Il diritto nel mondo degli animali: la costituzione e i compiti del Garante regionale per la loro protezione

Luciano Olivero[1] ed Enrico Moriconi[2]

Lo scritto nasce da riflessioni condivise. La paternità della sua stesura va così attribuita: sono di Luciano Olivero i paragrafi 1 e 2; sono di Enrico Moriconi i paragrafi 3 e 4.

(Abstract)

Da alcuni decenni la cultura animalista ha preso a farsi strada nel mondo del diritto, ponendo al centro dell’attenzione il problema della tutela degli esseri senzienti diversi dall’uomo. Segno di questa crescente attenzione è l’istituzione, sul piano regionale, del Garante dei diritti degli animali, di cui il Piemonte si è dotato fin dalla legge reg. 6/2010. Tale legge si iscrive in un corpo normativo che ha già trovato modo di esprimersi in diverse fonti nazionali ed internazionali. Tra principi solenni e regole pratiche, il cammino è dunque avviato, ma non può certo dirsi concluso perché molte sono le questioni che restano in sospeso. Tutti gli animali hanno gli stessi diritti? E quali? E si può effettivamente parlare di “diritti” in capo ad esseri diversi dall’uomo? L’articolo tenta di rispondere a questi interrogativi nei primi due paragrafi: essi introducono ai successivi due che illustrano nel dettaglio i compiti e le attività del Garante.

 

1. Di quali animali parliamo quando parliamo di diritti degli animali?

Lo scorso inverno per le vie di Torino era affisso un manifesto un po’ inconsueto. Un cane impaurito, muso lungo e orecchie basse, pareva guardasse i passanti dall’alto di grandi cartelloni, accanto ad una didascalia cubitale. C’era scritto: «I BOTTI SPAVENTANO GLI ANIMALI»; e poco sotto: «PROTEGGILI: NON USARE BOTTI E PETARDI». Incombeva il capodanno: nulla di strano dopotutto[3]. A chi per via Farini si recava all’Università non poteva però sfuggire un dettaglio singolare. Nottetempo, su uno di quei poster, qualcuno ne aveva affisso un altro “abusivo”, più piccolo ma ben visibile anch’esso; e questo, dov’era scritto che i botti spaventano gli animali, chiosava graffiante: «IL MATTATOIO MOLTO DI PIÙ». Ovvio anche questo.

Un po’ meno ovvio è chiedersi ora – usando quella storiella come pretesto – se il fatto di avere a cuore il benessere di un cane comporti le stesse premure per un animale da macello; e, più in generale, se questa esigenza di protezione si estenda ad ogni animale, mansuefatto o selvatico, dal topo in cantina a quello da laboratorio, dal pesce nella boccia giù fino agli insetti del prato. La domanda può apparire retorica ma la questione è pratica: di quali animali si parla quando si parla di diritti degli animali?[4]

Certo: del milione e più di specie che popolano il regno animale solo un’esigua minoranza ha nel tempo sviluppato rapporti privilegiati con l’essere umano; e questi rapporti hanno offerto il primo stimolo a interrogarsi sullo statuto giuridico degli animali. Il fatto stesso che le enciclopedie seguano un preciso décalage nel loro studio – che di norma parte dai mammiferi, passa per gli uccelli e i rettili, scende agli anfibi e ai pesci per finire con gli invertebrati – risponde ad un dato biologico, ma per lungo tempo ha suggerito pure un ordine gerarchico, che si è riflesso sul piano del diritto; e si riflette ancora.

Il motivo risiede nel fatto che il diritto naturalmente tende a trattare in modo diverso situazioni diverse; e non c’è dubbio che avere accolto un animale in casa, specie se si tratta di un mammifero come un cane o un gatto, solleva esigenze particolari, com’è del tutto particolare il rapporto con l’animale, “umanizzato”[5] con un nome proprio, un proprio ruolo in famiglia[6], cure e riti della morte che mimano le esequie dei proprietari[7]. Va per di più aggiunto che tale rapporto non è quasi mai unidirezionale, non si dirige soltanto dall’uomo all’animale, ma è tanto più stretto quanto più cresce la capacità di quest’ultimo di manifestare empatia, di lenire una solitudine, di catalizzare nuove forme di affettività e di renderle circolarmente a chi si occupa di lui[8]

Assunta questa prospettiva – per tornare alle querelle del manifesto – si deve allora convenire che in termini empirici e quindi giuridici un cane in casa e un suino al macello non sono la stessa cosa. E si capisce pure perché molte delle norme sul benessere degli animali emanate negli ultimi anni stiano all’interno di un perimetro segnato dal «particolare rapporto di affezione tra l’uomo e l’animale» come dice il D.P.C.M. 28 febbraio 2003 su animali da compagnia e pet-therapy: la Convenzione di Strasburgo dell’87[9], la legge quadro n. 281/1991 sulla prevenzione del randagismo, il regolamento CE n. 998/2003 sui movimenti a carattere non commerciale degli animali da compagnia, i numerosi d.d.l. diretti a introdurre un codice degli animali d’affezione[10] e perfino le norme a favore del turismo con animali al seguito[11] e quelle che vietano il pignoramento degli animali da compagnia[12] s’iscrivono in quel medesimo perimetro.

