L’archivio dell’avvocato Bianca Guidetti Serra. Prime considerazioni

Francesco Campobello[1]

Il presente contributo trae spunto e sviluppo dalla relazione tenuta in occasione dell’Incontro di studio sull’Archivio di Bianca Guidetti Serra il 24 febbraio 2016, a Torino presso la Fondazione per l’Avvocatura Torinese “Fulvio Croce”.

 

1. Introduzione.

L’archivio di Bianca Guidetti Serra, conservato presso il Centro studi Piero Gobetti, a Torino, racchiude nei suoi oltre seicento faldoni la storia biografica e lavorativa dell’avvocato, attraversando quasi tutto il XX secolo.

Anche se la storia personale e professionale dell’avvocato Guidetti Serra è legata soprattutto alla storia della città di Torino e più in generale della Regione Piemonte, tuttavia le sue battaglie non sono state affatto limitate al solo ambito locale. Bianca Guidetti Serra (Torino 19 agosto 1919 – Torino 24 giugno 2014) ha esercitato dal 1947 al 2001 come avvocato penalista, del lavoro e di famiglia a Torino. È stata, come è noto, la forza motrice dei giuristi democratici, ha contribuito a molte battaglie civili come avvocato militante, è stata parte attiva della società civile e della sinistra ricoprendo anche incarichi istituzionali nella Camera dei Deputati (X legislatura) e nel Consiglio Comunale di Torino[2]. L’avvocato Guidetti Serra ha avuto un ruolo centrale in processi, che sono rimasti il simbolo di svolte, politiche e processuali, nella Torino del secondo Novecento. Pioniera nella difesa dei soggetti deboli, ha partecipato a molti processi, di cui abbiamo preziosa documentazione nell’archivio professionale[3]. Essi sono stati utilizzati come occasione per mettere in discussione alcuni istituti giuridici civili, penali, processuali e per far riflettere, attraverso le argomentazioni e le considerazioni svolte nelle arringhe, sull’intero sistema sanzionatorio del codice Rocco.

Bianca Guidetti Serra si era formata culturalmente e politicamente durante il Ventennio; ma, già nel 1938, si era schierata contro il fascismo al momento dell’emanazione delle leggi razziali, insieme ad un gruppo di giovani amici, alcuni dei quali di famiglia ebraica, tra cui Primo Levi ed Alberto Salmoni, che diverrà suo marito. Laureatasi in Giurisprudenza nell’estate del 1943, dopo l’armistizio aderì alla Resistenza, nelle file del Partito comunista, responsabile femminile del settore Centro cittadino; in tale contesto il suo impegno principale fu dedicato a organizzare quel movimento femminile unitario tra le varie componenti politiche del CLN che prese il nome di «Gruppi di difesa della donna e per l’assistenza ai combattenti della libertà», e di cui Bianca Guidetti Serra fu attiva promotrice a Torino insieme ad Ada Gobetti, esponente del Partito d’Azione[4].

Nel dopoguerra proseguì l’attività politica ricoprendo alcuni incarichi presso la Camera del Lavoro di Torino e prestando assistenza nell’Ufficio legale del sindacato sino al 1947 quando si dedicò all’attività professionale, che avrebbe continuato a svolgere fino al 2001, soprattutto come avvocato penalista[5].

Nonostante avesse concluso la sua militanza nel Partito Comunista Italiano nel 1956, dopo l’invasione da parte dell’Unione Sovietica dell’Ungheria, rimase però sempre legata per tutta la vita agli ambienti della sinistra comunista e socialista e, poi, extraparlamentare. Nell’archivio infatti sono conservati molti materiali del e sul PCI fino allo scioglimento e sugli eredi sino al Partito Democratico, oltre che delle varie formazioni politiche di estrema sinistra dal 1967. Il suo legame con il Partito Comunista Nell’ambito del suo legame con il mondo del Partito Comunista si colloca la sua seconda esperienza nel Consiglio Comunale di Torino come indipendente nel PdS (Partito democratico della Sinistra). Con la fine della militanza partitica intensificò il suo ruolo professionale, sempre rimanendo molto sensibile all’impegno civile e sociale esercitato anche tramite associazioni culturali e politiche tra le quali il Centro studi Piero Gobetti, l’Anfaa (Associazione nazionale famiglie adottive e affilianti), l’Uces (Unione contro l’emarginazione sociale), l’Udi (Unione Donne Italiane), l’Associazione Giuristi Democratici[6].

Dall’analisi della documentazione emerge una netta scelta, anche fuori dal contesto politico, di esercitare accettare il ruolo di difensore nei processi penali in cui gli imputati erano soggetti deboli. Si segnalano comunque rari processi in cui intervenne come parte civile, stante la particolare percezione di ingiustizia derivante dalla commissione del fatto illecito. È significativa una causa in cui Guidetti Serra si costituì parte civile per i maltrattamenti subiti dai pazienti psichiatrici detenuti a Villa Azzurra a Collegno per opera del dottor Coda[7].

