Note critiche sulle iniziative legislative regionali in tema di suicidio medicalmente assistito

Maria Grazia Nacci[1]

(ABSTRACT) ITA

Il contributo analizza criticamente le proposte di legge regionali in tema di suicidio medicalmente assistito, dichiaratamente volte a dare seguito alla sentenza n. 242/2019 della Corte costituzionale, e in particolare intende contestare la competenza dei legislatori regionali in questa delicata materia.

(ABSTRACT) EN

The paper critically analyzes the regional law proposals on the subject of medically assisted suicide, openly aimed at following up on Judgment No. 242/2019 of the Constitutional Court, contesting the competence of regional legislators in this delicate area.

Sommario:

1. Premessa – 2. Profili comuni delle proposte di legge regionale in materia di suicidio assistito – 2.1 La ritenuta ‘doverosa’ attuazione della sentenza n. 242/2019 da parte dei legislatori regionali – 2.2. Il presupposto dell’avvenuto riconoscimento a mezzo della sentenza n. 242/2019 di un diritto al suicidio assistito e conseguente introduzione di un obbligo di prestazione dell’assistenza medicale al suicidio in capo alle strutture del SSN – 2.3 La presunta competenza legislativa regionale in materia – 3. Altri rilievi sui contenuti del modello standard di proposta di legge regionale elaborato dall’Associazione Coscioni – 4. Considerazioni conclusive

1. Premessa

Com’è noto, con la decisione in due tempi[2] (ordinanza n.207/2018[3] – sentenza n.242/2019[4]) sul caso Cappato/Antoniani, la Corte costituzionale ha individuato alcune aree di non punibilità delle condotte di aiuto al suicidio, dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’art. 580 del codice penale, “nella parte in cui non esclude la punibilità di chi con le modalità previste dagli artt. 1 e 2 della L. n. 219 del 2017 ‘Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento’ agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del Servizio Sanitario Nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente”.

Il giudice costituzionale ha, così, aperto – alle condizioni date – alla legalizzazione dell’aiuto al suicidio, esprimendo con vigore l’auspicio che la materia fosse oggetto di sollecita e compiuta disciplina da parte del legislatore statale, ma a più di quattro anni da quella pronuncia si assiste ad una perdurante inerzia del Parlamento[5].

Tale inerzia appare tanto più grave ove si consideri il quadro sempre più caotico e disomogeneo che sembra profilarsi a seguito della parziale apertura della Corte al suicidio assistito: basti pensare al fatto che, in presenza dei presupposti indicati dalla sent. n. 242/2019, alcuni giudici hanno senz’altro escluso[6], altri, invece, affermato[7] con altrettanta convinzione la sussistenza del dovere dell’azienda sanitaria di offrire la prestazione di aiuto al suicidio, con la somministrazione di farmaci utili allo scopo, con conseguente grave disparità di trattamento tra pazienti che versavano in condizioni simili. Si pensi, altresì, alle differenti interpretazioni registrate nelle varie regioni a proposito di una delle condizioni di non punibilità dell’aiuto al suicidio individuate dal giudice delle leggi, il requisito della dipendenza dai ‘trattamenti di sostegno vitale’: a tal riguardo, mentre il giudice delle leggi nel richiamare la “ventilazione, idratazione e alimentazione artificiale”, sembrava voler limitare tale requisito alla dipendenza dalle sole “macchine”, non si è registrata uniformità di vedute, né a livello di aziende sanitarie, né da parte dei giudici di merito chiamati – le une e gli altri – a pronunciarsi su richieste di accesso alla pratica suddetta.

Sotto il primo profilo, invero, tale requisito è stato ritenuto insussistente nel Lazio ed in Umbria, dove le aziende sanitarie hanno negato l’assistenza al suicidio a due pazienti che ne facevano richiesta, ed al contrario, sussistente in Friuli-Venezia Giulia, per la già richiamata signora “Anna”, affetta da sclerosi multipla: la Commissione medica multidisciplinare – istituita su indicazione del Tribunale di Trieste – ha ritenuto, infatti, che il requisito dei ‘trattamenti di sostegno vitali’ andasse interpretato in maniera estensiva, tanto da ricomprendere anche la “dipendenza da un’altra persona” e così, la signora ha potuto usufruire della prestazione del suicidio assistito da parte del Servizio Sanitario Nazionale, che ha messo a disposizione la strumentazione necessaria[8], sulla scorta della su richiamata ordinanza del giudice triestino[9], che aveva condannato l’azienda sanitaria al pagamento di 500 euro per ogni ulteriore giorno di ritardo nell’adempimento (adempimento consistente nell’accertare, entro 30 giorni, che sussistessero le condizioni richieste dalla Consulta per ottenere il suicidio).

La decisione del Tribunale triestino ci porta, così, sul fronte giurisprudenziale, dove pure si registrano sul punto posizioni estremamente divergenti: si pensi anche al caso di Davide Trentini, paziente affetto da sclerosi multipla, morto con il suicidio assistito in Svizzera nell’aprile 2017, in relazione al quale pure la Corte d’Appello di Massa[10] e la Corte d’Assise d’Appello di Genova[11], si sono espresse per una interpretazione lata della condizione del mantenimento in vita attraverso trattamento di sostegno vitale, estendendolo a qualsiasi trattamento e intervento, anche di assistenza, in ambito sanitario (terapia farmacologica, assistenza di personale sanitario o non sanitario, ausilio di qualsiasi macchinario medico); in Sicilia, invece, la Corte d’Assise d’Appello di Catania[12] ha condannato il presidente dell’associazione Exit-Italia, per istigazione al suicidio per il ricorso al suicidio assistito in Svizzera nel 2019 di una donna, capace di intendere e di volere, affetta da depressione e da sindrome di Eagle, non tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale.

È evidente che la situazione schiusa dalla sentenza Cappato/Antoniani sta divenendo insostenibile sotto il profilo della tenuta del principio di uguaglianza e, mentre si attendono ulteriori prossime statuizioni del giudice delle leggi sul punto[13], che potrebbero (?) anche portare ad una parziale riscrittura della disciplina ‘dettata’ dalla ‘sentenza-legge’[14] del 2019, il legislatore statale permane in un assordante silenzio, stigmatizzato, da ultimo, anche dal Presidente della Corte costituzionale Augusto Antonio Barbera, nella Relazione annuale 2023, anche perché, tra l’altro, sta portando “a numerose supplenze delle assemblee regionali”[15].

Ed invero, ormai da circa un paio d’anni, si assiste al proliferare di iniziative legislative regionali in questa direzione, sul presupposto del ‘doveroso’ esercizio della ‘certa’ competenza legislativa regionale in materia, al fine di ‘dare attuazione’ alla sentenza Cappato/Antoniani.

Tra le prime regioni a partire si segnala la Puglia, dove a luglio 2022 era stata approvata in Commissione consiliare una proposta di legge su “Assistenza sanitaria per la morte serena ed indolore di pazienti terminali”, poi bocciata nella seduta del Consiglio regionale del 3 ottobre 2022, all’esito della quale il medesimo progetto era stato subito ripresentato[16] portato all’ordine del giorno della riunione del 17 gennaio 2023, in cui è stata respinta la richiesta di anticipazione della discussione, essendo prevalsa l’opzione di adottare una misura di carattere amministrativo per dare seguito alla sentenza n.242/2019[17]. Nello stesso periodo, anche nelle Marche era stata presentata una proposta di legge su “Procedure e tempi per l’assistenza sanitaria regionale al suicidio medicalmente assistito ai sensi e per effetto della sentenza n. 242/2019 della Corte costituzionale”, che ricalca fedelmente la proposta di legge predisposta dall’Associazione Luca Coscioni[18], la quale, peraltro, a partire da gennaio 2023 ha avviato in tutte le regioni una raccolta di firme a sostegno della proposta di legge regionale ‘Liberi Subito’ dalla stessa predisposta[19], sollecitando con tale attivismo il moltiplicarsi delle iniziative legislative regionali in tale direzione[20].

Al momento in cui si scrive (maggio 2024), la proposta è stata bocciata oltre che in Puglia (ottobre 2022), anche in Veneto (gennaio 2024) ed in Friuli Venezia Giulia (aprile 2024); in Piemonte la proposta di legge, ritenuta ammissibile dalla Commissione di garanzia – con un parere adottato, per la prima volta dall’istituzione di tale organo, non all’unanimità[21] – non è poi stata discussa nel merito in Aula, perché il 22 marzo scorso il Consiglio Regionale ha votato favorevolmente la “questione pregiudiziale di costituzionalità” posta dalla maggioranza, sul presupposto della esclusiva competenza legislativa statale in materia[22]; in Emilia Romagna, lo scorso febbraio c’è stata una breve discussione in Aula prima di assegnare il progetto alla Commissione sanità, in attesa dei cui lavori sono comunque state adottate dalla Giunta delle linee di indirizzo per le ASL, che non soddisfano nè i favorevoli, né i contrari ad un intervento regionale in parte qua[23]. In molte altre regioni gli atti di iniziativa in discorso risultano solo depositati, senza nessuna data certa sull’inizio dei lavori.

Sebbene, dunque, allo stato attuale, nessuna di tali iniziative legislative abbia avuto seguito, la riflessione da esse sollecitata è divenuta sempre più attenta e verte, prima ancora che sul merito delle proposte, sull’esistenza stessa di spazi normativi utilmente colmabili dai legislatori regionali in tale ambito. Di seguito, si proverà a fornire un contributo in tale direzione.

2. Profili comuni delle proposte di legge regionale in materia di suicidio assistito

Da una analisi comparata delle diverse proposte di legge finora presentate, la maggior parte delle quali al momento convergono ormai sul modello standard predisposto dall’Associazione Coscioni, emergono almeno tre profili generali che meritano approfondimento: a) la affermata necessità di un intervento normativo regionale, volto a dettagliare i tempi e i modi del ‘procedimento’ aperto a seguito dell’intervento del giudice costituzionale sull’art. 580 c.p., in doverosa attuazione della sentenza della Corte Cost. n.242/2019; b) l’avvenuto riconoscimento a mezzo della sentenza Cappato/Antoniani di un ‘diritto al suicidio assistito’ e conseguente introduzione di una nuova prestazione, l’assistenza medicale al suicidio, a carico del SSN, da fornire gratuitamente a chi si trovi nelle condizioni previste dalla Corte; c) la ‘certa’ competenza legislativa regionale in virtù della materia concorrente ‘tutela della salute’, ex art.117, comma 3, Cost.).

Ebbene, a parere di chi scrive, nessuno dei predetti presunti presupposti legittimanti il legiferare regionale appare convincente.

2.1 La ritenuta ‘doverosa’ attuazione della sentenza n.242/2019 da parte dei legislatori regionali

Il primo profilo del necessario seguito legislativo regionale alla sentenza Cappato/Antoniani, si desume dal titolo stesso della proposta di legge ‘Liberi Subito’, che reca “Procedure e tempi per l’assistenza sanitaria regionale al suicidio medicalmente assistito ai sensi e per effetto della sentenza n. 242/19 della Corte costituzionale”.

L’attivismo di quanti si sono fatti promotori di iniziative legislative regionali in tale materia, prima fra tutti l’Associazione Coscioni, viene giustificato dalla necessità di porre rimedio alle difficoltà operative derivate dalla mancata ottemperanza da parte delle Camere al giudicato costituzionale con cui la Consulta ha aperto, a determinate condizioni, alla legalizzazione del suicidio assistito.

