La proposta di legge piemontese in materia di assistenza al suicidio, alla luce della giurisprudenza costituzionale e del riparto di competenze Stato-Regioni

Federico Gustavo Pizzetti[1]

(ABSTRACT) ITA

Il contributo analizza i contenuti della proposta di legge d’iniziativa popolare, n. 295/2023 presentata nella Regione Piemonte per dettare tempi e procedure per l’assistenza sanitaria all’aiuto medicalizzato al suicidio enucleandone i possibili profili di incostituzionalità sia alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 242 del 2019, che del riparto costituzionale di competenze legislative fra Stato e Regioni.

(ABSTRACT) EN

The contribution analyzes the contents of the popular initiative regional bill no. 295/2023, submitted in the Piedmont Region, regarding medical assistance for suicide, and it identifies potential unconstitutional aspects in light of Constitutional Court ruling no. 242 of 2019 and the constitutional distribution of legislative powers between the State and the Regions.

Sommario:

1. Contenuti ed iter della proposta di legge d’iniziativa popolare n. 295/2023 presentata nella Regione Piemonte – 2. Il lecito aiuto al suicidio secondo i dettami della sentenza della Corte costituzionale n. 242/2019 – 3. Competenze statali e regionali in materia di suicidio medicalmente assistito dopo la pronuncia della Corte costituzionale n. 242/2019 – 4. Aspetti costituzionalmente “problematici” della proposta di legge regionale n. 295/2023 del Piemonte

1. Contenuti ed iter della proposta di legge d’iniziativa popolare n. 295/2023 presentata nella Regione Piemonte

Il 28 agosto 2023 è stata depositata, presso l’Ufficio di presidenza del Consiglio regionale del Piemonte, ai sensi dell’art. 76 dello Statuto regionale e in base a quanto stabilito dalla legge regionale n. 4 del 1979[2], la proposta di legge d’iniziativa popolare n. 295/2023 contenente «Procedure e tempi per l’assistenza sanitaria regionale al suicidio medicalmente assistito ai sensi e per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 242/2019».

Il testo della proposta si struttura in sei articoli, il primo dei quali indica le finalità della nuova disciplina, tese a garantire, da parte della Regione Piemonte e «nel rispetto delle proprie competenze e dei princìpi stabiliti dalla sentenza della Corte costituzionale n. 242/2019», la «necessaria assistenza sanitaria alle persone che intendono accedere al suicidio medicalmente assistito» mediante l’individuazione di «tempi e modalità per l’erogazione dei relativi trattamenti» (comma 1).

Lo stesso articolo 1 stabilisce, inoltre, che «il diritto all’erogazione dei trattamenti disciplinati» dalla proposta di legge «è individuale e inviolabile» puntualizzando che tale diritto non può essere limitato, condizionato o assoggettato ad altre forme di controllo al di fuori quanto contemplato dalla medesima normativa regionale “in fieri” (comma 2).

Il successivo articolo 2 del progetto individua, in via transitoria e sino all’eventuale entrata in vigore della disciplina statale in materia, i requisiti che il paziente deve possedere, nella Regione Piemonte, per poter «accedere alle prestazioni e ai trattamenti relativi al suicidio medicalmente assistito» (comma 1).

Requisiti, questi, consistenti nell’essere affetti da patologia irreversibile e fonte di sofferenze fisiche o psicologiche reputate dal malato intollerabili; nell’essere tenuti in vita da trattamenti di sostegno vitale; nell’essere pienamente capaci di prendere decisioni libere e consapevoli; e nell’aver formato ed espresso il proprio proposito di suicidio in modo libero e autonomo, chiaro e univoco (comma 1, lettere a, b, c, d ).

Tali requisiti sono sottoposti ad apposito procedimento di verifica (comma 2).

L’articolo 3 demanda a ciascuna Azienda sanitaria regionale di istituire una “Commissione medica multidisciplinare permanente”, incaricata di procedere alla verifica della sussistenza, nel caso concreto, dei requisiti previsti dalla (proposta di) legge (comma 1).

La Commissione è composta da un medico palliativista, un neurologo, uno psichiatra, un anestesista, un infermiere e uno psicologo, con eventuale possibilità, per la stessa Commissione, di valutare se integrare la propria composizione «in considerazione delle particolari condizioni della persona interessata ad accedere al suicidio medicalmente assistito» (commi 2 e 3).

La partecipazione alle riunioni dei componenti della Commissione avviene esclusivamente a titolo gratuito, senza alcuna corresponsione di compensi, gettoni di presenza o altre indennità (comma 6).

In «caso di rifiuto di cure con sedazione profonda continua e di ogni altra soluzione praticabile ai sensi della legge 22 dicembre 2017, n. 219», l’articolo 3 prevede che la Commissione (previo parere del Comitato etico territoriale) definisca anche le modalità per assicurare, alla persona ritenuta idonea ad accedere al suicidio medicalmente assistito, la «morte più rapida, indolore e dignitosa possibile» (comma 4).

A riguardo, lo stesso articolo 3 del progetto di legge stabilisce che spetta alle Aziende sanitarie territorialmente competenti fornire al richiedente tutto il supporto tecnico-farmacologico e l’assistenza medica necessari per la preparazione all’auto-somministrazione (di mano del paziente) del preparato letale autorizzato dalla Commissione presso una struttura ospedaliera, un hospice o a domicilio (comma 5).

L’articolo 4 regola i modi e tempi di svolgimento sia della fase di verifica dei requisiti per l’accesso al suicidio medicalmente assistito, sia della fase di erogazione dei relativi trattamenti da parte dell’Azienda sanitaria.

In particolare, entro quattro giorni dalla presentazione dell’istanza da parte della persona interessata, l’Azienda sanitaria è tenuta ad avviare il procedimento di verifica della sussistenza dei requisiti per l’assistenza medica al suicidio convocando l’apposita Commissione medica multidisciplinare (comma 2).

La Commissione ha tempo otto giorni per inviare al Comitato etico territorialmente competente la relazione medica relativa all’esito delle verifiche mediche da essa compiute (comma 2).

A sua volta, il Comitato etico, nei successivi cinque giorni, deve comunicare il proprio parere all’Azienda sanitaria (comma 2).

L’Azienda sanitaria, infine, entro ulteriori tre giorni, rende noto al malato il risultato complessivo del procedimento di verifica etico-medica espletato (comma 2).

L’intera procedura di verifica non può comunque protrarsi oltre il termine finale di venti giorni a decorrere dalla presentazione dell’istanza di assistenza sanitaria al suicidio da parte del soggetto interessato (comma 1).

In caso di esito positivo del procedimento di verifica, l’avvio della successiva fase, consistente nell’accesso ai servizi di assistenza sanitaria al suicidio medicalmente assistito, deve avvenire nel termine di sette giorni dalla richiesta di erogazione che la persona, riconosciuta idonea dalla Commissione e dal Comitato etico, formula all’Azienza sanitaria (comma 3)[3]..

La persona autorizzata ad accedere al suicidio medicalmente assistito può comunque decidere, in ogni momento, di sospendere, posticipare o annullare l’erogazione del trattamento (comma 4).

Ai sensi dello stesso articolo 4, le strutture sanitarie pubbliche della Regione sono, in ogni caso, tenute a conformare i procedimenti disciplinati dalla (proposta di) legge regionale alla disciplina statale ove differente (comma 5).

Infine, gli articoli 5 e 6 del progetto assicurano la totale gratuità del percorso regionale di assistenza sanitaria al suicidio imponendo, con apposita clausola di invarianza finanziaria, che nessun nuovo o maggior onere debba derivare, a carico del bilancio regionale, dall’applicazione della nuova (proposta di) legge.

Ora, trattandosi di atto di iniziativa legislativa popolare, il progetto di legge regionale in questione è stato sottoposto, secondo quanto previsto dall’art. 8, comma 3, della legge regionale n. 25 del 2006, al parere preliminare della Commissione regionale di garanzia[4], la quale, in data 17 ottobre 2023, si è espressa, all’unanimità, sulla ricevibilità e, a maggioranza, sull’ammissibilità del testo depositato.

Quanto alla ricevibilità, infatti, la Commissione di garanzia ha ritenuto che si fossero regolarmente svolte le operazioni di raccolta delle sottoscrizioni dei cittadini elettori nella Regione e che fosse stato altresì superato, con complessive 11.348 firme, il numero minimo, pari a 8.000 sottoscrizioni, stabilito dall’articolo 74 dello Statuto regionale e dall’articolo 1 della legge regionale n. 4 del 1973.

Quanto, poi, all’ammissibilità, la Commissione di garanzia (con nota dissenziente redatta da uno dei componenti) ha rilevato che il progetto di legge popolare depositato non riguarda leggi tributarie e di bilancio o leggi concernenti l’organizzazione degli uffici, lo stato giuridico, il trattamento economico e il ruolo organico del personale pubblico regionale (tutte quante sottratte all’iniziativa legislativa popolare ai sensi dell’art. 2 della legge regionale n. 4 del 1973), incide su materie di competenza dello Stato (ai sensi dell’art. 117, commi 2 e 3, Cost).

Pronunciatosi in via definitiva il Consiglio regionale sull’ammissibilità del progetto di legge regionale popolare (non avendo l’Ufficio di presidenza raggiunto la necessaria unanimità prevista dall’art. 7 della legge regionale n. 4 del 1973), il disegno di legge n. 295/2023 è stato incardinato, il 10 novembre 2023, presso la IV Commissione consiliare permanente (Sanità, assistenza, servizi sociali, politiche per gli anziani) in sede referente.

Richiamato in Aula il 26 febbraio 2024[5], il progetto di legge è stato sottoposto, durante la seduta del 21 marzo 2024, a questione pregiudiziale di costituzionalità, sollevata dal Presidente del Consiglio regionale ex art. 71 del regolamento consiliare, in relazione alla supposta carenza di competenza legislativa della Regione, ex art. 117 Cost., a disciplinare la materia dell’assistenza medica al suicidio[6].

Pregiudiziale di costituzionalità, quest’ultima, che, dopo ampio dibattito, è stata approvata a maggioranza dei consiglieri regionali con ventitré favorevoli, dodici contrari, un astenuto e un non partecipante al voto.

Per quanto l’iter del progetto di legge regionale piemontese n. 295/2023 si sia, di conseguenza, definitivamente arrestato ancora nella fase solo preliminare di trattazione consiliare, non del tutto priva di utilità risulta, comunque, un’analisi degli eventuali profili di non conformità costituzionale che esso potrebbe nascondere (e che sono stati, in effetti, ritenuti non assenti dal Consiglio regionale visto il voto favorevole sulla questione pregiudiziale avanzata dal suo Presidente).

Il testo del progetto presentato in Regione Piemonte, infatti, risulta del tutto identico a quello di molteplici altre iniziative legislative che, presentate negli ultimi mesi in diverse Regioni italiane[7], hanno ciascuna recepito il comune modello elaborato e promosso dall’Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica-APS nel quadro della campagna civica “Liberi Subito”.

Eventuali tratti di non conformità a Costituzione riscontrabili nel disegno di legge regionale d’iniziativa popolare n. 295/2023 del Piemonte potrebbero, quindi, parimenti viziare anche le altre proposte “gemelle” tuttora in corso di esame nelle altre Regioni[8] col rischio di portare o alla loro reiezione per voto pregiudiziale d’incostituzionalità (come è avvenuto nel caso della Regione Piemonte) o, laddove approvate senza modifiche, al (futuro) sollevamento di questioni di legittimità costituzionale davanti al Giudice delle leggi.

2. Il lecito aiuto al suicidio secondo i dettami della sentenza della Corte costituzionale n. 242 del 2019

Per meglio inquadrare i tratti di possibile non conformità a Costituzione nella proposta di legge regionale piemontese n. 295/2023 (e altresì delle altre identiche iniziative popolari di legge regionale in materia di assistenza medicale al suicidio) giova soffermarsi sulla sentenza della Corte costituzionale 22 novembre 2019, n. 242[9].

