Rassegna ottobre 2019 – gennaio 2020

OSSERVATORIO TAR PIEMONTE E VALLE D’AOSTA

 

 

TAR PIEMONTE

AMBIENTE & PAESAGGIO

 

LA DIVERSA FINALITÀ E FUNZIONE DEL PRML E DEL PUD CON RIFERIMENTO ALLA VALUTAZIONE DI INTERESSE AMBIENTALE
TAR Piemonte, Sez. II – R.G. 1028/2017 – Sentenza. del 4 novembre 2019
Pres. Testori, Est. Limongelli
 [Comune di Acqui Terme, Comune di Strevi, Comitato Sezzadio per l’Ambiente, F.F, R.R., G.C., S.L.; P.R., G. D. c. Regione Piemonte, Provincia di Alessandria e nei confronti di Consorzio COCIV e di Allara S.p.A]

 

Il ricorso (respinto) ha ad oggetto dell’impugnazione è la DGR Regione Piemonte 18.7.17 n. 1-5386 (BUR Piemonte n. 31 del 3.8.17), avente ad oggetto “LL.RR. 30/1999 e 23/2016. Piano di reperimento dei materiali litoidi finalizzato alla realizzazione della Linea ferroviaria AV/AC Milano-Genova “Terzo valico dei Giovi”. Approvazione dell’aggiornamento 2017”, con particolare riferimento alle determinazioni assunte a riguardo della cava denominata Cascina Opera Pia 2 situata nel Comune di Sezzadio. Tale sito risulta funzionale all’esecuzione del progetto della linea AV/AC Milano-Genova (cosiddetto Terzo valico dei Giovi), inserito fra le infrastrutture strategiche di preminente interesse nazionale.

Restando indiscusso l’accertamento della compatibilità ambientale dell’opera nel suo complesso, i ricorrenti avevano lamentato l’inclusione come “sito prioritario” all’interno dell’”Aggiornamento 2017” del Piano di Reperimento dei Materiali Litoidi (PRML), del sito di cava denominato Cascina Opera Pia 2, e la mancata sottoposizione a valutazione di impatto ambientale e verifica di incidenza sulle aree soggette a vincoli naturalistici in relazione a tale Aggiornamento.
Il Collegio rileva come la normativa di settore (L.R. n. 30/1999 e n. 23/2016) non prevede la valutazione di impatto ambientale ai fini dell’approvazione del Piano di reperimento dei materiali litoidi (PRML) e dei suoi successivi aggiornamenti.

In questo il PRML differisce dal Piano di utilizzo delle terre e rocce da scavo (PUD) di cui al D.M. 10 agosto 2012 n. 161, per il cui è prevista la sottoposizione eventuale a procedura di VIA.

Questa differente disciplina è coerente con la diversa funzione esercitata dai due piani: nel caso del PRML la finalità è quella di derogare alla disciplina ordinaria in materia di coltivazione di cave; nel caso del PUD la finalità è quella di derogare alla disciplina in materia di rifiuti (con l’obiettivo di esonerare il soggetto proponente dall’onere di attivare le procedure di smaltimento dei rifiuti per gestire il materiale derivante dai lavori di scavo).

Nel caso di specie, la verifica di compatibilità ambientale dell’inclusione del sito Cascina Opera Pia 2 è stata fatta, a livello statale, in occasione dell’approvazione ministeriale dell’Aggiornamento 2016 del PUD e, a livello regionale, con l’inclusione del sito decisa nella conferenza dei servizi integrata con la partecipazione del rappresentante dell’ARPA. Per il sito di cava oggetto del giudizio era inoltre stato già stato previsto, in sede di rilascio dell’autorizzazione comunale – previo giudizio positivo di compatibilità ambientale della Provincia – il ripristino ambientale mediante il parziale ritombamento del sito utilizzando terre e rocce da scavo di provenienza esterna. In ragione di queste osservazioni, non vi sono elementi di novità per giustificare nuove valutazioni di impatto ambientale.

I ricorrenti avevano contestato altresì l’assegnazione da parte della Regione dei punteggi (sulla base dei macro-parametri ambiente e paesaggio) al sito di cava in forza dei quali lo stesso era stato incluso tra quelli “prioritari” di deposito nell’ambito dei lavori del Terzo Valico, e che apparivano svalutare lo stesso nonostante l’adiacenza a contesti di interesse naturalistico e all’interferenza con aree assoggettate a vincolo paesaggistico.

Il collegio, nel rilevare come il declassamento da sito prioritario a sito di riserva sia avvenuto in via di fatto in occasione dell’Aggiornamento 2017 del PUD, coglie l’occasione per ritenere le censure dei ricorrenti inammissibili anche sotto il profilo della amplissima discrezionalità tecnica e della intrinseca opinabilità che caratterizzano le valutazioni dell’amministrazione, le quali sfuggono al sindacato giurisdizionale in mancanza di profili di abnormità della scelta immediatamente percepibili.

[L. Conte]

 

OVE IL PROVVEDIMENTO SIA AMPLIATIVO DELLA SFERA GIURIDICA DEL RICHIEDENTE, IL PRINCIPIO DI TIPICITA’ DEGLI ATTI DEVE ESSERE RIGUARDATO ALLA LUCE DEI PRINCIPI DI BUONA ANDAMENTO E DI IMPARZIALITA’ DELL’AMMINISTRAZIONE. IL PROVVEDIMENTO DI ARCHIVIAZIONE DELLA DOMANDA AUTORIZZATORIA CHE NON HA NATURA SOSTANZIALMENTE PROVVEDIMENTALE E’ UN ATTO PROVVISORIO E NEUTRO.
 TAR Piemonte, Sez. I – R.G. 149/2019 – Sentenza del 26 novembre 2019, n. 1178
Est. Perilli, Pres. Salamone
[Gea s.r.l. c. Provincia di Cuneo]
 

Il TAR Piemonte respinge la domanda di annullamento del provvedimento di archiviazione della domanda di autorizzazione proposta dalla società Gea S.r.l. alla Provincia di Cuneo per il rilascio dell’autorizzazione unica regionale ai sensi dell’articolo 27-bis del d.lgs. n. 152 del 2006 e della l.r. n. 40 del 1998 per l’autorizzazione alla realizzazione di una nuova discarica per rifiuti speciali non pericolosi con annesso impianto di recupero.

A fronte dei principi di tipicità e di nominatività degli atti amministrativi, intesi nella loro accezione tradizionale secondo cui gli atti che può adottare l’amministrazione devono considerarsi un numerus clausus, disciplinati dalla legge nel fine, nel contenuto, nei presupposti e nell’oggetto, il Collegio ritiene che, ove il provvedimento sia ampliativo della sfera giuridica del richiedente, il principio di tipicità degli atti deve essere riguardato alla luce dei principi di buon andamento e di imparzialità dell’amministrazione, di cui all’articolo 97, comma 2, della Costituzione e deve essere adeguato alla realizzazione degli interessi coinvolti nella fattispecie e del risultato più utile. I giudici chiariscono inoltre che il provvedimento di archiviazione impugnato, non avendo natura sostanzialmente provvedimentale e non precludendo in assoluto alla società ricorrente di ottenere l’autorizzazione unica regionale, deve essere qualificato come atto provvisorio. Nel caso di specie, esso è fondato su un’istruttoria dalla quale è emersa l’impossibilità di individuare, allo stato, le effettive cause e le conseguenze della contaminazione dell’area idrogeologica interessata dal progetto presentato dalla società ricorrente. Il provvedimento di archiviazione non è inoltre un atto tipico dei soli procedimenti sanzionatori, ma è da considerarsi un atto neutro, che può essere adottato ogni qualvolta difettino i presupposti richiesti dalla norma per la prosecuzione del procedimento. Non preclude, neppure nei procedimenti di natura sanzionatoria, la sua riapertura in presenza di eventuali sopravvenienze. Tuttavia, tale provvedimento fa nascere in capo alla società ricorrente, pur non precludendole definitivamente l’ottenimento del bene della vita, l’interesse alla sua eventuale immediata impugnazione, in quanto è comunque meritevole di tutela l’interesse all’adozione di un provvedimento espresso, stabile e tempestivo. Pertanto non grava sulla Provincia l’obbligo di comunicare al richiedente il preavviso di rigetto.

Il Collegio specifica poi che il procedimento che prevede la conferenza di servizi decisoria in modalità sincrona ai sensi dell’articolo 14-ter della legge 7 agosto 1990, n. 241, la cui determinazione conclusiva costituisce il provvedimento autorizzatorio unico regionale, può essere arrestato ove si accerti la carenza dei presupposti per il rilascio del provvedimento sulla base del quale devono essere rilasciati i titoli abilitativi necessari. Da altra parte, l’articolo 242-bis, comma 6, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 consente l’utilizzazione del sito “in conformità alla destinazione d’uso prevista secondo gli strumenti urbanistici vigenti” solo una volta che siano stati “conseguiti i valori di concentrazione soglia di contaminazione del suolo”. In ogni caso, ove si consentisse la riattivazione e l’ampliamento di una discarica esaurita su un sito risultato contaminato, si rischierebbe di violare i principi euro-unitari dell’eliminazione del danno alla fonte e di precauzione, poiché i possibili sversamenti nel terreno, derivanti dall’esercizio della nuova discarica, potrebbero verosimilmente peggiorare la situazione già compromessa, determinando un effetto inquinante moltiplicatore, suscettibile di possibili sviluppi dannosi per l’ecosistema.

[V. Vaira]

 

APPALTI

 

INAPPLICABILE IL PROLUNGAMENTO DEI TERMINI DI NOTIFICA E DEPOSITO NEL RITO APPALTI
TAR Piemonte, Sez. I – R.G. 119/2018 – Sentenza del 18 novembre 2019, n. 1149
Pres. Salamone, Est. Patelli
 [Easy Servizi s.r.l. c. Italgas Reti s.p.a. nei confronti di F.Imm. s.r.l. e F.Imm. Brasil Ltda]

 

Con la presente sentenza il TAR Piemonte si è espresso in merito al ricorso presentato dalla società Easy Servizi s.r.l. avverso il provvedimento dell’Italgas Reti s.p.a. con cui è stata aggiudicata alla società F. Imm. s.r.l. la gara per la fornitura del servizio di lettura contatori in una serie di Comuni del Molise, della Puglia, della Basilicata, della Calabria, della Sicilia e della Campania.

La società Easy Service s.r.l. ha impugnato il provvedimento di aggiudicazione della procedura in quanto, a suo dire, la controinteressata (ed aggiudicataria) F. Imm s.r.l. avrebbe violato le norme in materia di avvalimento facendo ricorso al fatturato, specifico e globale, della propria controllata F. Imm. Brasil Ltda.