In tesi, nella perdurante assenza di quell’intervento del legislatore statale – la cui necessità è data per assodata dai proponenti stessi – accade che il Servizio Sanitario Nazionale non garantisca tempi certi ed adeguati per effettuare le verifiche previste dalla sentenza n. 242/2019 e rispondere in tempi rapidi alle persone malate che ne facciano richiesta, con la conseguenza che dal 2019 a oggi, più volte le richieste di attivazione di quel procedimento per accedere al suicidio medicalmente assistito siano passate dalle aule dei tribunali a causa di ritardi nelle risposte da parte delle autorità sanitarie, ovvero di dubbi in ordine alla ricorrenza delle condizioni poste dalla Consulta. “In questo contesto, il senso immediato della proposta appare dunque quello di evitare i costi di simili passaggi giurisdizionali per i malati, in termini di denaro, ma soprattutto di tempo e sofferenza, mediante la predefinizione legislativa di dettaglio del procedimento e dei termini che le amministrazioni sanitarie devono seguire nell’applicazione della sent. n. 242 del 2019”[24].

Mancando a tutt’oggi il necessario intervento legislativo statale, si imporrebbe, dunque, come doverosa la supplenza regionale[25] volta a dare attuazione alla sentenza della Corte costituzionale.

A tal riguardo, si ritiene necessario svolgere un triplice ordine di riflessioni.

In primo luogo, la mera rilettura delle statuizioni del giudice costituzionale porta ad escludere che le stesse fondino un potere/dovere dei legislatori regionali di intervenire (sia pure in supplenza) per darvi attuazione: tanto l’ordinanza del 2018, quanto la sentenza del 2019, sollecitano solo ed esclusivamente l’intervento delle Camere, è il legislatore nazionale l’interlocutore del giudice delle leggi (e non poteva essere altrimenti, in ragione delle materie e degli interessi coinvolti in una legislazione sul suicidio medicalmente assistito, come si dirà oltre).

In secondo luogo, l’affermata necessità di dettagliare con legge regionale i tempi e i modi del ‘procedimento’ che le amministrazioni sanitarie devono seguire, almeno per quanto riguarda i “modi” non sussiste se è vero che, come riconosciuto nella stessa relazione illustrativa della proposta di legge ‘Liberi Subito’ (p.1, ultimo capoverso), le modalità della prestazione richiesta alle autorità sanitarie in relazione alla fase di verifica medica della sussistenza dei presupposti in presenza dei quali una persona può chiedere aiuto al suicidio, sono già ricavabili dalla procedura medicalizzata di cui agli artt. 1 e 2 della legge n. 219/2017[26], punto di riferimento già presente nel sistema, cui la Corte ha espressamente fatto ricorso, in attesa dell’intervento del Parlamento, proprio in ragione del fatto che l’intervento del giudice delle leggi è circoscritto “in modo specifico ed esclusivo all’aiuto al suicidio prestato a favore di soggetti che già potrebbero alternativamente lasciarsi morire mediante la rinuncia a trattamenti sanitari necessari alla loro sopravvivenza, ai sensi dell’art. 1, comma 5, della legge stessa”.

Ad ogni modo, peraltro, le suddette proposte di legge non si limitano affatto solo a dettagliare “tempi e modi” di quel procedimento, come si dirà anche oltre, ed ammettere una simile predefinizione legislativa a livello di singole regioni certo non consente di eliminare le “discriminazioni tra malati oggi in atto”, cui fanno riferimento i redattori della proposta ‘Liberi Subito’, al qual fine, come da essi stessi ammesso, solo una legge nazionale può validamente operare.

Né tale obiezione potrebbe essere superata in ragione della circostanza che la maggior parte delle regioni stia discutendo o si prepari a discutere il medesimo testo di proposta legislativa predisposto dall’Associazione Coscioni: nessuna garanzia è data che all’esito dell’eventuale approvazione, le diverse leggi regionali avranno il medesimo contenuto, se è vero che ciascuna assemblea legislativa ha il potere di modificare quelle iniziali previsioni, quindi nessuna uniformità di disciplina nei vari territori regionali può essere garantita dal pur ammirevole attivismo dell’Associazione medesima – al netto, peraltro, del fatto che attualmente ci sono regioni ancora ferme su tale fronte (Sicilia, Molise, Trentino Alto Adige), altre in cui è stata presentata una proposta in parte diversa da quella ‘Liberi Subito’ (Calabria, Umbria), altre che l’hanno già bocciata (Puglia, Veneto, Friuli Venezia Giulia).

2.2. Il presupposto dell’avvenuto riconoscimento a mezzo della sentenza n. 242/2019 di un diritto al suicidio assistito e conseguente introduzione di un obbligo di prestazione dell’assistenza medicale al suicidio in capo alle strutture del SSN

L’art.1 della proposta di legge ‘Liberi Subito’ chiarisce subito che obiettivo dell’intervento normativo è assicurare alle persone malate che intendono accedere al suicidio assistito la necessaria assistenza sanitaria, nel rispetto dei principi stabiliti dalla sentenza della Corte costituzionale n. 242 del 2019, specificando che il diritto all’erogazione del trattamento è individuale e inviolabile, e che non può essere limitato, assoggettato a condizioni o altre forme di controllo ulteriori e diverse da quelle previste dalla medesima proposta di legge.

L’art. 3, co. 5, dispone, poi, che “le aziende sanitarie regionali, con le modalità previste dagli artt. 1 e 2 della legge 22 dicembre 2017 n. 219 (Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento), forniscono il supporto tecnico e farmacologico nonché l’assistenza medica per la preparazione all’autosomministrazione del farmaco autorizzato presso una struttura ospedaliera, l’hospice o, se richiesto, il proprio domicilio”.

Infine, si garantisce la gratuità delle prestazioni e dei trattamenti previsti dalla stessa proposta di legge nell’ambito del percorso terapeutico-assistenziale del suicidio medicalmente assistito (art. 5), precisando, altresì, all’art. 6 (“Clausola di invarianza”), la non necessità di una speciale copertura per la legge proposta, dal momento che essa riguarda prestazioni sanitarie che la Regione sarebbe già tenuta a garantire e per i cui costi si deve, pertanto, provvedere secondo le ordinarie modalità di finanziamento dei servizi.

Ebbene, l’intero impianto normativo poggia sul presupposto che la sentenza Cappato/Antoniani abbia riconosciuto un vero e proprio diritto a ricevere assistenza al suicidio[27] ed introdotto una nuova prestazione, l’assistenza medicale al suicidio, a carico del SSN da fornire gratuitamente a chi si trovi nelle condizioni previste dalla Corte stessa[28].

In realtà, chi scrive – pur consapevole dell’esistenza di opinioni divergenti in dottrina[29] – resta persuasa dell’impossibilità di desumere dal complesso iter argomentativo della sentenza n. 242/2019 né l’esistenza di un diritto ‘a darsi la morte’ o di ricevere assistenza nel darsi la morte[30], né tantomeno l’introduzione di un obbligo di prestazione in capo al Sistema Sanitario Nazionale volto ad “organizzare procedure sistematiche finalizzate a procurare la morte con farmaci letali”[31].

È noto che il codice penale del 1930 non prevede una incriminazione per il suicidio o il tentato suicidio, e questo consente di configurare l’esistenza di una libertà – non certo un diritto – di suicidarsi[32]. La libertà è “una posizione di liceità giuridica non sorretta da corrispondenti pretese di non impedimento, né accompagnata da pretese di realizzazione[33]; diversamente, l’esistenza di un diritto implica anche l’esistenza di un dovere. Perché possa parlarsi di diritto al suicidio, dunque, dovrebbe sussistere un obbligo, gravante su altri, di agevolare il proposito suicida o quantomeno di non ostacolarlo. Nulla di tutto ciò è desumibile dall’ordinamento giuridico italiano, in cui, invece, vige il divieto di aiuto al suicidio (art. 580), nonché il dovere di impedire l’altrui suicidio ove ricorrano i presupposti dell’omissione di soccorso (art. 593 c.p.)[34], secondo una impostazione che non viene messa in discussione dagli interventi del giudice costituzionale sul tema del ‘fine vita’: questi ha ribadito, infatti, che “dall’art. 2 Cost. – non diversamente che dall’art. 2 CEDU – discende il dovere dello Stato di tutelare la vita di ogni individuo, non quello – diametralmente opposto – di riconoscere all’individuo la possibilità di ottenere dallo Stato o da terzi un aiuto a morire” ed ha riaffermato la perdurante compatibilità costituzionale dell’incriminazione dell’aiuto al suicidio, salvo che nella peculiare ipotesi in cui a chiedere aiuto a morire sia “una persona a) affetta da una patologia irreversibile e b) fonte di sofferenze fisiche e psicologiche, che trovi assolutamente intollerabili, la quale sia c) tenuta in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale, ma resti d) capace di prendere decisioni libere e consapevoli”.

A quanti versino in tali circoscritte situazioni, la sentenza n. 242/2019 riconosce non già un ‘diritto al suicidio’, bensì la mera facoltà di ‘richiedere’ aiuto per compierlo, senza che l’agevolatore possa essere incriminato. Che si tratti di una mera ‘facoltà’ e non già di un ‘diritto’ emerge dalla circostanza che dall’argomentare della Corte non risulta mai configurabile, in alcun modo ed in nessun caso, a carico di alcuno, il dovere di rispondere positivamente a quelle ‘richieste’ di anticipazione innaturale della morte, un’obbligazione di prestare assistenza al suicidio di un’altra persona.

Cruciale in tal senso appare il passaggio della sentenza in cui il giudice costituzionale statuisce che “resta affidato […] alla coscienza del singolo medico scegliere se prestarsi, o no, ad esaudire la richiesta del malato”, dal momento che “la presente declaratoria di illegittimità costituzionale si limita a escludere la punibilità dell’aiuto al suicidio nei casi considerati, senza creare alcun obbligo di procedere a tale aiuto in capo ai medici[35].

Il giudice delle leggi chiarisce qui in maniera inequivocabile la portata della sua decisione: si depenalizza l’aiuto al suicidio in quei soli casi, senza fondare alcun obbligo, dovere o esigibilità dell’aiuto al darsi la morte[36]. Si tratta di una previsione che, evidentemente, incide profondamente sulla qualificazione giuridica della posizione soggettiva della persona intenzionata a porre fine alla propria vita, inevitabilmente declassata, in questa sentenza, da diritto a mero desiderio[37].

Né il riferimento che il giudice delle leggi fa alla “libertà di autodeterminazione del malato nelle scelte delle terapie” ex artt. 2, 13, 32 Cost., può fondare di per sé doveri di presa in carico della salute e dell’autodeterminazione terapeutica degli assistiti del SSN, in assenza in tutto l’argomentare della Corte ed anche nel dispositivo della sentenza di un riconoscimento espresso di una pretesa soggettiva qualificabile in termini di “diritto” a ricevere aiuto nel suicidarsi.