Molti sono gli esempi di come intendeva l’esercizio della professione tra cui i numerosi processi da lei patrocinati che vedevano come imputate donne accusate di omicidio o tentato omicidio dei propri uomini, mariti o fidanzati (molti sono i casi di ragazze minori) in contesti di accertata violenza domestica. In questi casi la Guidetti Serra cercava di valorizzare le attenuanti previste dall’ordinamento ai fini del calcolo della pena che portarono in alcuni casi addirittura ad irrogare una pena inferiore alla moglie che aveva tentato di uccidere il marito rispetto a quella comminata nel processo al marito accusato di lesioni. In altri casi la sua difesa riuscì ad ottenere una derubricazione del titolo di reato da tentato omicidio al reato di lesioni. Dal punto di vista delle pene si segnala poi il positivo risultato che spesso otteneva rispetto alla pena richiesta dal Pubblico Ministero, cosa ancora più rilevante se si considera che sia la magistratura che il foro – oltre che la società nel suo complesso – erano poco attenti alle questioni di uguaglianza di genere in un clima di generale diffusione e tolleranza di episodi di violenza domestica. Nelle sue arringhe ben evidenziava il contesto sociale spesso drammatico da cui provenivano tanto gli imputati quanto le vittime: si trattava infatti di famiglie che dovevano affrontare al loro interno problematiche, spesso intrecciate tra di loro, quali la prostituzione, la dipendenza da sostanze psicotrope, le malattie mentali, la scarsa alfabetizzazione, il degrado economico e culturale. Nei documenti conservati si trovano spesso a margine degli atti processuali commenti e opinioni che si presume venissero poi utilizzati durante le arringhe e che testimoniano l’opinione personale della Guidetti Serra sulle cause che trattava.

 

2. Gli archivi degli avvocati: un’importante fonte per lo studio della storia del diritto.

Il progetto di riordino e catalogazione dell’archivio professionale e personale di Bianca Guidetti Serra muove dal convincimento ormai riconosciuto della necessità di una crescente valorizzazione della documentazione prodotta dalla professione forense come fonte per la storia del XX secolo. Ne sono una conferma alcuni incontri scientifici, in Italia e all’estero, in cui tale valenza rispetto al processo generale di costruzione della memoria novecentesca è stata al centro degli interventi di storici, archivisti, sociologi del diritto, giuristi e avvocati[8].

Sono specialmente gli archivi degli avvocati impegnati politicamente, anche a livello nazionale, a essere ormai considerati una preziosa fonte di documentazione inedita che può contribuire allo studio della storia, del diritto e della società[9]. Si possono segnalare ad esempio il fondo Angiolo Gracci, depositato e inventariato presso l’Istituto della Resistenza in Toscana, e quello di Nicole Dreyfus (che con Bianca Guidetti Serra fece parte della delegazione organizzata nel 1959 dalla Federazione internazionale delle donne democratiche nelle carceri nella Spagna di Franco) in corso di acquisizione da parte della Bibliothèque de documentation internationale contemporaine. Come detto, i casi finora ricordati si riferiscono ad avvocati militanti (cause lawyers) che hanno esercitato il ruolo di avvocato a fianco degli emarginati, dei soggetti più fragili, partecipando attivamente alla difesa dei diritti civili e sociali, spesso esercitando ruoli di primo piano in processi esemplari con imputati politicamente esposti. Si tratta dunque di soggetti che scelgono di mettere i loro saperi tecnico professionali al servizio di un impegno politico: a questa categoria appartiene certamente anche Bianca Guidetti Serra. Va comunque notato che la rilevanza degli archivi degli avvocati coinvolge l’intera categoria professionale. In una prospettiva di medio termine essi possono rivelarsi per lo studio della storia del diritto un’utile fonte alternativa e integrativa rispetto alla documentazione conservata dagli uffici giudiziari[10].

 

3. Il progetto di riordino dell’archivio.

L’archivio è composto da circa 640 faldoni che corrispondono a 70 metri lineari di documentazione. Le carte sono state destinate al Centro studi Piero Gobetti con donazione dalla stessa Bianca Guidetti Serra[11]. L’archivio è stato dichiarato di interesse storico particolarmente importante dal soprintendente archivistico per il Piemonte e la Valle d’Aosta, Marco Carassi, il 30 giugno 2006[12]. La documentazione è affluita in gran parte al Centro Gobetti al momento dell’atto di donazione e dopo la morte dell’avv. Guidetti Serra (giugno 2014) essa è stata integralmente versata. Il progetto di riordino dell’archivio di Bianca Guidetti Serraha un’importante valenza archivistica, storica, culturale e civile. Sul ‘piano archivistico’ il progetto permette di descrivere le carte di uno dei più importanti «avvocati militanti» del nostro Paese. Sul ‘piano culturale’ il riordino dell’archivio metterà a disposizione degli studiosi una fonte preziosa per l’analisi della storia del diritto e della giurisprudenza in Italia in relazione all’evoluzione del costume e ai principali avvenimenti storici e politici. Quanto infine al ‘piano civile’ la realizzazione del progetto restituirà nei suoi vari contorni la figura di una protagonista del nostro tempo che può rappresentare un esempio sul piano dei valori per le nuove generazioni[13].