Nel proprio atto di costituzione in giudizio la stazione appaltante (Italgas Reti s.p.a.) ha eccepito l’irricevibilità del ricorso proposto dalla Easy Servizi, in quanto sarebbe stato notificato e depositato in violazione dei termini processuali previsti dagli artt. 119 e 120 cod. proc. amm. In particolare, secondo Italgas, i ricorrenti avrebbero agito ritenendo applicabili al “rito appalti” le disposizioni generali contenute negli articoli artt. 41 comma 5 e 45 cod. proc. amm. che prevedono un incremento dei termini per notificare il ricorso qualora una delle parti non risieda in Italia.

Nel decidere la controversia il TAR Piemonte ha affrontato preliminarmente proprio la questione riguardante i termini processuali per la proposizione del ricorso in materia di appalti.

In tal senso è stato ribadito che “gli artt. 119 e 120 cod. proc. amm. dettano una disciplina speciale, rispetto a quella generale in materia di ricorsi amministrativi, al fine di garantire una più celere definizione del giudizio. Proprio tali ragioni di speditezza ostano all’applicabilità in questi giudizi delle disposizioni dilatorie contenute negli artt. 41 comma 5 e 45”.

Nel caso di specie la ricorrente ha rispettato il termine di 30 giorni previsto per la notifica del ricorso ma non quello di 15 giorni per il suo deposito e pertanto il ricorso deve essere considerato irricevibile.

Inoltre, il TAR ha precisato che nella fattispecie oggetto di decisione quest’ultimo termine non potrebbe essere modificato nemmeno se si aderisse alla tesi della ricorrente secondo cui anche nel rito appalti si applicano le dilazioni previste in via generale per i ricorsi amministrativi. I giudici hanno ribadito che il citato prolungamento dei termini è possibile solo nel caso in cui a risiedere all’estero sia una parte necessaria del processo. Nel caso di specie a risiedere all’estero era F. Imm. Brasil Ltda la quale, essendo (nella procedura oggetto di causa) una mera impresa ausiliaria della F. Imm. s.r.l., è considerata dalla costante giurisprudenza una parte non necessaria del processo (in tal senso Cons. Stato, Sez. V, 23 febbraio 2015, n. 864).

In conclusione, nel c.d. “rito appalti” regolato dagli artt. 119 e 120 del cod. proc. amm., e caratterizzato da esigenze di celerità e speditezza, anche se una delle parti processuali risiede all’estero non è applicabile la dilazione dei termini per la notifica e il deposito del ricorso prevista dagli artt. 41 comma 5 e 45 del medesimo codice del processo amministrativo.

[G. Odino]

 

PROVVEDIMENTO DI ESCLUSIONE DALLA GARA E COMPETENZA DEL RUP
TAR Piemonte, Sez. II – R.G. 754/2019– Sentenza del 19 novembre 2019, n. 1175
Pres. Testori, Est. Limongelli
[Gi.Ma.Co. Costruzioni S.r.l c. Comune Verbania]

 

Con sentenza 1175 del 2019, il TAR Piemonte rigettava il ricorso presentato da Gi.Ma.Co. Costruzioni S.r.l contro il Comune di Verbania e finalizzato ad ottenere l’annullamento del provvedimento di esclusione dalla gara per l’appalto del completamento di una pista ciclopedonale, il risarcimento in forma specifica mediante l’ammissione in gara e l’aggiudicazione dei lavori, con conseguente subentro nel contratto di appalto o, in subordine, il risarcimento dei danni patiti.

La ricorrente eccepiva, nello specifico, l’incompetenza della commissione di gara e del Responsabile Unico del Procedimento ad adottare il provvedimento di esclusione, ritenendo che si trattasse di un atto di amministrazione attiva di competenza degli organi di “vertice della struttura”.

Secondo il giudice amministrativo, la censura risulta infondata in virtù di quanto previsto dall’art. 31, comma 3, del d.lgs. 50/2016 in base al quale il RUP, nell’ambito delle procedure di affidamento, svolge “tutti i compiti (…) che non siano specificatamente attribuiti ad altri organi o soggetti”.

Dalla richiamata disposizione, si delinea una competenza, in termini residuali,che ricomprende anche l’adozione dei provvedimenti, come quello oggetto della controversia, di esclusione dei partecipanti dalle gare di appalto.

Ne discende che “il responsabile unico del procedimento debba essere individuato quale dominus della procedura di gara, in quanto titolare di tutti i compiti prescritti, salve specifiche competenze affidate ad altri soggetti” e, a ben vedere, tale conclusione – ad avviso del TAR – rimane valida anche dopo l’intervento correttivo compiuto dal d.lgs. n. 56 del 2017, perché “resta confermata l’assoluta centralità del ruolo del RUP nell’ambito dell’intero ciclo dell’appalto, nonché le cruciali funzioni di garanzia, di trasparenza e di efficacia dell’azione amministrativa che ne ispirano la disciplina codicistica” (si veda, in proposito, TAR Venezia, sez. I, n. 128 del 2019).

Svolte tali osservazioni, il collegio conclude per l’infondatezza del ricorso, anche in considerazione dell’altro motivo di censura relativo alla sussistenza dei presupposti del provvedimento di esclusione poiché, in riferimento all’ammontare dei lavori nella categoria interessata (categoria OG10), Gi.Ma.Co. Costruzioni S.r.l non risultava essere in possesso della necessaria qualificazione, “disponendo soltanto della classifica I, mentre invece sarebbe stata necessaria la classifica II oppure il ricorso al subappalto per un importo superiore a quello dedotto dalla concorrente”.

[S. Matarazzo]

 

LA CONFIGURAZIONE DI GRAVE ILLECITO PROFESSIONALE IN UNA PROCEDURA AD EVIDENZA PUBBLICA PER LAVORI DI RIQUALIFICAZIONE E L’INTERPRETAZIONE DEL CONCETTO DI “MIGLIORIE” NEL BANDO DI GARA COME INDICATORE DI PUNTEGGIO.
 TAR Piemonte, Sez. II – R.G. 710/2019 – Sentenza del 19 novembre 2019, n. 1176
Pres. Testori, Est. Limongelli
 [G. c. Comune di Omegna]

 

A seguito dell’indizione di una gara pubblica per l’affidamento, da aggiudicarsi secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, del secondo lotto dei lavori di riqualificazione del Comune di Omegna, cui hanno partecipato un’impresa e un RTI, la ricorrente, facente parte di tale gruppo, risulta seconda classificata.

Vengono quindi impugnati dalla ricorrente gli atti di gara, sollevando due motivi di ricorso, dei quali viene discusso in via preliminare dal Collegio quello relativo alla presunta mancanza dei requisiti ex art. 80, c. 5, lett. c), c-bis) e c-ter), d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici).

L’impresa aggiudicatrice era menzionata nel casellario ANAC, relativamente a due annotazioni, la prima afferente ad una risoluzione contrattuale oggetto di contestazione avanti il Giudice Ordinario (con giudizio attualmente pendente) e dall’esame degli atti messi a disposizione non è evidente si tratti circostanze che integrino un grave errore professionale, rilevante nonostante la pendenza di una controversia, e la seconda riferita ad una revoca assunta dall’impresa, non per ragioni dipendenti da essa, dopo la risoluzione del contratto attivata dall’operatore stresso, senza riconoscimento dell’anticipazione prevista dal d.lgs. n. 50/2016.

Tali elementi non configurano, secondo il Collegio, la mancanza dei requisiti richiesti dal Codice dei contratti pubblici, né rileva che le predette vicende contrattuali siano state portate a conoscenza dell’amministrazione aggiudicatrice della gara in discussione con una dichiarazione separata dell’impresa, ma contestualmente alla domanda di partecipazione.

La ragione della scelta di tale anomala modalità di confezionamento della domanda di partecipazione è da riferirsi al fatto che l’impresa, che nel primo caso aveva impugnato la risoluzione contrattuale in sede civile proponendo a sua volta domanda riconvenzionale di risoluzione contrattuale per grave inadempimento del Comune, e nell’altro aveva receduto essa stessa dal contratto per comportamenti asseritamente inadempienti del Comune (e che solo per questo motivo aveva subito la revoca dell’aggiudicazione), ha sempre convintamente sostenuto di non aver commesso alcun “grave illecito professionale”, ma se mai di averlo subito.

In ogni caso l’utilizzata modalità di formulazione della domanda di partecipazione alla gara non è stata, secondo il Collegio, preordinata a fuorviare la stazione appaltante, occultando l’esistenza di una causa di esclusione. A sostegno di tale conclusione, si aggiunge che entrambe le amministrazioni interessate alla procedura di gara ne hanno avuto piena cognizione, potendo svolgere tutti gli approfondimenti del caso, conclusisi con esito positivo per l’impresa.

Come secondo motivo di doglianza, la ricorrente sostiene che il punteggio a lei attribuito è erroneamente inferiore con riguardo alla richiesta, da bando, di apportare “migliorie”, mentre l’impresa aggiudicatrice si sarebbe limitata ad impegnarsi per la realizzazione di quanto indicato dal bando di gara.

L’impresa ricorrente ha interpretato tale parametro previsto da bando come premiale soltanto per le “migliorie” offerte dai concorrenti, dunque che il parametro in questione prevedesse l’attribuzione di punteggio soltanto in favore delle offerte tecniche che presentassero soluzioni migliorative rispetto al progetto posto a base di gara.

Il Collegio sostiene l’erroneità di tale interpretazione affermando che la commissione di gara ha fatto corretta applicazione delle previsioni della lex specialis, prescindendo dal dato letterale (“migliorie”), improprio e fuorviante, bensì privilegiando l’unica possibile interpretazione della legge di gara conforme a canoni di logica, di coerenza sistematica e ragionevolezza.

Escluse entrambe le doglianze, il Collegio respinge il ricorso.

[M. Demichelis]

 

PRINCIPIO DI SPECIFICAZIONE NEI CONTRATTI DI AVVALIMENTO
TAR Piemonte, Sez. II – R.G. 689/2019 – Sentenza del 28 novembre 2019, n. 1188
Pres. Testori, Est. Testori
 [Alfra Vetri S.r.l. c. Comune di Borgomanero nei confronti di Gabriele s.r.l.s.]

 

Il TAR Piemonte ha respinto il ricorso presentato dalla società Alfra Vetri S.r.l. avverso il provvedimento di aggiudicazione in favore della società Gabriele s.r.l.s. emanato dal Comune di Borgomanero nell’ambito della gara per l’affidamento dei lavori di “manutenzione straordinaria e sostituzione dei serramenti della scuola dell’infanzia Pascoli e primaria Alfieri”.