Nel suo progredire, tuttavia, la sensibilità per gli animali non poteva arrestarsi alla cerchia di quelli domestici: per successivi anelli si è estesa agli animali prossimi all’uomo ma sfruttati per le sue diverse attività (dall’allevamento alla sperimentazione al circo) per includere infine gli animali anche selvatici, accomunati all’uomo dall’appartenere ad uno stesso ecosistema[13] sempre più infragilito. Raggiunta una tale latitudine, occorreva una formula capace di fissare il perimetro e, insieme, la ragione di quella tutela; e la formula migliore si legge tuttora nell’art. 13 del Trattato di Lisbona: il benessere a cui gli animali hanno diritto è quello che a loro compete «in quanto esseri senzienti»[14].

Ora chiediamoci: «senzienti» perché dotati di sensi? [15] L’olfatto, l’udito, la vista e così via? Indubbiamente sì; ma «senzienti» anzitutto perché capaci di patire; perché «come l’uomo possono provare sofferenza e dolore»[16]. Vi è dunque un minimo comune denominatore che fissa la rilevanza giuridica dell’animale. E tale base comune abbraccia un orizzonte amplissimo che – questa volta – trascende il rapporto privilegiato con gli animali da compagnia. Rispetto al dilemma della sofferenza un cane in casa o un suino al macello cessano di essere diversi. O, per meglio dire, sollevano da angolazioni distinte un identico problema: di quali diritti parliamo quando parliamo di diritti degli animali?

 

2. Di quali diritti parliamo quando parliamo di diritti degli animali?

«Ogni animale ha dei diritti»; e sono «il disconoscimento e il disprezzo di questi diritti [che] hanno portato e continuano a portare l’uomo a commettere crimini contro la natura». La memorabile premessa della Dichiarazione universale dei diritti dell’animale proclamata a Parigi, presso l’Unesco, nel 1978 non ha remore a parlare di «diritti» e a declinarli nei suoi 14 articoli. Il primo si richiama alla vita: «tutti gli animali nascono uguali davanti alla vita e hanno gli stessi diritti all’esistenza». Vengono poi il diritto al rispetto (art. 2), a non subire atti crudeli (art. 3), a vivere in libertà (art. 4), a crescere secondo i ritmi della propria specie (art. 5) … E il testo si chiude con un’equiparazione forte. Rispettare i diritti animali – si legge infatti nell’art. 14 lett. b) – significa accordare la stessa difesa legale che spetta ai diritti umani: «i diritti dell’animale devono essere difesi dalla legge come i diritti dell’uomo». Ovviamente è solo un auspicio, carico di forza simbolica ma privo di vincolatività effettiva, com’è proprio di questa dichiarazione di principi[17].

Le leggi, in effetti, si sono fin qui astenute – com’era prevedibile – dal parificare gli animali alle persone; anche se alcuni ordinamenti hanno fatto una scelta di rottura con la tradizione e di indubbio rilievo sistematico, che si pone come la più coerente conseguenza della natura «senziente» degli esseri animali. Nei codici civili tedesco e svizzero, in particolare, oggi si legge un principio che in origine non c’era: «gli animali non sono cose»: e non è affermazione da poco[18].  

Il principio – a dire il vero – è subito smorzato dalla previsione per cui «salvo disciplinamenti particolari le prescrizioni applicabili alle cose sono parimenti valide per gli animali» (art. 641a, comma 2, cod. civ. svizzero e § 90a BGB); ma anche così la solenne affermazione resta importante. Al pari di tutti i grandi principi, infatti, essa entra in circolo nel sistema e può condizionarne nel tempo l’interpretazione e l’evoluzione; e lo stesso potranno fare talune previsioni innovative, come quella che consente lasciti testamentari in favore degli animali (art. 482 cod. civ. sviz.)[19] o che in caso di lite dispone che gli animali domestici siano assegnati «alla parte in grado di garantire loro la sistemazione migliore» sotto il «profilo della protezione degli animali» (art. 651 a cod. civ. sviz.).

Va però ribadito che tali norme non assimilano gli animali alle persone[20] e sono agnostiche rispetto al problema dei problemi, se cioè gli animali abbiano veri «diritti»; il che presupporrebbe risolta in senso affermativo la questione preliminare del conferimento anche a loro della capacità giuridica e cioè dell’attitudine ad essere titolari di diritti (attitudine che l’uomo ha dalla nascita: art. 1 cod. civ. it.). In ogni caso, posto che gli animali difetterebbero poi della capacità di agire (la capacità di compiere atti giuridici, quella che gli umani acquistano di norma al 18° anno), essi avrebbero sempre bisogno di un rappresentante, come degli eterni minorenni[21]: ma pure su questo punto i codici tedesco e svizzero tacciono.

E l’Italia? Cominciamo col rilevare che anche sistemi in partenza lontani possono convergere nelle soluzioni concrete: e lo dimostrano assai bene i nostri giudici, i quali, senza una disciplina ad hoc e senza rinnegare l’idea tralatizia degli animali quali res, nelle separazioni e nei divorzi di proprietari di cani, gatti e altre bestiole da compagnia hanno preso a seguire criteri che considerano dirimente l’interesse dell’animale nella scelta dell’affidatario, così applicando nei fatti regole affini a quelle codificate altrove[22].