È, infatti, proprio «ai sensi e per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 242/2019» che, come recita la stessa intitolazione, il disegno di legge regionale n. 295/2023 intendeva intervenire al fine di dettare le procedure e i tempi per l’assistenza sanitaria regionale al suicidio medicalmente assistito in Piemonte.

Così come sono proprio «i principi stabiliti dalla sentenza della Corte costituzionale n. 242/2019» quelli al cui puntuale rispetto il proponente legislatore regionale subalpino si vincolava ai sensi dell’art. 1, comma 1, dello stesso disegno di legge n. 295/2023[10].

Ora, è noto che, con la sentenza n. 242/2019, definitivamente pronunciandosi sull’ordinanza di rimessione sollevata dalla Corte d’Assise di Milano[11] in relazione alla fattispecie di aiuto materiale al suicidio di cui all’art. 580 cod. pen., la Corte costituzionale ha statuito che il diritto alla vita, di cui la Costituzione non fa puntuale menzione, deve comunque ritenersi riconosciuto, in modo implicito, dall’articolo 2 della Carta fondamentale quale primo, e più importante, dei diritti inviolabili dell’uomo, anche in quanto presupposto per l’esercizio di tutti gli altri diritti della persona.

Dall’articolo 2 della Costituzione deriva dunque, sottolinea la Corte, il preciso «dovere dello Stato di tutelare la vita di ogni individuo: non quello — diametralmente opposto — di riconoscere all’individuo la possibilità di ottenere, dallo Stato o da terzi, un aiuto a morire»[12].

Né un diritto all’aiuto al morire, da parte dello Stato o di un terzo, può ricavarsi, per la Corte, nelle pieghe del dettato costituzionale, traendolo da una sorta di «generico diritto all’autodeterminazione individuale, riferibile anche al bene della vita»[13].

La tutela del bene della vita[14], infatti, risponde, nel quadro del principio personalista posto al centro della tavola assiologica della Repubblica, all’esigenza di salvaguardare la persona umana “come un valore in sé”[15] anche, e soprattutto, rispetto a scelte, quale quella di darsi la morte, di carattere estremo e irreparabile.

Quando viene in rilievo il bene della vita, dunque, la libertà di autodeterminazione del soggetto — afferma la stessa giurisprudenza costituzionale — non può mai indiscriminatamente prevalere sulle ragioni di tutela del bene della vita stessa, essendo semmai sempre costituzionalmente necessaria una qualche forma di reciproco bilanciamento fra i due valori in gioco[16].

Ne consegue, dunque, che l’incriminazione dell’aiuto al suicidio ex art. 580 cod. pen., proprio in quanto erige una sorta di “cintura di protezione” a salvaguardia della vita della persona rispetto ad una volontà di darsi la morte che potrebbe anche esser maturata in condizioni di particolare vulnerabilità e fragilità, non può — almeno di per sé — ritenersi in totale contrasto con la Costituzione[17].

Questo non significa, peraltro, che debba esser negato, da parte della Repubblica, ogni qualsivoglia rilievo all’autodeterminazione anche laddove l’esercizio di tale diritto individuale possa comportare il sacrificio della vita[18], né, tantomeno, che la Costituzione imponga, all’individuo, un dovere inderogabile di vivere «ad ogni costo»[19].

L’ordinamento, infatti, in base al principio di volontarietà dei trattamenti sanitari di cui agli articoli 2 e 32, comma 2°, della Costituzione[20], così come attuato dagli articoli 1, comma 5, e 2 della legge n. 219 del 2017[21], riconosce e garantisce, il diritto di rifiutare anche le cure necessarie alla propria sopravvivenza[22] (alimentazione e idratazione artificiale inclusa[23]).

Ed è proprio l’affermazione, da parte della Costituzione e della legge, di tale diritto all’autonomia terapeutica, esteso anche ai trattamenti di sostegno vitale, ad aver guidato la Corte costituzionale lungo la strada che l’ha portata ad enucleare una circoscritta area di non conformità costituzionale dell’art. 580 cod. pen. con riferimento specifico al (solo) caso in cui l’aspirante suicida si identifichi in una persona: «a) affetta da una patologia irreversibile e (b) fonte di sofferenze fisiche o psicologiche, che trova assolutamente intollerabili, la quale sia (c) tenuta in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale, ma resti (d) capace di prendere decisioni libere e consapevoli»[24].

Osserva, infatti, la Corte che, in presenza di queste quattro precise condizioni, «la decisione di accogliere la morte potrebbe essere già presa dal malato, sulla base della legislazione vigente, con effetti vincolanti nei confronti dei terzi, a mezzo della richiesta di interruzione dei trattamenti di sostegno vitale in atto, e di contestuale sottoposizione a sedazione profonda continua» così come espressamente consentito dagli articoli 1, comma 5, e 2 della legge n. 219 del 2017[25].

Quel che, invece, l’ordinamento impedisce, sotto minaccia di sanzione penale ai sensi dell’art. 580 cod. pen., è che il medico (o un terzo) possa mettere a disposizione di un paziente che si trova nelle condizioni sopra indicate, anche degli ulteriori e diversi «trattamenti diretti, non già ad eliminare le sue sofferenze, ma a determinarne la morte»[26].

In tal modo operando, infatti, il sanitario (o il terzo) incorrerebbe nel divieto, severamente presidiato dal Codice penale, di agevolare, in qualsiasi modo, l’esecuzione del proposito suicida del malato.

Ne deriva però — rileva la Corte — una irragionevole distonia.

Infatti, il paziente che risulti capace di agire, inguaribile, dipendente da presìdi vitali ed affetto da sofferenze insopportabili non potendo chiedere al medico (o a un terzo) di lecitamente ottenere anche un aiuto a morire subito (mediante l’azione diretta di un farmaco letale che egli stesso si auto-somministrerebbe), è costretto, se vuol congedarsi dalla vita, «a subire un processo più lento e più carico di sofferenze per le persone che gli sono care»[27] qual è quello che si svolge a partire dal momento in cui tutti i presìdi indispensabili alla sopravvivenza sono interrotti, su sua richiesta, siano all’istante in cui il suo corpo, non più in grado di sostenere autonomamente le funzioni vitali senza gli appositi farmaci e macchinari, si spegne per sempre[28].

Una modalità di morire, quest’ultima, che — ben evidenzia la Consulta — il malato stesso potrebbe anche ritenere per sé, e in relazione al carico di sofferenza che essa comporta per le persone a lui più care, assolutamente non dignitosa e di conseguenza totalmente inaccettabile[29].

Ma se, osserva puntualmente la Corte, «il fondamentale rilievo del valore della vita non esclude l’obbligo di rispettare la decisione del malato di porre fine alla propria esistenza tramite l’interruzione dei trattamenti sanitari — anche quando ciò richieda una condotta attiva, almeno sul piano naturalistico, da parte di terzi (quale il distacco o lo spegnimento di un macchinario, accompagnato dalla somministrazione di una sedazione profonda continua e di una terapia del dolore) —, non vi è ragione per la quale il medesimo valore debba tradursi in un ostacolo assoluto, penalmente presidiato, all’accoglimento della richiesta del malato di un aiuto che valga a sottrarlo al decorso più lento conseguente all’anzidetta interruzione dei presidi di sostegno vitale»[30].

È, infatti, agevole osservare — prosegue ancora la Corte — che se «chi è mantenuto in vita da un trattamento di sostegno artificiale, è considerato dall’ordinamento in grado, a certe condizioni, di prendere la decisione di porre termine alla propria esistenza tramite l’interruzione di tale trattamento, non si vede la ragione per la quale la stessa persona, a determinate condizioni, non possa ugualmente decidere di concludere la propria esistenza con l’aiuto di altri»[31].

La sintesi — secondo la stessa Consulta — è che «entro lo specifico ambito considerato, il divieto assoluto di aiuto al suicidio finisce per limitare ingiustificatamente, nonché irragionevolmente, la libertà di autodeterminazione del malato nella scelta delle terapie, comprese quelle finalizzate a liberarlo dalle sofferenze scaturente dagli artt. 2, 13 e 32, secondo comma, Cost., imponendogli, in ultima analisi, un’unica modalità per congedarsi dalla vita»[32].

In tali situazioni infatti — così pare ritenere il Giudice delle leggi — il malato che non voglia più proseguire un’esistenza in vita artificialmente sostenuta da farmaci e macchinari in condizioni ch’egli reputa estremamente penose, non ha altra strada, per congedarsi dall’esistenza, che rifiutare le cure vitali, eventualmente richiedendo anche la sedazione palliativa profonda, per avviarsi però lungo un percorso di agonia ch’egli avverte del tutto incompatibile con la sua personalissima visione della dignità nel “fine-vita” e dunque radicalmente inaccettabile[33].

L’area di illegittimità costituzionale dell’art. 580 cod. pen. (rispetto agli artt. 2, 13 e 32, comma 2°, Cost.) così individuata, e allo stesso tempo circoscritta, da parte della Corte sulla scorta del ragionamento qui sintetizzato, non può tuttavia condurre — rileva lo stesso Giudice delle leggi — ad una declaratoria di incostituzionalità, per così dire, “secca”[34].

Infatti, il dovere fondamentale della Repubblica, ex art. 2 Cost., di approntare una tutela alla vita umana, anche assicurando la genuina autonomia individuale rispetto a scelte esistenziali di tale portata e caratura quali quelle di darsi la morte con l’aiuto di un terzo (specialmente, ma non solo, ove tali decisioni risultino il frutto di transitorie situazioni di fragilità e debolezza, oppure non siano state sufficientemente meditate, o ancora esprimano solo un mero e fugace “taedium vitae[35])[36], richiede che vengano approntate ben robuste cautele atte a prevenire, con salda fermezza, possibili abusi.

Da questo punto di vista, in effetti, la rimozione “sic et simpliciter” del divieto di aiuto al suicidio, di cui all’art. 580 cod. pen., ancorché ritagliata sulle (sole) situazioni intercettate dalla Consulta, rischierebbe comunque — paventa la Corte stessa — di aprire scenari gravidi di conseguenze nefaste nei quali, in ipotesi, «qualsiasi soggetto — anche non esercente una professione sanitaria — potrebbe lecitamente offrire, a casa propria o a domicilio, per spirito filantropico o a pagamento, assistenza al suicidio a pazienti che lo desiderino senza alcun controllo ex ante sull’effettiva sussistenza, ad esempio, della loro capacità di autodeterminarsi, del carattere libero e informato della scelta da essi espressa e dell’irreversibilità della patologia da cui sono affetti»[37].

Né sarebbe, peraltro, ammissibile — soggiunge ancora la Corte — che «la somministrazione di farmaci in grado di provocare, entro un breve lasso di tempo, la morte del paziente comporti il rischio di una prematura rinuncia, da parte delle strutture sanitarie, a offrire concrete possibilità di accedere a cure palliative»[38], le quali, semmai, debbono ritenersi un vero e proprio «prerequisito della scelta, in seguito, di qualsiasi percorso alternativo da parte del paziente»[39] quale è quello di rinunciare a tutte le cure vitali e chiedere un aiuto farmacologico a morire immediatamente.

Occorre, allora, ricavare, muovendo «dalle coordinate del sistema vigente, quei criteri di riempimento costituzionalmente necessari, ancorché non a contenuto costituzionalmente vincolato»[40], che evitino, all’esito della declaratoria d’incostituzionalità parziale dell’art. 580 cod. pen., il crearsi di “vuoti di disciplina” di ampiezza e gravità tale da mettere a repentaglio l’indispensabile protezione dei diritti fondamentali in gioco (la vita e l’autodeterminazione consapevole).