L’archivio di Bianca Guidetti Serra può essere suddiviso in serie omogenee che danno il senso delle molte aree di interesse dell’avvocato. In primo piano vi sono naturalmente le carte relative agli atti processuali penali, nettamente maggioritari in confronto a quelli civili. I fascicoli penali attraversano molti filoni omogenei, creando delle vere e proprie serie archivistiche. Per importanza storica vanno certamente ricordati i processi che lo stesso avvocato definiva politici: in particolare i processi dei movimenti studenteschi e operai. Essa ha infatti avuto un ruolo di primo piano come avvocato della contestazione giovanile e operaia degli anni 1968-1977, nel processo sulle schedature Fiat[14], nei primi processi sulla salute in fabbrica e a tutela dell’ambiente, nella tutela dei diritti sindacali, e più in generale nella difesa degli ultimi: dai carcerati, alle donne, ai minori e in particolare agli orfani[15]. Questo tipo di documentazione, oltre ad essere fonte diretta per la ricostruzione di una intera vita professionale e di momenti significativi della storia giudiziaria italiana, offre un vasto materiale documentario come fonte indiretta per i molteplici contesti che incrociano nel campo della storia sociale e politica del secondo Novecento italiano. La tipologia dei documenti comprende in genere: sentenze e ordinanze giudiziarie; trascrizioni di interrogatori; perizie di esperti presentate ai tribunali; ritagli e pagine di giornali o riviste con articoli in merito ai relativi processi; opuscoli o saggi di documentazione giuridica e più in generale sociale attinente al caso; note e appunti manoscritti; lettere. Rispetto alla consultazione degli studiosi degli archivi professionali di avvocati si pone la questione del confine tra le carte che possono essere consultate e citate e ciò che invece è oggetto di riservatezza, tenuto conto, ovviamente, dei vincoli cui può essere soggetta la documentazione dei procedimenti processuali[16].

Accanto all’attività professionale, le carte restituiscono le tracce dell’impegno civile e politico di Bianca Guidetti Serra prima nei Gruppi di difesa della donna durante la Resistenza, poi con la militanza nel PCI dal 1943 fino alla rottura nel 1956, ancora attraverso l’attività nel sindacato CGIL subito dopo la Liberazione, e poi come promotrice di varie associazioni e membro di delegazioni all’estero in difesa dei diritti umani (Paraguay; Spagna in due occasioni: 1959 e 1973, quando presenziò come osservatrice al processo contro i «dieci di Carabanchel» e le Comisiones Obreras) e viaggi di amicizia (Russia, Cina negli anni della rivoluzione culturale), e infine in difesa dei diritti civili in Italia e all’estero. Tale impegno, come vedremo, si è concretizzato anche attraverso la presenza in ruoli istituzionali. I documenti raccolti nei faldoni sull’impegno civile sono i più vari e difficilmente riconducibili a una tipologia uniforme: si tratta di materiali a stampa e manoscritti, ciclostilati, dattiloscritti o fotocopie[17] che coprono i molteplici ambiti del suo impegno, l’azione relativa a partiti, sindacati, associazioni, sedi istituzionali in cui e con cui ha operato a livello locale, nazionale o internazionale.

 

4. La salute in fabbrica come diritto. Il caso dell’Ipca di Ciriè.

L’avvocato Guidetti Serra nella stagione delle lotte che ha condizionato gli anni ’70 e ’80 del secolo scorso si è concentrata anche nella difesa del mondo operaio, in particolarmente in quello organizzato, non solamente sindacale. Le condizioni del lavoro nelle fabbriche e la qualità della salute divenivano, quasi per la prima volta, strumenti di contrapposizione al sistema di produzione industriale. Le morti per malattie professionali, soprattutto, all’interno delle industrie aprirono anche a livello processuale un nuovo modo di affrontare il tema: non più soltanto in termini risarcitori, ma anche nella volontà di riformare e ripensare il modello industriale italiano. Il suo costante impegno in tale settore contro «le fabbriche della morte» la fecero divenire il punto di riferimento in questo ambito anche grazie ai primi processi Eternit e Ipca[18].