Nello sviluppo del ragionamento del giudice costituzionale c’è una evidente consequenzialità logica tra l’affermata inesistenza di un diritto costituzionale a suicidarsi e – a maggior ragione – di essere aiutati a farlo, e l’esclusione di un obbligo in capo al personale sanitario di agevolare i propositi di suicidio altrui, la cui realizzabilità resta affidata alla coscienza del singolo medico, libero di scegliere anche di non prestarsi ad esaudire la richiesta del malato.

Allora appare davvero singolare che il singolo medico sia espressamente riconosciuto libero di non prestare aiuto al suicidio, mentre le strutture pubbliche del servizio sanitario sarebbero, invece, tenute comunque a garantire il suicidio medicalmente assistito. Difficile non riscontrare un salto logico nelle argomentazioni di quanti sostengono questa tesi[38].

A ben leggere, invece, le statuizioni del giudice costituzionale, in capo alle strutture del SSN la Corte lungi dal porre obblighi di esecuzione, di fornitura di mezzi materiali per realizzare l’assistenza al suicidio[39], si limita a prevedere solo oneri di verifica delle condizioni del paziente e delle modalità di esecuzione dell’aiuto al suicidio[40], modalità di esecuzione che non sono, invece, messe a carico del SSN[41]. La Consulta ha disegnato una procedura, una sequenza di operazioni destinate allo scopo di legalizzare l’aiuto al suicidio in casi determinati, ed ha attribuito all’Amministrazione sanitaria il compito di accertare la sussistenza delle condizioni che consentono la non punibilità dell’agevolatore, senza fare mai alcun riferimento ad obblighi dell’amministrazione stessa in relazione all’atto autonomo terminale[42].

In quest’ultima direzione converge anche chi[43], pur ricavando dalla predetta decisione costituzionale il riconoscimento di un “diritto di libertà a autodeterminare la propria morte” esclude che esso possa atteggiarsi “a diritto a prestazioni sociali”, non imponendo “alcuna prestazione positiva da parte dell’amministrazione sanitaria, né in capo a terzi privati né a soggetti pubblici. Al diritto ad autodeterminare la propria morte non corrisponde alcun dovere a supportare materialmente e solidaristicamente tale decisione, che perciò rimane affidata alla cooperazione spontanea”.

Se si conviene su tale tesi, cadrebbe anche tale presupposto dei tentativi regionali di disciplinare la presunta nuova prestazione di assistenza medicale al suicidio a carico del SSN.

Sono, invece, proprio le proposte di legge regionale in tema di suicidio assistito a modificare la portata applicativa della sentenza Cappato/Antoniani, trasformando la mera non punibilità di chi realizzi un proposito suicidario altrui, in presenza delle condizioni analiticamente indicate[44], in un diritto di carattere pretensivo, il diritto dell’aspirante suicida ad ottenere assistenza all’interruzione medicale della propria vita da parte delle strutture pubbliche del sistema sanitario, con il corrispondente dovere dello Stato di garantirlo[45]. Ma i legislatori regionali non hanno titolo a fare tutto ciò, come si dirà qui di seguito.

2.3 La presunta competenza legislativa regionale in materia

Nella relazione illustrativa della proposta di legge elaborata dall’Associazione Coscioni (pp. 2-3) si dà per assodata la competenza legislativa regionale in tema di suicidio assistito. A tal fine, si richiamano le disposizioni costituzionali concernenti la sanità pubblica, in particolare l’art. 117, co. 2, lett. m), che riserva allo Stato la competenza legislativa in materia di “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” e l’art. 117, co. 3, che, invece, attribuisce alla competenza concorrente la materia “tutela della salute”. “Se dunque è di competenza statale la determinazione delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, e dunque l’individuazione dei diritti come quello ad accedere alla verifica delle condizioni per il suicidio assistito sancito dalla Corte costituzionale a livello nazionale, le regioni hanno la competenza concorrente a tutelare la salute dei cittadini e dunque, sulla base dei livelli minimi individuati sul piano nazionale, possono intervenire, anche in una logica di “cedevolezza invertita”, (principio in base al quale sarebbe possibile per le regioni intervenire a colmare una lacuna legislativa statale) a disciplinare procedure e tempi di applicazione dei diritti già individuati” (p. 3).

Si noti, innanzitutto, che in questo passaggio della relazione illustrativa il diritto cui si fa riferimento è quello alla ‘verifica delle condizioni per il suicidio assistito’, non già il diritto ad ottenere direttamente dalle strutture sanitarie i mezzi per darsi la morte, per cui l’eventuale competenza legislativa regionale a “disciplinare procedure e tempi di applicazione” di tale diritto già individuato, dovrebbe essere limitata solo alla fase delle verifiche previste dalla Consulta, mentre la pdl si propone di normare ben altro, come già evidenziato, fuoriuscendo ampiamente dal perimetro dell’organizzazione sanitaria di competenza concorrente regionale, andando ad incidere, altresì, in materie di competenza legislativa esclusiva dello Stato, come si dirà a breve.

Ad ogni modo, per legittimare l’intervento dei legislatori regionali in tema di suicidio medicalmente assistito i proponenti invocano il titolo ‘tutela della salute’, ex art.117, co. 3, che, in effetti consente alle regioni, nell’esercizio della potestà legislativa ripartita o concorrente, di introdurre norme organizzative e procedurali per l’erogazione di prestazioni sanitarie» (cfr. Corte Cost. sent. n. 338 del 2003).

Sul punto, pur consapevole del fatto che è la stessa Consulta ad evocare la ‘salute’, la ‘relazione medico-paziente’, le ‘terapie’ in relazione all’aiuto al suicidio quando, già nell’ordinanza del 2018 e poi nella sentenza del 2019 richiama il parametro dell’art. 32 Cost.[46], la prima perplessità riguarda la possibilità stessa di invocare tale competenza concorrente, potendosi dubitare che l’assistenza al suicidio si configuri come ‘terapia’[47], come atto/attività medica di tutela della salute[48].

In disparte tali dubbi, ed ammettendo che le suddette proposte legislative intervengano effettivamente nella materia concorrente ‘tutela della salute’, occorre comunque sottolineare l’inconferenza del richiamo al principio della c.d. “cedevolezza invertita”: in effetti, la Corte ha affermato[49] che nelle materie di potestà concorrente il legislatore regionale può anticipare il suo intervento nell’inerzia del legislatore statale, ma non si può dimenticare che nel particolare ambito della materia concorrente della ‘tutela della salute’, a partire dalla sentenza n. 438/2008[50] in poi, il giudice delle leggi ha escluso – in difetto di principi fondamentali posti a livello statale – la legittimità di attività legislative regionali ‘suppletive’ o ‘sostitutive’, sicché la legge regionale che intervenga in tale situazione presenta un vizio di competenza in senso stretto ed è dichiarata illegittima perché invasiva di una riserva, per lo sconfinamento nell’area dei principi fondamentali, e dunque “per ciò che essa disciplina e non già per come disciplina il suo oggetto”.

Come efficacemente rilevato, appare difficilmente revocabile in dubbio, non solo l’assenza di principi fondamentali della materia ‘suicidio medicalmente assistito’ posti ovvero desumibili dalle leggi statali – né si può pensare che “gli stessi siano desunti dalla pronunzia della Corte sopra richiamata: quasi che essa possa appunto fare le veci di una legge-quadro statale”[51] – ma anche l’attinenza ai principi fondamentali della materia di una normativa regionale come quella in esame, tesa ad incidere sul “delicatissimo aspetto delle garanzie costituzionali relative al diritto alla salute alla fine della vita”[52].

Di qui la dubbia legittimità costituzionale di proposte di legge come quelle di cui qui ci si occupa, poiché esse finiscono per disporre dei principi fondamentali della materia riservati, ai sensi dell’art.117, co. 3, Cost. alla legislazione statale, possibilità esclusa dalla consolidata giurisprudenza costituzionale su richiamata.

Peraltro, la necessità del previo intervento del legislatore statale in tale delicato campo si desume anche dagli altri titoli competenziali chiamati in causa da una legislazione in tema di suicidio medicalmente assistito: rileva non solo la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni ex art. 117, co. 2, lett. m) (richiamata anche dai redattori della proposta di legge in esame), ma anche l’ordinamento civile e penale ex art.117, co. 2, lett. l), titoli inevitabilmente implicati da una normativa che, intervenendo sulle condizioni di accesso in via anticipata alla morte, incide su diritti “personalissimi”, come il diritto alla vita e all’integrità, appunto tutelati in sede civile e penale. Ed è appena il caso di sottolineare che rispetto a tali materie di competenza esclusiva dello Stato in nessun modo è invocabile il principio della ‘cedevolezza invertita’, come chiaramente statuito dal giudice costituzionale (sent. n. 1/2019).

Chi scrive ritiene, così, che, quando la Corte ha auspicato con vigore che la materia formasse oggetto di sollecita e compiuta disciplina da parte del legislatore non potesse che riferirsi a quello statale, perché l’incidenza della normativa sollecitata “su aspetti essenziali della identità e della integrità della persona, (…) necessita di uniformità di trattamento sul territorio nazionale, per ragioni imperative di eguaglianza”[53].

Converge in tale direzione anche il parere dell’Avvocatura Generale dello Stato del 15 novembre 2023[54], che dopo aver riconosciuto che “in via generale, la disciplina relativa alla titolarità e all’esercizio dei diritti fondamentali rientra nella competenza esclusiva del legislatore statale ai sensi dell’art. 117, 2° co., lett. l), Cost. (…), così come le scelte in tema di creazione o estensione della punibilità penale”, ha, altresì, osservato che i criteri dettati dalla Corte nella sentenza n. 242/2019 scontano un inevitabile tecnicismo ed, inevitabilmente, si prestano ad interpretazioni non omogenee: si pensi alla nozione di “trattamenti di sostegno vitale” – di cui si è detto già all’inizio della presente riflessione – ma anche all’obiezione di coscienza degli operatori sanitari, alla composizione dei comitati etici locali, circostanza che porta ad escludere che la relativa disciplina possa essere dettata da una legislazione concorrente statale e regionale.

Ecco, quindi, che, “la prospettiva, per ora soltanto alla fase progettuale, di regolamentare il comparto del fine vita, in presenza del silenzio del legislatore statale, attraverso l’esercizio della iniziativa legislativa regionale in materia di «tutela della salute» e di «ricerca scientifica e tecnologica», (art. 117, 3° co. Cost.) sarebbe, per le ragioni che precedono, certamente inopportuna”, in quanto, anche ammettendo che la legislazione regionale possa intervenire a dettare una normativa di dettaglio per disciplinare, limitatamente alla parte organizzativa del servizio, la procedura di assistenza al suicidio, non può non convenirsi sul fatto che “l’assenza di una legge statale finirebbe inevitabilmente per provocare una asimmetria regolatoria distante dalla necessaria uniformità e causa di possibili discriminazioni”, sicché l’intervento dei legislatori regionali, limitatamente agli spazi di competenza ad essi riservato, “sarebbe consentito soltanto a seguito dell’azione unificante svolta dall’organo legislativo statale nelle materie allo stesso riservate in via esclusiva (come l’‘ordinamento civile e penale’, in grado di interferire con i diritti personalissimi, e la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni) o anche in via ripartita/concorrente, attraverso l’elaborazione dei principi fondamentali in materia di ‘tutela della salute’”[55].