In proposito, ritiene la Corte di potersi appoggiare alle previsioni di cui agli articoli 1 e 2 della legge n. 219 del 2017 — dettate per la rinuncia alle cure vitali necessarie alla sopravvivenza — al fine di individuare una sorta di “procedura medicalizzata” idonea ad offrire, nelle more di un (auspicato) intervento del legislatore, «risposta a buona parte delle esigenze di disciplina»[41] visto e considerato anche che — ricorda la stessa Corte — si tratta comunque di regolare l’«aiuto al suicidio prestato a favore di soggetti che già potrebbero alternativamente lasciarsi morire mediante la rinuncia a trattamenti sanitari necessari alla loro sopravvivenza ai sensi dell’art. 1, comma 5, della legge ora citata»[42].

È, quindi, con le stesse modalità previste dall’art. 1 della legge n. 219 del 2017 che, per la Corte, si può procedere ad accertare anche la piena capacità di autodeterminazione del paziente, e il carattere libero e informato della richiesta di “aiuto al suicidio”.

Richiesta, quest’ultima, che, sulla falsariga di quanto lo stesso art. 1 della legge n. 219 del 2017 stabilisce in relazione alla domanda di sospensione delle cure vitali, potrà essere presentata, dal malato, nei modi e con gli strumenti ritenuti più consoni alle condizioni in cui versa; andrà documentata in forma scritta o attraverso videoregistrazioni (o, per la persona con disabilità, mediante dispositivi idonei alla comunicazione); dovrà essere annotata, a cura dell’équipe medica, in cartella clinica[43].

Inoltre, dal momento che gli articoli 1, comma 5, e 2 della legge n. 219 del 2017 impongono, in caso di rinuncia alle cure vitali, che il medico curante prospetti all’assistito le alternative possibili ed attivi ogni opportuna forma di assistenza al fine di alleviare le sofferenze anche attraverso il ricorso alle cure palliative, è in questo stesso schema che — secondo la Corte — nel caso di domanda di aiuto medicale al suicidio, il sanitario dovrà dar motivato conto del carattere irreversibile della patologia e delle insopportabili sofferenze psico-fisiche provate dal malato, nonché della dipendenza dello stesso paziente da presìdi di sostegno vitale e del coinvolgimento offerto, ma dall’infermo rifiutato, in un apposito percorso di cure antalgico-palliative (sedazione profonda continua inclusa)[44].

Non basta.

Secondo la Corte, infatti, è indispensabile che lo Stato predisponga una apposita verifica ex ante sulla sussistenza stessa delle condizioni che rendono legittimo l’aiuto al suicidio e sulle modalità di esecuzione dello stesso atto auto-soppressivo al fine di evitare ogni abuso in danno di persone vulnerabili, garantire la dignità del paziente, non procurare inutili sofferenze[45].

Verifica preventiva, questa in parola, che, in attesa della diversa disciplina che il legislatore vorrà approvare, la Corte ritiene debba restare riservata a «strutture pubbliche del servizio sanitario nazionale»[46] (similmente a quanto accade, ricorda la Corte stessa, in materia di verifica delle condizioni cliniche per la richiesta di interruzione volontaria di gravidanza, ai sensi della legge n. 194 del 1978, oppure nell’ambito delle procedure di accesso alla procreazione medicalmente assistita, in base alla legge n. 40 del 2004[47]).

Inoltre, la particolare delicatezza dei valori costituzionali in gioco (la vita umana e l’autodeterminazione rispetto a scelte auto-lesive irreparabili) richiede — sempre secondo la Corte — che, all’interno della procedura che conduce all’assistenza medicale al suicidio, debba intervenire anche un organo collegiale terzo, munito di competenze atte a offrire garanzie di tutela alla persona che versa in situazioni di particolare vulnerabilità[48].

Organo, quest’ultimo, che, nelle more dell’intervento del legislatore, la Corte rintraccia nel «comitato etico territorialmente competente»[49] in quanto istituzione investita, ex lege, di funzioni «di consultazione e di riferimento per i problemi di natura etica che possano presentarsi nella pratica sanitaria» anche rispetto «alla tutela dei diritti e dei valori della persona»[50].

Giova, infine, sottolineare che, in base alle stesse parole spese dalla Corte, la pronuncia n. 242 del 2019 «si limita a escludere la punibilità dell’aiuto al suicidio nei casi considerati, senza creare alcun obbligo di procedere a tale aiuto in capo ai medici», alla cui singola coscienza è, perciò, interamente rimesso «se prestarsi, o no, a esaudire la richiesta agevolatrice del suicidio manifestata dal malato»[51].

Si tratta di una puntualizzazione di grande rilevanza che porta, in effetti, a ritenere che la condotta di chi agevola il suicidio nelle situazioni prefigurate dalla Corte sia divenuta oggi lecita, giacché la fattispecie penale di cui all’art. 580 cod. pen. è stata elisa in parte qua per incostituzionalità, ma non che essa risulti anche giuridicamente doverosa visto e considerato che la Corte stessa ha escluso la necessità di implementare l’istituto dell’obiezione di coscienza sanitaria.

La sentenza n. 242 del 2019 non sembra perciò fondare un vero e proprio diritto soggettivo, in capo al malato, ad ottenere l’aiuto medicale al suicidio, al quale faccia da contrappunto, in capo al medico o al servizio sanitario, un dovere di prestazione nel collaborare al gesto auto-soppressivo del paziente[52].

Quel che, invece, sembra esser stato indubbiamente stabilito, nella sentenza n. 242 del 2019 della Corte, è un vero e proprio obbligo, posto a carico del servizio sanitario, di condurre, in modo completo, accurato e tempestivo, la verifica pubblica sulla sussistenza delle condizioni cliniche e sulle modalità di esecuzione del suicidio che rendono non punibile l’aiuto medicale a darsi la morte richiesto dal malato e liberamente offerto dal sanitario[53].

Si tratta, infatti, di una verifica che risulta propedeutica, e dunque strettamente connessa, all’esercizio pienamente consapevole di quel diritto all’autodeterminazione terapeutica di cui il soggetto malato indubbiamente gode in base agli articoli 2 e 32, 2° comma, Cost. ed agli articoli 1, comma 5, e 2 della legge n. 219 del 2017.

È, in effetti, solo grazie all’espletamento della verifica pubblica in questione che il malato potrà sapere a quali scenari andrà incontro, in base all’ordinamento vigente, laddove egli intenda esercitare il proprio diritto, costituzionalmente e legislativamente fondato, al rifiuto dei trattamenti sanitari necessari alla sopravvivenza (accompagnato dalla rinuncia anche alle cure palliative, sedazione terminale compresa).

Infatti, è proprio grazie all’espletamento della verifica in parola con esito negativo che l’infermo saprà che il suo diniego delle cure vitali lo condurrà necessariamente a intraprendere un lungo cammino verso la morte naturale giacché egli non può chiedere e (lecitamente) ottenere anche un aiuto farmacologico a morire immediatamente in quanto la sua specifica situazione clinica non rientra nell’ambito delle condizioni che la sentenza n. 242 del 2019 stabilisce per rendere non punibile l’aiuto (del medico) al suicidio ex art. 580 cod. pen.

Così come è attraverso l’espletamento della verifica con esito positivo che il malato apprenderà, invece, che il suo rifiuto delle cure vitali ex legge n. 219 del 2017 potrà anche essere accompagnato, ove lo desideri, dalla richiesta di ricevere un (lecito) aiuto a morire subito ad opera del farmaco letale (senza quindi dover attendere, magari per giorni, il venir meno naturale delle funzioni corporee) in quanto la sua specifica condizione clinica rientra fra quelle che la sentenza n. 242 del 2019 contempla al fine di poter considerare non punibile l’aiuto (del medico) al suicidio di cui all’art. 580 cod. pen.

Ed è in base alla stessa verifica pubblica estesa anche alle modalità di esecuzione del gesto auto-soppressivo che il malato potrà essere sicuro che, ove optasse per la richiesta di suicidio medicalmente assistito, la sua morte, farmacologicamente indotta, avverrà in un contesto dignitoso e privo di sofferenze.

3. Competenze statali e regionali in materia di suicidio medicalmente assistito dopo la pronuncia della Corte costituzionale n. 242/2019

Così tratteggiati i contenuti salienti della pronuncia della Corte costituzionale n. 242 del 2019, si può ora procedere a saggiare se sussistano (oppure no) “margini” per un eventuale intervento del legislatore regionale nell’adozione di quella compiuta e strutturale disciplina in materia di suicidio medicalmente assistito che la Consulta stessa ha sollecitato[54].

È, infatti, proprio «nel rispetto delle proprie competenze» legislative che, ai sensi dell’art. 1, comma 1 del progetto di legge regionale n. 295/2023, la Regione Piemonte ha inteso disciplinare le procedure e i tempi per l’assistenza sanitaria al suicidio medicalmente assistito secondo i (suesposti) «princìpi stabiliti dalla sentenza della Corte costituzionale n. 242/2019».

Ora, è noto che, anche dopo la riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione[55], lo Stato ha conservato la potestà legislativa esclusiva in materia di «ordinamento civile» ex art. 117, comma 2, lett. l) Cost.

Materia, quest’ultima, nella quale rientra, fra le altre, anche la disciplina degli atti di disposizione del corpo[56], ivi compresi quelli che riguardano la fase terminale della vita, i quali, proprio in ragione della loro inevitabile «incidenza su aspetti essenziali della identità e della integrità della persona» non possono non necessitare di una piena «uniformità di trattamento sul territorio nazionale»[57].

Non potrebbe, quindi, la legge regionale ritagliare, in capo al malato, una sfera di autonomia nell’ambito del “fine-vita” che risulti di differente portata e caratura rispetto a quella che, per l’intero Paese, l’ordinamento statale prevede.

Nell’alveo della stessa materia dell’«ordinamento civile» rientra anche, come affermato dalla giurisprudenza costituzionale, la disciplina generale dei rapporti di diritto privato[58].

Non potrebbe, quindi, il legislatore regionale alterare, di sua sponte, il contenuto essenziale del rapporto, di diritto privato, fra medico e paziente.

Un rapporto, quest’ultimo, che, regolato nei suoi elementi basilari dalla legge n. 219 del 2017 e dalla legge n. 24 del 2017, non contempla, neppure dopo la sentenza n. 242 del 2019 della Corte costituzionale, alcun obbligo in capo al professionista medico di prestarsi ad esaudire la richiesta del malato di ottenere l’assistenza farmacologica al suicidio.

Parimenti esposta a rilievi di illegittimità costituzionale per lesione della stessa competenza esclusiva statale in materia di ordinamento civile ex art. 117, comma 2, lett. l) Cost., sarebbe anche la legge regionale che imponesse alla struttura sanitaria pubblica di fornire assistenza medica nella procedura di auto-somministrazione del farmaco letale.

La previsione di un siffatto dovere di prestazione altererebbe infatti i contenuti essenziali di quel contratto atipico di spedalità, di diritto privato, che si instaura fra ente sanitario e assistito[59].

L’ente sanitario, infatti, si troverebbe non solo ad esser obbligato a svolgere le attività legate alla verifica pubblica delle condizioni che danno via libera al suicidio medicalmente assistito come la Corte vuole nella sentenza n. 242 del 2019[60] (fissazione dell’appuntamento di visita, individuazione del personale medico e ausiliario deputato alla verifica medica, fornitura dell’eventuale strumentazione medica necessaria alla verifica stessa, elaborazione documentale della pratica, messa in sicurezza e salubrità dei luoghi di svolgimento della verifica, …), ma anche a dover provvedere all’ulteriore insieme di prestazioni complesse correlate all’assistenza sanitaria al malato in sede di auto-somministrazione del preparato letale autorizzato (fornitura della sostanza chimica nell’apposita formula e dosaggio e messa a disposizione dei dispositivi medici necessari per l’auto-assunzione della sostanza stessa).