Più in generale Bianca Guidetti Serra in qualità di avvocato penalista si era spesso interrogata su questioni di fondo del diritto penale, come per esempio sulle cause della devianza[19], ma con riferimento alle morti per le condizioni di lavoro il suo sforzo intellettuale si fece più intenso.

A tal riguardo nella documentazione manoscritta, conservata nell’archivio, sul processo alla fabbrica chimica Ipca di Ciriè, vi sono alcuni appunti in cui l’avvocato riporta le sue riflessioni durante gli interrogatori degli imputati.

Scriveva, infatti, Bianca Guidetti Serra che: «Interrogativo che non è solo perplessità, è credo dubbio lancinante […] perché avrebbero voluto tanti morti? Tanti offesi nella loro integrità? Perché, mi correggo, avrebbero accettato il rischio? [sono] imputati particolari perché non collocabili nelle consuete sistemazioni. NO: sono imputati colti (o quantomeno laureati) con tradizione familiare di imprese, socialmente ben collocati, insomma capaci di intendere e di volere»[20].

Dagli appunti risulta però che le motivazioni difensive sia processuali sia pubbliche, attraverso i mezzi di stampa, non dissiparono le perplessità dell’avvocato.

Come è noto molte malattie professionali hanno una lunga fase in cui i sintomi non si rivelano, e, forse, questo aveva determinato nell’imprenditoria una criminale disinvoltura nel trascurare le conoscenze scientifiche sulla nocività già acclarate confidando in una prospettiva d’impunità. Le lotte politiche e sindacali di quegl’anni contribuirono fortemente al miglioramento delle condizioni di lavoro nelle fabbriche e alla consapevolezza della possibile nocività delle produzioni industriali. Al contempo il miglioramento delle tecniche mediche e la maggiore consapevolezza scientifica dei danni di certe lavorazioni, specie nel settore chimico, avevano progressivamente portato già nella prima metà del Novecento al superamento di alcune modalità di produzione. Il contesto sociale e politico intorno alla fabbrica Ipca di Ciriè aveva invece probabilmente permesso di procrastinare tali lavorazioni fino agli anni Settanta, quando la mediaticizzazione del caso Ipca aveva costretto le autorità poste ai controlli e la magistratura a intervenire[21].

Al contrario si possono leggere alcune sue riflessioni sulla sempre attuale dicotomia tra salute e lavoro, inteso come elemento di un sistema economico produttivo, che indicano con chiarezza le responsabilità: «[…] gli interrogativi di cui dicevo prima sono i perché di una società costruita in un determinato modo […] i perché di una forse non utopica speranza di modificazione. Questa società dicevo, e per stare più coerente al processo, la concezione del lavoro che la permea. Concezione del lavoro inteso come “quell’attività” atta a produrre qualcosa a prezzo accettabile, e quando è accettabile questo prezzo? […] insomma i conti, proprio i conti debbono tornare, nel senso di dare un vantaggio, il profitto. Questo è il prezzo accettabile. In questa fenomenologia spietatamente legata al concreto alle cose, ai fatti umani, le caratteristiche psichiche e fisiche degli uomini e delle donne, le loro capacità attitudinali, la resistenza alla fatica, l’impegno alla disciplina esecutiva, vengono necessariamente e rigorosamente commisurate secondo una struttura di lavoro che deve essere incentivante. In questo modo la donna e l’uomo si reificano, non divengono ma sono considerati cose […] E si badi, questa grave degradazione dell’umano, appare tanto più evidente perché il compenso, la remunerazione spesso non sono neppure rappresentativi della soddisfazione e dei bisogni essenziali articolazione essenziale che travolge i valori umani […]»[22].

Il ventennio ’55 – ’75 è forse il primo vero momento di svolta culturale e legislativa in merito al diritto alla salute anche fuori delle fabbriche. Il Ministero della sanità nasce nel 1958, scorporando le funzioni di controllo e regolamentazione dell’igiene e della sanità pubblica dal Ministero dell’interno al quale dai tempi dell’unificazione italiana erano attribuite[23]. Se l’attuazione tardiva dell’art. 32 della Costituzione ha portato all’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale solo nel 1978[24], ancora posteriore, e non costituzionalmente esplicitata, è la tutela dell’ambiente[25]. Proprio per questo motivo, negli anni 1979-1990 le principali evoluzioni giuridiche del problema definitorio, e conseguentemente risarcitorio, del diritto alla salute derivarono dalla giurisprudenza, in specie costituzionale[26].

 

5. Dalla militanza all’attività professionale.

Nell’immediato dopoguerra la Guidetti Serra continuò il suo impegno politico sia tramite l’attività professionale presso la Camera del Lavoro di Torino, nell’ufficio legale, sia tramite la militanza attiva nel sindacato tessile (comparto quasi interamente composto da maestranze femminili).