La disciplina uniforme nazionale, nel caso in cui dovesse introdurre un vero e proprio diritto al suicidio assistito ed imporre una nuova prestazione a carico del SSN, dovrà farsi carico, altresì, di esercitare la competenza esclusiva in tema di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, per assicurare a tutti, sull’intero territorio nazionale, il godimento delle prestazioni garantite, come contenuto essenziale del nuovo diritto.

Ecco quindi, che in violazione di tale quadro delle competenze costituzionali, si assiste al tentativo ad opera dei predetti atti di iniziativa regionale di introdurre un diritto di carattere pretensivo, il diritto all’assistenza all’interruzione medicale della propria vita da parte delle strutture pubbliche del sistema sanitario, una nuova prestazione attualmente non prevista nei Lea (individuati dal DPCM 12 gennaio 2017).

A tale ultimo riguardo, si potrebbe obiettare che le prestazioni di aiuto al suicidio medicalmente assistito potrebbero eventualmente farsi rientrare tra le prestazioni ulteriori rispetto a quelle incluse nei LEA, che le regioni in condizioni di equilibrio economico-finanziario sono abilitate a garantire utilizzando risorse proprie, quale livello di tutela ulteriore rispetto ai livelli essenziali delle prestazioni fissati a livello statale. In disparte il rilievo secondo cui “tale decisione, assunta singolarmente dalle regioni, senza coinvolgere la Conferenza per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, rischierebbe di provocare inevitabili asimmetrie che finirebbero per accentuare le anomalie del federalismo sanitario, causa di inaccettabili discriminazioni derivanti dal luogo di residenza dell’interessato”[56], è stato, peraltro, opportunamente notato[57] non solo che perché ciò possa avvenire deve trattarsi di prestazioni lecite e nel caso di specie la liceità della prestazione è strettamente contenuta nei limiti di cui al giudicato costituzionale, sicché facilmente “rischia di configurarsi come reato”, ma anche che “è altrettanto evidente che i fondi eventualmente dirottati per realizzare assistenza al suicidio verrebbero sottratti ad altre voci di spesa sanitaria”, con fondato sospetto che si intenda attingere proprio ai fondi stanziati per le cure palliative e la terapia del dolore che ai sensi della legge n.38/2010 sono un diritto vero e proprio, le cui prestazioni sono regolarmente inserite nei LEA dal 2017[58].

In relazione a tale ultimo aspetto, deve innanzitutto evidenziarsi che la proposta di legge regionale dell’Associazione Coscioni non menziona mai il necessario coinvolgimento del malato in un percorso di cure palliative, che pure è un elemento fondamentale nella sentenza n. 242/2019, in quanto “pre-requisito della scelta, in seguito, di qualsiasi percorso alternativo da parte del paziente”.

La Consulta, invero, ha particolarmente enfatizzato la necessità di adottare opportune cautele affinché “l’opzione della somministrazione di farmaci in grado di provocare entro un breve lasso di tempo la morte del paziente non comporti il rischio di alcuna prematura rinuncia, da parte delle strutture sanitarie, a offrire sempre al paziente medesimo concrete possibilità di accedere a cure palliative diverse dalla sedazione profonda continua, ove idonee a eliminare la sua sofferenza […] in accordo con l’impegno assunto dallo Stato con la citata legge n. 38 del 2010”, perché sarebbe addirittura un paradosso “non punire l’aiuto al suicidio senza avere prima assicurato l’effettività del diritto alle cure palliative” (§ 2.4 Considerando in diritto).

È proprio la garanzia delle cure palliative – che deve rappresentare “una priorità assoluta per le politiche della sanità”, mentre, invece, ancora sconta molti ostacoli e difficoltà, specie nella disomogeneità territoriale dell’offerta del SSN e nella mancanza di una formazione specifica nell’ambito delle professioni sanitarie[59] – un dovere su cui il giudice costituzionale certamente insiste ed in relazione al quale è auspicabile un sollecito ed efficace intervento degli enti substatali nell’esercizio delle loro competenze ordinamentali, piuttosto che un malcelato tentativo di distrarre ulteriormente attenzione e soprattutto risorse alla soddisfazione del relativo diritto.

3. Altri rilievi sui contenuti del modello standard di proposta di legge regionale elaborato dall’Associazione Coscioni

Scendendo ad analizzare il merito delle disposizioni dell’articolato normativo in esame appare evidente, da un lato, che, si fuoriesce ampiamente dal perimetro dell’organizzazione sanitaria di competenza concorrente regionale, andando ad impingere materie di competenza legislativa esclusiva dello Stato, dall’altro, che – al di là dei proclami in ordine alla finalità di dare attuazione alla sentenza n. 242/2019 – in realtà non se ne rispettano in maniera pedissequa i dettami.

Ed infatti, dopo l’autonoma introduzione (art.1) del diritto all’erogazione del trattamento di suicidio medicalmente assistito, definito ‘individuale’ e ‘inviolabile’, e che non può essere limitato, assoggettato a condizioni o altre forme di controllo ulteriori e diverse da quelle previste dalla medesima proposta di legge – su cui si è già riferito sopra – il successivo art. 2 prevede che “Fino all’entrata in vigore della disciplina statale, possono accedere alle prestazioni e ai trattamenti relativi al suicidio medicalmente assistito di cui alla presente legge le persone: a) affette da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che le stesse reputano intollerabili; b) tenute in vita da trattamenti di sostegno vitale; c) pienamente capaci di prendere decisioni libere e consapevoli; d) che esprimono un proposito di suicidio formatosi in modo libero e autonomo, chiaro e univoco”. In effetti, si tratta dei malati che versano nelle condizioni indicate nella sentenza n. 242/2019, ma mentre per il giudice costituzionale costoro possono chiedere che vengano poste in essere le verifiche propedeutiche al riconoscimento della scriminante sporadica ivi prevista, nella proposta di legge in esame diventano coloro i quali ‘possono accedere alle prestazioni e ai trattamenti relativi al suicidio medicalmente assistito”, la cui erogazione diviene un obbligo a carico del SSN solo perché disposto dalla legge regionale stessa, in assenza di competenza in tale direzione, come già argomentato sopra.

Peraltro, la proposta di legge prevede che la verifica dei predetti requisiti venga svolta da una ‘Commissione medica multidisciplinare permanente’[60] (art. 3), di cui si prevede l’istituzione presso le aziende sanitarie regionali quale organo deputato ad “effettuare le verifiche mediche relative alla sussistenza delle condizioni di accesso e alle migliori modalità di esecuzione dell’aiuto alla morte volontaria indicate dalla Corte costituzionale”.

A tal riguardo, occorre preliminarmente ribadire anche in questa sede che non sembra imporsi un onere di disciplina a livello regionale della prestazione relativa alla fase di verifica medica della sussistenza dei presupposti in presenza dei quali una persona possa chiedere aiuto al suicidio, essendo tali modalità già ricavabili dalla procedura medicalizzata di cui agli artt. 1 e 2 della legge n. 219/2017 e la circostanza che pur in assenza di discipline ad hoc sul punto, quelle verifiche siano già state poste in essere ed i pareri resi in diversi casi di richiesta di aiuto al suicidio[61], conferma la non necessarietà allo stato di un intervento normativo in tale direzione per dare seguito alla pronuncia del giudice costituzionale.

La disciplina qui proposta, peraltro, oltre che ultronea per le ragioni suddette, si discosta dalle statuizioni della Consulta, introducendo un organo niente affatto previsto nella sentenza n. 242/2019. Qui, giova ricordalo di nuovo, la Corte ha riservato alle strutture pubbliche del Servizio Sanitario Nazionale “la verifica delle condizioni che rendono legittimo l’aiuto al suicidio”, e la verifica delle “relative modalità di esecuzione”, che dovranno essere “tali da evitare abusi in danno di persone vulnerabili, da garantire la dignità del paziente e da evitare al medesimo sofferenze”[62] ed a tal fine ha richiesto l’intervento di un organo collegiale terzo, che “possa garantire la tutela delle situazioni di particolare vulnerabilità”, individuato, nelle more dell’intervento del legislatore statale, nei Comitati Etici Territorialmente competenti[63].

La scelta di istituire un nuovo organo di derivazione regionale (sia pure prevedendo il successivo parere del CET), appare stigmatizzabile perché potrebbe portare ad una divaricazione territoriale nella valutazione dei requisiti fissati dalla Consulta.

All’art. 3, co. 5, si legge, poi, che “le aziende sanitarie regionali, con le modalità previste dagli artt. 1 e 2 della legge 22 dicembre 2017 n. 219 (Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento), forniscono il supporto tecnico e farmacologico nonché l’assistenza medica per la preparazione all’autosomministrazione del farmaco autorizzato presso una struttura ospedaliera, l’hospice o, se richiesto, il proprio domicilio”: si esprime, dunque, l’opzione per non riservare la somministrazione di tali trattamenti in via esclusiva in seno alle strutture ospedaliere, ed è utile sottolineare che tale scelta rientra tra quelle espressamente riservate dal giudice costituzionale all’intervento del legislatore nazionale[64].

Infine, il testo della proposta di legge regionale nell’omettere qualunque riferimento non solo alle cure palliative – come già rilevato – ma anche all’obiezione di coscienza[65], due profili oggetto di particolare attenzione da parte del giudice costituzionale, marca un ulteriore distacco da quelle statuizioni, che sembra funzionale a ridimensionare la portata sia delle une che dell’altra.

4. Considerazioni conclusive

Non è certo la prima volta che si assiste a tentativi di normazione in via “sussidiaria” da parte delle regioni, che di fronte a lacune della disciplina statale, tentano di dare risposta alle esigenze delle comunità di riferimento, provando, anche meritoriamente, ad esercitare un ruolo a salvaguardia dei diritti[66].

Ma nell’inerzia del legislatore statale in un ambito particolarmente sensibile che involge la sfera della salute e dei diritti personalissimi, il giudice delle leggi è intervenuto già più volte per escludere margini di autonomia legislativa regionale e di questo deve tenersi debitamente conto se si vuol responsabilmente evitare di andare a complicare il quadro normativo su questioni già sufficientemente complesse, magari ponendo le basi per un nuovo ‘turismo della morte assistita’ a livello interregionale.

Una linea di intervento più efficace e soprattutto costituzionalmente compatibile potrebbe essere quella della presentazione da parte delle assemblee regionali di una proposta di legge statale volta a dare seguito alla sentenza Cappato/Antoniani, ma anche e comunque la definizione a livello regionale di “indirizzi operativi”, strettamente legati alla definizione delle modalità di presentazione della domanda da parte dell’interessato e della successiva trasmissione, in tempi prefissati, alle autorità sanitarie competenti ad esprimere i pareri richiesti, sull’esempio di quanto fatto dall’Azienda USL Toscana Nord Ovest (ATNO), una soluzione quest’ultima che appare ragionevole e potenzialmente efficace per chiarire, semplificare ed accelerare le procedure ed evitare agli interessati il ricorso alla via giudiziaria[67].

In definitiva, se è vero che si è assistito ad un autentico ribaltamento dei ruoli, passando da “un parlamento che agisce e la Corte che reagisce ad una Corte che agisce ed un parlamento che reagisce”[68], non può che concludersi con il sentito auspicio che il Parlamento ‘reagisca’ finalmente e faccia sintesi per risolvere le innumerevoli questioni lasciate aperte dall’intervento del giudice costituzionale sul tema del suicidio medicalmente assistito e che non possono trovare composizione attraverso l’intervento dei legislatori regionali – per tutte le ragioni sopra rassegnate – né tantomeno attraverso quello delle istanze giurisdizionali, pena il totale sacrificio del principio della separazione dei poteri e, con esso, della Costituzione stessa.