Inoltre, imporre alla struttura sanitaria pubblica l’obbligo di predisporre un’apposita assistenza medico-infermieristica al malato durante tutta la fase di auto-somministrazione del farmaco letale, altererebbe i contenuti essenziali del rapporto di impiego fra ente sanitario e camici bianchi dipendenti.

Un rapporto, quest’ultimo, che, in quanto avente natura civilistica, solo allo Stato spetta disciplinare nei suoi contenuti di base[61].

L’ente sanitario, infatti, qualora non potesse contare su personale medico che spontaneamente vi si presti, dovrebbe esigere dai camici bianchi alle sue dipendente lo svolgimento di un’attività professionale — l’assistenza sanitaria al suicidio del malato richiedente — di cui la sentenza n. 242 del 2019[62] ha escluso l’obbligatorietà e che (a tutt’oggi) non risulta affatto parte del rapporto di impiego fissato dalla legge statale e dalla contrattazione collettiva nazionale.

Va, poi, rilevato, sotto altro e diverso angolo visuale, che costituisce un principio fondamentale nella materia (concorrente) di «tutela della salute» (art. 117, comma 3° Cost.) — al quale il legislatore regionale è perciò vincolato ex art. 117, comma 4° Cost. — la disciplina degli istituti connessi all’autodeterminazione terapeutica[63], fra cui rientrano anche quelli contemplati negli articoli 1 e 2 della legge n. 219 del 2017, che la sentenza n. 242 del 2019 ha assunto come “preciso punto di riferimento” per ricavare la “procedura medicalizzata” da seguire in caso di (lecito) aiuto al suicidio[64].

Non sembra, quindi, riconducibile all’alveo delle competenze legislative costituzionalmente attribuite alla Regione una disciplina regionale che modifichi le modalità e le forme sia per mezzo delle quali il soggetto viene valutato come capace di autodeterminarsi liberamente, sia grazie alle quali lo stesso malato esprime la rinuncia alle cure vitali, prima, per domandare poi l’aiuto medicale al suicidio (ove, naturalmente, le sue condizioni risultino corrispondenti a quelle stabilite dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 242 del 2019).

Si deve, infine, ricordare che «il potere di normazione in materia penale, in quanto incidente sui diritti fondamentali dell’individuo (e, in particolare, sulla libertà personale)», è demandato, dalla Costituzione, «all’istituzione che costituisce la massima espressione della rappresentanza politica — ossia al Parlamento, eletto a suffragio universale dall’intera collettività nazionale»[65].

Sarebbe, quindi, costituzionalmente illegittima, per invasione della potestà legislativa esclusiva nell’«ordinamento penale» ex art. 117, comma 2, lett. l) Cost., una disciplina di legge regionale che avesse l’effetto di variare il “perimetro” di liceità dell’aiuto al suicidio rispetto a quello a tutt’oggi tracciato dalla sentenza n. 242 del 2019 della Corte.

Si tratta, infatti, di una linea di confine che, all’interno delle fattispecie penalmente rilevanti ai sensi dell’art. 580 cod. pen., individua quella sola “area” di non conformità costituzionale che è stata sottratta, a livello nazionale, alla punibilità.

Qualsiasi ampliamento di tale “zona franca” dalla sanzione penale ad opera del legislatore regionale non potrebbe, perciò, non intaccare la potestà legislativa esclusiva dello Stato in materia penale.

Parrebbe, in definitiva, esondare dall’alveo delle competenze regionali di cui all’art. 117 Cost., una legge regionale che intervenga sulle condizioni (malattia irreversibile, dipendenza da presidio vitale, capacità di autodeterminarsi, sofferenza insopportabile, libertà e consapevolezza della decisione), sulle modalità (quelle di cui agli artt. 1 e 2 della legge n. 219 del 2017) e sul regime di verifica pubblica (da parte di una struttura del servizio sanitario nazionale e di un comitato etico)[66] che la Corte costituzionale ha dettato, nella sentenza n. 242 del 2019, al fine di considerare non punibile (ma non anche obbligatoria) l’assistenza al suicidio richiesta dal malato.

Né potrebbe valere, nel senso di ammettere un intervento “transitorio” del legislatore regionale, l’espressa apposizione, nella legge regionale, di una “clausola di cedevolezza invertita” (presente, ad esempio, nel progetto di legge regionale piemontese n 295/2023, all’art. 2, comma 1, e all’art. 4, comma 5) in forza della quale la normativa varata dal Consiglio regionale si ritrarrebbe automaticamente all’entrata in vigore della disciplina approvata dal Parlamento nazionale.

La giurisprudenza costituzionale ha infatti affermato che «l’intervento che il legislatore regionale può anticipare nell’inerzia del legislatore statale attiene pur sempre (e soltanto) a materie di competenza concorrente della Regione»[67].

Tanto avvertito, non si può, tuttavia, non considerare, e porre nel dovuto risalto, che, nella stessa sentenza n. 242 del 2019, la Corte non ha indicato a quali specifiche “strutture pubbliche del servizio sanitario nazionale” occorra rivolgersi per l’espletamento di quella verifica pubblica che la stessa sentenza esige al fine di poter accedere al (lecito) suicidio medicalmente assistito.

Si tratta, in effetti, di una verifica che sembra riconducibile al novero degli accertamenti medico-legali in quanto indagine compiuta, da parte di specialisti medici, allo scopo di stabilire se ricorrano (oppure no) le condizioni, di natura medica, che rendono non sanzionabile la condotta di aiuto medicalizzato al suicidio alla luce del disposto della sentenza n. 242 del 2019.

Ora, ai sensi dell’art. 14 della legge n. 833 del 1978, tutti gli accertamenti medico-legali di spettanza del servizio sanitario nazionale vengono svolti a livello di azienda sanitaria locale.

Se ne deduce, quindi, che il richiamo, contenuto nella sentenza n. 242 del 2019 della Corte, alle “strutture pubbliche del servizio sanitario nazionale”, quali enti competenti a verificare le condizioni del malato richiedente assistenza sanitaria al suicidio, rinvii alle aziende sanitarie (o ospedaliere) di livello locale.

Ebbene, nell’àmbito della “organizzazione sanitaria locale”, quale parte della materia della «tutela della salute», di cui all’art. 117, comma 3 Cost., le Regioni godono di competenza legislativa (concorrente)[68].

Perciò, nelle more di un (più che opportuno[69]) atto di indirizzo unitario a livello statale[70], il legislatore regionale ben potrebbe, in virtù della competenza in parola, individuare qual è la tipologia di azienda sanitaria (o ospedaliera) e quale è l’organo, interno a tale azienda, a cui spettano le verifiche mediche richieste dalla sentenza n. 242 del 2019.

Sarebbe, in effetti, del tutto irragionevole, per evidenti esigenze di uniformità applicativa, che ciascuna struttura pubblica del servizio sanitario regionale arrivasse a stabilire, per proprio conto, in modo autonomo e secondo orientamenti fra loro magari divergenti, gli organismi deputati a compiere le verifiche di cui trattasi.

D’altro canto, la giurisprudenza costituzionale, pur affermando che soltanto lo Stato ha competenza nella materia penale ex art. 117, comma 2, lett. l) Cost., non ha escluso che la Regione possa anche «concorrere a precisare, secundum legem, i presupposti di applicazione di norme penali statali»[71] come avverrebbe laddove il legislatore regionale si limitasse unicamente a “precisare” quali sono gli enti del servizio sanitario regionale — lasciati “indefiniti” dalla sentenza n. 242 del 2019 della Corte — a cui spetta compiere le verifiche mediche sulla sussistenza dei requisiti che permettono l’aiuto medicale al suicidio senza incorrere nei reato di cui all’art. 580 cod. pen.

Né la giurisprudenza costituzionale ha impedito che le Regioni, proprio in quanto «responsabili per il proprio territorio dei servizi sanitari […], dettino norme di organizzazione e di procedura»[72] inerenti a tali servizi, come accadrebbe qualora il legislatore regionale provvedesse solo a individuare, per finalità organizzative di livello regionale, gli enti (e gli organi interni a tali enti) deputati a svolgere il servizio di verifica pubblica medico-legale delle condizioni del paziente e delle modalità di svolgimento dell’atto auto-soppressivo che abilitano alla richiesta di assistenza medicale al suicidio, nei limiti di quanto stabilito, a livello nazionale, dalla sentenza n. 242 del 2019 della Corte.

Neppure risulterebbe lesa la potestà legislativa dello Stato in materia civile (art. 117, comma 2, lett. l) Cost.) giacché l’intervento del legislatore regionale in questione sarebbe rivolto unicamente a specificare l’organismo sanitario territoriale al quale il malato può rivolgersi al fine di esercitare il diritto alla verifica pubblica delle condizioni cliniche (e delle modalità di esecuzione dell’atto auto-soppressivo) che gli consentono, ove soddisfatte, di poter ottenere lecitamente, per libera scelta del medico, l’aiuto farmacologico a congedarsi dalla vita.

Un diritto, quest’ultimo, a tale verifica pubblica che, come già si è osservato in precedenza[73], risulta attualmente riconosciuto, a livello di ordinamento nazionale, quale componente del diritto all’autodeterminazione del malato (artt. 2, 13 e 32, comma 2° Cost. ed artt. 1, comma 5, e 2 legge n. 219 del 2017) rispetto alle scelte di “fine-vita” a séguito della pronuncia n. 242 del 2019 della Corte.

4. Aspetti costituzionalmente “problematici” della proposta di legge regionale n. 295/2023 del Piemonte

Alla luce delle considerazioni che precedono[74], pare di potersi ritenere, per le ragioni di seguito esposte, che il progetto di legge regionale n. 295/2023 del Piemonte — non diversamente delle altre iniziative legislative di identico tenore, tuttora pendenti in diverse Regioni italiane — non sia scevro da profili di dubbia costituzionalità.

Innanzitutto, infatti, il progetto qualifica tutti i «trattamenti sanitari di assistenza al suicidio», previsti dalla stessa proposta regionale, quale oggetto di un vero e proprio “diritto inviolabile” della persona (articolo 1, comma 2)[75].

Va però osservato che nel progetto di legge regionale piemontese n. 295/2023 sono considerati “trattamenti sanitari di assistenza al suicidio” non soltanto le operazioni di verifica medico-legale delle condizioni di accesso e di esecuzione del suicidio medicalmente assistito (artt. 3, comma 1, e 4, commi 1 e 2), ma anche tutte le attività di supporto tecnico-farmacologico e medico-infermieristico volta alla preparazione e all’auto-somministrazione del preparato letale (artt. 3, comma 5, e 4, commi 3 e 4)[76].

Sul punto, tuttavia, la sentenza n. 242 del 2019 della Corte, come si è visto[77], sembra limpidamente affermare, in capo al malato, solo un diritto alla verifica pubblica delle condizioni e delle modalità che permettono di chiedere l’aiuto medicale al suicidio.

Assai più incerto è, invece, come si è notato[78], se la stessa pronuncia abbia attribuito al malato anche un vero e proprio diritto a ricevere, dalle stesse strutture sanitarie pubbliche, i mezzi per darsi la morte[79].

In tale ottica, quindi, il progetto di legge regionale sembra creare, in materia di “fine-vita”, un “nuovo” diritto del soggetto malato, addirittura definito come “inviolabile”, ad ottenere tutta l’assistenza necessaria per autosomministrarsi il farmaco letale.

Un diritto, quest’ultimo, che, a quanto consta, l’ordinamento nazionale vigente non sembra ancora contemplare (per lo meno, non con analoga ampiezza e intensità).

Vi è, dunque, il rischio che, in parte qua, il disegno di legge regionale piemontese n. 295/2023 intacchi la potestà legislativa esclusiva dello Stato in materia in materia di «ordinamento civile», ai sensi dell’art. 117, comma 2, lett. l) Cost., in relazione ai diritti di autodeterminazione di cui il malato gode, sul proprio corpo, rispetto al “fine-vita[80].