Dell’impegno come sindacalista la Guidetti Serra ricordò, nella sua autobiografia[27], il difficile equilibrio tra la contrapposizione fisiologica con i datori di lavoro e, al contempo, la diffidenza dei lavoratori da tempo abituati a un sindacato gracile e debole, spesso più sensibile alle esigenze di produzione che a quelle della tutela degli impiegati. Nonostante le proposte di impegno politico su scala nazionale che le furono avanzate in quegli anni, Bianca Guidetti Serra preferì mantenere il suo impegno in ambito locale pur impegnandosi in battaglie che avevano valenza politica generale.

Significativo esempio di questa scelta fu il rifiuto dell’offerta di divenire membro del Comitato direttivo nazionale della Cgil. In una lettera del 7 ottobre 1947 inviata a Caterina Piccolato[28] così motivava il suo rifiuto: «Cara Piccolato poiché non percepisco stipendio fisso il sospendere ogni tanto il lavoro mi arreca danno economico da parte dei miei pochi clienti. […] In un modo o nell’altro non credo di venire meno al mio dovere di fronte al Partito. Infatti il mio lavoro ed il mio studio sono in sua funzione»[29]. La neo avvocato aveva da poco ottenuto l’abilitazione per esercitare come procuratore legale e si era persuasa dell’inopportunità di fare «la funzionaria a vita». Scelta di cui non si è mai pentita; interruppe l’attività sindacale con la Cgil, ma come emerge anche dalle carte d’archivio, non rinunciò mai a una stretta collaborazione con il ‘suo’ sindacato[30].

Laureatasi in Giurisprudenza il 2 Luglio del 1943, decise di praticare la professione forense con uno spirito di servizio alla collettività: «sono sempre stata più interessata al rapporto umano con le persone che mi capitava di difendere piuttosto che al diritto in sé, in un certo senso non sono mai stata una giurista. Non era quello che cercavo nella professione. Quello che mi motivava era il senso del difendere i poveri cristi. Quando da piccola vedevo un povero diavolo che chiedeva l’elemosina, non potevo aiutarlo, perché non avevo soldi da dargli, ma pensavo ripetutamente a come avrei potuto essergli utile. E’ difficile da spiegare ma sono sensazioni come questa che mi hanno spinta a fare l’avvocato, più che una propensione per gli aspetti giuridici. Poi, più avanti, con l’esperienza e la maturità, sicuramente l’aspetto giuridico è diventato importante, e con esso la possibilità di cambiare le leggi o di fare pressioni sul Parlamento, ma tutto questo è venuto da sé, in seguito»[31].

È appena il caso di rammentare che nel 1951 quando l’avvocato Guidetti Serra ha intrapreso la carriera forense le donne attive nella professione a Torino erano tre e che lei fu la prima nel settore penalistico. La scelta di non associarsi in uno studio di più avvocati non era casuale: non avrebbe infatti mai voluto lavorare nello studio di un avvocato uomo, perché di fronte al cliente sarebbe sempre stata «l’aiutante», la «signorina di studio»[32]. L’inscindibilità della professione dall’impegno sociale, politico ed esistenziale traspare chiaramente dalle sue stesse parole: «La mia vita individuale è stata strettamente intrecciata con il mestiere o, forse meglio, il mestiere mi ha sovente coinvolto personalmente. Temo non sia stato il modo giusto di fare l’avvocato. Molti sostengono infatti che è necessario un netto distacco tra l’intervento del difensore e chi lo richiede. Per me non è stato così. E’ prevalso l’interesse per i fatti, i fatti-reato o meno, ma intesi come comportamenti di uomini e donne che si dibattevano fra giustizia, ingiustizia, galera. Con analogo interesse ho considerato sovente il processo come strumento per la difesa di questioni di principio, spinta indiretta alla conquista di riforme. Talvolta non si è trattato neppure di vicende giudiziali in senso stretto. L’essere avvocato era un mero pretesto…»[33].

 

6. L’attività politica nelle istituzioni locali e nazionali.

Sin dalla fine drammatica, dopo i fatti dell’Ungheria nel 1956, della militanza nel Partito comunista la cui dirigenza aveva giustificato i carri armati sovietici a Budapest, l’avvocato Guidetti Serra aveva auspicato, come molti militanti, soprattutto giovani che avevano partecipato alle lotte degli anni precedenti, la nascita di una nuova forza politica non legata all’Unione Sovietica che potesse unificare le molte anime della sinistra. Tuttavia negli anni seguenti non aveva mai accettato ruoli politici nei partiti.