La ricorrente ha contestato il provvedimento di aggiudicazione formulando censure di violazione di legge ed eccesso di potere sotto diversi profili.

In particolare, la Alfa Vetri sostiene che il contratto di avvalimento stipulato dall’aggiudicataria Gabriele s.r.l.s. con la società ICEV s.r.l. per sopperire alla mancanza della qualificazione SOA in categoria OS6 “Finiture di opere generali in materiali lignei, plastici, metallici e vetrosi” richiesta dal disciplinare di gara – sarebbe del tutto generico in palese contrasto con il principio di specificazione dettato dall’art. 89 comma 1 del d. lgs. 50/2016.

Nel decidere la presente controversia il TAR prende le mosse dall’importante distinzione, elaborata dalla giurisprudenza, tra avvalimento “di garanzia” e avvalimento “tecnico-operativo”.

Nel primo caso l’impresa ausiliaria mette a disposizione dell’ausiliaria la propria solidità finanziaria, senza che sia necessario che il contratto indichi in maniera dettagliata beni patrimoniali o indici materiali dai quali ricavare detta consistenza patrimoniale, essendo sufficiente che emerga l’impegno a garantire una determinata affidabilità e un concreto supplemento di responsabilità.

Nel secondo caso invece è necessario che nel contratto di avvalimento siano indicate in modo specifico le risorse tecniche (mezzi aziendali e personale) messe a disposizione dalla società ausiliaria per l’esecuzione dell’appalto.

Questo differente trattamento mira, secondo la giurisprudenza, a tutelare maggiormente le stazioni appaltanti “evitando che l’utilizzo di formule del tutto generiche trasformi l’avvalimento tecnico operativo in un scatola vuota”.

Infine, i giudici ribadiscono che “nella valutazione del contenuto del contratto di avvalimento è necessario tenere conto della natura dello specifico appalto per il quale il medesimo contratto è stato stipulato”.

Entrando nel merito del contenuto del contratto controverso il TAR osserva che nel caso di specie l’impresa ausiliaria ICEV s.r.l. si è obbligata nei confronti della Gabriele s.r.l.s. a fornire risorse tecniche puntualmente specificate per quanto riguarda i mezzi e le attrezzature; mentre per quanto riguarda le risorse umane ha fatto riferimento a “tutti gli operatori che si rendessero indispensabili per l’espletamento, a regola d’arte, dei lavori in appalto”.

Per i giudici alla luce del richiamato quadro normativo e giurisprudenziale in materia di avvalimento il contratto in questione è sufficientemente specifico, pertanto il ricorso deve essere respinto.

[G. Odino]

 

VALUTAZIONE TECNICA DELLA COMMISSIONE DI GARA E SINDACATO DEL GIUDICE AMMINISTRATIVO
TAR Piemonte, Sez. I – R.G. 590/2019– Sentenza del 4 dicembre 2019, n. 1201
Pres. Salamone, Est. Risso
[Swan Analitica s.r.l. c. Società Metropolitana Acque Torino]

 

La società Swan Analitica s.r.l., deducendo un vizio di valutazione tecnica da parte della commissione di gara, proponeva ricorso per l’impugnazione degli atti con i quali era stata disposta l’aggiudicazione della procedura negoziata indetta da S.M.A.T. s.p.a. per l’affidamento della fornitura di clororesiduometri, utile al miglioramento dell’attività di controllo del dosaggio di ipoclorito contenuto nelle reti di distribuzione idriche.

Il TAR Piemonte, nel dichiarare il ricorso infondato, richiamail consolidato indirizzo giurisprudenzialesecondo cui “le valutazioni delle offerte tecniche da parte delle commissioni di gara sono espressione di discrezionalità tecnica e come tali sono sottratte al sindacato di legittimità del giudice amministrativo, salvo che non siano manifestamente illogiche, irrazionali, irragionevoli, arbitrarie ovvero fondate su di un altrettanto palese e manifesto travisamento dei fatti (ex multis, Cons. St., sez. V, 30 aprile 2015, n. 2198; 23 febbraio 2015, n. 882; 26 marzo 2014, n. 1468; sez. III, 13 marzo 2012, n. 1409) ovvero ancora salvo che non vengano in rilievo specifiche censure circa la plausibilità dei criteri valutativi o la loro applicazione (Cons. St., sez. III, 24 settembre 2013, n. 4711)”.

Invero, non risulta sufficiente che la decisione sia meramente opinabile, poiché il giudice amministrativo, in virtù del principio costituzionale di separazione dei poteri, non può sostituire le proprie valutazioni a quelle svolte dalla commissione, tutte le volte in cui vengano in rilievo regole tecniche concernenti le modalità di valutazione delle offerte (in tal senso, Cons. Stato, sez. V, 26 maggio 2015, n. 2615, sez. V, 28 ottobre 2015, n. 4942, sez. V, 11 luglio 2017, n. 3400; T.A.R. Lombardia-Milano, sez. IV, 3 febbraio 2018, n. 323).

Il giudizio della commissione di gara, pertanto, appare contestabile soltanto in caso di evidente insostenibilità del giudizio tecnico compiuto, che sia quindi manifestamente irragionevole, illogico, arbitrario, nonché caratterizzato da travisamento dei fatti o difetto di istruttoria e non semplicemente quando se ne ravvisi la mera non condivisibilità.

Nella fattispecie esaminata, inoltre, il giudice amministrativo ritiene che la ricorrente non avesse indicato elementi necessari a dimostrare che avrebbe vinto la gara in mancanza del dedotto vizio di valutazione.

Di tal guisa, anche l’avanzata richiesta di condanna al risarcimento, ai sensi degli artt. 30, 121, 122 e 124 c.p.a., per l’asserito danno ingiusto patito, risulta priva di fondamento, gravando sull’impresa danneggiata l’onere di fornire la prova dell’utile che in concreto avrebbe conseguito nell’ipotesi in cui fosse risultata aggiudicataria dell’appalto, tenuto conto che nell’azione di accertamento per danni “il principio dispositivo opera con pienezza e non è temperato dal metodo acquisitivo proprio dell’azione di annullamento (ex art. 64, commi 1 e 3, c.p.a.); quest’ultimo, infatti, in tanto si giustifica in quanto sussista la necessità di equilibrare l’asimmetria informativa tra amministrazione e privato la quale contraddistingue l’esercizio del pubblico potere ed il correlato rimedio dell’azione di impugnazione, mentre non si riscontra in quella di risarcimento dei danni, in relazione alla quale il criterio della c.d. vicinanza della prova determina il riespandersi del predetto principio dispositivo sancito in generale dall’art. 2697, primo comma, c.c.(sul punto, Cons. Stato, Ad. Plen.,12 maggio 2017, n. 2 e, più di recente, Cons. Stato, sez. III, 15 aprile 2019, n. 2435).

[S. Matarazzo]

 

ILLEGITTIMO IL RISPETTO MERAMENTE FORMALE DELLE NORME IN MATERIA DI PARTECIPAZIONE AL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO
TAR Piemonte, Sez. I – R.G. 870/2019 – Sentenza del 13 gennaio 2020, n. 32
Pres. Salamoneed Est. Risso
[Cristal Società Cooperativa c. Casa di Riposo Città di Asti]

 

Il TAR Piemonte ha accolto il ricorso della Cristal Società Cooperativa presentato avverso la deliberazione n. 426 del 30 luglio 2019 con cui la Città di Asti ha revocato tutti gli atti del procedimento di gara avente ad oggetto il “servizio di pulizia, sanificazione e disinfezione dei locali e delle aree) interne ed esterne della Casa di Riposo della Città di Asti e prestazioni accessorie”, disponendo il conseguente annullamento ex officio dell’aggiudicazione del servizio (avvenuta il 29 maggio 2019) in favore della Cristal Società Cooperativa.

La pronuncia che si annota prende le mosse da una peculiare situazione di fatto. In particolare, dopo l’aggiudicazione del servizio oggetto del bando in favore della società Cristal le operatrici sanitarie della Casa di Riposo della Città di Asti hanno dichiarato lo stato di agitazione, in quanto – a loro dire – l’organizzazione del servizio come predisposta in sede di offerta avrebbe comportato un taglio del monte ore relativo ad ogni lavoratore pari al 22%. Dopo l’insuccesso del tentativo di conciliazione promosso dalla società aggiudicataria, la stazione appaltante ha avviato in data 26 luglio 2019 il procedimento di revoca di tutti gli atti di gara e l’annullamento dell’aggiudicazione. Il successivo 30 luglio 2019 la Città di Asti ha quindi assunto il formale provvedimento di revoca della procedura di gara.

Nel proprio ricorso la Cristal Società Cooperativa lamenta la violazione da parte della Città di Asti delle norme previste in materia di comunicazione dell’avvio del procedimento, nonché il vizio di motivazione del provvedimento di revoca impugnato.

Nello specifico, per quanto riguarda la prima delle due censure, la ricorrente ha sottolineato che il citato provvedimento è intervenuto a distanza di sole due giornate lavorative dal momento in cui era stato comunicato l’avvio del procedimento, impedendole così di formulare qualsivoglia atto di partecipazione. Il TAR ha accolto la doglianza avanzata dalla società ricorrente evidenziando che – come affermato dalla costante giurisprudenza – le regole partecipative sancite dalla legge 241/1990 impongono che la comunicazione di avvio del procedimento venga effettuata in tempo e con modalità tali da consentire la partecipazione influente ed efficace dei soggetti interessati. Ne deriva che il rispetto formale della disciplina di legge non esclude l’effetto invalidante di una condotta amministrativa che, nel suo complesso, impedisca una partecipazione utile dei soggetti interessati (in tal senso si veda anche Cons. Stato, sez. V, 13 giugno 2012, n. 3470). Nel caso in esame “il comportamento della stazione appaltante ha leso il diritto di partecipazione della società Cristal impedendole qualsivoglia intervento nel procedimento”.

Inoltre, secondo i giudici, il provvedimento impugnato risulta illegittimo per mancanza di motivazione. Nello specifico, dalla lettura dei documenti versati in atti non emerge alcuna indicazione di elementi idonei ad integrare i presupposti per l’adozione di un provvedimento di revoca come quello emesso dalla Città di Asti. In tal senso il TAR ha ribadito che la revoca dell’aggiudicazione definitiva può sempre intervenire, ma deve essere accompagnata da ragioni convincenti sull’interesse della pubblica amministrazione coinvolta tanto da non comprimere oltre la giusta misura l’affidamento del privato e soprattutto deve essere corredata da un’applicazione corretta delle norme in materia e dei principi generali dell’ordinamento giuridico.