Rispetto, poi, agli animali nel senso più lato del termine, la “via italiana” alla loro tutela non è passata tanto per la frantumazione, sul piano civilistico, della categoria delle «cose», ma attraverso l’introduzione, nel codice penale, di un nuovo titolo IX-bis; al cui interno spiccano i reati di uccisione e di maltrattamento di animali[23]. Uno punisce con la reclusione da 4 mesi a 2 anni «chiunque per crudeltà o senza necessità, cagiona la morte di un animale» (art. 544-bis cod. pen.); l’altro con la reclusione da 3 a 18 mesi e con la multa da 5 a 30 mila euro «chiunque per crudeltà e senza necessità cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche» (art. 544-ter cod. pen.).

Ovviamente neppure queste norme garantiscono una protezione assoluta e senza riserve degli animali, né il loro diritto incondizionato all’esistenza. Non sono spariti infatti gli allevamenti, i mattatoi, le azioni per contenere le specie infestanti, i centri che sperimentano farmaci su animali solo perché sono entrati in vigore gli artt. 544-bis ss.; e di certo non potrebbero sparire dalla sera alla mattina per il necessario bilanciamento con altri interessi che il legislatore considera leciti e meritevoli di protezione. Al contempo, però, il divieto di atti crudeli e non necessari, il riferimento ai lavori e alle fatiche incompatibili con la natura dell’animale (come singolo e come membro della sua specie) ripropongono il perimetro della “senzienza”. Il perimetro, cioè, che vede nell’animale un essere capace di soffrire, e che segna di conseguenza un limite all’azione dell’uomo, imponendogli di evitare ogni inutile morte e ogni inutile afflizione. Così inteso il catalogo dei “diritti” degli animali parrebbe ridursi ad una sola pretesa, quasi a compensare il suo riconoscimento dilatato ad ogni animale. Un’unica pretesa ma sfaccettata e varia, poiché – com’è ormai pacifico – la sofferenza non è solo quella che lascia lesioni fisiche provocate da un’azione: è anche quella indotta per omissione[24]; anche quella che nasce dal mettere l’animale in «condizioni incompatibili con la [sua] etologia», «in un ambiente nel quale non può estrinsecare i suoi comportamenti naturali»[25]. La vera sfida è di dare effettività a questa pretesa, perché gli animali, va da sé, non hanno voce in giudizio e chi potrebbe “rappresentarli” (il proprietario) spesso è proprio chi, per insensibilità o interesse, è causa del loro malessere: di qui gli enormi spazi (ma anche i gravosi compiti) che si aprono per le attività del Garante degli animali.

 

3. L’istituzione e i compiti del Garante regionale per i diritti degli animali.

La Regione Piemonte è stato il primo Ente regionale ad aver istituito il Garante per i diritti degli animali con l’art. 19 (Garante per i diritti degli animali) della L. r. n. 6/2010[26]. In questo articolo le competenze del Garante sono enunciate in modo generale: esse risultano finalizzate alla realizzazione di un piano organico di interventi, su tutto il territorio regionale, riferiti alla salvaguardia dei diritti degli animali.

Tali diritti, dice lo stesso articolo, devono essere tutelati anche attraverso il rafforzamento di forme di raccordo delle azioni svolte dalle varie amministrazioni pubbliche che se ne occupano, eventualmente potenziando e coordinando quelle già in attuazione.

Nelle sue attività, il Garante, incardinato nel Consiglio Regionale, opera comunque in piena autonomia e con indipendenza di giudizio e di valutazione; l’elencazione più specifica delle funzioni del Garante è contenuta nel successivo articolo 20, dove al Garante sono attribuiti compiti in svariati ambiti e in sinergia con diversi soggetti[27].

Per riassumere le varie indicazioni, si può leggere l’articolo in modo meno schematico.

In primo luogo, il Garante ha compiti che potremmo definire “operativi” e “d’emergenza”, sia nel caso di lesioni ad animali che soggetti terzi gli segnalino, sia nel caso che lui stesso ne venga a conoscenza nell’esercizio delle sue funzioni. Infatti, semplici cittadini e associazioni operanti nel campo della tutela degli animali possono segnalargli atti o comportamenti lesivi dei diritti degli animali e il Garante può denunciare o segnalare all’autorità giudiziaria quegli atti o comportamenti configurabili come reati. Peraltro, nei giudizi che riguardino il maltrattamento degli animali può costituirsi parte civile.

Un secondo ambito di competenza del Garante è quello che si potrebbe definire di “promozione della conoscenza”, di “studio e ricerca”, di “divulgazione”, anche operando con e verso differenti soggetti. Per esempio, nei confronti di quello che l’art. 20 definisce “il pubblico”, il Garante può curare la conoscenza sulla tutela dei diritti degli animali attraverso la divulgazione delle normative che regolano la materia, al fine di sollecitare una sempre maggiore sensibilità per la salvaguardia dei diritti degli animali. Ciò può essere fatto anche informando l’opinione pubblica sugli interventi attuati, o attuabili, attraverso la collaborazione delle istituzioni pubbliche con le associazioni animaliste. Tra l’altro, lo scambio di informazioni può coinvolgere anche organismi internazionali, oltre a quelli regionali e statali.