“Non rimane allora, a conti fatti, che affidarsi al senso dello Stato, all’idem sentire de re pubblica, nei cui riguardi tutti, istituzioni e componenti la comunità organizzata, sono chiamati – nella peculiare connotazione dei ruoli e delle responsabilità – a mostrarsi fedeli: interpreti, esecutori e garanti a un tempo”[69].

  1. Professoressa associata di Istituzioni di diritto pubblico presso l’Università degli Studi di Bari Aldo Moro.
  2. Così Romboli R. (2020), Il nuovo tipo di decisione in due tempi ed il superamento delle «rime obbligate»: la Corte costituzionale non terza, ma unica camera dei diritti fondamentali? In Foro it., n. 9/2020, p. 2565 ss.; sulla inusuale tecnica decisoria inaugurata dalla ord. del 2018, ex plurimis, anche Grosso E. (2019), Il rinvio a data fissa nell’ordinanza n. 207/2018. Originale condotta processuale, nuova regola processuale o innovativa tecnica di giudizio? in Quad. cost., 3/2019, p.531 ss.; Ruotolo M. (2019), L’evoluzione delle tecniche decisorie della Corte Costituzionale nel giudizio in via incidentale. Per un inquadramento dell’ord. n. 207 del 2018 in un nuovo contesto giurisprudenziale, in Rivista AIC, n. 2/2019.
  3. Corte cost., ord.23 ottobre 2018, n.207.
  4. Corte cost., sent. 25 settembre 2019, n.242.
  5. Il 26 marzo 2024 le commissioni Giustizia e Affari sociali del Senato hanno iniziato l’esame della legge recante “Disposizioni in materia di morte volontaria medicalmente assistita” , che si propone, a seguito della sentenza n. 242/2019, di andare a specificare i requisiti di accesso al suicidio medicalmente assistito, le modalità di verifica delle condizioni del richiedente e le modalità di attuazione del trattamento sanitario. Il testo proviene dalla precedente legislatura (Cam. dep. XVIII legislatura, proposte n. 2-1418-1586-1655-1875-1888-2982-3101-A – testo unificato d.d.l. n. 2553, approvato dalla Camera il 10.3.2022). Com’è stato osservato esso segna il passaggio “dall’aiuto al suicidio come reato non punibile in certi casi all’aiuto al suicidio come diritto”: così Razzano G. (2022), La proposta di legge sulle «Disposizioni in materia di morte volontaria medicalmente assistita»: una valutazione nella prospettiva costituzionale anche alla luce della sent. n. 50/2022, in https://www.federalismi.it/, 66; in termini analoghi, Ruggeri A. (2022), Oscurità e carenze della progettazione legislativa in tema di morte medicalmente assistita (prime notazioni), in Consulta OnLine, n. 1, 303. La necessità dell’intervento del Legislatore in tema di eutanasia è stata affermata dalla Corte costituzionale anche in occasione della decisione di inammissibilità del referendum abrogativo promosso dalla medesima Associazione Luca Coscioni per l’abrogazione parziale dell’art. 579 c.p., sull’omicidio del consenziente, nella parte in cui si statuisce che «discipline come quella dell’art. 579 c.p., poste a tutela della vita, non possono essere puramente e semplicemente abrogate, facendo così venir meno le istanze di protezione di quest’ultima a tutto vantaggio della libertà di autodeterminazione individuale»; sulla sent. n. 50/2022 cfr. ex plurimis, Ruggeri A. (2022), Autodeterminazione versus vita, a proposito della disciplina penale dell’omicidio del consenziente e della sua giusta sottrazione ad abrogazione popolare parziale (traendo spunto da Corte cost. n. 50 del 2022), in Dirittifondamentali.it, n. 1; Caramaschi O. (2022), Diritto alla vita e diritto all’autodeterminazione: un diverso bilanciamento è possibile? (a margine di Corte cost., sent. n. 50/2022, in Consulta OnLine, Studi II/2022; Pugiotto A. (2022), Eutanasia referendaria. Dall’ammissibilità del quesito all’incostituzionalità dei suoi effetti: metodo e merito nella sent. n. 50/2022, in RivistaAic n. 2.
  6. Si vedano le ordinanze del Tribunale di Ancona sul caso di “Mario” (nome di fantasia), che si era rivolto al Tribunale di Ancona affinché venisse ordinato all’azienda sanitaria di prescrivergli, all’esito degli accertamenti previsti, il farmaco idoneo a indurre la morte. Il Tribunale, in prima istanza, ha affermato che non sussistono “motivi per ritenere che, individuando le ipotesi in cui l’aiuto al suicidio può oggi ritenersi penalmente lecito, la Corte [costituzionale] abbia fondato anche il diritto del paziente, ove ricorrano tali ipotesi, ad ottenere la collaborazione dei sanitari nell’attuare la sua decisione di porre fine alla propria esistenza” (Trib. di Ancona, ord. n. 26 marzo 2021); in sede di reclamo – avendo il reclamante circoscritto l’oggetto del giudizio, non invocando più un generico diritto al suicidio, ma uno specifico diritto all’accertamento dei presupposti individuati dalla Corte – il Tribunale ha, quindi, riconosciuto “il diritto di pretendere” dall’azienda sanitaria l’accertamento delle condizioni indicate dalla Consulta, previa acquisizione del parere del Comitato etico, ordinando di conseguenza di provvedere in tal senso (Trib. di Ancona, ord. n. 9 giugno 2021). Sul tema, Rossi N., I giudici di Ancona sul fine vita nel caso “Mario”. Solo una postilla, in Questione Giustizia, 24 novembre 2021.
  7. Si veda l’ordinanza del 4 luglio 2023 del Tribunale di Trieste sul caso della signora “Anna” (nome di fantasia), di cui oltre.
  8. Cfr. Piergentili F. (2024), Costituzione e suicidio assistito. A proposito della verifica del rispetto del presupposto del “trattamento di sostegno vitale” indicato nella sent. n. 242 del 2019 della Consulta, in Consulta OnLine, I/2024, p. 292.
  9. Secondo tale giudice, la sentenza della Corte costituzionale avrebbe “pienamente equiparato il suicidio assistito alle terapie di fine vita puntualmente disciplinate agli artt. 1 e 2 della l. n. 219/2017”, al punto che il suicidio assistito, in presenza dei presupposti indicati dalla Corte, rientrerebbe “nel diritto alla salute costituzionalmente tutelato”. Di conseguenza sussisterebbe, in capo all’azienda, anche il dovere di “individuazione dei farmaci, delle dosi e delle modalità di somministrazione, previo il parere del comitato etico territorialmente competente”: così, Razzano G. (2024), Le proposte di leggi regionali sull’aiuto al suicidio, i rilievi dell’Avvocatura Generale dello Stato, le forzature del Tribunale di Trieste e della commissione nominata dall’azienda sanitaria, in Consulta OnLine, I/2024, 86.
  10. Cfr. Corte di Assise di Massa, sent. 2 settembre 2020, n. 1, in cui il requisito del trattamento di sostegno vitale viene interpretato non necessariamente come “dipendenza da una macchina”, ma da qualsiasi trattamento sanitario: trattamento farmacologico, assistenza medica o non medica, l’ausilio di qualsiasi macchinario medico.
  11. Cfr. Corte d’Assise d’appello di Genova, sent. 20 maggio 2021, n. 1, che conferma la riconducibilità del trattamento farmacologico al requisito del ‘trattamento di sostegno vitale’ di cui alla sentenza n. 242/2019 e, conseguentemente, l’assoluzione dalle contestazioni di istigazione e agevolazione al suicidio in ordine alla morte del Trentini.
  12. Cfr. Corte d’assise d’appello di Catania, sent. 12 luglio 2023, n. 13, su cui Leotta C. (2023), Il rafforzamento del proposito di suicidio integrante istigazione al suicidio punibile ai sensi dell’art. 580 cp, in Centro Studi Rosario Livatino, 28 luglio 2023.
  13. Cfr. ord. 17 gennaio 2024, n.32 (Atto di promovimento), G.I.P. del Tribunale di Firenze (GU 1a Serie Speciale – Corte Costituzionale n. 11 del 13-3-2024), nel procedimento penale a carico di Marco Cappato, Felicetta Maltese e Chiara Lalli, autodenunciatisi per aver fornito aiuto a Massimiliano, 44enne toscano di San Vincenzo (Livorno) affetto da sclerosi multipla, organizzando il viaggio ed accompagnandolo in Svizzera per poter ricorrere al suicidio medicalmente assistito. La GIP, infatti, ha ritenuto di non poter accogliere la richiesta di archiviazione formulata dal pubblico ministero e dai difensori degli indagati, perché la condotta degli indagati non ricade nelle ipotesi di non punibilità introdotte dalla sentenza Cappato-Antoniani della Corte costituzionale in quanto Massimiliano non aveva un trattamento di sostegno vitale, ed ha “dichiarato rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 580 codice penale, come modificato dalla sentenza n. 242 del 2019 della Corte costituzionale, nella parte in cui richiede che la non punibilità di chi agevola l’altrui suicidio sia subordinata alla condizione che l’aiuto sia prestato a una persona ‘tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale’, per contrasto con gli articoli 2, 3, 13, 32 e 117 della Costituzione, quest’ultimo in riferimento agli articoli 8 e 14 della Convenzione EDU”. Il requisito dei ‘trattamenti di sostegno vitale’ si presterebbe, in tesi, ad un’interpretazione ambigua e con potenziali effetti discriminatori, laddove idoneo a privare i tanti malati che, si trovano in condizioni diverse da quella di Fabiano Antoniani, ma che sono affetti da malattie irreversibili fonti di sofferenze intollerabili, pienamente capaci di assumere decisioni libere e consapevoli, della possibilità di accedere legittimamente alla morte volontaria in Italia; sull’ordinanza de qua, cfr. Piergentili F., Ruggeri A., Vari F. (2024), Verso una “liberalizzazione” del suicidio assistito? (Note critiche ad una questione di costituzionalità sollevata dal Gip di Firenze), in Dirittifondamentali.it, n.1/2024; sul requisito dei ‘trattamenti di sostegno vitali’, cfr. Piergentili F. (2024), Costituzione e suicidio assistito. A proposito della verifica del rispetto del presupposto del “trattamento di sostegno vitale” indicato nella sent. n. 242 del 2019 della Consulta, in Consulta OnLine, I/2024.
  14. Ruggeri A. (2019), La disciplina del suicidio assistito è “legge” (o, meglio, “sentenza-legge”), frutto di libera invenzione della Consulta (a margine di Corte cost. n. 242 del 2019), in Quad. dir. e pol. eccl., 3/2019, p. 633.
  15. Cfr. la Relazione su https://www.cortecostituzionale.it/annuario2023/pdf/Relazione_annuale_2023.pdf, p.17.
  16. Atto Consiglio 583, XI legislatura.