La sua prima esperienza politica nelle istituzioni è stata quella nel Consiglio comunale di Torino. Venne eletta nelle liste di Democrazia Proletaria[34] come indipendente nel 1985 e rimase in carica solo fino al 1987 quando fu eletta deputato nazionale nella stessa formazione. Le ragioni del suo impegno politico diretto sono chiaramente espresse in una intervista sulla rivista Primo Piano nel maggio del 1987[35]. Secondo Bianca Guidetti Serra infatti Democrazia Proletaria aveva sostenuto, spesso in solitudine, in ambito locale, alcune battaglie fondamentali quali la laicità all’interno delle scuole e una maggiore democrazia in fabbrica[36].

Un altro elemento che l’aveva positivamente impressionata era la partecipazione di una grande componente di donne candidate nelle liste elettorali[37], pari a 10 donne su 36 nomi e di una donna, lei, come capolista. Bianca Guidetti Serra aveva sempre notato, sin dagli anni della rottura con il Pci, un forte maschilismo nei partiti tradizionali[38].

Decise infine di tornare a svolgere l’attività di consigliere comunale (1990-1999), sempre come indipendente, ma questa volta nel neonato Partito democratico della sinistra, nato dopo la svolta di Bologna e la fine dei riferimenti all’esperienza del socialismo reale sovietico.

 

7. Conclusioni.

In conclusione, mi pare opportuno ed importante sottolineare l’importanza sia storica che giuridica dell’impegno di Bianca Guidetti Serra e dell’archivio che lo testimonia e che potrà offrire molti spunti di ricerca e di approfondimento sul Novecento a Torino e in Piemonte immaginando l’archivio come una specie di specchio della seconda metà del XX secolo che possa riflettere l’evoluzione del sistema giuridico, dei costumi, della storia, della sociologica e degli studi di genere.

Il lavoro di ricerca e sistemazione è stato avviato nel 2015 grazie al contributo erogato dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Torino, dal Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Torino e dal Comune di Torino.

Il riordino archivistico del fondo è in corso: si prevede un lavoro pluriennale finalizzato a mettere gradualmente a disposizione della comunità scientifica le molte sezioni presenti nell’archivio.


 


[1] Assegnista di Storia del diritto medievale e moderno, Dipartimento di Giurisprudenza, Università degli Studi di Torino.

 

[2] Per un approfondimento sulla vita di Bianca Guidetti Serra si rimanda alla autobiografia, B. Guidetti Serra con S. Mobiglia, Bianca la rossa, Einaudi, Torino 2009.

 

[3] Cfr. il Fondo Archivistico Bianca Guidetti Serra (d’ora in poi F.B.G.S.), conservato presso il Centro studi Piero Gobetti a Torino, in corso di riordino; le segnature archivistiche indicate sono pertanto da considerarsi provvisorie.

 

[4] Mi sia consentito di rinviare anche a Bianca Guidetti Serra, voce biografica, curata da F. Campobello, per il progetto “Uomini e donne della Resistenza”, consultabile sul sito www.resistenzauominiedonne.org.

 

[5] Ibidem.

 

[6] Ibidem.

 

[7] Giorgio Coda era un medico e psichiatra italiano. Processato nel 1974 dal Tribunale di Torino con accuse gravissime, venne condannato e interdetto dalla professione medica. Egli era stato psichiatra a Collegno dal 1956 al 1964 e a Grugliasco dal 1964 fino al processo: in entrambe le strutture aveva maltrattato e torturato i pazienti, soprattutto bambini, sottoponendoli ad elettroshock (per questo definito “l’elettricista”) e a molte dolorose procedure di contenzione. Si veda il volume di Papuzzi che contiene gli atti del processo e i racconti delle vittime, A. Papuzzi, Portami su quello che canta: processo a uno psichiatra, scritto con la collaborazione di P. Piatti, Einaudi, Torino 1977. Si veda anche più in generale sulla situazione dei manicomi,  O. Pivetta, Franco Basaglia il dottore dei matti, Baldini & Castoldi, Milano 2014, pp. 313-314.

 

[8] Cfr. Les archives de M. et Jean-Jacques de Félice. Témoignages d’un engagement au service des droits de l’homme: giornata di studi organizzata il 27 giugno 2009, presso l’Università Paris-Ouest Nanterre-La Défense, a conclusione del lavoro di classificazione dell’archivio donato dall’avvocato parigino de Félice alla Bibliothèque de documentation internationale contemporaine (BDIC). B. Barry, Les archives de Jean-Jacques de Félice. Témoignages d’un combat, in «Matériaux pour l’histoire de notre temps», 1/2015 (N° 115 – 116), p. 6-11. Si veda anche la giornata di studi, promossa dall’Istituto veneziano per la storia della Resistenza e della società contemporanea (IVESER), dall’Ordine degli avvocati, dalla Camera penale e dall’Associazione Giustizia e Libertà di Venezia, del 9 marzo 2012, a Venezia, a seguito dell’avvenuto deposito presso l’IVESER delle carte degli avvocati veneziani Emanuele Battain, Gianni Milner e Luigi Scatturin.