Uno strumento in grado di informare sull’attività del Garante, permettendo di conoscere le condizioni degli animali in Piemonte e lo stato di attuazione dei loro diritti, è la Relazione annuale la cui stesura è affidata al Garante sempre dall’art. 20.

Un’ulteriore attività del Garante è quella che si potrebbe definire “di proposta”, sia su iniziativa esclusivamente propria, sia su richiesta delle istituzioni locali. In questo senso, può segnalare alla Giunta e/o al Consiglio regionali l’opportunità di assumere provvedimenti normativi, sulla base della sua valutazione circa le reali condizioni degli animali, anche nel caso di innovazioni legislative statali o sovranazionali che richiedano un adeguamento regionale. Come detto, anche le istituzioni locali possono sollecitare il Garante affinché questi formuli proposte dirette all’elaborazione di progetti per il miglioramento delle condizioni di vita degli animali.

Un corollario dei rapporti sinergici tra Garante ed enti locali è quello che prevede la realizzazione, da parte del primo, sulla base di indicazioni provenienti dai secondi, di una mappa dei servizi pubblici e privati a favore degli animali. Tale mappatura deve anche evidenziare le risorse destinate alla salvaguardia dei diritti degli animali e deve analizzare la situazione tanto a livello regionale che comunale che (ex)provinciale.

Sono state lasciate per ultime due competenze di fondamentale rilevanza ma, anche, dai contorni più sfumati e problematici e, proprio per questo, meritevoli di attenta analisi.

Le lettere f) e g) del comma 1 dell’art. 20 parlano di “analisi” e “vigilanza” sulle condizioni di vita e di allevamento degli animali. Sono segnalate in modo specifico le situazioni relative ad animali provenienti da altri paesi ma anche gli animali “residenti” in circhi, zoo, allevamenti, negozi di animali, rifugi, canili; animali sottoposti a sperimentazione, a macellazione, a trasporto. All’elenco occorre poi aggiungere le gare e competizioni sportive, quindi gli ambienti a rischio come cinodromi, ippodromi, maneggi (e luoghi similari), senza dimenticare le numerose manifestazioni legate alle tradizioni locali dove sono impiegati gli animali.

L’elenco comprende praticamente tutte le situazioni di mantenimento degli animali.

I commi f) e g) sollecitano delle riflessioni su una problematica di tipo pratico, ovvero quali strumenti sono a disposizione del Garante per vigilare sulle condizioni di vita degli animali? Infatti tutte le situazioni di mantenimento degli animali, su cui si dovrebbe vigilare, sono attività private relativamente alle quali il Garante non ha alcun potere ufficiale, quale può essere il riconoscimento di Ufficiale di Polizia Giudiziaria, che permetta di effettuare delle attività in proprio.

Evidentemente a tale ostacolo si può ovviare richiedendo la collaborazione delle Forze dell’Ordine, Carabinieri, Carabinieri Forestali; però si comprende come tale procedimento debba seguire un protocollo decisionale e applicativo che non rende veloce l’attività pratica.

Un altro problema è il rapporto con il Servizio veterinario, il quale è responsabile su tutte le tipologie di mantenimento degli animali, per cui è possibile – ad esempio – che le segnalazioni, previste dalla legge, in arrivo da cittadini o associazioni richiamino l’attenzione su situazioni che possono essere sfuggite all’organo ufficiale di vigilanza e controllo. In simili casi è evidente che si apre un delicato confronto tra il Garante e il Servizio veterinario competente territorialmente.

Questi due elementi, la possibilità di intervento del Garante e i rapporti istituzionali con il Servizio veterinario regionale, sono i due fattori che più richiedono attenzione, anche eventualmente intervenendo con una successiva integrazione legislativa, ai fini della piena applicabilità della legge 06/10.

 

4. L’attività svolta dal Garante.

Il Consiglio regionale ha pubblicato un opuscolo esplicativo[28] sul Garante dei diritti degli animali ed è stata attivata e aggiornata, sul sito del Consiglio Regionale stesso, una pagina dedicata al Garante. Anche la Relazione annuale dell’attività svolge un ruolo di comunicazione in quanto può diventare utile a incentivare l’interscambio conoscitivo e operativo tra la cittadinanza e l’ufficio di garanzia.

Finalità conoscitiva ha ispirato anche i convegni ospitati in Consiglio regionale sulla gestione del lupo e dei cinghiali e le due mostre nei locali della Regione Piemonte, “Animali nocivi?” e “Relazioni naturali”.

Personalmente il Garante è intervenuto in alcune trasmissioni televisive ed è stato intervistato dagli organi della stampa sul caso del contenimento delle nutrie e sulla gestione della popolazione della colonia felina del carcere Lorusso e Cutugno.