  17. Si tratta della delibera del 18 gennaio 2023, con cui la Giunta regionale, dato atto dell’avvenuta individuazione – sin dal gennaio 2022 – del Comitato etico istituito presso l’Azienda Ospedaliero Consorziale Policlinico di Bari, quale organo territorialmente competente a rendere il parere in ipotesi di suicidio medicalmente assistito, ha dato mandato al Dipartimento della salute di notificare la predetta deliberazione – e relativi allegati – a tutte le strutture del servizio sanitario regionale, stabilendo, altresì, che il Comitato Etico esprima il parere nel più breve tempo possibile, al fine di limitare le sofferenze fisiche e psicologiche del paziente. Si dispone, inoltre, che le strutture sanitarie pugliesi, chiamate a dare attuazione in tutti i suoi punti alla ivi allegata sentenza della Consulta e, quindi, ad assicurare alle persone in condizioni corrispondenti a quelle enucleate dalla Corte costituzionale, l’accesso alle procedure di suicidio medicalmente assistito alle condizioni e modalità stabilite dalla medesima Corte, sono tenute a dare ampia diffusione di tale deliberazione, nonché a fornire tutti i chiarimenti necessari a pazienti, familiari, associazioni e chiunque abbia interesse.
  18. Disponibile su https://www.associazionelucacoscioni.it/PDL-regionale-in-osservanza-della-sent.-n.242_19-Corte-Cost.docx-1.pdf, tale proposta era stata trasmessa al presidente della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano ed ai presidenti delle Regioni proprio con l’obiettivo di sollecitare i legislatori regionali ad occuparsi prontamente della questione. Sulle proposte presentate in Puglia e nelle Marche, sia consentito il rinvio a Nacci M.G. (2023), Il contributo delle Regioni alla garanzia di una morte dignitosa. Note a margine di due iniziative legislative regionali in tema di suicidio medicalmente assistito, in Cerruti T. (a cura di), L’elaborazione di un diritto a una morte dignitosa nell’esperienza europea, Editoriale Scientifica, Napoli, 153 ss..
  19. Disponibile su https://liberisubito.it/wp-content/uploads/2023/09/25.08.23_PDL-regionale_suicidio-assistito.pdf, p.2.
  20. Abruzzo (iniziativa popolare, giugno 2023); Calabria (iniziativa consiliare, proposta in parte diversa da quella ‘Liberi Subito’); Campania (iniziativa consiliare, marzo 2024); Emilia Romagna (iniziativa popolare, luglio 2023); Friuli Venezia Giulia (iniziativa popolare, agosto 2023); Liguria (iniziativa consiliare, febbraio 2024); Lazio (iniziativa consiliare) Lombardia (iniziativa popolare, gennaio 2024); Piemonte (iniziativa popolare, gennaio 2024), Sardegna (presentata la proposta di legge nella precedete consigliatura, si attendono sviluppi dopo il rinnovo del Consiglio regionale a marzo 2024); Toscana (iniziativa popolare, marzo 2024); Umbria (iniziativa consiliare su proposta diversa da quella dell’Associazione Coscioni); Valle d’Aosta (iniziativa consiliare, febbraio 2024); Veneto (iniziativa popolare, proposta bocciata il 16 gennaio 2024). Le proposte di legge già depositate nelle diverse Regioni con minime variazioni, sono accessibili su https://liberisubito.it/.
  21. Cfr. parere n. 1/2023, disponibile su https://www.cr.piemonte.it/dwd/organismi/comm_garanzia/pareri/2023/parere_n._1.pdf .
  22. Cfr. il comunicato stampa del 21 marzo 2024, disponibile su https://www.cr.piemonte.it/cms/articoli/comunicati-stampa/suicidio-assistito-approvata-la-pregiudiziale-di-costituzionalita.
  23. Cfr. dgr 194/24, determina direttoriale n. 2596/2024, dgr 333/24, criticate dall’Associazione Coscioni, perché non si garantiscono tempi certi per chi intende fare richiesta di morte volontaria medicalmente assistita (https://www.associazionelucacoscioni.it/notizie/blog/le-discussioni-sulla-morte-volontaria-medicalmente-assistita-regione-per-regione), ma anche da chi sottolinea che con tali atti amministrativi sarebbe stato introdotto “un obbligo del Servizio Sanitario Regionale per prestare assistenza medica al suicidio di persone malate”, attribuendo, peraltro, la verifica dei requisiti previsti dalla sentenza della Corte costituzionale n. 242/2019 – in presenza dei quali tale “aiuto” non è, eccezionalmente, perseguibile come reato ai sensi dell’art. 580 c.p.- ad un Comitato per l’Etica Clinica, nonché a una “Commissione di Area Vasta”, “organi che non hanno fondamento in alcuna norma di legge, che tradiscono le indicazioni del citato arresto della Consulta, che concorrono a una incostituzionale disomogeneità rispetto a primari ‘valori in gioco’ (Corte cost. n. 242/2019, cit.), che ignorano l’unica normativa positiva in materia e che comunque dimenticano essenziali tutele per i malati specie nell’utilizzo dei medicinali”: così Cavallo F., Menorello D. (2024), Il “fine vita” tra Stato e regioni: ulteriori illegittimità della recente disciplina emiliano-romagnola – seconda parte, in https://www.centrostudilivatino.it/category/archivio/articoli/.
  24. Bresciani P. F. (2023), Si può regionalizzare il fine vita? Note minime sull’idea di attuare la sent. n. 242 del 2019 con leggi regionali, in Forum di Quaderni Costituzionali, 3/2023, 128, Disponibile in: https://www.forumcostituzionale.it/wordpress/.
  25. Nella reazione illustrativa della pdl pugliese si leggeva che essa era volta a “dettagliare i tempi e i modi del procedimento e a eliminare eventuali residui d’incertezza e problematicità, al cospetto di un tema altamente sensibile e perciò fonte di notevoli dubbi applicativi” e che, in tale direzione, essa rispondeva al dettato della sentenza n. 242/2019, indicata come il “fondamento giuridico, anche con riferimento a tutte le questioni d’attribuzione della competenza a legiferare in sede regionale…ovviamente, nell’attesa di una norma statale in grado d’introdurre una normativa eventualmente innovativa”; in termini analoghi, nella relazione illustrativa della pdl predisposta dall’Associazione Coscioni”, si legge che essa “mira a definire i ruoli, i tempi e le procedure delineate dalla Corte costituzionale attraverso una sentenza immediatamente esecutiva, ferma restando l’esigenza di una legge nazionale che abbatta le discriminazioni tra malati oggi in atto”.
  26. Ivi vengono, infatti, enucleate le “modalità di verifica medica della sussistenza dei presupposti in presenza dei quali una persona possa richiedere l’aiuto”, a partire dall’accertamento della capacità di autodeterminazione del paziente e del carattere libero e informato della scelta espressa. “(…) la richiesta di essere agevolati al suicidio da parte di una persona ‘capace di agire’ dovrà essere: (a) espressa nelle forme previste per il consenso informato e dunque ‘nei modi e con gli strumenti più consoni alle condizioni del paziente’; b) documentata ‘in forma scritta o attraverso videoregistrazioni o, per la persona con disabilità, attraverso dispositivi che le consentano di comunicare’; c) inserita nella cartella clinica, ferma restando ovviamente ‘la possibilità per il paziente di modificare la propria volontà’ (il che, con riguardo all’aiuto al suicidio, ‘è insito nel fatto stesso che l’interessato conserva, per definizione, il dominio sull’atto finale che innesca il processo letale’; § 5). Inquadrandosi la materia nell’ambito della relazione terapeutica, il medico, dal canto suo, dovrà: i) prospettare al paziente ‘le conseguenze di tale decisione e le possibili alternative’; ii) promuovere ‘ogni azione di sostegno al paziente medesimo, anche avvalendosi dei servizi di assistenza psicologica’; iii) dare conto nella cartella clinica tanto ‘del carattere irreversibile della patologia’, quanto delle ‘sofferenze fisiche o psicologiche’, dal momento che ‘il promovimento delle azioni di sostegno al paziente, comprensive soprattutto delle terapie del dolore, presuppone una conoscenza accurata delle condizioni di sofferenza (§ 5)”: così Cupelli C. (2019), Il Parlamento decide di non decidere e la Corte costituzionale risponde a se stessa, cit., 42.).
  27. Tale è la posizione espressa anche dall’organo di garanzia statutaria della regione Piemonte (Commissione di garanzia) che nel già citato parere n.1/2023 ha espresso parere favorevole “circa l’ammissibilità della proposta di legge regionale di iniziativa popolare avente ad oggetto ‘Procedure e tempi per l’assistenza sanitaria regionale al suicidio medicalmente assistito ai sensi e per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 242/2019’. Vi si legge, infatti: “allo stato attuale il nostro ordinamento consente già su tutto il territorio nazionale di poter porre fine alla propria esistenza pretendendo l’interruzione di trattamenti vitali (da ultimo Cass. civ. 06.09.2022 n. 26209; Cass. civ. 23.12.2020 n. 29469) e che in forza della pronuncia della Consulta è oggi consentito non solo attendere la morte in condizione di sedazione profonda, ma anche lasciare la vita, assistiti, mediante un atto volontario che possa abbreviare il tempo che separa dalla morte; tutto ciò premesso, effettivamente la proposta di legge sottoposta al giudizio di questa Commissione sollecita il Consiglio regionale a dotarsi di una normativa che, coerentemente con il riparto di competenze prescritto in Costituzione, possa organizzare le procedure mediante le quali tale volontà possa essere espletata, nella convinzione che non organizzare significa svuotare di effettività il diritto (corsivo della scrivente), mentre, al contrario, organizzare significa conciliare le diverse posizioni soggettive in gioco, permettendo di scegliere e assicurando il rispetto dei valori costituzionali e dei principi generali dell’ordinamento”.
  28. Si tratta di una ricostruzione certamente sollecitata (come riconosciuto anche nella relazione illustrativa della pdl ‘Liberi Subito’, p. 5, quarto capoverso) da una discutibile iniziativa ministeriale (cfr. nota di novembre 2021 diffusa dal Capo di Gabinetto del Ministero della Salute e rivolta alla Conferenza Stato Regioni, in cui si dà atto che alla luce della citata sentenza sussisterebbe una responsabilità del SSN a dare concreta attuazione a quanto statuito dalla Corte costituzionale, nelle more dell’intervento del Legislatore auspicato dalla Corte stessa, nonché la successiva lettera di giugno 2022 inviata dal Ministro Speranza a tutti i Presidenti di Regione secondo cui “è da garantire che siano a carico del SSN le spese mediche necessarie per consentire al termine della procedura di verifica affidata alle strutture del SSN il ricorso al suicidio medicalmente assistito ai pazienti che ne facciano richiesta”, non potendo i costi del suicidio medicalmente assistito “ricadere sul paziente che seguendo l’iter indicato dalla Corte costituzionale, si sia rivolto al SSN”: sul punto si consenta il rinvio a Nacci M.G. (2023), Il contributo delle Regioni, cit., p.162 ss..