 

[9] Cfr. M. Malatesta, Professionisti e gentiluomini. Storia delle professioni nell’Europa contemporanea, Einaudi, Torino 2006; Ead., Défenses militantes. Avocats et violences politiques dans l’Ilalie des années 1970 et 1980, in «Le mouvement social», juillet-septembre 2012, pp. 85-103; Ead., Gli avvocati militanti negli archivi italiani e francesi, in«Contemporanea» 4/2016, pp. 565-598. Più in generale si veda sull’avvocatura femminile, F. Tacchi, Eva togata. Donne e professioni giuridiche in Italia dall’Unità ad oggi, prefazione di R. Sanlorenzo,Utet, Torino 2009.

 

[10] Più in generale sull’importanza degli studi sulla professione legale come fonte per la storia giuridica cfr. Avvocati e avvocatura nell’Italia dell’Ottocento, a cura di A. Padoa Schioppa, il Mulino, Bologna 2009, pp. 7-25.

 

[11] L’atto di donazione, conservato nell’archivio del Centro studi Piero Gobetti, è stato redatto il 7 luglio 2006 tra Bianca Guidetti Serra e l’allora presidente del Centro Carolina Nosenzo Gobetti.

 

[12] La dichiarazione di interesse storico particolarmente importante, ai sensi dell’art. 13 del D.lgs. 22 gen. 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio, accerta la sussistenza nell’archivio o nei singoli documenti appartenenti a privati (famiglie, persone, associazioni ed enti di natura privata, imprese, ecc.) delle caratteristiche di bene culturale (D.lgs. 22 gen. 2004, n. 42, art. 10, comma 3-b).

 

[13] Il progetto nato nel 2014 è stato suddiviso in varie fasi: il ‘trasferimento’ al Centro studi Gobetti della parte della documentazione che era rimasta presso l’abitazione privata dell’avv. Guidetti Serra; la ‘collocazione’ delle carte sciolte in appositi faldoni provvisori e loro sistemazione in scaffali adeguati; la ‘mappatura’. Quest’ultima operazione ha avuto l’obiettivo di fotografare la situazione originale dell’archivio in vista delle scelte future di schedatura. Tutti i faldoni, sia quelli originali sia quelli che sono stati costituiti, sono stati contrassegnati da una sigla alfanumerica.

 

[14] Il 5 agosto 1971, Raffaele Guariniello sequestra, nell’ufficio Servizi Generali della Fiat, un immenso archivio (più di 350.000 schede personali, raccolte in 20 anni) sulle opinioni politiche, l’attività sindacale, la vita privata e la condotta sessuale di migliaia di lavoratori Fiat e dei loro familiari, oltre che di sindacalisti, giornalisti, uomini politici. Cfr. Cfr. B. Guidetti Serra, Le schedature Fiat. Cronaca di un processo e altre cronache, Rosenberg & Sellier, Torino 1984.

 

[15] Cfr. B. Guidetti Serra, Storie di giustizia, ingiustizia e galera (1944-1992), Linea d’ombra edizioni, Milano 1994; Ead., Contro l’ergastolo. Il processo alla banda Cavallero, Edizioni dell’Asino, Roma 2010.

 

[16] La legislazione italiana in materia di archivi prevede l’attesa di 40 anni per la consultazione della documentazione contenente dati sensibili o dati relativi a provvedimenti di natura penale. Non sono previsti periodi di attesa per la documentazione privata che quindi può essere subito messa a disposizione a meno che, come nel caso di specie, non riguardi informazioni sensibili quali quelle processuali o mediche. In questo caso durante il lavoro di riordino si sta valutando caso per caso quale documentazione rendere disponibili e quale vincolare fino al termine dei 70 anni previsti dal Codice dei beni culturali ex. art. 122. Cfr. D.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137.

 

[17] In particolare per le fotocopie, la carta fax e altri supporti altamente deperibili come le registrazioni audio di conferenze e arringhe processuali si pone un problema di conservazione che richiederebbe una trasposizione su supporti digitali.

 

[18] Ci si riferisce, come è noto, per la fabbrica chimica Ipca ai tumori alla vescica derivanti dell’utilizzo di anilina e per l’Eternit al mesotelioma pleurico derivante dalla lavorazione dell’amianto.

 

[19] B. Guidetti Serra, Storia di giustizia,ingiustizia e galera(1944-1992), Linea d’ombra, Milano 1994.

 

[20] Cfr. F.B.G.S., Appunti manoscritti da Bianca Guidetti Serra, [368].