[G. Odino]

 

ACQUISTI DI MATERIALE SANITARIO IN DEROGA ALLE CONVENZIONI REGIONALI
 TAR Piemonte, Sez. I – R.G. 805/2019 – Sentenza del 23 gennaio 2020, n. 61
Pres. Salamone ed Est. Perilli
 [Bayer s.p.a. c. Azienda sanitaria locale di Novara]

 

Il TAR Piemonte ha accolto il ricorso promosso dalla società Bayer s.p.a. contro l’Azienda sanitaria locale di Novara per l’annullamento del bando di gara pubblicato dalla medesima ASL per una procedura aperta per “l’affidamento del servizio di prestazioni diagnostiche di risonanza magnetica e della fornitura in locazione di topografo con intensità di campo pari a 1,5T di apparecchiature amagnetiche ancillari con servizi ed opere accessorie”.

In punto di fatto occorre evidenziare che l’ASL Novara ha compreso nell’oggetto dell’appalto la fornitura di mezzi di contrasto nonostante fosse in vigore – al momento dell’indizione della gara – una convenzione stipulata da S.C.R. Piemonte e la stessa Bayer s.p.a. per la fornitura di tali prodotti.

Ciò premesso, la pronuncia in commento risulta particolarmente interessante sotto vari aspetti.

In primo luogo, il TAR ha respinto l’eccezione di inammissibilità del ricorso per carenza di interesse – in capo alla Bayer s.p.a. – avanzata dall’ASL Novara. Il Collegio osserva che nonostante la Bayer s.p.a. non abbia partecipato alla procedura de qua essa vanta – rispetto all’indizione della medesima procedura – una posizione qualificata di tipo oppositivo, individuabile nell’aspettativa che i presidi ospedalieri regionali soddisfino il loro fabbisogno esclusivamente secondo le condizioni generali previste nella citata convenzione da essa stipulata con S.C.R. Piemonte. Pertanto, secondo i giudici la lesione della situazione soggettiva della ricorrente deriva, in via immediata e diretta, dall’inclusione della fornitura dei mezzi di contrasto nell’oggetto dell’appalto e della conseguente mancata attuazione della predetta convenzione regionale.

Inoltre, passando al merito della questione il TAR compie una ricognizione della normativa che regola la stipula delle convenzioni da parte delle centrali di committente regionali per la fornitura di materiale sanitario. Dalla ricostruzione delle norme – che regolano la materia della c.d. “centralizzazione degli acquisti” – emerge chiaramente l’obbligo per tutti gli enti appartenenti al servizio sanitario nazionale di approvvigionarsi, per i servizi e le forniture sanitarie ricompresi in specifiche categorie merceologiche, mediante il ricorso alle centrali di committenza. Ad avviso del TAR – e secondo quanto ritenuto dalla costante giurisprudenza – “questa regola può essere derogata solo in presenza di determinate caratteristiche sostanziali dei beni e dei servizi che facciano venir meno la c.d. “identità” tra l’oggetto della convenzione e quello della nuova procedura”.

Nel caso di specie l’ASL Novara ha violato il citato obbligo e il TAR non ravvisa alcuna ragione, né normativa né di fatto, per giustificare tale violazione. Secondo i giudici infatti non vale come ragione derogatoria la circostanza che nel caso di specie l’amministrazione abbia indetto una procedura di gara per un c.d. appalto misto e che la fornitura dei mezzi di contrasto costituisca solo una minima parte dell’oggetto della fornitura. In tal senso il Collegio ritiene che il requisito della c.d. “identità” tra i beni o servizi oggetto di convenzione e quelli della nuova gara debba essere valutato sotto il profilo qualitativo e non sotto quello quantitativo.

In conclusione, il TAR accoglie il ricorso sancendo l’obbligo per l’ASL Novara di approvvigionarsi – per quanto riguarda i mezzi di contrasto – tramite la convenzione stipulata dalla centrale di committenza regionale.

[G. Odino]

 

EDILIZIA & URBANISTICA

 

CONTRO L’APPROVAZIONE DI UNA VARIANTE STRUTTURALE AL P.R.G.C.: LA LEGITTIMAZIONE AD AGIRE DEI PRIVATI SI RIFERISCE ALLA CIRCOSTANZA DELLA VICINITAS E LE VALUTAZIONI DELLA P.A. IN MERITO SONO ESPRESSIONE DI ATTIVITÀ TECNICO-DISCREZIONALE.
 TAR Piemonte, Sez. II – R.G. 998/2018 – Sentenza del 19 novembre 2019
Pres. Testori, Est. Malanetto
 [Golf Margara s.p.a., C.G. et al. c. Comune di Felizzano]

 

La società ricorre, assieme ad alcuni privati cittadini proprietari di immobili collocati nell’area territoriale di interesse, sostanzialmente avverso una variante strutturale n. 2 al P.R.G.C. del Comune di Felizzano, riguardante l’approvazione della proposta tecnica preliminare relativa alla realizzazione di una pista di motocross, con presupposto cambio di destinazione d’uso da area agricola ad area per percorsi fuoristrada destinati ad attività sportivo-competitive.

A seguito di una determina della Provincia, che ha escluso la V.I.A. con prescrizioni, il Comune ha approvato la Proposta Tecnica Preliminare. Ogni atto presupposto e collegato con quelli inerenti l’approvazione della variante in esame è stato oggetto di impugnazione da parte dei ricorrenti, tutti legittimati ed interessati ad agire sussistendo nei loro confronti la vicinitas; essa integra un interesse

alla salvaguardia del territorio, nei limiti in cui le censure si appuntano avverso aspetti (in particolare profili acustici ed ambientali) che possono avere ricadute dirette sulle aree di interesse dei ricorrenti.

Anzitutto, il Collegio ritiene che legittimamente la P.A. abbia sottoposto il progetto in esame alla procedura prevista agli artt. 6, c. 3 e 12, d.lgs. 6 aprile 2006, n. 152 (T.U. Ambiente), anziché a quella di valutazione ambientale strategica (VAS) ex art. 6, c. 2 dello stesso, dato il rapporto fra l’estensione del territorio comunale e la superficie coinvolta nella variante (circa 0,87% del territorio).

Relativamente alla contraddizione fra il P.R.G.C. oggetto di variante e il Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale, invece, il Collegio afferma che essa non sussisterebbe proprio perché la relazione illustrativa della Provincia, a seguito di adeguata istruttoria, classifica come area residuale e sufficientemente isolata rispetto alle restanti porzioni di territorio quella interessata dall’intervento.

Si lamenta, inoltre, contraddittorietà nello stesso procedimento, il quale ha richiesto specifica introduzione di una NTA che disciplinasse puntualmente la variante in oggetto. Tale circostanza, oltre ad essere motivo di ricorso in contraddizione con i precedenti per i ricorrenti, non ha ragione di essere accolta, poiché l’attività che prevede lo screening per la sottoposizione a VAS è connotata da discrezionalità tecnica e amministrativa, sottoposta a sindacato di legittimità solo nel caso di sussistenza di indici sintomatici di eccesso di potere per difetto di motivazione, illogicità manifesta, erroneità dei presupposti di fatto o incoerenza della procedura valutativa e dei relativi esiti (cfr., da ultimo, TAR Lazio, sez. III, 17 giugno 2019, n. 7774; TAR Piemonte, Torino, sez. II, 5 ottobre 2017, n. 1082).

Relativamente alla correttezza o meno della scelta della P.A. sull’impatto acustico logicamente derivante dalla costruzione di un impianto di motocross, il Collegio dispone che le censure sono tutte inammissibili o, comunque, infondate, poiché la scelta stessa è ampiamente motivata dalle analisi tecniche compiute.

Come ultimo motivo di ricorso, infine, viene rilevato che nel procedimento di pianificazione, sono state depositate talune osservazioni non compiutamente vagliate, ma la censura non è argomentata e, dunque, respinta.

I ricorsi sono riuniti e il Collegio, definendo i motivi aggiunti relativi al PEC approvato come una mera petizione, condanna i ricorrenti a risarcire in solido parte resistente e controinteressata.

[M. Demichelis]

 

SULLA RISTRUTTURAZIONE EDILIZIA TRA FEDELE RICOSTRUZIONE E IDENTITÀ DELL’AREA DI SEDIME
 TAR Piemonte, Sez. II – R.G. 1488/2019 – Sentenza del 18 dicembre 2019
Pres, Est. Testori
 [M.T, L.S. c. Comune di La Loggia]
 

Il ricorso (respinto) ha ad oggetto, in particolare, il provvedimento del Responsabile del Servizio Pianificazione e Gestione del Territorio del Comune di La Loggia avente ad oggetto un nuovo diniego (si dà conto di un precedente provvedimento di diniego impugnato dai ricorrenti con ricorso n. 856 del 2017, successivamente accolto con la sentenza n. 1108 del 10 ottobre 2018 ) della richiesta di permesso di costruire per un intervento di ristrutturazione edilizia consistente nella totale demolizione dei manufatti di origine agricola esistenti o parzialmente crollati (ubicati sul confine sud del lotto) e la costruzione di un nuovo edificio residenziale a due piani fuori terra, più uno interrato, da realizzare nel centro del medesimo lotto.

Il punto in questione riguarda la qualificazione di tale intervento come ristrutturazione oppure come sostituzione edilizia non ammessa nella zona AR che secondo l’obiettivo di piano della “conservazione e adeguamento del patrimonio esistente”, come espresso nel parere formulato al riguardo dalla C.E.C.

Per ristrutturazione edilizia cd. “ricostruttiva”, deve intendersi quella che avviene mediante demolizione, anche parziale, e conseguente ricostruzione dell’edificio preesistente.

Tuttavia il criterio della fedele ricostruzione di cui all’art. 3 comma 1 lett. d) del T.U. n. 380/2001 che comporta identicità di “sagoma, volumi, area di sedime e caratteristiche dei materiali” va valutato sulla base delle ulteriori modifiche introdotte dall’art. 30, comma 1, lett. a) del D.L. n. 69/2013, sulla base del quale la ristrutturazione edilizia di tipo ricostruttivo soggiace al solo obbligo dell’identità di volumetria rispetto all’edificio preesistente, mentre, nel caso di immobili vincolati invece, sussiste anche l’obbligo dell’identità di sagoma.

A giudizio del Collegio, l’identità di sagoma si traduce anche in un vincolo del sedime (Consiglio di Stato, sez. IV, 18 novembre 2014 n. 5662; 29 maggio 2014 n. 2781; 30 maggio 2013 n. 2972). Richiamando la propria giurisprudenza, (sentenza 15 novembre 2016 n. 1410) il TAR rileva come la cancellazione, per quanto riguarda gli immobili non vincolati, del riferimento all’identità di sagoma (e alla conseguente conservazione della stessa area di sedime) si traduce nella mancata considerazione quale “nuova costruzione” di una modesta traslazione della stessa all’interno del lotto di pertinenza.