Per quanto si riferisce alle proposte legislative, è stata predisposta, in collaborazione con gli uffici del Consiglio regionale, una legge di disciplina dei rifugi per animali zootecnici. Tre sono in Piemonte le strutture, tutte visitate del Garante, che ospitano animali usciti dalla filiera produttiva, che accolgono bovini, suini, capre, cavalli, pecore, oche, anatre, asini, attualmente privi di norme di riferimento.

 Il Garante è stato invitato a Convegni a Santa Margherita Ligure, sulla bioetica, a Genova sul Pronto Soccorso degli animali, sulla gestione dei cinghiali e sull’alimentazione vegetariana e infine dall’Istituto Zooprofilattico di Teramo sul progetto di controllo incruento delle nutrie. Vi è stata anche una intervista da parte della trasmissione “Le Iene”, di commento alle immagini di un allevamento suino in pessime condizioni e una citazione sul Guardian relativa alle modalità di taglio della coda dei suinetti.

 I molti animali di affezione convenzionali e non convenzionali, quali pesci, uccelli, rettili, ma anche zootecnici quali maiali e galline, hanno richiesto una certa mole di attività. A Torino vi è stato il caso, arrivato agli onori della stampa, di un maiale di nome Elvis, tenuto per affetto in un condominio del quartiere di Mirafiori; storicamente è stato il primo caso seguito, con un intervento che ha permesso di regolarizzarne la posizione.

Gli animali convenzionali, cani e gatti, hanno il primato di richieste di attenzioni; in particolare, più che problemi di animali in contesti familiari, sono state le casistiche relative ai concentramenti di animali nei canili. Alcune sollecitazioni si sono concentrate sul mancato rispetto del Regolamento n 320 della Città di Torino – Tutela e benessere animali – in quanto in alcuni locali si impedisce l’ingresso ai cani senza la prevista segnalazione alla Consulta animalista della Città di Torino; ragion per cui il Garante ha intrapreso un percorso con l’amministrazione comunale per rendere più esplicito il contenuto del Regolamento. Il canile di Torino è stato oggetto di sopralluogo e per quello di Cuneo si è avuto un colloquio con l’Assessore incaricato, per verificare le modalità di conduzione.

Per i gatti, inevitabilmente, le comunicazioni si sono soprattutto incentrate sulle colonie feline, che risultano in aumento esponenziale; il punto critico rimane il controllo del numero dei felini tramite le operazioni di sterilizzazione che spetterebbero ai comuni i quali, però, in tempi di carenze economiche molto sottolineate a livello di amministrazioni locali, rispondono in modo insufficiente alle richieste dei volontari che gestiscono le colonie. Il Garante ha intrapreso attività di interlocuzione con i comuni allo scopo di verificare le situazioni portate all’attenzione, cercando di sollecitare un maggior intervento da parte dei comuni.

Il Piemonte è una delle principali regioni per la presenza di animali utilizzati in zootecnica; tuttavia, forse per la novità, vi è stata una sola segnalazione relativa alle condizioni degli animali, per la quale è stato effettuato un sopralluogo con successiva comunicazione ai Carabinieri Forestali responsabili territorialmente.

A far tempo dal 2017 è stato emanato il Decreto legislativo 230 del 15 dicembre 2017, in vigore dal 14 febbraio 2018, il quale riprende il Regolamento UE 1143/14 che stabilisce la rimozione degli animali di specie non autoctone europee ricorrendo a metodi biologici oppure agli abbattimenti[29]. Come si può facilmente comprendere, normalmente prevalgono le decisioni a favore degli abbattimenti degli animali trascurando la possibilità di ricorrere ad altri metodi; e tali decisioni sono contestate dalle associazioni di difesa degli animali che desidererebbero scelte a favore di sistemi incruenti. Con questo indirizzo, il Garante si è interessato per promuovere un progetto alternativo per il controllo della popolazione delle nutrie nella Città di Torino tramite la sterilizzazione ad opera dei Professori universitari del C.a.n.c., Centro Animali Non Convenzionali.

Gli animali selvatici hanno richiesto attenzione, in primo luogo quando la regione è stata interessata da una serie di incendi che hanno motivato il Garante a sollecitare l’Assessore delegato riguardo al destino degli animali. Altrettanto impattante sull’opinione pubblica è il fenomeno della presenza dei cinghiali che registra posizioni contrastanti, tra progetti di abbattimento e sollecitazioni ad applicare sistemi incruenti di gestione. Allo scopo ci sono stati vari incontri con gli amministratori della Città Metropolitana di Torino, che emana i piani di abbattimento, e le associazioni di tutela degli animali, con il coinvolgimento del Garante dei diritti animali. Sulla questione si sta lavorando per cercare una modalità per costruire nel futuro piani di contenimento che vedano la partecipazione delle associazioni.

Altra problematica è il soccorso degli animali selvatici feriti per i quali, con la drastica riduzione delle ex Guardie Provinciali, diventa pressoché impossibile il loro trasporto nelle sedi dove possano essere curati; si è pertanto intrapreso un percorso innovativo che porterà alla soluzione del problema, di concerto con il Servizio veterinario, l’Assessorato alla Sanità.