Quanto, poi, ai requisiti per l’accesso alle prestazioni e ai trattamenti di suicidio medicalmente assistito indicati nel progetto di legge (articolo 2, comma 1)[81], vero è che essi non si discostano da quelli individuati nella sentenza n. 242 del 2019[82].

Né pare rilevante la circostanza che il progetto di legge regionale non indichi anche il rifiuto delle cure palliative, di cui alla legge n. 38 del 2010, quale esplicito “prerequisito” per poter accedere ai trattamenti di assistenza al suicidio come la sentenza della Corte n. 242 del 2019 ha affermato[83].

Le cure palliative, infatti, possono senz’altro considerarsi comprese in quel «caso di rifiuto […] di ogni altra soluzione praticabile ai sensi della legge 22 dicembre 2017, n. 219» necessario a far scattare, secondo il progetto di legge regionale n. 295/2023 (art. 3, comma 4), il percorso di assistenza sanitaria al suicidio.

Tali cure, infatti, rientrano pacificamente nel ventaglio delle opzioni a disposizione del paziente, e da quest’ultimo rifiutabili, ex art. 2 della legge n. 219 del 2017.

Quel che, però, non va trascurato è che la riproposizione, a livello di legge regionale, degli stessi requisiti indicati dalla normativa statale per il lecito aiuto medicale al suicidio, potrebbe comunque sollevare dubbi di costituzionalità per invasione della potestà esclusiva statale in materia penale di cui all’art. 117, comma 2, lett. l) Cost.[84]

La Corte costituzionale, infatti, ha reputato costituzionalmente illegittima anche la mera riproduzione, a livello regionale, di una disciplina già prevista a livello statale se si tratta di un intervento legislativo che incide su una materia esclusiva dello Stato.

Per la Corte, infatti, la novazione della fonte regolatrice (dal livello legislativo statale a quello regionale), che comunque si verifica mediante la nuova disciplina regionale (pur se di identico contenuto rispetto a quella statale), intrude nella competenza esclusiva statale[85].

Da questo punto di vista, perciò, siccome le condizioni previste dalla pronuncia della Corte n. 242 del 2019 valgono a tracciare l’“area” della condotta lecita di agevolazione al suicidio[86], la loro riproduzione nella legge regionale, pur se pedissequa, rischia, in ogni caso, di incidere sulla competenza esclusiva dello Stato in materia di «ordinamento penale» ex art. 117, comma 2, lett. l) Cost.[87]

Non solleva, invece, rilievi critici la parte del progetto di legge piemontese che individua nell’Azienda sanitaria territorialmente competente, e nella Commissione medica istituita presso la stessa Azienda, l’ente (e l’organo) incaricato di svolgere le funzioni di verifica pubblica sia sulla sussistenza delle condizioni che permettono l’accesso del paziente all’assistenza sanitaria al suicidio, sia sulle modalità con le quali l’aiuto medicale all’atto auto-soppressivo si svolge in concreto (art. 3, commi 1, 2, 3, 4 e 6, ed art. 4, commi 1, 2, 5)[88].

Si tratta, infatti, di previsioni che non soltanto risultano del tutto riconducibili alla potestà della Regione in materia di organizzazione del servizio sanitario locale, come in precedenza individuata[89], ma che — senza nulla togliere alla competenza legislativa statale in materia di ordinamento civile e penale ex art. 117, comma 2°, lett. l) Cost. — specificano, in base alla disciplina nazionale risultante dalla sentenza n. 242 del 2019, a quale struttura sanitaria il malato si può rivolgere per esercitare il proprio diritto ad ottenere una verifica pubblica della sussistenza delle condizioni che lo abilitano (ove effettivamente presenti) a chiedere e ad ottenere, dal medico che volontariamente cooperi, il “lecito” aiuto farmacologico a morire immediatamente in modo dignitoso, senza sofferenze ed evitando abusi[90].

Dubbi di incostituzionalità solleva, invece, dal punto di vista dell’intrinseca incoerenza della disciplina posta rispetto alla finalità che lo stesso legislatore regionale si è prefissato di raggiungere (art. 3 Cost.)[91], la scelta compiuta dal progetto di legge n. 295/2023 nella parte in cui individua la specifica composizione della “Commissione medica multidisciplinare” (art. 3, commi 2 e 3).

Alla Commissione, infatti, la legge regionale affida il compito di accertare la sussistenza di tutti i requisiti che il malato deve possedere per poter validamente accedere al suicidio medicalmente assistito (art. 2, comma 2, art. 3, comma 1, ed art. 4, comma 2).

Requisiti, questi, fra i quali rientra anche, come si è in precedenza segnalato[92], l’essere tenuti in vita mediante supporti vitali in quanto colpiti da patologia irreversibile (art. 1, comma 1).

Elemento, quest’ultimo, la cui effettiva sussistenza in concreto non sembra, però, possa essere adeguatamente valutata da parte di una Commissione che non annovera, al proprio interno, la presenza di un medico specialista nella patologia di cui è afflitto il richiedente l’assistenza sanitaria al suicidio.

Né vale a superare tale critico rilievo la circostanza che il progetto di legge ammette l’integrazione della Commissione medica mediante chiamata di altri esperti «in considerazione delle particolari condizioni della persona interessata ad accedere al suicidio medicalmente assistito» (art. 3, comma 3).

Non soltanto, infatti, il dettato del progetto di legge si limita soltanto a far riferimento a “particolari condizioni” della persona interessata, senza menzionare la “specifica patologia” di cui la stessa persona è afflitta, ma l’integrazione della Commissione con componenti esterni, che pur potrebbe permettere il coinvolgimento anche di uno specialista nella malattia dell’aspirante suicida, è prevista come meramente eventuale.

Parimenti sospetta di incostituzionalità, per intrinseca incoerenza della normativa rispetto a allo scopo che la stessa disciplina si prefigge (art. 3 Cost.)[93], è l’assenza, nel progetto di legge piemontese n. 295/2023, di un qualsivoglia ruolo in capo al medico curante tanto nella fase iniziale di formulazione e presentazione da parte del malato della richiesta di assistenza sanitaria al suicidio, quanto nel momento successivo di verifica etico-medica (da parte della Commissione medica multidisciplinare e del Comitato etico) delle condizioni in cui il paziente stesso si trova.

Il disegno di legge regionale, infatti, specifica che la Regione Piemonte intende rispettare, nel disciplinare l’assistenza sanitaria al suicidio, i «principi stabiliti dalla sentenza della Corte costituzionale n. 242/2019» (articolo 1, comma 1).

Ebbene, nella sentenza n. 242/2019 la Corte costituzionale ha stabilito, quale vero e proprio “caposaldo”, che la materia della verifica pubblica delle condizioni che rendono lecito il suicidio assistito inerisce alla relazione tra medico e paziente[94].

Pare, dunque, censurabile che, nella disciplina regionale piemontese, il medico curante, parte costitutiva della relazione terapeutica, sparisca del tutto dalla scena per lasciar posto unicamente al malato, da una parte, ed all’Azienda sanitaria regionale, dall’altra.

Solleva, inoltre, dubbi di ordine costituzionale anche la parte del progetto di legge regionale n. 295/2023 secondo la quale le Aziende sanitarie regionali «forniscono il supporto tecnico e farmacologico, nonché l’assistenza medica per la preparazione all’auto-somministrazione del farmaco autorizzato» (art. 3, comma 5).

Si tratta, infatti, di una previsione che potrebbe essere intesa non soltanto nel senso che spetta all’Azienda sanitaria di verificare in concreto le modalità con le quali il suicidio medicalmente assistito ha luogo (come la sentenza n. 242 del 2019 della Corte le impone di fare), ma anche che sulla stessa Azienda incombe l’ulteriore, e ben diverso, obbligo di fornire direttamente il farmaco letale e i relativi dispositivi tecnici, nonché l’assistenza medico-infermieristica durante le fasi di preparazione all’auto-somministrazione della sostanza da parte del malato che si vuol congedare dalla vita.

Un obbligo, quest’ultimo, che — come si è già segnalato[95]non risulta desumibile, quantomeno con cristallina chiarezza, dall’impianto della sentenza n. 242 del 2019, e la cui eventuale introduzione, ad opera della legislazione regionale, altererebbe il rapporto contrattuale atipico di spedalità fra ASL e assistito, nonché il rapporto contrattuale di impiego fra l’ASL e i medici da essa dipendenti, investendo, perciò, in plurime direzioni, la competenza dello Stato in materia di «ordinamento civile» di cui all’art. 117, comma 2, lett. l) Cost.[96]

Perplessità di natura costituzionale sorgono, inoltre, rispetto al termine perentorio che il progetto di legge regionale impone per il completamento di tutta la procedura di verifica (etico-medica) delle condizioni di accesso all’assistenza sanitaria al suicidio (art. 4, comma 1) [97].

Non si vuol certo qui negare che il legislatore regionale possa prevedere — nell’esercizio delle sua già evidenziate prerogative in materia di organizzazione del servizio sanitario regionale ex art. 117, comma 3°, Cost.[98] — la durata della fase di verifica delle condizioni del malato nel quadro della disciplina dedotta dalla sentenza n. 242 del 2019 della Corte[99].

Tuttavia, non si può non rilevare come l’individuazione di un termine tanto rigido, quanto uniforme, qual è quello fissato dal disegno di legge piemontese n. 295/2023, rischia di entrare in rotta di collisione con la regola di fondo — costitutiva di principio fondamentale nella materia concorrente di «tutela della salute» ex art. 117, comma 3°, Cost. e perciò inderogabile da parte del legislatore regionale ex art. 117, comma 4° Cost. — in base alla quale il legislatore, nell’esercizio della sua discrezionalità politica, non può del tutto obliterare l’autonomia decisionale del medico, frutto dell’esercizio del suo sapere tecnico-scientifico, rispetto al singolo caso concreto[100].

Da questo punto di vista, il progetto di legge regionale in esame, proprio avendo stabilito che la durata complessiva delle operazioni di verifica etico-medica non può mai superare i venti giorni, ha precluso alla Commissione la facoltà di chiedere e ottenere un termine più esteso, laddove la stessa Commissione lo reputi, per ragioni tecnico-scientifiche, necessario al fine di svolgere, in modo completo e pienamente approfondito, la richiesta verifica nella singola e specifica situazione clinica legata alla richiesta di aiuto al suicidio avanzata dal malato.

Quanto, infine, alla scelta compiuta dal progetto di legge regionale di offrire in regime di gratuità i trattamenti di aiuto al suicidio (art. 5)[101], non sembra si tratti di una previsione lesiva della competenza statale ex art. 117, comma 2, lett. m) Cost. in materia di «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale».

Fermo restando, infatti, che lo Stato non ha sinora inserito le prestazioni concernenti l’aiuto medicale al suicidio nell’alveo dei LEP[102] (e, d’altro canto, pare quantomeno dubbio che, a legge vigente, il suicidio medicalmente assistito possa essere considerato un “diritto a prestazione” di cui si debba determinare il livello essenziale uniforme per l’intero Paese)[103], non risulta costituzionalmente inibito ad una Regione, finanziariamente virtuosa, di destinare eventuali risparmi di bilancio a copertura di quei servizi di assistenza sanitaria (nella specie si tratterebbe, infatti, dell’assistenza sanitaria al suicidio alle condizioni e coi modi previsti dalla sentenza n. 242 del 2019) che la Regione individui (nell’ambito dell’autonomia di spesa che è ad essa riconosciuta dall’art. 119 Cost. nel rispetto dei princìpi di bilancio di cui all’art. 81 Cost. e delle prerogative statali in materia di finanza pubblica ex art. 117 Cost.[104]).