Il requisito che viene in rilievo è dunque quello della non completa estraneità della nuova costruzione rispetto alla preesistente, e dunque di un rapporto di continuità (in termini di sagoma e di sedime) tra la preesistente edificazione e quella progettata: circostanza che non appare realizzarsi nel caso di specie, in cui il progetto presentato dai ricorrenti prevede una totale demolizione di manufatti di origine agricola nella prospettiva della costruzione di un nuovo edificio residenziale.

[L. Conte]

 

ISTANZA DI AUTOTUTELA CON FINALITÀ TRANSATTIVE E PRECEDENTE GIUDICATO
 TAR Piemonte, Sez. II – R.G. 1046/2018 – Sentenza del 3 dicembre 2019, n. 1237
Pres. Testori, Est. Cattaneo
 [Conca D’Oro S.r.l.c. Comune di Orta San Giulio]
 

Conca D’Oro S.r.l. proponeva ricorso contro il Comune di Orta San Giulio, per l’annullamento del provvedimento adottato dal responsabile del servizio di edilizia privata dell’amministrazione comunale, con cui era stato respinto l’esame dell’istanza di autotutela con finalità transattive presentata dalla società.

In particolare, nel rigettare l’esame della menzionata istanza, il Comune aveva affermato che l’azione amministrativa non potesse prescindere dalle intervenute sentenze, passate in giudicato, che avevano già accertato come l’edificio preesistente di cui si discuteva fosse più alto (di circa tre metri) rispetto al fabbricato demolito e ricostruito.

Di conseguenza, il Comune aveva rappresentato con nota alla ricorrente la circostanza che qualsiasi proposta transattiva non potesse omettere il precedente impegno assunto dalla stessa circa la demolizione delle parti della struttura non conformi alla normativa tecnica, urbanistica ed edilizia.

Dal suo canto, Conca D’Oro S.r.l. ne deduceva l’illegittimità per vizio di eccesso di potere, a causa di travisamento, illogicità, difetto assoluto dei presupposti, falsità e erroneità della motivazione, oltre che per sviamento.

Il TAR Piemonte ritiene l’impugnazione dell’atto inammissibile, poiché l’obbligo in capo alla società ricorrente, richiesto dall’amministrazione, di provvedere alla demolizione delle porzioni dell’immobile non conformi alla normativa urbanistica ed edilizia “non deriva, invero, da quanto disposto con la nota impugnata ma dalla legge, dal giudicato di cui alle sentenze del TAR Piemonte n. 3505/2007 e del Consiglio di Stato n. 922/2013 e dall’ordinanza di demolizione n. 28/2015”.

La nota inoltre, afferma il collegio, ha natura di atto endoprocedimentale e, pertanto, non è impugnabile, non essendo dotata di autonoma lesività nella parte in cui comunica che “il procedimento amministrativo procederà con l’emissione dell’ordinanza di demolizione” (ex multis, T.A.R. Piemonte, Sez. I, 25/9/2008, n. 2053; T.A.R. Campania – Napoli, sez. I, 6 febbraio 2008, n. 565; T.A.R. Lombardia – Milano, sez. II, 7 ottobre 2005, n. 3770).

[S. Matarazzo]

 

CONFINE TRA RISTRUTTURAZIONE EDILIZIA E NUOVA COSTRUZIONE
TAR Piemonte, Sez. II – R.G. 148/2019 – Sentenza del 3 dicembre 2019, n. 1238
Pres. Testori, Est. Testori
[M. Trapella e L. Silvestro c. Comune di La Loggia]

 

Nel caso esaminato, il TAR Piemonte si pronunciava sulla richiesta di annullamento del provvedimento adottato dal responsabile del servizio pianificazione e gestione del territorio del Comune di La Loggia, avente ad oggetto il diniego della richiesta del permesso di costruire per un intervento di ristrutturazione edilizia consistente nella demolizione e ricostruzione, con recupero della volumetria, del fabbricato preesistente.

Il giudice amministrativo sottolinea che per la risoluzione della controversia risulti dirimente valutare se l’intervento progettato dai ricorrenti, con previsione del recupero della volumetria dell’edificio demolito su un’area di sedime del tutto diversa, si debba ricondurre alla fattispecie della “ristrutturazione edilizia” o, invece, a quella di “nuova costruzione”, in cui poter ricomprendere anche la sostituzione edilizia, ipotesi richiamata nel provvedimento impugnato.

Partendo dal quadro normativo, con specifico riferimento alla ristrutturazione edilizia c.d. “ricostruttiva”, attuata mediante demolizione, anche parziale, e successiva ricostruzione dell’edificio preesistente, il collegio ricorda come la disposizione di riferimento sia l’art. 3, comma 1, lett. d), del T.U. n. 380/2001, così come risultante dalle modifiche introdotte dall’art. 30, comma 1, della lett. a) del d.l. n. 69/2013.

A seguito di tale intervento normativo, la ristrutturazione edilizia ricostruttiva è subordinata soltanto all’obbligo dell’identità di volumetria rispetto all’edificio preesistente (salvo il caso di immobili vincolati, in cui sussiste anche l’obbligo dell’identità di sagoma), contrariamente alla formulazione originaria che si riferiva alla “fedele ricostruzione”, comportante quindi identicità di“sagoma, volumi, area di sedime e caratteristiche dei materiali”.

In merito all’interpretazione della citata disposizione, il TAR evidenzia l’assenza di opinione unanime in giurisprudenza. Nello specifico, secondo un primo orientamento un intervento può essere qualificato di ristrutturazione edilizia qualora si verifichi un rapporto di continuità attraverso il rispetto della volumetria e della sagoma preesistente, nonché della collocazione spaziale, cioè del sedime occupato (così, ad esempio, TAR Milano, sez. II, sentenza 20 agosto 2019 n. 1910).

Di diverso avviso è il TAR Piemonte che, nella risoluzione della controversia esaminata, riprende il proprio convincimento formulato con sentenza n. 1410/2016 secondo cui “la modesta traslazione della costruzione sul lotto di pertinenza non comporta necessariamente la qualificazione dell’intervento come “nuova costruzione” e dunque la ristrutturazione edilizia è compatibile con “lo spostamento di lieve entità rispetto al sedime originariamente occupato” (negli stessi termini, si veda Cons. Stato, sez. VI, 15 marzo 2013 n. 1564 che, in base all’eliminazione del riferimento alla sagoma per gli immobili non vincolati e al nesso sussistente tra la nozione di sagoma edilizia e di area di sedime, ritiene che la ristrutturazione edilizia ben possa contemplare lo spostamento di lieve entità rispetto al sedime originario).

Nel caso concreto, il collegio rileva come dal provvedimento impugnato, oltre che dalle planimetrie, il progetto presentato dai ricorrenti comporti comunque la “totale demolizione dei manufatti di origine agricola… (ubicati sul confine sud del lotto) e la costruzione di un nuovo edificio residenziale… da realizzare nel centro del medesimo lotto”.

Ad eccezione della volumetria, secondo il TAR, manca qualsiasi elemento di continuità tra la preesistente edificazione e quella progettata, dal punto di vista della sagoma e del sedime, si ha quindi un intervento riconducibile alla tipologia della nuova costruzione (o della “sostituzione edilizia” ai sensi dell’art. 13, comma 3, lettera d-bis) della l.r. n. 56/1977) e non a quella della ristrutturazione edilizia, con la conseguente infondatezza del ricorso.

[S. Matarazzo]

 

INTERVENTI EDILIZI. PRESUPPOSTI PER LA CONVERSIONE DELLA DEMOLIZIONE IN SANZIONE PECUNIARIA
TAR Piemonte, Sez. II – R.G. 107/2019 – Sentenza del 22 gennaio 2020, n. 56
Pres. Testori, Est. Cattaneo
[A. Bosia c. Comune di Cuneo]
 

Con sentenza n. 56 del 2020, il TAR Piemonte si è pronunciato su un ricorso proposto contro il Comune di Cuneo, per l’annullamento di una serie di provvedimenti adottati dall’amministrazione comunale sulle istanze, presentate dal ricorrente, volte ad ottenere la sanatoria edilizia e paesaggistica di alcuni interventi realizzati su un immobile sito in un’area sottoposta a numerosi vincoli ambientali e paesaggistici.

In proposito, il ricorrente contestava l’interpretazione che il Comune aveva fornito dell’art. 34 del d.P.R. n. 380/2001 che, nel disciplinare gli interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire, consente al secondo comma una conversione della demolizione in sanzione pecuniaria, prevedendo nello specifico che “quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, il dirigente o il responsabile dell’ufficio applica una sanzione pari al doppio del costo di produzione, stabilito in base alla legge 27 luglio 1978, n. 392, della parte dell’opera realizzata in difformità dal permesso di costruire, se ad uso residenziale, e pari al doppio del valore venale, determinato a cura della agenzia del territorio, per le opere adibite ad usi diversi da quello residenziale”.

La disposizione, ricorda il collegio, ha quindi come presupposto la realizzazione di lavori edilizi in parziale difformità rispetto al titolo abilitativo previamente rilasciato. Soltanto in tali ipotesi, può operare quindi il previsto strumento della conversione della demolizione in sanzione pecuniaria, “per fattispecie ritenute meno gravi, riferibili all’ipotesi della parziale difformità dal titolo abilitativo (in ragione del minor pregiudizio causato all’interesse urbanistico) e dell’annullamento del permesso di costruire (in ragione della tutela dell’affidamento che il privato ha posto nel titolo edilizio a suo tempo rilasciato e, poi, fatto oggetto di autotutela e della circostanza che l’opera è stata costruita comunque sulla base di un provvedimento abilitativo)” (così, Cons. Stato, sez. VI, 30/03/2017, n.1484; 20/07/2018, n.4418).

L’esegesi prospettata dal ricorrente, invece, era finalizzata a ricavare un principio generale secondo cui anche i lavori eseguiti in totale difformità o in variazione essenziale sarebbero rientrati nell’ambito di applicazione della disposizione, ponendosi – ad avviso del giudice amministrativo – “in palese contrasto con l’impianto delineato dal testo unico dell’edilizia, il quale, nel sanzionare gli abusi edilizi, distingue nettamente gli interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali (art. 31) dagli interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire (art. 34)”.

In tale prospettiva, considerato che nel caso di specie erano stati realizzati lavori in totale difformità o in variazione essenziale, l’amministrazione comunale correttamente non aveva applicato la previsione di cui all’art. 34 del d.P.R. n. 380/2001, bensì la sanzione della demolizione e della riduzione in pristino prevista dall’articolo 31 del testo unico per gli interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali.