In Piemonte, come ovunque in Italia, si svolgono svariate manifestazioni che prevedono la corsa di animali non appartenenti alla specie degli equidi come buoi, galline, oche. Il Garante è stato interessato soprattutto dal caso delle corse dei buoi di Caresana e Asigliano in seguito ai quali si sono avuti incontri con il Sindaco di Caresana e con il dirigente dell’Ufficio regionale Promozione delle Attività Culturali, del Patrimonio Linguistico e dello Spettacolo. Come primo riscontro vi è stato l’adeguamento del percorso, a cura degli organizzatori, con la predisposizione sulla superficie asfaltata di materiale adatto, come previsto dalle leggi nazionali e regionali. Certamente rimane il punto critico sollecitato da questo tipo di eventi che richiedono un impegno fisico non adeguato agli animali impiegati (esempio buoi e volatili); e ciò a sua volta solleva una riflessione che riguarda il principio etico sulla liceità dell’utilizzo degli animali da parte degli esseri umani, che però non ha al momento rilevanza pratica poiché tali eventi sono regolarmente autorizzati.

Per quanto concerne gli zoo o bioparchi o altre attività simili il Garante ha effettuato sopralluoghi allo Zoo Safari di Pombia e al Parco Safari di Murazzano. Il sopralluogo di Pombia, effettuato in concorso con attivisti di un’associazione animalista, ha dato corso ad una segnalazione al Ministero competente in quanto, come in altre strutture simili, si è evidenziata un’attività di esibizione di animali, specialmente leoni marini, che non rientrano nelle specifiche autorizzative di tali esercizi.

Relativamente ai circhi, si è svolto un sopralluogo, nel mese di dicembre, congiuntamente con l’Assessore delegato del Comune di Torino, al Circo Togni attendato nel parco della Pellerina; nel sopralluogo si sono individuate alcune problematiche nelle modalità di mantenimento degli animali, soprattutto elefanti e tigri, che porteranno ad un maggiore controllo dei circhi, in occasione di future presenze nella città.

Poiché anche in Piemonte vi sono laboratori che effettuano la sperimentazione con animali, si è iniziato a raccogliere dati sul reale impatto della pratica per conoscere il numero di animali utilizzati. Altra attività è stato un incontro con un’associazione animalista per diffondere la conoscenza della legge regionale che incentiva le attività sperimentali sostitutive degli animali.

Le segnalazioni pervenute nel corso del 2018 sono state ventiquattro, otto sui cani, cinque sui gatti, una sui bovini, nove per varie tipologie di animali, una sulla sperimentazione animale. Per alcune si sono eseguiti dei sopralluoghi e a tutte si è data risposta, anche instaurando una corrispondenza con il Servizio veterinario competente.

 

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[1] Ricercatore in Diritto privato presso l’Università di Torino.

[2] Garante dei diritti degli animali della Regione Piemonte.

[3] Si consideri che per l’art. 9, comma 23° del regolamento n. 320 della Città di Torino l’uso di petardi, botti, e fuochi d’artificio è vietato su tutto il territorio comunale e la loro attivazione «può configurarsi come maltrattamento e comportamento lesivo nei confronti degli animali». 

[4] Sui problemi etico-giuridici posti dalla sofferenza e dallo sfruttamento degli animali, che impongono di ridiscutere la tavola dei valori ereditata dalla tradizione, si rinvia ai tanti contributi raccolti nel volume a cura di Castignone S. e Lombardi Vallauri L. (2012), La questione animale, nel Trattato di biodiritto, diretto da Rodotà S. e Zatti P., Milano, Giuffrè.

[5] Uno degli esiti più curiosi di questa umanizzazione sono i processi agli animali che ci riportano ai secoli “bui” scandagliati da Pastoureau M. (2007), Medioevo simbolico, Bari-Roma, Laterza, traduz. di Riccardi R., pp. 25 ss.: lì si narra del processo alla scrofa di Falaise, rea di infanticidio e condotta al patibolo agghindata in abiti umani di fronte al villaggio e ad uno stuolo di maiali radunati per ammaestramento. I“moderni” processi inscenati nel vicentino contro l’orso Gené reo di aver devastato allevamenti sull’Altopiano di Asiago – cfr. l’articolo di Randon E. (2015), E venne a giudizio l’orso Gené, «Lo assolviamo, è una bestia», su https://corrieredelveneto.corriere.it del 23 febbraio 2015 – e contro il gallo Maurice accusato Oltralpe di molestare i vicini con i suoi canti toppomattutini (cfr. l’articolo Le procèsducoq Maurice, accusé de chantertroptôt, reportéau 4 juilletsu https://www.parismatch.com del 6 giugno 2019) sono l’eco lontana e burlesca di quelle cronache medievali.

[6] Cfr. ad es. Concas A. (2017), Il reato di maltrattamenti di animali, in https://www.diritto.it. consultato il 28 giugno 2019, secondo cui «chi decide di prendere un animale e in particolare un cane, lo deve fare con la consapevolezza che il cane diventa membro della famiglia e deve avere quasi le stesse attenzioni rivolte a un figlio».