Quel che semmai solleva dubbi di piena conformità a Costituzione è la clausola d’invarianza finanziaria prevista dal disegno di legge regionale (art. 6)[105] dato che essa non specifica che l’esborso di denaro pubblico, inevitabile per coprire i costi dei trattamenti di aiuto medicale al suicidio previsti dal disegno di legge, deve avvenire, da parte della Regione, senza ridurre le poste destinate al finanziamento integrale dei LEP esistenti, ivi compresi quelli legati alle cure antalgico-palliative.

Non si può, infatti, non sottolineare, sulla scorta della stessa sentenza n. 242 del 2019 della Corte[106], che sarebbe del tutto paradossale, e quindi costituzionalmente illegittimo per irragionevolezza (art. 3 Cost.), assicurare l’aiuto medicale al suicidio senza avere prima garantito, impiegando all’uopo tutte le risorse necessarie, la piena effettività del diritto al sollievo della sofferenza del malato mediante la terapia del dolore e le cure palliative.

  1. Professore Ordinario di Istituzioni di diritto pubblico nell’Università degli Studi di Milano “La Statale”
  2. Sui meccanismi istituzionali della Regione Piemonte si rinvia a M. Dogliani, J. Luther, A. Poggi (a cura di), Lineamenti di diritto costituzionale della Regione Piemonte, Torino, Giappichelli, 2018.
  3. Due paiono, quindi, essere le istanze che, in base al disegno di legge piemontese, la persona interessata deve rivolgere all’Azienda sanitaria competente: la prima è, infatti, quella finalizzata a ottenere (entro un massimo di venti giorni) l’espletamento della verifica, da parte della Commissione medica multidisciplinare e del Comitato etico, della sussistenza dei requisiti che abilitano all’accesso al percorso di assistenza medica al suicidio; la seconda è, invece, quella indirizzata a ricevere, da parte della struttura sanitaria pubblica (entro un massimo di sette giorni), il preparato letale autorizzato dalla Commissione insieme agli eventuali dispositivi utili all’auto-somministrazione ed alla necessaria assistenza da parte del personale medico-infermieristico.
  4. Sul ruolo e le funzioni delle Commissione di garanzia della Regione Piemonte, cfr. E. Grosso, La natura giuridica degli organi di garanzia statutaria, tra attuazione e inattuazione, in Osservatorio fonti, 2018, n. 3, pp. 1 ss., ma spec. pp. 15 ss.
  5. Dopo che la stessa IV Commissione aveva avviato, il 15 gennaio 2024, un’ampia consultazione on-line, conclusasi il 15 febbraio 2024, ed aveva, altresì, svolto numerose pubbliche audizioni nel corso delle sedute dell’8 e del 29 gennaio 2024 e del 12 febbraio 2024. Fra le memorie pervenute all’attenzione della Commissione, si segnalano, in modo particolare: la memoria n. 4139, del 16 aprile 2024, redatta da M. Losana e G. Sobrino; la memoria n. 3635, del 12 aprile 2024, stesa da V. Zagrebelsky; la memoria n. 3464, del 12 febbraio 2024, formulata da P. Ferrua; la memoria n. 3496, del 9 febbraio 2024, elaborata da B. Gagliardi; la memoria n. 3909, del 14 febbraio 2024, scritta da F. Gallo e F. Re; la memoria n. 4158, del 16 febbraio 2024, firmata da M. Ronco.
  6. Nell’illustrazione della questione pregiudiziale di costituzionalità presentata, il Presidente del Consiglio regionale si è richiamato, in particolare, agli elementi di non conformità costituzionale rilevati dall’Avvocatura Generale dello Stato nel parere n. 39326/23 reso su richiesta del Consiglio regionale del Veneto in relazione alla proposta di legge di iniziativa popolare veneta n. 217/2023 avente i medesimi contenuti del progetto di legge regionale piemontese n. 295/2023.
  7. Cfr. il progetto di legge regionale Abruzzo n. 364/2023; il progetto di legge regionale Basilicata n. 180/2023; il progetto di legge regionale Friuli-Venezia Giulia n. 7/2023; il progetto di legge regionale Lazio n. 110/2023; il progetto di legge regionale Liguria n. 171/2024; il progetto di legge regionale Sardegna n. 383/2023; il progetto di legge regionale Valle d’Aosta n. 135/2024; il progetto di legge regionale Lombardia n. 56/2023; il progetto di legge regionale Campania n. 352/2024; il progetto di legge regionale Emilia-Romagna n. 8058/2024: quest’ultima Regione, peraltro, ha già adottato, con atti amministrativi (delibera di giunta regionale n. 2596/2024, delibera di giunta regionale n. 194/2024, delibera di giunta regionale n. 333/2024), linee guida volte a disciplinare sia il procedimento di verifica dei requisiti per l’accesso del paziente all’aiuto medicale al suicidio da parte di una “Commissione di valutazione di Area vasta” e di un “Comitato regionale per l’etica clinica” (COREC) appositamente istituiti, sia il percorso di erogazione, a cura dell’Azienda USL territorialmente competente, dei trattamenti sanitari rivolti al suicidio del malato.
  8. In dottrina, G. Razzano, Le proposte di leggi regionali sull’aiuto al suicidio, i rilievi dell’Avvocatura Generale dello Stato, le forzature del Tribunale di Trieste e della commissione nominata dall’azienda sanitaria, in Consulta on-line, 2024, pp. 69 ss., ha espresso posizione alquanto critica verso le iniziative regionali in materia di suicidio assistito tanto rispetto alla sussistenza di competenza legislativa regionale, ritenuta esclusa in forza dell’aderenza della disciplina alla potestà legislativa esclusiva dello Stato ex art. 117, comma 2, lett. l) ed m) Cost., quanto ai contenuti di merito. P.F. Bresciani, Si può regionalizzare il fine vita? Note minime sull’idea di attuare la sent. n. 242 del 2019 con leggi regionali, in Forum di Quaderni costituzionale-Rassegna, 2023, pp. 127 ss. e Id., Sull’idea di regionalizzare il fine vita. Uno studio su autonomia regionale e prestazioni sanitarie eticamente sensibili, in Corti Supreme e Salute, 2024, 1, pp. 1 ss., invece, ha valutato legittima un’eventuale disciplina regionale del suicidio medicalmente assistito fintanto che quest’ultima si traduca solo in norme di carattere “organizzativo-procedurale” senza incidere anche sulle “condizioni” che il malato deve presentare affinché l’aiuto medicalizzato all’atto auto-soppressivo sia non punibile. L’assistenza medica al suicidio si configurerebbe, infatti, per l’A., quale sorta di “terapia”, o comunque quale complesso di “trattamenti medici”, di tal ché essa ricadrebbe nella materia di competenza concorrente della «tutela della salute» ex art. 117, comma 3° Cost., nella quale la Regione gode di potestà legislativa “di dettaglio”. Di conseguenza, ritiene sempre l’A., mentre sarebbero norme di dettaglio le regole organizzativo-procedurali per dare attuazione al quadro fissato dalla sent. n. 242 del 2019 della Corte, costituirebbe, invece, legislazione di principio la variazione dei requisiti previsti dalla stessa sentenza costituzionale per poter ottenere un aiuto lecito a sopprimersi. Assai perplessa sulla legittimità di spazi di intervento regionale in relazione alla sentenza n. 242 del 2019 della Corte è, invece, la riflessione svolta da M.G. Nacci, Il contributo delle Regioni alla garanzia di una morte dignitosa. Note a margine di due iniziative legislative regionali in tema di suicidio medicalmente assistito, in T. Cerruti (a cura di), L’elaborazione di un diritto a una morte dignitosa nell’esperienza europea, Napoli, ES, 2023, pp. 153 ss. Escludono completamente “margini” costituzionali per un intervento legislativo regionale nell’àmbito della disciplina dell’assistenza medica al suicidio F. Piergentili e F. Vari, Prime notazioni sulla legge regionale del Friuli-Venezia giulia in materia di fine vita, in Diritti regionali, 2023, pp. 850 ss.
  9. Nell’ampia dottrina, si segnalano: P. Bilancia, Dignità umana e fine vita in Europa, in Diritto costituzionale in trasformazione – Liber amicorum per Pasquale Costanzo, v. IV, Consulta OnLine Associazione giuridica scientifico-culturale, 2020, pp. 97 ss.; P. Caretti, La Corte costituzionale chiude il caso “Cappato” ma sottolinea ancora una volta l’esigenza di un intervento legislativo in materia di “fine vita”, in Osservatorio sille fonti, 2020, n. 1, pp. 1 ss.; G. Marazzita, L’inviolabilità del corpo come antagonista della “grundnorm”. Libertà personale e forma di Stato, in federalismi.it, 2021, n. 11, pp. 86 ss.; A. Apostoli, Principi costituzionali e scelte di fine vita, in BioLaw Journal/Riv. di Biodiritto, 2021, pp. 239 ss.; F. Poggi, Il caso Cappato: la Corte costituzionale nelle strettoie tra uccidere e lasciar morire, in BioLaw Journal/Riv. di BioDiritto, 2020, pp. 81 ss. P. Veronesi, La Corte costituzionale “affina, frena e rilancia”: dubbi e conferme nella sentenza sul “caso Cappato”, in BioLaw Journal/Riv. di BioDiritto, 2020, pp. 5 ss.; G. Ferrando, Il suicidio assistito di dj Fabo. L’autodeterminazione terapeutica dai principi alle regole, in Politica del diritto, 2020, pp. 15 ss.; U. Adamo, La Corte costituzionale apre (ma non troppo) al suicidio medicalmente assistito mediante una inedita doppia pronuncia, in BioLaw Journal/Rivista di Biodiritto, 2020, n. 1, pp. 27 ss.; G. D’Alessandro, Su taluni profili problematici della sentenza n. 242/2019 sul caso “Cappato-Antoniani”, in Giurisprudenza costituzionale, 2019, n. 6, pp. 3011 ss.; M. D’Amico, Il “fine vita” davanti alla Corte costituzionale fra profili processuali, principi penali e dilemmi etici (Consi­derazioni a margine della sent. n. 242 del 2019), in Osservatorio AIC, 2020, n. 1, pp. 286 ss.; F. Rimoli, Suicidio assistito, autodeterminazione del malato e tutela dei più deboli: la Corte trova un difficile equilibrio, in Giurisprudenza costitu­zionale, 2019, n. 6, pp. 2991 ss.; A. Ruggeri, La disciplina del suicidio assistito è “legge” (o, meglio, “sentenza-legge”), frutto di libera invenzione della Consulta. A margine di Corte cost. n. 242 del 2019, in Quaderni di diritto e politica ecclesiastica, 2019, n. 3, pp. 633 ss.; C. Tripodina, La “circoscritta area” di non punibilità dell’aiuto al suicidio. Cronaca e commento di una sentenza annunciata, in Corti supreme e salute, 2019, n. 2, pp. 217 ss; S. Canestrari, Ferite dell’anima e corpi prigionieri. Suicidio e aiuto al suicidio nella prospettiva di un diritto liberale e solidale, Bononia University Press, Bologna, 2021; S. Trozzi, Aspetti “de iure condito” e prospettive “de iure condendo” in materia di fine vita. La Consulta si pronuncia per l’inammissibilità del referendum sull’art. 579 c.p., in dirittifondamentali.it, 2022, pp. 323 ss.; V. Zagrebelsky, Autodeterminazione in ordine alla fine della vita. La strada ancora da percorrere in Italia, in Notizie di Politeia, 2022, f. 7, pp. 7 ss.