Venendo dunque in rilievo l’esercizio di un potere vincolato dell’amministrazione, il TAR considera infondata la censura avanzata relativa all’eccesso di potere.

Il ricorrente contestava poi la legittimità dei provvedimenti di diniego di sanatoria edilizia e di accertamento di compatibilità paesaggistica sulle opere svolte e dei relativi ordini di demolizione, affermando che si trattasse di interventi di manutenzione straordinaria (muretti di contenimento e recinzioni) o di attività edilizia libera (pavimentazione esterna) e quindi suscettibili di essere oggetto di valutazione circa la relativa sanabilità, in particolare sotto il profilo paesaggistico.

Sul punto, il collegio conclude per l’inammissibilità per carenza di interesse, non essendo state contestate da parte ricorrente le ragioni a fondamento dei provvedimenti con cui l’amministrazione comunale aveva negato la sanatoria edilizia e l’accertamento della compatibilità paesaggistica.

Infine, con un’ulteriore censura, il ricorrente sosteneva che per gli interventi oggetto di controversia sarebbe stata illegittima l’adozione di un ordine demolitorio, avendo lo stesso eseguito lavori soggetti a segnalazione certificata che, anche in caso di mancata sanatoria edilizia, sarebbero stati passibili di sanzione pecuniaria ai sensi dell’art. 37, comma 1, del d.P.R. 380/2001.

Il TAR ritiene anche tale doglianza priva di fondamento, richiamando la costante giurisprudenza secondo cui, in applicazione degli artt. 22 e 37, comma 1, del d.P.R. 380/2001, l’applicabilità della sanzione pecuniaria appare limitata ai soli interventi astrattamente realizzabili previa SCIA che siano, contestualmente, conformi agli strumenti urbanistici vigenti (in tali termini, Cons. Stato, Sez. VI, 24/05/2013, n. 2873; Tar Piemonte, n. 70/2019, n. 1296/2018). Per conseguenza, tenuto conto che la conformità urbanistica delle opere era stata negata – con motivazioni tra l’altro non oggetto di alcuna specifica contestazione – bisognava escludere la possibilità che venisse irrogata la sola sanzione pecuniaria.

[S. Matarazzo]

 

IL TAR DÀ RAGIONE AL COMUNE DI TORINO nella controversia CON LA JUVENTUS SUi COSTI PER le opere AMBIENTALI eseguite NELL’AREA “CONTINASSA” VICINO ALlo STADIO
 TAR Piemonte, Sez. II – R.G. 624/2018 – Sentenza del 30 gennaio 2020, n. 82
Pres. Testori, Est. Cattaneo
 [Juventus F.C. s.p.a. c. Comune di Torino]
 

La sentenza in oggetto decide la controversia sorta tra la Juventus F.C. ed il Comune di Torino in merito ai costi per la rimozione dei rifiuti e l’esecuzione degli interventi di recupero ambientale (le cc.dd. opere ambientali) nell’area “Continassa”, vicino allo stadio della Juventus, dove la società ha di recente realizzato un albergo, un Campus per studenti ed altre importanti opere edilizie.

La vicenda portata davanti al TAR ha preso avvio nel 2013, con la sottoscrizione di un contratto tra la Juventus ed il Comune di Torino (a seguito di protocollo d’intesa del 2012) volto a costituire a favore della prima il diritto di superficie, e a trasferirle la proprietà superficiaria, sull’area “Continassa” (specificamente, sul lotto A di tale area) per un periodo di 90 anni, contro il versamento di un corrispettivo di 11.700.000,00 euro. Alla firma del contratto hanno fatto seguito l’approvazione da parte della Città di una Variante urbanistica per la realizzazione delle citate opere edilizie e, poi, di un P.E.C. e di una convenzione urbanistica tra le parti. Successivamente, poiché l’area in questione (che per lungo tempo era stata abbandonata e, da ultimo, era stata occupata da un campo nomadi) conteneva notevoli quantità di rifiuti da smaltire e la Città di Torino non aveva la possibilità di eseguire direttamente le demolizioni e le bonifiche di competenza (le cc.dd. opere ambientali), le parti hanno concordato che esse sarebbero state realizzate dalla Juventus F.C. – con “scomputo” dagli oneri di urbanizzazione che essa avrebbe dovuto versare all’Amministrazione comunale –, secondo un “progetto ambientale” da essa stessa elaborato ed approvato dall’Amministrazione. Tale “progetto ambientale”, nella sua versione originaria (approvata dalla Giunta comunale nel settembre del 2013), prevedeva il riconoscimento alla Juventus – a titolo di costi per la rimozione dei rifiuti e le cc.dd. opere ambientali – della somma di 1.386.166,00 euro (da imputare, appunto, a “scomputo” degli oneri di urbanizzazione); successivamente – a seguito del rinvenimento in loco, durante i lavori,di quantità ulteriori di rifiuti, eccedenti l’uso ordinario – è stato integrato con la previsione del riconoscimento, da parte del Comune, delle ulteriori somme di 895.000,00 euro e di 266.774,37 euro.

La Juventus, tuttavia, non ha ritenuto adeguati tali importi e, nel 2018, ha chiesto al Comune di Torino di riconoscerle dei costi ulteriori, pari a quasi 3 milioni di euro (precisamente, 2.706.503,00 euro). Il Comune, con provvedimento del 3 maggio 2018, ha respinto la richiesta, e la società ha quindi proposto ricorso al TAR per l’annullamento di tale diniego e per l’accertamento del proprio diritto a vedersi versate le somme spese per i suddetti interventi ambientali, con conseguente condanna del Comune al pagamento dell’importo (quantificato, da ultimo, in corso di causa) di euro 2.574.000,00.

Nella sentenza in commento il TAR Piemonte, dopo aver riepilogato puntualmente le tesi delle parti, ricostruisce il contenuto del contratto di trasferimento della proprietà superficiaria dell’area “Continassa”, sopra ricordato – e specificamente del suo art. 4, decisivo per la risoluzione della controversia –, aderendo all’interpretazione della difesa del Comune.

Al riguardo la sentenza ricorda, in primo luogo, che secondo la giurisprudenza, per “ricostruire la comune intenzione delle parti, si deve procedere in via prioritaria all’individuazione del senso letterale delle clausole contrattuali, interpretandole sia singolarmente che le une per mezzo delle altre; hanno, invece carattere sussidiario gli altri criteri ermeneutici, segnatamente quello fondato sul comportamento delle parti successivo alla conclusione del contratto, subordinandone l’utilizzazione alla dimostrazione, con argomentazioni convincenti, dell’impossibilità, e non già della mera difficoltà, di conoscere la predetta intenzione attraverso l’interpretazione letterale” (vengono richiamate le pronunce della Cassazione del 30 aprile 2014, n. 9524; 23 aprile 2010, n. 9786; 25 giugno 2008, n. 17341; 19 luglio 2004, n. 13344; 21 marzo 2003, n. 4129). Applicando tali principi il TAR afferma, dunque, che nel caso di specie la comune intenzione delle parti contraenti era prevedere lo “scomputo” dagli oneri di urbanizzazione “delle sole opere ambientali previste nel “progetto ambientale” (quello originario approvato dalla Giunta comunale nel settembre del 2013, e poi le versioni “integrative” più sopra menzionate), essendo irrilevante l’eventuale affidamento della Juventus F.C. “circa un futuro riconoscimento di ulteriori somme … da parte dell’amministrazione” (affidamento che, peraltro, il TAR esclude essersi ingenerato nella vicenda di specie). La disposizione contenuta nell’art. 4 comma 4 del contratto – secondo cui “la Città terrà manlevata Juventus dagli eventuali ulteriori aggravi di costi che dovessero emergere in caso di insorgenza di problematiche ambientali non conosciute o conoscibili eccedenti l’ordinarietà dell’uso dell’Area Juventus e/o determinate da eventi, azioni o omissioni precedenti la consegna dell’Area …” – deve essere letta congiuntamente alla clausola dettata dal comma 5, per la quale “il valore delle predette opere ambientali verrà puntualmente definito nel progetto ambientale”. Secondo il TAR l’interpretazione data alla norma contrattuale dalla società ricorrente – che “legg[e] il comma 4 come una clausola aperta che consenta lo scomputo di ogni spesa che si rendesse necessaria nel corso dei lavori, a prescindere dalla sua previsione nel “progetto ambientale”contrasta con la lettera dello stesso comma 4, che si riferisce alla redazione del “progetto ambientale” citato ed al suo contenuto, e “priv di ogni senso quanto disposto dal comma 5”. Ulteriori conferme della correttezza dell’interpretazione volta a limitare le opere ambientali riconoscibili a “scomputo” degli oneri di urbanizzazione dovuti dalla Juventus vengono desunti, poi, da altri elementi, come alcune previsioni contenute nelle delibere di approvazione del “progetto ambientale” e delle sue integrazioni, nonché del P.E.C. e della convenzione urbanistica stipulate tra le parti.

Per queste ragioni il TAR conclude che nessuna ulteriore somma deve essere riconosciuta alla società calcistica per l’esecuzione degli interventi ambientali e respinge il ricorso.

[G. Sobrino]

 

ENTI LOCALI

 

LA PROSSIMITA’ DELL’IMPIANTO AL TERRITORIO COMUNALE RAPPRESENTA UN ELEMENTO DI COLLEGAMENTO RILEVANTE IN FUNZIONE DELL’INTERESSE DELL’ENTE TERRITORIALE A PARTECIPARE ALL’ISTRUTTORIA PROCEDIMENTALE E A IMPUGNARNE GLI ESITI- SPETTANO AL DIRIGENTE METROPOLITANO LE VERIFICHE DI NATURA TECNICA CIRCA LA COMPATIBILITA’ AMBIENTALE DEL PROGETTO IN QUANTO ATTIVITA’ DI GESTIONE IN SENSO STRETTO 
TAR Piemonte, Sez. I – R.G. 887/2018 – Sentenza del 28 gennaio 2020, n. 78
Est. Patelli, Pres. Salamone
[Comune di Rondissone e.a. c. Città Metropolitana di Torino]

 

Il TAR Piemonte accoglie il ricorso promosso dai comuni di Rondissone, Mazzè, Torrazza Piemonte e Verolengo per l’annullamento del decreto della Consigliera Delegata della Città Metropolitana di Torino n. 594-29034 del 12 dicembre 2018, con cui è stato espresso giudizio favorevole di compatibilità ambientale relativamente al progetto di realizzazione di un impianto di produzione di biometano sviluppato da Ferplant s.r.l. e della nota con cui il dirigente del Servizio Qualità dell’Aria e Risorse Energetiche della Città Metropolitana di Torino ha rilasciato alla Ferplant l’autorizzazione unica alla realizzazione e messa in esercizio dell’impianto predetto.