[7] La frequentazione con il padrone, la cura, l’attribuzione di un nome, la non edibilità e l’eventuale sepoltura sono i tratti salienti che qualificano un animale come “d’affezione”: così Donadoni P. (2012), Animali e relazioni famigliari, in La questione animale, cit., p. 583. Sul nome quale fattore di «individualizzazione» che fa sì che l’animale domestico non possa essere trattato come un bene fungibile: Martini G. (2017), La configurabilità della soggettività animale: un possibile esito del processo di ‘giuridificazione’ dell’interesse alla loro protezione, in Rivista Critica del Diritto Privato, p. 149.

[8] Secondo un’affermazione costantemente ripetuta «il crescente interesse verso gli animali da compagnia trova un’ulteriore motivazione nella fisionomia dell’attuale organizzazione sociale, caratterizzata da nuclei familiari sempre più ridotti, col conseguente aumento delle persone sole e quindi bisognose di affetto e compagnia»: così ad es. si legge nella scheda “Tutela del benessere” sul sito www.salute.gov.it consultato il 28 giugno 2019. 

[9] È la Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia fatta a Strasburgo il 13 novembre 1987 e ratificata dall’Italia con legge 4 novembre 2010, n. 201.

[10] Come il d.d.l. n. 93 presentato il 23 marzo 2018 alla Camera, prima firmataria l’on. Brambilla.

[11] Cfr. l’art. 30 del Codice del turismo: decreto legislativo 23 maggio 2011 n. 79.

[12] La legge 28 dicembre 2015 n. 221 che ha aggiunto il numero 6-bis all’art. 514 cod. proc. civ.

[13] Sulla questione animale come parte della questione ambientale: Grassi S. (2012), La tutela degli animali nella prospettiva della “tutela dell’ambiente e dell’ecosistema”, in La questione animale cit., pp. 309 ss.

[14] Il riferimento è in particolare al Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (in acronimo TFUE) il cui art. 13 dispone: «Nella formulazione e nell’attuazione delle politiche dell’Unione […], l’Unione e gli Stati membri tengono pienamente conto delle esigenze in materia di benessere degli animali in quanto esseri senzienti […]». Sul tema Barzanti F. (2013), La tutela del benessere degli animali nel Trattato di Lisbona, in Diritto dell’Unione Europea, pp. 49-71.

[15] Sul concetto di “senzienza” rinvio alle articolate riflessioni di de Mori B. (2012), La “questione del benessere animale” dal rapporto Brambell alla “scienza” del benessere, in La questione animale, cit., pp. 93 ss. «Senzienti – si legge ivi a p. 100 – sono gli animali in grado di provare, cioè di sentire, una gamma di stati soggettivi che vanno dalle emozioni, alle percezioni alle sensazioni e in grado (in misura variabile a seconda delle specie coinvolte) di averne consapevolezza e quindi di farne esperienza». Difficile dire se l’assonanza è voluta; certo è che questo aggettivo suggerisce reminiscenze aristoteliche con particolare riferimento alla tripartizione delle funzioni dell’anima: nutritiva o vegetativa (propria di tutti gli esseri viventi); intellettiva (specifica dell’uomo); e, appunto, sensitiva, comune agli animali e all’uomo.

[16] Così si legge nella scheda Diritti degli animali in http://www.salute.gov.it consultata il 14 giugno 2019. Sulle basi biologiche e psicologiche del dolore, quale sistema – comune a uomini e animali – per apprendere dall’esperienza le fonti di pericolo ed evitarle per l’avvenire: v. per tutti, Moriconi E. (2019), Il dolore degli animali, in Moriconi E. e Soccini C. (a cura di), Il dolore degli innocenti, Torino, Ed. Triskel, pp. 35-69.

[17] Sul punto e per un’articolata rassegna delle fonti, interne e internazionali, sulla protezione degli animali rinvio a Martini G. (2017), La configurabilità della soggettività animale, cit., pp. 110-122. Per la Dichiarazione universale del 1978 v., specialmente, p. 120. Benché priva di un’effettiva forza vincolante, questa dichiarazione lascia subito intendere, col suo ampio respiro internazionale, come la questione animale sia ormai un tema globale, che attraversa tutti i sistemi giuridici. Per un interessante approccio comparatistico: Francavilla D. (2012), Comparare il diritto degli animali, in La questione animale, cit., pp. 823 ss.: rileva l’Autore come il rapporto uomo animale sia affidato, da tempi antichissimi, a regole giuridiche; sulle quali si sono riversate le nuove riflessioni etico-politiche che a partire dagli anni ’70 del secolo scorso hanno imposto con forza, a livello globale, una «nuova» questione animale (Francavilla, op. cit., p. 825). Segno tangibile di questa rinnovata sensibilità sono gli insegnamenti di diritto degli animali fioriti in importanti scuole giuridiche (Harvard e Stanford, ad esempio), la nascita di riviste specializzate in tema di Animal Law e, più in generale, «la formazione di una comunità transnazionale di giuristi che lavora stabilmente su questi temi e quindi una maggiore elaborazione dottrinale» (ibidem, p. 825). In questa prospettiva globale si vedano, in particolare, i numerosi contributi di Anne Peters, tra cui, ad esempio, Peters A. (2017). Introduction to Symposium on Global Animal Law (Part I): Animals Matter in International Law and International Law Matters for Animals in AJIL Unbound, 111, pp. 252-256; nonché Peters A. (2016). Global Animal Law: What It Is and Why We Need It. in Transnational Environmental Law, 5:1, pp. 9-23. Da ultimo v. inoltre Blattner C.E. (2019), Protecting animals within and across borders. Extraterritorial jurisdiction and the challenges of globalization, Oxford University Press. Si segnala infine l’utile e ricco database consultabile sul sito del G.A.L. (Global Animal Law) project, all’indirizzo www.globalanimallaw.org/database: esso raccoglie le principali disposizioni normative in tema di diritti degli animali a livello nazionale, europeo, internazionale e globale.