  10. V. supra, §1.
  11. Nel corso del processo penale che ha visto imputato del reato di aiuto al suicidio Marco Cappato, per aver quest’ultimo accompagnato in autovettura, in Svizzera, dove ha compiuto suicidio medicalmente assistito secondo la legge elvetica, Fabiano Antoniani (in arte, “DJ Fabo”), un paziente tetraplegico irreversibile, assistito da macchinari di supporto vitale e afflitto da gravi sofferenze, ma ancora pienamente capace d’intendere e di volere: cfr. C. Ass. Milano, sez. I, ord. 14 febbraio 2018 (di sollevamento della q.l.c.) e sent. 30 gennaio 2020, n. 8 (di proscioglimento).
  12. Corte cost., sent. 22 novembre 2019, n. 242, §2.2 cons. dir.
  13. Ibidem.
  14. Cfr. G. Gemma, Vita (diritto alla), in Digesto, disc. pubbl., v. XV, Torino, Utet, 2000, p. 670 ss.; F. Mantovani, Persona (delitti contro la), in Enciclopedia del Diritto, v. Ann. II-2, Milano, Giuffrè, 2008, pp. 841 ss.
  15. Cfr. Corte cost., sent. 2 marzo 2022, n. 50, §5.3. cons. dir., resa in sede di giudizio di ammissibilità del referendum abrogativo parziale dell’art. 579 cod. pen., promosso dal “Comitato promotore referendum eutanasia legale”. Si v. in dottrina A. Pugiotto, Eutanasia referendaria. Dall’ammissibilità del quesito all’incostituzionalità dei suoi effetti: metodo e merito nella sent. n. 50/2022, in Riv. AIC, 2022, p. 83 ss.; S. Penasa, Una disposizione costituzionalmente necessaria ma un bilanciamento non costituzionalmente vincolato? Prime note alla sentenza n. 50 del 2022 della Corte costituzionale, in Diritti Comparati, 17 marzo 2022; E. Rossi, La Corte e l’omicidio del consenziente: una decisione opportuna che induce a ripensare al controllo sull’ammissibilità del referendum come controllo sulla costituzionalità della normativa di risulta, in Giurisprudenza costituzionale, 2022, p. 4 ss.; B. Liberali, A proposito della sentenza n. 50 del 2022, Ammissibilità/Inammissibilità, in BioLaw Journal/Riv. di BioDiritto, 2022, n. 2, p. 7 ss.; A. Ruggeri, Autodeterminazione versus vita, a proposito della disciplina penale dell’omicidio del consenziente e della sua giusta sottrazione ad abrogazione popolare parziale (traendo spunto da Corte cost. n. 50 del 2022), in Diritti fondamentali, 2022, n. 1, p. 464 ss.; G. Arconzo, Il diritto a una morte dignitosa tra legislatore e Corte costituzionale, in Rivista del “Gruppo di Pisa”, 2023, p. 60 ss.
  16. Corte cost., sent. 2 marzo 2022, n. 50, §5.3 cons. dir.
  17. Corte cost., sent. 22 novembre 2019, n. 242, §2.2. cons. dir.
  18. Cass., Sez. Un. civ., sent. 4 ottobre 2007, n. 21748, §6.1 cons. dir.; Cons. St., sez. III, sent. 2 settembre 2014, n. 4460. In dottrina, cfr., ex multis, G. Salito e P. Stanzione, Il rifiuto “presunto” alle cure: il potere di autodeterminazione del soggetto incapace. Note a margine di Cass. Civ., 16 ottobre 2007, n. 21748, in Iustitia, 2008, pp. 55 ss.; A. Santosuosso, Sulla conclusione del caso Englaro., in La Nuova Giurisprudenza Civile Commentata, 2009, pp. 127 ss.; A. Simoncini, O. Carter Snead, Persone incapaci e decisioni di fine vita (con uno sguardo oltreoceano), in Quaderni costituzionali, 2010, pp. 7 ss.; G. Fiandaca, Il diritto di morire tra paternalismo e liberalismo penale, in Il Foro italiano, 2009, pp. 227 ss.; B. Barbisan, Paradossi e finzioni del “diritto a morire” nella giurisprudenza statunitense a partire dal caso Quinlan, in Diritto Pubblico, 2012 pp. 213 ss.; M. Azzalini, V. Morlaschi, Autodeterminazione terapeutica e responsabilità della p.a. Il suggello del Consiglio di Stato sul caso Englaro, in La Nuova Giurisprudenza Civile Commentata, 2017, pp. 1525 ss.
  19. Corte cost., sent. 2 marzo 2022, n. 50, 5.3 cons. dir.
  20. Cfr., nella vasta dottrina in tema, D. Morana, La salute come diritto costituzionale, IV ed., Torino, Giappichelli, 2021; L. Chieffi, Il diritto all’autodeterminazione terapeutica. Origine ed evoluzione di un valore costituzionale, Torino, Giappichelli, 2019; A. Ruggeri, Autodeterminazione (principio di), in Digesto, disc. pubbl., Agg., Torino, Utet, 2021, pp. 1 ss.; B. Caravita, La disciplina costituzionale della salute, in Diritto e società, 1984, pp. 21 ss.; M. Luciani, Il diritto costituzionale alla salute, in Diritto e società, 1980, pp. 789 ss.; B. Pezzini, Il diritto alla salute: profili costituzionali, in Diritto e società, 1983, pp. 21 ss.; A. Algostino, I possibili confini del dovere alla salute, in Giur. cost., 1996, pp. 3209 ss.; M. Cocconi, Il diritto alla tutela della salute, Padova, Cedam, 1998; C. Casonato, Il Principio di autodeterminazione. Una modellistica per inizio e fine vita, in Osservatorio costituzionale, 2022, pp. 51 ss.; F. Sorrentino, Diritto alla salute e trattamenti sanitari: sulla facoltà del malato di interrompere le cure (tra art. 32 Cost. e C.p.), in Quaderni regionali, 2007, pp. 441 ss.; F. Meola, Sul diritto di rifiutare le cure fino a lasciarsi morire, in Rassegna di diritto pubblico europeo, 2013, pp. 87 ss.; G.U. Rescigno, Dal diritto di rifiutare un determinato trattamento sanitario, secondo l’art. 32, co. 2 Cost., al principio di autodeterminazione intorno alla propria vita, in Diritto pubblico, 2008, pp. 85 ss.
  21. Cfr. fra i molteplici commenti alla legge n. 219/2017, B. de Filippis, Biotestamento e fine vita. Nuove regole nel rapporto fra medico e paziente: informazioni, diritti, autodeterminazione, Padova, Cedam, 2018; M.G. Di Pentima, Il consenso informato e le disposizioni anticipate di trattamento, Milano, Giuffrè, 2018; A. Sirotti Gaudenzi, Il biotestamento, Rimini, Maggioli, 2019; E. Calò (a cura di), Consenso informato e disposizioni anticipate, Napoli, ESI, 2019; S. Canestrari, Consenso informato e disposizioni anticipate di trattamento: una “buona legge buona”, in Corriere giuridico, 2018, pp. ss.; L. Palazzani, Le DAT e la legge 219/2017: considerazioni bioetiche e biogiuridiche, in Rivista italiana di medicina legale e del diritto in campo sanitario, 2018, pp. 965 ss.; R. Calvo, La nuova legge sul consenso informato e sul c.d. biotestamento, in Studium iuris, 2018, pp. 689 ss., S. Cacace, La nuova legge in materia di consenso informato e DAT: a proposito di volontà e di cura, di fiducia e di comunicazione, in Rivista italiana di medicina legale e del diritto in campo sanitario, 2018, pp. 935 ss., G. Baldini, L. n. 219/2017 e Disposizioni anticipate di trattamento (DAT), in Famiglia e diritto, 2018, pp. 803 ss.; M. Rinaldo, Biotestamento, in Digesto, disc. priv., v. Agg., Torino, Utet, 2020, pp. 23 ss.; U. Adamo, Costituzione e (processo del) fine vita, in Digesto, disc. civ., v. Agg. Torino, Utet, 2020, pp. 143 ss.; M. Foglia (a cura di), La relazione di cura dopo la legge 219/2017. Una prospettiva interdisciplinare, Pacini, Pisa, 2019; M. Mainardi (a cura di), Testamento biologico e consenso informato. Legge 22 dicembre 2017, n. 219, Giappichelli, Torino, 2018; M. Billi, Il consenso informato in ambito medico-chirurgico. La legge 219 del 2017 e il Caso Cappato, Aracne, Roma, 2021.
  22. Si osservi che decisioni orientate al “fine-vita”, nel senso della rinuncia ai trattamenti sanitari salva-vita e di sostegno vitale (inclusa l’alimentazione assistita), possono essere assunte anche “ora per allora” da parte di un soggetto maggiorenne e capace di agire in relazione a una condizione futura e sopravvenuta d’incapacità di autodeterminarsi ricorrendo o all’istituto delle “disposizioni anticipata di trattamento” (DAT), con eventuale nomina di un fiduciario che operi nella relazione terapeutica col personale medico (art. 4 della legge n. 219 del 2017), oppure utilizzando lo strumento della “pianificazione condivisa delle cure” (PCC), anche in quest’ipotesi con la facoltà di designare un fiduciario, nell’àmbito di una relazione terapeutica già instauratasi in presenza di patologia cronica e invalidante oppure caratterizzata da inarrestabile evoluzione con prognosi infausta (art. 5 della legge n. 219 del 2017).
  23. Qualora essa consista nella somministrazione, su prescrizione medica, di nutrienti mediante dispositivi medici (art. 1, comma 5, della legge n. 219 del 2017).
  24. Corte cost., sent. 22 novembre 2019, n. 242, §2.3 cons. dir.
  25. Ibidem.
  26. Corte cost., sent. 22 novembre 2019, n. 242, §2.2 cons. dir.
  27. Ibidem.
  28. Morte naturale che, ai sensi dell’art. 1 della legge n. 578 del 1993, si identifica con la «cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo» (c.d. “morte cerebrale”). Ai sensi del successivo art. 2 della stessa legge n. 578 del 1993, si presume intervenuta la morte anche in presenza di elettrocardiogramma “piatto” per venti minuti (c.d. “morte per arresto cardio-circolatorio”). Nel caso in cui la morte non possa essere accertata coi metodi elettroencefalografico o elettrocardiografico, valgono i tempi osservazionali di ventiquattr’ore, salvi i casi speciali (decapitazione, maciullamento, morte improvvisa o per patologia diffusiva), di cui all’art. 4 del decreto del Presidente della Repubblica n. 285 del 1990. Cfr., in tema, A. Aprile, P. Benciolini, C. Rago, D. Rodriguez, A. Tagliabracci, Sulle nuove disposizioni in tema di accertamento della morte, in Rivista italiana di medicina legale, 1995, pp. 327 ss.
  29. Corte cost., sent. 22 novembre 2019, n. 242, §2.2 cons. dir.
  30. Ibidem.
  31. Ibidem.
  32. Ibidem.
  33. Senza contare, inoltre, l’irragionevole disparità di trattamento che si determina fra colui che, per la sua sopravvivenza, dipende da presidi vitali, venuti meno i quali la morte naturale sopraggiunge rapidissimamente, e colui che, invece, risulta sottoposto a trattamenti di sostegno vitale cessati i quali la morte si affaccia solo dopo lungo tempo. Il primo malato, infatti, rifiutando i trattamenti sanitari, potrebbe tosto guadagnare l’agognata morte; il secondo paziente, invece, una volta espresso, ai sensi di legge, il medesimo rifiuto delle terapie di sostegno vitale, dovrebbe attendere a lungo prima che l’organismo, come da lui stesso auspicato (visto che ha rifiutato tutti i trattamenti indispensabili alla sopravvivenza), cessi di vivere.
