazione sociale e dei tentativi volti a dare nuova rilevanza alle città, il giurista viene ‘accompagnato’ a comprendere le ragioni a supporto di una maggiore autonomia costituzionale di tali enti nei nuovi modelli di governance: ragioni economiche e sociali, ma anche di adeguata rappresentanza dei territori14. Attraverso best and worst practices, vengono mostrati i limiti e i problemi che derivano dallo status non costituzionale delle città (il rischio di dipendenza dalle grandi imprese o la sotto-rappresentazione di alcuni territori urbani) e le potenzialità del lasciare affrontare a questo livello di governo alcune delle più importanti sfide contemporanee: il cambiamento climatico e la protezione dell’ambiente, la gestione dell’immigrazione; la riduzione delle diseguaglianze economiche all’interno delle città attraverso politiche di perequazione fiscale; la sperimentazione di politiche di integrazione sociale nelle zone ad alta densità abitativa (cui si legano il diritto all’abitazione e il diritto alla salute). Pertanto, se l’esempio della gestione dei parchimetri nella città di Chicago è emblematico dei rischi di una dipendenza delle città dalle grandi imprese, le politiche di social housing in Sud Africa mostrano quanto l’autonomia costituzionale possa fare la differenza nello stimolare best practices15. La prossimità delle città alla popolazione, infatti, rende queste istituzioni più idonee a risolvere taluni problemi rispetto ad altri livelli di governo. “D’una città non godi le sette o le settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda”, diceva Marco Polo a Kublai Kan in uno dei loro dialoghi16.

Le grandi città sono chiamate a rispondere alle sfide moderne (povertà, integrazione sociale, multiculturalismo e diversità, etc.) e subiscono pressioni sul fornire servizi in materia di sanità, istruzione, trasporti, edilizia residenziale pubblica, come anche la pandemia da Covid-19 ha dimostrato17. L’emergenza ha accentuato le disparità tra le pressioni cui gli enti territoriali sono stati sottoposti e le competenze e le risorse di cui dispongono18.

Lo sviluppo di megacities e la loro capacità di rispondere ai bisogni e alle richieste della popolazione richiedono una differenziazione rispetto agli altri governi locali e un ripensamento della teoria e della pratica del federalismo, che non include le città tra le costituent units. In particolare, i dati impressionanti sulla densità abitativa di alcune aree pongono la necessità di ripensare le politiche in riferimento alla concentrazione della popolazione.

Per rispondere a queste sfide l’A. suggerisce il principio di sussidiarietà come strumento chiave per garantire più autonomia e più rilevanza costituzionale ai grandi centri urbani e come ‘percorso’ verso la realizzazione costituzionale del ‘diritto alla città’19.

Ciò implica un cambiamento delle relazioni intergovernative, ma soprattutto un cambiamento della ‘mentalità’ istituzionale e politica. L’esperienza italiana mostra quanto le innovazioni costituzionali – come i principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza nell’art. 118 Cost. e le città metropolitane nell’art. 114 Cost. – possano avere risultati concreti limitati laddove non accompagnati da politiche favorevoli alla dimensione locale20. In questo contesto, anche la scienza giuridica ha una grande responsabilità: avviare riflessioni, sostenere il dibattito e indicare ipotesi di soluzione21.

Se negli ultimi vent’anni abbiamo imparato a guardare oltre lo stato e a leggere molti fenomeni attraverso le lenti della globalizzazione e dell’integrazione sovranazionale, nei prossimi anni sarà necessario combinare tale prospettiva con la riscoperta della dimensione locale, dove principi e obiettivi diventano bisogni concreti e urgenti che chiedono risposta. Occorre imparare a pensare ‘glocalmente’, in considerazione dello stretto legame tra globalizzazione e global cities, come rilevato da Saskia Sassen22.

Il libro è uno studio di diritto costituzionale comparato che affronta in modo innovativo lo status costituzionale delle grandi città negli ordinamenti moderni e, di conseguenza, la capacità degli ordinamenti costituzionali di rispondere alla crescente urbanizzazione; al contempo esso offre una riflessione sul predominio statale e sull’incompletezza degli studi federali, attraverso un percorso che parte dalla tradizione storica degli studi pubblicistici e giunge alle sfide della globalizzazione. Pagina dopo pagina emerge una realtà territoriale e istituzionale complessa: alcuni aspetti sono collocati in prospettiva (le dinamiche e le relazioni inter-istituzionali, il ruolo dello stato, alcune recenti tendenze politiche), ed emergono soggetti che finora sono rimati in ombra (le città).