[18] Essa spezza una tradizione millenaria che equiparava le bestie alle cose e che, per le bestie da lavoro o per quelle allevate per essere sfruttate, arrivava quasi a incorporare l’animale nel bene a cui era asservito: pecora sunt membra fundorum diceva ad esempio un antico brocardo: lo ricordano Giuriati D. e Pincherle G. (1882), Le voci del diritto italiano spiegate in ordine alfabetico, Torino, Roux e Favale, p. 507.

[19] In verità la norma si limita a prevedere che una liberalità mortis causa «fatta a un animale equivale all’onere di prendersi cura dell’animale in maniera appropriata».

[20] Lo rileva esattamente Caterina R. (2019), Le persone fisiche, Torino, Giappichelli, p. 16.

[21] Rileva ancora Caterina, op. cit., p. 17 che «non sarebbe inconcepibile […] che il diritto tratti l’animale come un bambino oppure come una persona giuridica. Non pare, però, che nessun sistema giuridico si sia messo, per il momento, su questa strada».

[22] Non di rado tali pronunce mimano – nelle soluzioni e nel lessico – la disciplina dell’affido dei figli. Un esempio emblematico è dato da un recente provvedimento del Tribunale di Sciacca, decr. 19 febbraio 2019, edito on line su news.ilcaso.it: nella specie il giudice ha assegnato il gatto di famiglia al marito in quanto idoneo ad «assicurare il miglior sviluppo possibile dell’identità dell’animale» ed il cane «ad entrambe le parti, a settimane alterne, con spese veterinarie e straordinarie al 50%».

[23] Legge 20 luglio 2004, n. 189, Disposizioni concernenti il divieto di maltrattamento degli animali, nonché di impiego degli stessi in combattimenti clandestini o competizioni non autorizzate. Sui principi di fondo della legge v. Pavich G. e Muttini M. (2016), La tutela penale degli animali, Milano, Giuffrè, pp. 10 ss. Sulle fattispecie penali a tutela degli animali cfr. inoltre Fasani F. (2017), L’animale come bene giuridico, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, pp. 710 ss.

[24] Da ultimo Cass. sez. III pen., 23 maggio 2019, n. 22579.

[25] Cfr. Bocchio M. (2017), Garante dei diritti degli animali, Torino, Consiglio regionale del Piemonte, pp. 14 e 26 rispettivamente.

[26] Legge regionale 18 febbraio 2010, n. 6, intitolata “Norme per la detenzione, l’allevamento, il commercio di animali esotici e istituzione del Garante per i diritti degli animali”. Si riportano, in particolare, i primi 3 commi dell’art. 19. Essi recitano: comma 1: «E’ istituito il Garante per i diritti degli animali al fine di realizzare un piano organico di interventi, su tutto il territorio regionale, riferiti alla salvaguardia dei diritti degli animali nonché a rafforzare la cooperazione per lo sviluppo della tutela dei diritti degli animali, attraverso forme di potenziamento e di coordinamento delle azioni svolte dalle pubbliche amministrazioni, dalle province e dagli enti locali piemontesi»; comma 2: «Il Garante opera in piena autonomia e con indipendenza di giudizio e di valutazione ed è nominato dal Consiglio regionale, tra esperti di riconosciuta competenza nel settore dei diritti degli animali»; comma 3: «Il Garante dura in carica cinque anni e non può essere riconfermato per più di una volta».

[27] I compiti del Garante sono analiticamente elencati dall’art. 20 in 10 punti, dalla lettera a) che riguarda la ricezione di segnalazioni e reclami, fino alla lettera j) che concerne la relazione annuale che il Garante stesso, entro il 30 aprile, deve trasmettere al Consiglio. Come precisa il comma 2, nello svolgimento dei suoi numerosi compiti «il Garante può intrattenere rapporti di scambio, di studio e di ricerca con organismi regionali, statali, europei ed internazionali operanti nell’ambito della tutela e della salvaguardia dei diritti degli animali». Il 3° e ultimo comma prevede infine che il Garante possa costituirsi parte civile nei giudizi concernenti il maltrattamento di animali secondo la disciplina del codice di procedura penale.

[28] Cfr., retro, la nota n. 25.

[29] Decreto legislativo 15 dicembre 2017, n. 230 Adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) n. 1143/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 ottobre 2014, recante disposizioni volte a prevenire e gestire l’introduzione e la diffusione delle specie esotiche invasive.