  29. Per Zatti P. (2022), La questione dell’aiuto medico a morire nella sentenza della Corte Costituzionale: il «ritorno al futuro» della l. 219/2017, in Responsabilità Medica, n. 1/2022, p. 158, dalla sentenza n. 242/2019 deriverebbe un “diritto, costituzionalmente protetto”, per il paziente sottoposto a gravi sofferenze “a essere aiutato” a suicidarsi “che trova il suo luogo etico e giuridico nella relazione di cura”; parimenti, intravede il riconoscimento di un vero e proprio diritto al suicidio Liberali B. (2019), L’aiuto al suicidio “a una svolta”, fra le condizioni poste dalla Corte costituzionale e i tempi di reazione del legislatore?, in Diritti comparati, 9 dicembre 2019; sulla stessa linea, Paris D. (2018), Dal diritto al rifiuto delle cure al diritto al suicidio assistito (e oltre). Brevi osservazioni all’ordinanza n. 207/2018 della Corte Costituzionale, in Corti supreme e salute, n. 3/2018, p. 3. Veronesi U. (2014), Il mestiere di uomo, Torino, p. 95, parla del ‘diritto a non soffrire’ come inalienabile diritto umano.
  30. Come di recente argomentato efficacemente anche dall’Avvocatura Generale dello Stato nel già citato parere.
  31. Razzano G. (2022), La proposta di legge sulle «Disposizioni in materia di morte volontaria medicalmente assistita»: una valutazione nella prospettiva costituzionale anche alla luce della sent. n. 50/2022, in https://www.federalismi.it/, n. 9/2022.
  32. Cfr. Morrone A. (2018), Il caso Cappato di fronte alla Corte costituzionale. Riflessioni di un costituzionalista, in Morrone A. (a cura di), Il “Caso Cappato” davanti alla Corte costituzionale, Forum Quad. Cost., 12 ottobre 2018; Canestrari S. (2021), Ferite dell’anima e corpi prigionieri. Suicidio e aiuto al suicidio nella prospettiva di un diritto liberale e solidale, Bologna, 2021, p. 50; Chieffi L. (2024), Suicidio assistito in Italia tra aperture giurisprudenziali e persistenti impedimenti nelle concrete prassi, in RivistaAic, n.1/2024; p.389.
  33. Omodei R. E. (2017), L’istigazione e aiuto al suicidio tra utilitarismo e paternalismo: una visione costituzionalmente orientata dell’art. 580 c.p., in Diritto penale contemporaneo, n. 10/2017, p. 135.
  34. Un divieto ed un dovere la cui esistenza “impedisce, oggi, di parlare di diritto al suicidio, consentendo invece di parlare di mera libertà, non sorretta né da pretese di non-impedimento, né da pretese di realizzazione”, così Tripodina C. (2019), Non possedere più le chiavi della propria prigione. Aiuto al suicidio e Costituzione tra libertà, diritti e doveri, in Biodiritto, 24 settembre 2019, p. 2. In senso conforme, Paruzzo F. (2019), Diritto e diritti di fronte alla decisone di morire, in Rivista AIC, n. 1/2019 p. 369; si veda anche Battistella G. (2020), Il diritto all’assistenza medica a morire tra l’intervento «costituzionalmente obbligato» del giudice delle leggi e la discrezionalità del Parlamento. Spunti di riflessione sul seguito legislativo, in Osservatorio AIC, n.1/2020, spec. pp. 319, 325-326.
  35. Corte cost., sent. 242/2019, § 5 e 6 Considerato in diritto.
  36. Eusebi L. (2019), Il suicidio assistito dopo Corte cost. n. 242/2019. A prima lettura, in Corti supreme e salute, n. 2/2019, p. 194.
  37. Tripodina C. (2019), La “circoscritta area” di non punibilità dell’aiuto al suicidio. Cronaca e commento di una sentenza annunciata, in Giur. it., n.2/2019, cit., 13. Un “diritto subordinato alle coscienze”, per D’Amico M. (2020), Il “fine vita” davanti alla Corte costituzionale fra profili processuali, principi penali e dilemmi etici (Considerazioni a margine della sent. n. 242 del 2019), in Osservatorio AIC, 1/2020, p.301, la quale osserva che “affermare che non vi sia ‘alcun obbligo di procedere a tale aiuto in capo ai medici’ e che, pertanto, resta ‘affidato […] alla coscienza del singolo medico scegliere se prestarsi, o no, a esaudire la richiesta del malato’ trasforma, infatti, profondamente il diritto accertato (o più precisamente compromette profondamente la stessa possibilità che al proposito di suicidio del paziente in determinate condizioni possa essere dato seguito con condotte di ausilio)”; del rischio di ridurre il suicidio assistito ad un “diritto” privo di una concreta azionabilità», parla Caramaschi O. (2020), La Corte costituzionale apre al diritto all’assistenza nel morire in attesa dell’intervento del legislatore (a margine della sent. n. 242 del 2019), in Osservatorio costituzionale, 1/2020, p. 384.
  38. Per Vettori N. (2022), Amministrazione e Costituzione. A proposito dell’attuazione della sentenza della Corte Costituzionale sull’aiuto al suicidio, in Dir. Pubbl., n. 2/2022, p. 558, la “libertà del medico di non collaborare all’aiuto al suicidio (..) non esclude il dovere delle istituzioni del S.S.N. di prestare assistenza al paziente che ne faccia richiesta”.
  39. In tal senso si pronuncia Zagrebelsky V. (2023), Il suicidio medicalmente assistito nei LEA (livelli essenziali di assistenza), in Bioetica, 1/2023, p. 32 ss.; sul tema si veda anche Campanelli G. (2023), L’obiezione di coscienza e il suo impatto sull’elaborazione di un effettivo diritto a una morte dignitosa, in Cerruti T. (a cura di), L’elaborazione, cit., p. 89; Ruggiu I. (2023), Il ruolo dei giudici nell’elaborazione del diritto ad una morte dignitosa, ivi, 127; Arconzo G. (2023), Il diritto a una morte dignitosa tra legislatore e Corte costituzionale, ivi, p.49.
  40. La Corte, come già ricordato, ha ritenuto “estensibile” alla situazione peculiare dell’aiuto al suicidio la “procedura medicalizzata” degli artt. 1 e 2 della l. n. 219/2017 e così riserva alle strutture pubbliche del Servizio Sanitario Nazionale “la verifica delle condizioni che rendono legittimo l’aiuto al suicidio”, e la verifica delle “relative modalità di esecuzione”, che dovranno essere “tali da evitare abusi in danno di persone vulnerabili, da garantire la dignità del paziente e da evitare al medesimo sofferenze”; richiede inoltre l’intervento di un organo collegiale terzo, che “possa garantire la tutela delle situazioni di particolare vulnerabilità”, e che, nelle more dell’intervento del legislatore, viene individuato nei comitati etici territorialmente competenti.
  41. Immacolato M. (2023), Davvero il suicidio medicalmente assistito va inserito nei LEA? Note sulla tesi di V. Zagrebelsky, in Bioetica, 1/2023, p. 40 ss..
  42. “(…) che parrebbe, poi, destinato a dispiegarsi in una sorta di ‘spazio libero’ dal diritto”: così Cirillo F. (2022), La rotta è già tracciata. Quadro normativo e proposte di legge sul fine vita, in Osservatorio Aic, n.5/2022, p. 27. In questo senso si sono pronunciati anche alcuni giudici di merito poco dopo la sentenza n.242/2019 (Trib. di Ancona, ord. 26 marzo 2021 e ord. 9 giugno 2021 sul caso di Federico Carboni); contra Tribunale di Trieste cit., sul caso della sig. ‘Anna’.
  43. Magro B. (2021), Il fine vita e il legislatore benpensante, Il punto di vista dei penalisti, 26 febbraio 2021, disponibile su https://www.giustiziainsieme.it/it/diritto-penale/1578-il-fine-vita-e-il-legislatore-pensante-i-punti-di-vista-dei-penalisti.
  44. Ruggeri A. (2023), Fine-vita (problemi e prospettive), in Consulta OnLine, I/2023, 123.
  45. “Un salto giuridico – ed etico – notevole, che evidentemente inciderebbe sull’assetto dei diritti fondamentali e delle relative garanzie e che finirebbe per modificare la stessa forma di Stato, ossia la relazione fra le istituzioni e i cittadini. Il diritto alla vita, infatti, come ha chiarito proprio la Corte costituzionale, attiene all’essenza di quei valori che non possono essere sovvertiti o modificati nel loro contenuto essenziale neppure da leggi di revisione costituzionale o da altre leggi costituzionali”, così Razzano G. (2024), Le proposte di leggi regionali sull’aiuto al suicidio, cit., p.77.
  46. Quando afferma che “l’assistenza di terzi nel porre fine alla sua vita può presentarsi al malato come l’unico modo per sottrarsi, secondo le proprie scelte individuali, a un mantenimento artificiale in vita non più voluto e che egli ha il diritto di rifiutare in base all’art. 32, 2° co., Cost. Parametro, questo, non evocato nel dispositivo nell’ordinanza di rimessione, ma più volte richiamato in motivazione” e che (…) “il divieto assoluto di aiuto al suicidio finisce per limitare ingiustificatamente nonché irragionevolmente la libertà di autodeterminazione del malato nella scelta delle terapie, comprese quelle finalizzate a liberarlo dalle sofferenze, scaturente dagli artt. 2, 13 e 32, secondo comma, Cost., imponendogli in ultima analisi un’unica modalità per congedarsi dalla vita” (ultimo capoverso § 2.3 Considerato in diritto).
  47. Morana D. (2018), L’ordinanza n. 207/2018 sul “caso Cappato” dal punto di vista del diritto alla salute: brevi note sul rifiuto di trattamenti sanitari, in Diritto e Società, n. 3/2018, p. 503 ss..
  48. La World Medical Association ha ribadito che assistenza al suicidio ed eutanasia sono contrari all’etica e non sono annoverabili fra le attività mediche (70th WMA General Assembly, Tbilisi, October 2019).
  49. Si veda Corte cost., 9 gennaio 2019, n. 1, in tema di concessioni demaniali, su cui Lucarelli A. (2019), Il nodo delle concessioni demaniali marittime tra non attuazione della Bolkestein, regola della concorrenza ed insorgere della nuova categoria “giuridica” dei beni comuni (Nota a C. cost., sentenza n. 1/2019), in Diritti fondamentali, n.1/2019.
  50. Con cui la Corte dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 3 della legge regionale Piemonte 6 novembre 2007, n. 21 che prevedeva, in caso di trattamenti terapeutici comportanti la somministrazione di sostanze psicotrope ai minori, la necessaria espressione in forma scritta del consenso informato dei genitori. La motivazione è “riassumibile nei seguenti passaggi: a) le norme sul consenso informato attengono alla dimensione dei principi fondamentali; b) nell’ordinamento legislativo dello Stato non si rinviene una norma analoga a quella contenuta nella legge regionale impugnata; c) la norma regionale, non potendo appoggiarsi ad un principio fondamentale della legislazione statale, è costituzionalmente illegittima per violazione dell’art. 117, 3° co.. Cfr. anche la sentenza n. 253/2009, con cui è stata dichiarata l’illegittimità di disposizioni analoghe a quelle piemontesi contenute in una legge della Provincia autonoma di Trento. Si veda Balduzzi R., Paris D. (2009), Corte costituzionale e consenso informato tra diritti fondamentali e ripartizione delle competenze legislative, in https://www.associazionedeicostituzionalisti.it/old_sites/sito_AIC_2003-2010/giurisprudenza/decisioni2/autori/balduzzi_paris.html.
  51. Ruggeri A. (2023), Nuovi diritti fondamentali, nuove tecniche decisorie, nuovi equilibri (rectius, squilibri) istituzionali, in Dirittifondamentali.it, n.3/2023, p.482, nota 6, ult. capoverso; contra, Pajno A. (2023), Resoconto stenografico dell’audizione svolta nel corso della Conferenza dei Presidenti delle Assemblee legislative delle Regioni e delle Province autonome, Roma, 13 novembre 2023, p. 7.