Alcune caratteristiche delle città descritte da Ran Hirschl inverano alcune caratteristiche delle città immaginarie descritte da Italo Calvino nel suo libro23. Forse è anche per questo che l’A. lo indica quale ‘a must-read novel for any aspiring comparativist24. Del resto, in una conferenza tenuta il 29 marzo 1983 agli studenti della Graduate Writing Division della Columbia University di New York, Italo Calvino affermava in merito al libro ‘Città invisibili’: “credo che non sia solo un’idea atemporale di città quello che il libro evoca, ma che vi si svolga, ora implicita ora esplicita, una discussione sulla città moderna”25.

Il libro di Ran Hirschl apre una nuova discussione ‘costituzionale’ sulla città moderna e, parafrasando l’autore, per questa ragione potrebbe essere considerato a must-read book for any comparative constitutionalist.

 

 

1 Ricercatrice di diritto pubblico presso l’Istituto di Studi sui Sistemi Regionali Federali e sulle Autonomie “Massimo Severo Giannini” (ISSiRFA-CNR).

 

2 Calvino I. (1993), Le città invisibili, Mondatori editore, Milano, IX-X.

 

3 Hirschl R. (2020), City, State: Constitutionalism and the Megacity, p. 1.

 

4 Il Capitolo I è dedicato alla trattazione di questi aspetti.

 

5 Hirschl R. (2020), op. cit., p. 34.

 

6 Ibidem, p. 33.

 

7 Il capitolo 2 è dedicato all’analisi delle esperienze del Global North. L’autore ritiene che l’avversione politica nei riguardi delle grandi città trova in parte spiegazione anche nel fatto che esse possono costituire l’alveo in cui sorgono movimenti in grado di contrapporsi o di indebolire lo stato (Hirschl R., op. cit., p. 35).

 

8 Il capitolo 3 è dedicatoall’analisi delle esperienze del Global South.

 

9 Hirschl R., op. cit., 104.

 

10 Ibidem, 149.

 

11 Alla trattazione di tali aspetti è dedicato il capitolo 4.

 

12 Hirschl R., op. cit., p. 62, 100.

 

13 Ibidem, 170.

 

14 Alla trattazione di tali aspetti è dedicato il capitolo 5.

 

15 Ibidem, p. 193-194.

 

16 Calvino I., Le città invisibili, cit., p. 44.

 

17 Ibidem, p. 224.

 

18 Ibidem, p. 11. Un recente rapporto europeo (Comitato europeo delle Regioni, EU Annual Regional and Local Barometer, 2 Ottobre 2020, 44) mostra il prezioso ruolo svolto dalle regioni e dagli enti locali nell’affrontare la crisi, ma anche i pericoli del c.d. effetto “forbice” sulla finanza regionale e locale, dovuto ad un aumento dei costi (in particolare: la spesa per la sanità e i servizi sociali) e alla contestuale diminuzione delle entrate (in particolare: le entrate derivanti dalle attività economiche); circostanze che sollevano di nuovo il problema della capacità fiscale degli enti locali.

 

19 Hirschl R., op. cit., p. 15, 219-221. In proposito viene richiamato un altro autore che considera la sussidiarietà un modello migliore del federalismo per integrare i governi locali nelle dinamiche della global e multilevel governance: Yishai Blank (2010), Federalism, Subsidiarity, and the Role of Local Governments in an Age of Global Multilevel Governance, in Fordham Urban Law Journal 37: 509– 558. Mentre il federalismo ha un favor per lo stato, infatti, la sussidiarietà non privilegia nessun livello di governo.

 

20 Basti pensare al disegno centralista che continua a determinare la maggior parte delle politiche pubbliche, ai notevoli ritardi di attuazione delle città metropolitane, o alla famigerata riforma delle Province. Non a torto, infatti, l’Italia e l’Europa vengono collocate dall’A. nel vecchio mondo, invischiato in anguste categorie e restio all’innovazione.

 

21 In Italia due recenti convegni dell’associazione italiana dei costituzionalisti – il convegno del 2018 su “La geografia del potere. Un problema di diritto costituzionale” e quello del 2016 “Di alcune grandi categorie del diritto costituzionale: sovranità, rappresentanza, territorio” – hanno richiamato l’attenzione sul territorio.

 

22 Saskia Sassen (2001), The Global City: New York, London, Tokyo, Princeton University Press, p. 5, afferma che “The more globalized the economy becomes, the higher the agglomeration of central function in few sites, that is, the global cities”. Gli studi di Saskia Sassen sono richiamati più volte da R. Hirschl nel libro. Il lavoro poc’anzi citato è richiamato a pag. 6.

 

23 Il riferimento è, in particolare, alla descrizione della città di Procopia (I. Calvino, op. cit., 146-147) e alla parte del libro di Hirschl dedicata alla densità abitativa di alcune aree (pag. 197 ss.).

 

24 Hirschl R., op. cit., 234. Non a caso il testo è citato negli Acknowledgments.

 

25 L’intervento è stato inserito come ‘presentazione’ nella versione citata.