Sotto al profilo processuale, i Comuni di Mazzè, Torrazza Piemonte e Verolengo allegano di avere interesse al ricorso in ragione del criterio della vicinitas, in quanto i territori dei comuni sono siti nei pressi dell’impianto e potrebbero derivare impatti ambientali a livello di inquinamento delle acque, di odori, rumore e viabilità. La prossimità dell’impianto al territorio comunale rappresenta un elemento di collegamento rilevante in funzione dell’interesse dell’ente territoriale a partecipare all’istruttoria procedimentale e a impugnarne gli esiti. In generale, la materia della tutela dell’ambiente si connota per una peculiare ampiezza del riconoscimento della legittimazione partecipativa e del coinvolgimento dei soggetti potenzialmente interessati (Cons. Stato, Sez. IV, 12 maggio 2014, n. 2403).

Per quanto concerne il giudizio di merito, risulta fondata la censura di incompetenza dell’organo politico (il Consigliere delegato all’ambiente) all’adozione del presupposto provvedimento di valutazione della compatibilità ambientale. Mentre per i progetti di competenza statale, ai sensi dell’art. 25 Cod. Ambiente (d.lgs. n. 152/2006), la competenza all’adozione della V.I.A. è attribuita dalla legge al Ministro quale organo politico, per i progetti di interesse locale/regionale si deve fare riferimento alla legge regionale in materia. In assenza di deroga da parte della disciplina regionale, deve farsi applicazione dei principi generali dettati dall’art. 107 d.lgs. 18 agosto 2000 n. 267, per il quale spettano al Dirigente gli atti e provvedimenti non ricompresi espressamente dalla legge o dallo statuto tra le funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo degli organi di governo dell’ente. In relazione alla natura dell’atto, va specificato che le verifiche di natura tecnica circa la compatibilità ambientale del progetto rientrano nell’attività di gestione in senso stretto, alle quali possono tuttavia affiancarsi complesse valutazioni politiche attinenti al governo del territorio (cfr. C. Cost, sentenza del 3 maggio 2013, n. 81).

In ultima analisi il Collegio precisa che, ai fini della tutela degli abitanti, l’applicazione del principio di precauzione sulla base del criterio di esclusione, la nozione di “case sparse” deve essere interpretata restrittivamente e riferita a case isolate.

[V. Vaira]

 

ISTRUZIONE & UNIVERSITÀ

 

IL GIUDICE AMMINISTRATIVO PUÒ DISPORRE UNA VERIFICAZIONE PER ACCERTARE L’ORIGINALITÀ O MENO DI UNA PUBBLICAZIONE SCIENTIFICA E ANNULLARE IL GIUDIZIO DELLA COMMISSIONE DI CONCORSO
 TAR Piemonte, Sez. I – R.G. 268/2019 – Sentenza del 19 dicembre 2019, n. 1252
Pres. Salamone, Est. Risso
 [Omissis c. Università degli Studi omissised altri]

 

La sentenza in oggetto accoglie il ricorso di un candidato ad un concorso da ricercatore a tempo determinato – classificatosi secondo, con una differenza di soli 3 punti rispetto al vincitore – contro la valutazione delle pubblicazioni effettuata dalla Commissione e gli atti conseguenti (sino al decreto rettorale di approvazione degli atti della procedura).

Il TAR ritiene “manifestamente fondata” (tanto da pronunciarsi con sentenza in forma semplificata ex art. 74 c.p.a.), in particolare, la censura contenuta nel primo motivo di ricorso, riguardante la violazione del divieto “di duplice valutazione” dei titoli prodotti dai candidati. Secondo il ricorrente, invero, la Commissione aveva attribuito in modo illegittimo 4 punti (risultati decisivi per l’esito del concorso) ad un saggio presentato dal vincitore, che riproduceva in inglese ampi stralci della monografia dello stesso candidato, già valutata a sua volta 5 punti. Tale pubblicazione non poteva perciò considerarsi “originale” ai sensi del bando e dei criteri di valutazione definiti dalla stessa Commissione. Per corroborare la censura il ricorrente aveva prodotto una traduzione asseverata del saggio “incriminato” ed uno “specchietto di confronto” tra il suo testo e quello delle parti di monografia che egli riteneva corrispondenti.

La pronuncia in esame risulta interessante perché il TAR Piemonte – richiamandosi ad un precedente del Consiglio di Stato (ordinanza n. 249/2017 della Sezione VI) – dispone una verificazione (a norma dell’art. 66 c.p.a.) relativa alla pubblicazione contestata, affidandola ad una docente universitaria di Letteratura, e sulla base del suo risultato ritiene di poter annullare il giudizio della Commissione e l’esito del concorso.

Più precisamente, il Tribunale chiede al “verificatore” (a) di accertare se il saggio citato “costituisca copia integrale (in lingua inglese) di parte dei contenuti della monografia” prodotta dal medesimo candidato, e (b) se si possa ritenere che tale saggio “abbia un valore scientifico autonomo rispetto alla monografia”. Al primo quesito la docente incaricata risponde in senso positivo, “sulla base di un’approfondita lettura ed analisi dei due testi scientifici … e delle Osservazioni dei tre Consulenti di parte”. Quanto al secondo quesito, la docente osserva che “il campo d’indagine è identico, comune è la struttura portante del discorso, identiche le premesse e le conclusioni; tra le due pubblicazioni sussiste un rapporto di derivazione, e il saggio è interamente confluito, smontato nelle sue parti, nella monografia”; perciò il saggio è privo di “valore scientifico autonomo” rispetto a quest’ultima. Il TAR Piemonte – dopo aver precisato di essere consapevole dei limiti del sindacato del G.A. sui giudizi delle Commissioni dei concorsi universitari, connotati da ampia discrezionalità – afferma che nel caso di specie, alla luce dell’istruttoria svolta, emerge l’irragionevolezza dell’attribuzione di un punteggio al saggio presentato dal vincitore. “Anche a non voler considerare la risposta data dal verificatore al secondo quesito – che secondo l’Amministrazione sconfinerebbe nella discrezionalità tecnico-valutativa riservata all’esclusiva competenza della Commissione … – dalla risposta … al primo quesito … emerge che l’intero saggio è confluito nella monografia”: perciò la Commissione ha valutato due volte un titolo unico, violando la legge ed il bando di concorso (viene richiamata, al riguardo, anche Cons. Stato, sez. VI, 23 luglio 2018, n. 4501).

[G. Sobrino]

 

IL POSSESSO DI UN TITOLO DI STUDIO DICHIARATO EQUIPOLLENTE ALL’ABILITAZIONE PERMETTE DI PARTECIPARE AI CONCORSI PUBBLICI E NON SOLTANTO L’INGRESSO NELLA GRADUATORIA DI II FASCIA
 TAR Piemonte, Sez. II – R.G. 161/2019 – Sentenza del 24 dicembre 2019, n. 1286
Pres. Testori, Est. Malanetto
 [Longo c.Ministero dell’istruzione dell’università e della ricerca]

 

Il TAR Piemonte ha accolto il ricorso, presentato dal sig. Longo, con il quale il ricorrente ha chiesto l’annullamento del decreto emesso dall’Ufficio scolastico regionale per il Piemonte in data 19 giugno 2018. Con tale atto, l’Ufficio aveva escluso il ricorrente da un procedimento, inteso a reclutare del personale docente per la scuola secondaria di secondo grado nella classe di concorso “teoria, analisi e composizione” (cod. A064), per mancanza dei requisiti di ammissione al concorso.

La controversia verte sul possesso o meno, da parte del sig. Longo, di un titolo abilitante alla partecipazione al concorso. Nel 2013, il ricorrente ha ottenuto un diploma di contrabbasso presso un istituto superiore di studi musicali AFAM che, in forza di una serie di atti normativi (da ultimo con la legge n. 26/2016), è stato dichiarato equipollente a una laurea magistrale. Rimane controverso se tale diploma assuma anche il valore di titolo abilitante necessario per partecipare ai concorsi pubblici di reclutamento del personale docente della scuola.

Secondo la ricostruzione dell’amministrazione scolastica, tale efficacia deve essere negata. Pertanto, il ricorrente non è titolato a partecipare al concorso pubblico, dal quale viene infatti escluso con il provvedimento impugnato. Tuttavia, l’amministrazione riconosce la possibilità per il sig. Longo di spendere il proprio titolo per richiedere l’iscrizione alla graduatoria d’istituto di II fascia. Riservata al personale abilitato, l’iscrizione in tale elenco permette di essere selezionati dai dirigenti scolastici per degli incarichi di supplenza.

D’altro canto, il ricorrente afferma che la stratificazione di varie riforme normative ha portato a che, nei fatti, non si sia mai attivato alcun percorso per l’ottenimento di un titolo di abilitazione utile per concorrere nella classe di concorso A064. Questo fatto è stato confermato nel corso del giudizio dalla stessa amministrazione scolastica: trattandosi di una classe di concorso nuova, i percorsi formativi per l’ottenimento del titolo abilitativo non sono mai stati attivati, tanto che il bando impugnato ammetteva a concorrere gli abilitati nelle ex classi di concorso A031, A32, e A077. In altri termini, non è previsto alcun percorso abilitante che possa dare accesso al concorso nella classe A064 per coloro che, come il ricorrente, sono in possesso del diploma di contrabbasso. Pertanto, il sig. Longo lamenta l’illegittimità del provvedimento di esclusione per una pluralità di motivi e, in subordine, l’incostituzionalità della disciplina normativa.

Con ordinanza del TAR Piemonte, 8 maggio 2019, n. 169 il sig. Longo ottiene in via cautelare l’ammissione con riserva al concorso che, nelle more del giudizio, ha per lui esito positivo. In seguito, i giudici decidono per l’illegittimità del provvedimento di esclusione dal concorso poiché, come riconosciuto in altre controversie di tenore simile nelle quali al diploma del sig. Longo era stata riconosciuta la natura di titolo abilitante (Trib. Parma, sent. 125 del 2018; TAR Lazio, sez. III-bis, ord. 12 luglio 2017, n. 3562; Consiglio di Stato, sez. VI, ord. 20 novembre 2017, n. 4978). Quindi, Richiamando una pronuncia su un caso analogo dal TAR Puglia, sez. I, sent. 30 agosto 2019, n. 1176, il TAR Piemonte stabilisce che sia illegittimo riconoscere a coloro in possesso di un titolo equipollente, come nel caso del ricorrente, di poter unicamente aspirare all’inserimento nelle graduatorie di II fascia ma non di partecipare al concorso. Infatti, afferma il TAR Piemonte, citando il TAR Puglia, che:«l’inserimento in seconda fascia è una conseguenza logico-giuridica del fatto che gli insegnanti possiedono un titolo abilitante, tale inserimento non essendo possibile in assenza del detto titolo. Pertanto poiché un Giudice, con provvedimento definitivo, ha accertato e dichiarato che l’odierna ricorrente ha un titolo abilitante all’insegnamento, i provvedimenti di esclusione oggi impugnati sono evidentemente illegittimi, posto che, nel bando di concorso era espressamente prevista la partecipazione di chi avesse ottenuto i requisiti previsti dal bando in via giudiziaria, con ovvia riserva in relazione agli esiti definitivi dei connessi procedimenti».