  52. Così Razzano G. (2024), Le proposte di leggi regionali sull’aiuto al suicidio, cit., p.76.
  53. Come nel caso di cui alla sentenza della Corte cost. n. 262 del 2016 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della Legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 13 marzo 2015, n. 4, recante «Istituzione del registro regionale per le libere dichiarazioni anticipate di trattamento sanitario (DAT) e disposizioni per favorire la raccolta delle volontà di donazione degli organi e dei tessuti», e della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 10 luglio 2015, n. 16, recante «Integrazioni e modificazioni alla legge regionale 13 marzo 2015, n. 4 (Istituzione del registro regionale per le libere dichiarazioni anticipate di trattamento sanitario (DAT) e disposizioni per favorire la raccolta delle volontà di donazione degli organi e dei tessuti)».
  54. Sul punto, v. Razzano G. (2024), Le proposte di leggi regionali sull’aiuto al suicidio, cit., p.72.
  55. Vari passaggi tratti da Chieffi L. (2024), Suicidio assistito in Italia, cit. pp. 392-393.
  56. Chieffi L. (2024), Suicidio assistito in Italia, cit. p. 404.
  57. Razzano G. (2024), Le proposte di leggi regionali sull’aiuto al suicidio, cit., p. 81 ss..
  58. “(…) sulla base di una presunta fungibilità fra la sedazione palliativa profonda continua nell’imminenza della morte (che è parte integrante dell’assistenza palliativa e della terapia del dolore) e l’aiuto al suicidio”: le cure palliative sono un diritto, il supporto fornito a chi intende auto-somministrarsi un farmaco ad azione rapida, invece, un reato, salvo una «circoscritta area di non conformità costituzionale della fattispecie criminosa». “Insomma, altro sono i diritti fondamentali e i diritti umani, altro sono i reati e i comportamenti meramente “non punibili”. E sarebbe assurdo, specie in tempi di scarsità di risorse, finanziare questi ultimi con i fondi destinati agli altri”, così Razzano G. (2024), Le proposte di leggi regionali sull’aiuto al suicidio, cit., pp. 82-83; sul tema, Id., (2016), Sedazione palliativa profonda continua nell’imminenza della morte o sedazione profonda e continua fino alla morte. La differenza tra un trattamento sanitario e un reato, in Biolaw journal – Rivista di BioDiritto, n. 3/2016, 141.
  59. Cfr. al riguardo il Rapporto al Parlamento sullo stato di attuazione della Legge n. 38/2010, per gli anni 2015/2017, presentato dal Ministero della Salute nel 2019.
  60. Composta da: a) un medico palliativista; b) un medico neurologo; c) un medico psichiatra; d) un medico anestesista; e) un infermiere; f) uno psicologo.
  61. Cfr. ad esempio, le già citate ordinanze sul caso di Mario, Trib. di Ancona, ord. n. 26 marzo 2021 e, in sede di reclamo ord. n. 9 giugno 2021, ovvero la vicenda di Fabio Ridolfi, da diciotto anni immobilizzato a letto per una patologia irreversibile, al quale è stata riconosciuta la doverosità della procedura di accertamento delle condizioni dettate dalla sentenza n. 242/2019 (Ridolfi, dopo aver richiesto il parere della struttura sanitaria per la non punibilità di un’eventuale agevolazione del suicidio, considerati i lunghi tempi di attesa per la procedura, aveva comunicato pubblicamente l’intenzione di rinunciare a tale strada, scegliendo quella della sedazione profonda. A due giorni dalla comunicazione, si è appreso dell’avvenuto accertamento dei requisiti da parte della struttura sanitaria sulla scorta del parere positivo da parte dell’organo competente; sul punto, F. Cirillo (2022), La rotta è già tracciata. Quadro normativo e proposte di legge sul fine vita, in Osservatorio Aic, n.5/2022, 27).
  62. Si esclude che tale previsione possa far prefigurare un ruolo attivo delle strutture del SSN anche nella fase della auto-somministrazione del farmaco a garanzia della salute e della dignità della persona, atteso che il giudice delle leggi si limita qui a prescrivere una verifica previa di quelle modalità di esecuzione, in vista del perseguimento di quei fini di tutela, nulla di più.
  63. Corte cost., sent. 242/2019, § 5 e 6 Considerato in diritto. Per la disciplina dei CET v. D.L. n. 158/2012, legge n. 3/2018 (c.d. “legge Lorenzin”), ed i recenti decreti (23A00850, 23A00851, 23A00852, 23A00853) di razionalizzazione adottati dal Ministro della Salute a gennaio 2023.
  64. Il riferimento è all’ordinanza n. 207/2018, con cui la Consulta ha sollecitato l’intervento delle Camere, indispensabile per far luogo ai “delicati bilanciamenti richiesti dal caso” (§10 cons. in dir.) chiedendo al legislatore di prevedere, appunto, “le modalità di verifica medica della sussistenza dei presupposti in presenza dei quali una persona possa richiedere l’aiuto”; “la disciplina del relativo ‘processo medicalizzato’“; “l’eventuale riserva esclusiva di somministrazione di tali trattamenti al servizio sanitario nazionale” (corsivo della scrivente); “la possibilità di una obiezione di coscienza del personale sanitario coinvolto nella procedura”; il “coinvolgimento in un percorso di cure palliative” come “pre-requisito della scelta” del paziente che voglia concludere anticipatamente l’esistenza; da ultimo, la necessità di “una disciplina ad hoc per le vicende pregresse (come quella oggetto di giudizio)”, che altrimenti non potrebbero beneficiare della non punibilità”.
  65. Nella ordinanza n. 207/2018 la Consulta aveva anticipato che “una regolazione della materia, intesa ad evitare simili scenari, gravidi di pericoli per la vita di persone in situazione di vulnerabilità, è suscettibile peraltro di investire plurimi profili, ciascuno dei quali, a sua volta, variamente declinabile sulla base di scelte discrezionali: come, ad esempio, […] la possibilità di una obiezione di coscienza del personale sanitario coinvolto nella procedura” (corsivo della scrivente); nella successiva sentenza n.242/2019 si legge che “resta affidato, pertanto, alla coscienza del singolo medico scegliere se prestarsi, o no, a esaudire la richiesta del malato”. È stato sottolineato il rilievo incondizionato assegnato dalla Consulta alla ‘clausola di coscienza’ nella futura disciplina del suicidio medicalmente assistito – opzione, peraltro, per nulla rispondente alle coordinate del sistema vigente, rappresentate dalla legge n. 219/2017, in cui manca qualunque riferimento all’obiezione di coscienza per il personale sanitario, rispetto alle richieste di sospensione ed interruzione di terapie di sostegno vitale (circostanza che rende complicato sostenere che le determinazioni della Corte sul punto siano state tratte da previsioni già rinvenibili nell’ordinamento e, soprattutto, in linea con lo spirito della legislazione vigente). Così facendo la Corte ha posto le basi teoriche per vincolare un riconoscimento legislativo dell’obiezione di coscienza, nel senso che qualora “il legislatore decidesse di intervenire sulla materia del suicidio medicalmente assistito, disciplinandola nella legge n. 219/2017 o in altra sede reputata più idonea, la scelta sulla previsione dell’obiezione di coscienza non sarebbe più rimessa interamente alla sua piena discrezionalità stante il fatto che, laddove si orientasse in senso opposto rispetto a quanto previsto nella sentenza n. 242/2019, tale decisione potrebbe misurarsi con una affatto improbabile pronuncia di illegittimità costituzionale”: così Ceffa C. B. (2021), Obiezione di coscienza e scelte costituzionalmente vincolate nella disciplina sul “fine vita”: indicazioni e suggestioni da una recente giurisprudenza costituzionale, in Nomos, n. 1/2021, p. 20. Si tratta, ovviamente di una previsione che non può che essere rimessa al legislatore statale. A ogni modo, giova rilevare che a differenza della proposta di legge ‘Liberi Subito’, silente sul punto, quella pugliese reca espressa previsione al riguardo (art. 4), assicurando al personale sanitario delle strutture interessate il diritto di rifiutare, per motivi di coscienza, l’esecuzione delle prestazioni e dei trattamenti previsti dalla legge medesima, pur precisando, che per l’ipotesi in cui risulti impossibile formare l’equipe sanitaria, per gli effetti di decisioni assunte nell’esercizio del diritto di obiezione di coscienza, “spetta alla direzione sanitaria dell’Azienda sanitaria interessata adottare, senza indugio, i provvedimenti organizzativi più idonei per assicurare le prestazioni e i trattamenti previsti dalla presente legge”. Si segnala, inoltre, che la Commissione di garanzia piemontese, dopo aver rilevato tale lacuna nella pdl presentata sul modello predisposto dall’Associazione Coscioni, ha ritenuto di suggerire al legislatore regionale “da una parte affidarsi alla disciplina già disposta dalla legge 219 del 2017, lasciando alle singole strutture l’onere di garantire tutte le diverse posizioni soggettive coinvolte; dall’altra introdurre un esplicito, seppur circoscritto diritto all’obiezione di coscienza, riconoscendo in capo ai singoli enti il dovere di assicurare l’effettiva tutela della volontà del paziente nel caso non coincida con quella del medico”.
  66. Cfr. Morelli A., Trucco L. (a cura di) (2014), Diritti e autonomie territoriali, Giappichelli, Torino.
  67. Cfr. la delibera n. 780 del 13 settembre 2021, su cui Immacolato M. (2022), Suicidio assistito. L’esperienza dell’ASL Toscana Nord Ovest che ha «già» applicato la sentenza della Corte Costituzionale, 10 febbraio 2022, reperibile all’indirizzo https://www.quotidianosanita.it.
  68. Così Romboli R. (2023), Corte costituzionale e legislatore: il bilanciamento tra la garanzia dei diritti ed il rispetto del principio di separazione dei poteri, in Consulta OnLine, III/2023, p. 812 ss., spec. 829 ss.. E “una volta che siffatto metodo di far valere il munus giurisdizionale sia ormai divenuto pratica corrente, la Corte non può più dolersi – a me pare – se anche i giudici comuni fanno (e faranno) luogo ad usi eccessivi dei loro munera, ad es. non investendo la Corte di questioni che pure meriterebbero di essere portate alla sua cognizione ponendo in essere pratiche debordanti dai confini segnati al canone della interpretazione conforme ed ai canoni d’interpretazione in genere”, così Ruggeri A. (2024), Separazione dei poteri e dinamiche della normazione, in Consulta OnLine, I/2024, p. 406.
  69. Così Ruggeri A. (2024), Separazione dei poteri, cit., pp.412-413; sul tema Id. (2023), La Costituzione sotto stress e la piramide rovesciata, ovverosia le più vistose torsioni a carico della separazione dei poteri e del sistema degli atti espressivi di pubbliche funzioni (note minime su una spinosa questione), in Consulta OnLine, III/2023.