 

[21] Il primo processo era stato avviato dalla Pretura di Ciriè per l’inquinamento delle acque circostanti la fabbrica. Cfr. P. Benedetto, La fabbrica del cancro: Ipca di Cirié, Einaudi, Torino 1976; M. Benedetti, La morte colorata. Storie di fabbrica, Feltrinelli, Milano 1978. Più in generale si vedano anche: R. Romeo, Breve storia della grande industria in Italia, 1861-1961, Cappelli, Bologna 1972; M. Abrate, L’industria piemontese, 1870-1970: un secolo di sviluppo, Mediocredito piemontese, Torino 1978; e da ultimoU. Rodda, Storia dell’industria piemontese, Editrice Il punto, Torino 2001.

 

[22] F.B.G.S., Appunti manoscritti da Bianca Guidetti Serra, [368].

 

[23] Cfr. V. Molaschi, Introduzione allo studio dei rapporti di prestazione dei servizi sociali, Aracne, Roma 2006; R. Ferrara, L’ordinamento della sanità, Giappichelli, Torino 2007, pp. 37-46.

 

[24] Cfr. C. Mortati, La tutela della salute nella Costituzione italiana, in Rivista degli infortuni e delle malattie professionali, 1961, I, pp. 1 ss.  Il sistema sanitario nazionale è stato istituito con la L. 23 dicembre 1978, n. 833.

 

[25] La tutela ambientale è stata considerata anche come il diritto dell’uomo di poter fruire (sul luogo di lavoro e fuori da esso) di un ambiente salubre, Cfr. R. Ferrara, L’ordinamento della sanità, Giappichelli, Torino 2007, pp. 46-62, in particolare p. 51. Con riferimento all’art. 9 Cost. si veda Ivi, pp. 51-52.

 

[26] Cfr. Corte cost. n. 88, del 26 luglio 1979, che con riferimento all’art. 32 Cost. estendeva la tutela della salute «non solo come interesse della collettività ma anche e  soprattutto come diritto fondamentale dell’individuo, sicché si configura come un diritto primario e assoluto, pienamente operante anche nei rapporti tra privati». Si veda anche nell’ambito più specifico dei rapporti tra lavoratori e imprenditori Corte cost., n. 559, del 18 novembre 1987.

 

[27] Cfr. B. Guidetti Serra con S. Mobiglia, Bianca la rossa, cit., p. 63.

 

[28] E’ stata una figura di spicco della Sinistra italiana. Ex partigiana, dopo la guerra diresse la Commissione femminile della Cgil.

 

[29] Fondo Guidetti Serra, Archivio del Centro studi Piero Gobetti, lettera inviata da Bianca Guidetti Serra, 7 ottobre 1947 [466].

 

[30] Cfr. B. Guidetti Serra con S. Mobiglia, Bianca la rossa, cit., p. 63. Nell’archivio sono infatti presenti molti documenti che testimoniano fino alla conclusione dell’attività professionale uno stretto rapporto con la Cgil. La connessione con il sindacato si sviluppa in vari modi: sia attraverso l’attività professionale è infatti avvocato di parte civile in molti processi, sia attraverso la partecipazione a convegni, la sottoscrizione di appelli, l’organizzazione di iniziative comuni.

 

[31] Cfr. intervista a Bianca Guidetti Serradi Stefano Moro del 16 novembre 2010 consultabile sul sito www.alpcub.com/bianca_guidetti_serra.htm.

 

[32] Cfr. B. Guidetti Serra con S. Mobiglia, Bianca la rossa, cit., p. 64.

 

[33] Cfr. B. Guidetti Serra, Storie di giustizia, ingiustizia e galera (1944-1992), Linea d’ombra edizioni, Milano 1994, p. 9.

 

[34] Cfr. M. Pucciarelli, Gli ultimi mohicani; una storia di Democrazia Proletaria, Alegre, Roma 2011; W. Gambetta, Democrazia proletaria; la nuova sinistra tra piazze e palazzi, Punto rosso, Parma 2010; si veda anche, più in generale, Fine della guerra fredda e globalizzazionein L’Italia contemporanea dagli anni Ottanta a oggi, vol. I, a cura di S. Pons, F. Romero A. Roccucci, Carocci, Roma 2014.

 

[35] Cfr. B. Guidetti Serra, Perché alle elezioni con DP. Un messaggio di fiducia. Le ragioni di una forza piccola ma coerente, in Primo Piano, Quindicinale d’informazione, Anno III, n. 9-10, 8 giugno 1987.

 

[36] Ibidem.

 

[37] Oltre a Bianca Guidetti Serra come capolista, la componente femminile era di un terzo. Come già ricordato, Bianca aveva denunciato un forte maschilismo all’interno del Partito Comunista.

 

[38] Cfr. B. Guidetti Serra con S. Mobiglia, Bianca la rossa, cit., pp. 83-85.