  34. Cfr. Corte cost., sent. 22 novembre 2019, n. 242, spec. §4 cons. dir.
  35. Cfr. Corte cost., sent. 22 novembre 2019, n. 242 e Corte cost., sent. 2 marzo 2022, n. 50.
  36. Cfr. Corte cost., sent. 2 marzo 2022, n. 50, §3.2 e §5.4 cons. dir.
  37. Corte cost., sent. 22 novembre 2019, n. 242, §2.4 cons. dir.
  38. Ibidem.
  39. Ibidem.
  40. Corte cost., sent. 22 novembre 2019, n. 242, §4 cons. dir.
  41. Corte cost., sent. 22 novembre 2019, n. 242, §5 cons. dir.
  42. Ibidem.
  43. Ibidem.
  44. Ibidem.
  45. Ibidem.
  46. Ibidem.
  47. Cfr. M. Cavino e C. Tripodina (a cura di), La tutela dei diritti fondamentali tra diritto politico e diritto giurisprudenziale: “casi difficili” alla prova, Milano, Giuffrè, 2012.
  48. Corte cost., sent. 22 novembre 2019, n. 242, §5 cons. dir.
  49. La Corte costituzionale richiama, esplicitamente, gli organismi disciplinati tanto dall’art. 12, comma 10, lett. c) del decreto-legge n. 158 del 2012 (conv. con modif. nella legge n. 158 del 2012), quanto dall’art. 1 del decreto del Miistro della Salute 8 febbraio 2013 e dagli artt. 1 e 7 del decreto del Ministro della Salute 7 settembre 2017. Successivamente all’adozione della pronuncia costituzionale n. 242 del 2019, tuttavia, il sistema italiano dei comitati etici è stato oggetto di ampio riordino, in attuazione di quanto previsto dall’art. 2 della legge n. 3 del 2018, mediante il decreto del Ministro della Salute 26 gennaio 2023 e il decreto del Ministro Salute 30 gennaio 2023: cfr. in proposito, A. Parziale, La riforma italiana dei comitati etici nel contesto europeo: sfide, opportunità e spunti comparatistici, in Rivista italiana di medicina legale e del diritto in campo sanitario, 2023, pp. 103 ss. Pur nel silenzio della nuova disciplina, si può ragionevolmente ritenere che il riferimento, in allora, ai “comitati etici territorialmente competenti”, di cui alla sent. n. 242 del 2019, si rivolga, ora, ai quaranta Comitati Etici Territoriali (CET) ai quali spetta, ex art. 1, comma 5, del decreto del Ministro della Salute 30 gennaio 2023, di pronunciarsi in merito a «richieste di valutazione etica su questioni differenti da sperimentazioni cliniche e studi osservazionali farmacologici» (e tali sono quelle che attengono all’etica clinica nella valutazione delle condizioni di fragilità di un soggetto che chiede l’aiuto medicale al suicidio). Altresì, potrebbero ritenersi competenti, ai sensi dell’art. 1, comma 5, e dell’art. 1, comma 4, del decreto del Ministro della Salute 26.1.2023, i Comitati Etici Locali, in quanto competenti ad esercitare «funzioni diverse da quelle attribuite in via esclusiva ai comitati etici territoriali e ai comitati etici a valenza nazionale» (e tali sono quelle che attengono alla valutazione della situazione di vulnerabilità del soggetto interessato ad ottenere il suicidio medicalmente assistito). Sul punto si v. Comitato nazionale per la bioetica, Risposta al quesito del Ministero della Salute 2 gennaio 2023, del 24 febbraio 2023.
  50. Corte cost., sent. 22 novembre 2019, n. 242, 5 cons. dir.
  51. Corte cost., sent. 22 novembre 2019, n. 242, §6 cons. dir.
  52. Né elementi che militino nel senso di un obbligo posto a carico del SSN di dispensare direttamente le sostanze chimiche e i dispositivi meccanici eventualmente necessari al suicidio assistito sembrano essere desumibili dalla “nota” del Ministero della Salute del 9 gennaio 2021, indirizzata ai Presidenti delle Regioni e delle Province autonome, posto che tale documento fa unicamente riferimento ai compiti di verifica delle condizioni del paziente e delle modalità di esecuzione del suicidio, da svolgersi ad opera delle strutture sanitarie pubbliche e dei comitati etici, e non anche ad eventuali oneri di somministrazione dei trattamenti di assistenza sanitaria al suicidio stesso da parte del malato che faccia richiesta di un aiuto farmacologico a morire.
  53. In tal senso, d’altronde, si è orientata la giurisprudenza che ha fatto prima applicazione dei dettami della sent. Corte cost. 22 novembre 2019, n. 242: cfr. Trib. Roma, sez. dir. e immigr., ord. 22 giugno 2021; Trib. Ancona, sez. civ., ord. 26 marzo 2021; Trib. Ancona, sez. civ. proc. spec., ord. 26 gennaio 2022; in senso difforme, invece, Trib. Trieste, sez. civ., ord. 4 luglio 2023. Cfr., in dottrina, E. Falletti, L’accertamento dei presupposti del suicidio assistito di fronte ai giudici di merito, in Giu­risprudenza italiana, 2022, n. 1, pp. 68 ss.
  54. Corte cost., sent. 22 novembre 2019, n. 242, §9 cons. dir.
  55. Sulla cui struttura, sviluppo e ulteriori prospettive di revisione maturate nel corso degli anni, si rinvia a F. Fabrizzi, A. Poggi, G.M. Salerno (a cura di), Ripensare il Titolo V a vent’anni dalla riforma del 2001, in federalismi.it, f.s. n. 20 del 2022.
  56. Cfr. Corte cost. sent. 4 luglio 2006, n. 253. Cfr., in dottrina, C.M. Mazzoni, M. Piccini, La persona fisica, in Trattato di diritto privato, a cura di G. Iudica e P. Zatti, Milano, Giuffrè, 2016, pp. 13-67, ove anche per gli ulteriori riferimenti bibliografici.
  57. Corte cost., sent. 14 dicembre 2016, n. 262, §5.4 cons. dir.
  58. Corte cost., sent. 2 dicembre 2021, n. 228.
  59. Cfr. E. Conti, Contratto di spedalità e regimi di tutela nei confronti dei terzi, in Giurisprudenza italiana, 2023, p. 815.
  60. V. supra, §2.
  61. Cfr. Corte cost., sent. 26 novembre 2020, n. 251.
  62. V. supra, §2.
  63. Cfr. Corte cost., sent. 14 dicembre 2016, n. 262; Corte cost., sent. 30 luglio 2009, n. 253: Corte cost., sent. 23 dicembre 2008, n. 438; in dottrina, cfr. R. Balduzzi, D. Paris, Corte costituzionale e consenso informato tra diritti fondamentali e ripartizione delle competenze legislative, in Giurisprudenza costituzionale, 2008, pp. 4953 ss.
  64. V. supra, §2.
  65. Corte cost., sent. 13 marzo 2014, n. 46, §3 cons. dir.
  66. Anche le modalità di accertamento delle condizioni di accesso al suicidio, infatti, non possono essere rimesse alla disciplina regionale, in quanto esse concorrono a determinare il grado di attendibilità che l’accertamento deve raggiungere affinché le risultanze di tale accertamento possano essere poste a fondamento della non punibilità che l’attuale ordinamento statale prevede, dopo la sentenza costituzionale n. 242 del 2019, a beneficio di chi abbia prestato l’aiuto (medicale) al suicidio: cfr., in proposito, pur se riferita alla diversa fattispecie relativa all’integrazione da parte della Regione Lombardia (decreto della giunta regionale n. 327/2008 e decreto della giunta regionale 6454/2008) della disciplina statale sull’interruzione volontaria della gravidanza (legge n. 194/1978), la pronuncia del T.A.R. Lombardia, sez. III-Milano, sent. 29 dicembre 2010, n. 7735, su cui, in dottrina, F. Biondi, L’interruzione di gravidanza fra Stato e Regioni in una decisione del giudice amministrativo, in Quaderni costituzionali, 2011, pp. 412 ss.
  67. Corte cost., sent. 9 gennaio 2019, n. 1, §1.4.3 cons. dir.
  68. Cfr. Corte cost., sent. 14 novembre 2008, n. 371.
  69. Lo rimarca il Comitato nazionale per la bioetica nel parere del 24 febbraio 2023 reso in Risposta al quesito del Ministero della salute 2 gennaio 2023, p. 3.
  70. Atto unitario di indirizzo che, intervenendo in una materia nella quale si intrecciano sia (soprattutto) competenze statali, che (in parte) regionali, dovrebbe essere in ogni caso formulato anche col coinvolgimento delle Regioni mediante stipula di apposita intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni sulla base del principio di leale collaborazione. A riguardo, si v. Corte cost., sent. 13 giugno 2022, n. 144 e, in dottrina, C. Bertolino, Il principio di leale collaborazione nel policentrismo del sistema costituzionale italiano, Giappichelli, Torino, 2007.
  71. Corte cost., sent. 13 marzo 2014, n. 46, §10 cons. dir.
  72. Corte cost., sent. 14 novembre 2003, n. 338, §5.1 cons. dir.
  73. V. supra, §2.
  74. V. supra, §2 e §3.
  75. V. supra, §1.
  76. V. supra, §1.
  77. V. supra, §2.
  78. V. supra, §2.
  79. V. supra, §2.
  80. V. supra, §3.
  81. V. supra, §1.
  82. V. supra, §2.
  83. Sulla disciplina delle cure palliative, cfr. S. Cacace, La sedazione palliativa profonda e continua nell’imminenza della morte: le sette inquietudini del diritto, in Rivista italiana di medicina legale e del diritto in campo sanitario, 2017, pp. 469 ss.; E.I. Pampalone, Cure palliative, in Digesto, disc. civ., Agg., Torino, Utet, 2019, pp. 147 ss.; F. Paruzzo, Accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore. Considerazioni e bilanci sullo stato di attuazione della legge n. 38 del 15 marzo 2010 a 10 anni dalla sua entrata in vigore, in BioLaw Journal/Riv. BioDiritto, 2021, pp. 191 ss.
  84. V. supra, §3.
  85. Cfr. Corte cost., sent. 9 ottobre 2015, n. 195.
  86. V. supra, §2.
  87. V. supra, §3.
  88. V. supra, §1.
  89. V. supra, §3.
  90. V. supra, §2.
  91. Cfr. Corte cost., sent. 13 aprile 2017, n. 86 e Corte cost., sent. 11 ottobre 2000, n. 416.
  92. V. supra, §1.
  93. Cfr. Corte cost., sent. 13 aprile 2017, n. 86 e Corte cost., sent. 11 ottobre 2000, n. 416.
  94. Cfr. Corte cost., sent. 22 novembre 2019, n. 242, §5 cons. dir.
  95. V supra, §2.
  96. V. supra, §3.
  97. V. supra, §1.
  98. V. supra, §3.
  99. V. supra, §2.
  100. Corte cost., sent. 26 giugno 2022, n. 282, §4 cons. dir. e Corte cost., sent. 9 febbraio 2023, n. 14, §8 cons. dir.
  101. V. supra, §1.
  102. Cfr. M. Ladu, L. Spadacini, La nozione costituzionale di livello essenziale delle prestazioni tra potestà normativa e autonomia finanziaria delle Regioni, in Italian Papers On Federalism, 2023, pp. 81 ss.
  103. Non può essere invero considerata giuridicamente idonea a individuare un nuovo LEP, ai sensi dell’art. 117, comma 2, lett. m) Cost., la “semplice” lettera, indirizzata dal Ministro della Salute ai Presidenti delle Regioni italiane il 20 giugno 2022, in cui si ipotizzano posti a carico del SSN gli oneri finanziari necessari a consentire al malato che, rientrando nei requisiti stabiliti dalla sentenza n. 242 del 2019 della Corte, richieda l’assistenza medica al suicidio.
  104. Cfr. Corte cost., sent. 25 giugno 2021, n. 132, §2.2.4 cons. dir.
  105. V. supra, §1.
  106. Corte cost., sent. 22 novembre 2019, n. 242, §2.4 cons. dir.