In breve, il possesso di un titolo di studio riconosciuto come equipollente all’abilitazione permette di partecipare al concorso per il personale docente della scuola e non soltanto di essere inserito nelle graduatorie di seconda fascia.

[R. Medda]

 

È ILLEGITTIMO IL DINIEGO DELLO STATUS DI STUDENTE INDIPENDENTE AI FINI DELLA RIDUZIONE DELLE TASSE UNIVERSITARIE FONDATO ESCLUSIVAMENTE SUL MANCATO RAGGIUNGIMENTO, PER UN SOLO ANNO, DELLA SOGLIA REDDITUALE PREVISTA
TAR Piemonte, Sez. I – R.G. 786/2016 – Sentenza del 30 dicembre 2019, n. 1288
Pres. Celeste Cozzi, Est. Celeste Cozzi
 [Omissis c. Università omissis]

 

Il ricorrente ha impugnato il provvedimento che ha respinto un’istanza di riconoscimento dello status di studente universitario indipendente dal nucleo familiare, adottato nel maggio 2016 dalla “Commissione per l’interpretazione in via equitativa della normativa per l’accesso alle fasce ridotte delle tasse universitarie” istituita presso l’Università omissis. Tale status avrebbe garantito al ricorrente alcune agevolazioni con riguardo all’ammontare delle tasse universitarie.

La controversia verte sull’interpretazione della disposizione, il d.p.c.m. 9 aprile 2001, art. 5, co. 3, che disciplina lo status di studente indipendente dal nucleo familiare di origine. In base alla disposizione, questo viene riconosciuto quando sia integrati congiuntamente due requisiti: il richiedente deve aver fissato la propria residenza in un immobile diverso da quello della famiglia di origine e non di proprietà di uno dei suoi membri; inoltre, deve aver dichiarato al fisco redditi da lavoro dipendente o assimilati non inferiori a 6.500 euro. Entrambi i requisiti devono essere rispettati da almeno due anni rispetto al momento in cui viene presentata la domanda di agevolazione.

Secondo la ricostruzione dell’amministrazione universitaria, lo studente non avrebbe rispettato il requisito reddituale dato che non aveva dichiarato un reddito sufficiente a raggiungere la soglia richiesta dal d.p.c.m. in maniera continuativa nel corso degli anni. All’opposto, il ricorrente deduce il difetto di motivazione del diniego della richiesta di agevolazione in quanto il mancato raggiungimento, per un solo anno, della soglia di reddito minima non farebbe venir meno la possibilità di conseguire lo status di studente indipendente dal nucleo familiare di origine. In breve, la questione verte sull’esatto significato da attribuire al termine biennale richiesto dalla disposizione normativa.

Il TAR riconosce il difetto di motivazione prospettato dal ricorrente e, pertanto, accoglie il ricorso e annulla il provvedimento di diniego. In mancanza di un’espressa indicazione legislativa, affermano i giudici, i due anni richiesti dal d.p.c.m. non devono essere necessariamente intesi come consecutivi. Piuttosto è l’amministrazione a dover valutare se – in concreto – l’eventuale interruzione abbia fatto venir meno l’indipendenza economica dello studente. Nel compiere tale valutazione, l’amministrazione deve tenere conto della complessiva situazione reddituale dello studente e, quindi, verificare se l’entità dei redditi comunque percepiti nell’anno in cui la soglia minima non è stata raggiunta e l’entità dei redditi percepiti negli altri anni abbiano concretamente inciso sulla sua capacità di mantenersi autonomamente. Pertanto, è illegittimo il rifiuto fondato esclusivamente sul mancato raggiungimento, per un solo anno, della soglia reddituale prevista, nonostante il ricorrente avesse comunque conseguito in quell’anno un reddito di poco inferiore a quattromila euro ed avesse superato la soglia negli anni precedenti e successivi.

Secondo i giudici, è questa l’interpretazione più fedele alla ratio della norma, poiché consente «di evitare l’effetto paradossale di far perdere i benefici a quegli studenti che – nonostante, per qualche periodo, abbiano conseguito redditi inferiori alla soglia minima prevista dall’art. 5, comma 3, del d.p.c.m. 9 aprile 2001 – hanno comunque continuato a sostenersi autonomamente, versando così in una situazione di maggior svantaggio rispetto a coloro che invece hanno sempre raggiunto la suddetta soglia minima».

[R. Medda]

 

DATA LA COMPLESSITÀ DEL QUADRO NORMATIVO, È ILLEGITTIMO PER PALESE DIFETTO DI MOTIVAZIONE IL PROVVEDIMENTO DI CORREZIONE DI ERRORE MATERIALE DI UNA GRADUATORIA DI UN CONCORSO PUBBLICO IN ASSENZA DI ULTERIORI CHIARIMENTI DA PARTE DELL’AMMINISTRAZIONE
 TAR Piemonte, Sez. II – R.G. 407/2019 – Sentenza del 7 gennaio 2020, n. 26
Pres. Testori, Est. Cattaneo
 [La Bruna c. Ministero dell’istruzione dell’università e della ricerca]

 

La prof.ssa La Bruna ha impugnato un provvedimento emesso dall’Ufficio scolastico per la Campania con il quale era stato modificato un precedente provvedimento, emesso dalla stessa amministrazione, di approvazione degli atti di un concorso a pubblico impiego. Nello specifico, si trattava di una procedura concorsuale volta a selezionare del personale docente nella classe di concorso AA55 strumento musicale (arpa) da destinare alle scuole secondarie di II° grado della Regione Piemonte. A esito della modifica del provvedimento, motivata dalla necessità di correggere un errore materiale, la ricorrente è stata sopravanzata in graduatoria da un’altra candidata, la prof.ssa La Carruba, per effetto del riconoscimento a favore della seconda di un titolo di merito ulteriore.

La ricorrente lamenta l’illegittimità del provvedimento di correzione della graduatoria in quanto affetto, tra le altre cose, da difetto di motivazione. Il TAR Piemonte trova fondato tale motivo e, perciò, accoglie il ricorso e annulla il provvedimento impugnato.

Affermano i giudici che dalla lettura del provvedimento impugnato non sia possibile comprendere le ragioni che hanno portato l’amministrazione a rettificare il punteggio attribuito alla prof.ssa La Carruba, attribuendole il punteggio aggiuntivo previsto al punto A.1.2 della tabella A allegata al d.m. 5 dicembre 2017, n. 995. Inizialmente non riconosciuti per mero errore materiale, i 19 punti aggiuntivi sono stati attribuiti, secondo l’amministrazione, in virtù dell’ulteriore abilitazione posseduta dalla Prof.ssa La Carruba, “strumento musicale nella scuola secondaria di I° grado”, indicata al punto A.1.2 della Tabella A di valutazione dei titoli.

Con ordinanza del 31 maggio 2019, n. 225, il TAR ha chiesto all’amministrazione di precisare le ragioni per le quali ha ritenuto che l’abilitazione in possesso della prof.ssa La Carruba fosse ricompresa nel punto A.1.2 della tabella A allegata al d.m. 5 dicembre 2017, n. 995. Inoltre, con la medesima ordinanza, i giudici hanno chiesto all’Ufficio scolastico di prendere posizione sulle censure dedotte dalla ricorrente riguardanti l’asserito contrasto del provvedimento di rettifica della graduatoria con le indicazioni pubblicate sul sito web istituzionale del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca.

L’amministrazione scolastica non ha ottemperato alla richiesta di chiarimenti, resa necessaria secondo il TAR dalla complessità del quadro normativo e dall’apparente contrasto tra il provvedimento impugnato e le informazioni contenute nel sito web del Ministero dell’istruzione. In applicazione dell’art. 64, co. 4, del codice del processo amministrativo, i giudici hanno desunto dal comportamento processuale dell’Ufficio scolastico un argomento di prova riconoscendo, pertanto, l’illegittimità del provvedimento per palese difetto di motivazione.

[R. Medda]

 

LA COMMISSIONE DI UN CONCORSO UNIVERSITARIO DEVE MOTIVARE LE RAGIONI DELL’ASSEGNAZIONE DEI PUNTEGGI AI CANDIDATI
TAR Piemonte, Sez. I – R.G. 583/2019- 600/2019 – Sentenza del 23 gennaio 2020, n. 62,
Pres. Salamone, Est. Patelli
 [Omissis c. Università degli Studi omissis ed altri]

 

Con la sentenza indicata il TAR Piemonte si pronuncia su due ricorsi, proposti dal secondo e dal terzo classificato di un concorso per professore associato bandito ai sensi dell’art. 18 comma 1 della legge “Gelmini” (n. 240/2010). Come la sentenza n. 1252/2019 (sopra annotata), anche questa decisione si segnala per la definizione – e la conseguente applicazione – da parte del TAR dei “confini” del sindacato del G.A. sulle valutazioni delle Commissioni nei concorsi universitari, a fronte di censure articolate mosse da entrambi i ricorrenti, riguardanti l’errata valutazione dei loro titoli e (in via comparativa, stante la natura della procedura di cui trattasi) di quelli degli altri candidati, sotto diversi profili.

Nello specifico, entrambi i ricorrenti hanno contestato in vari punti l’attribuzione dei punteggi relativi a tutte e tre le “voci” previste dal bando di concorso come oggetto di valutazione: l’attività di ricerca svolta dai candidati (comprensiva delle pubblicazioni e della partecipazione a convegni), l’attività didattica e l’attività clinico- assistenziale. L’Università resistente ed il vincitore del concorso hanno eccepito l’inammissibilità di tali censure, in quanto volte – a loro giudizio – a contestare l’operato discrezionale della Commissione giudicatrice; il TAR tuttavia respinge l’eccezione, ricordando che “l’esame dei motivi di ricorso attinenti la valutazione della commissione giudicatrice non è precluso al Tribunale, con la precisazione cheesso va svolto sulla base del principio generale per il quale le valutazioni tecnico discrezionali espresse dalle Commissioni d’esame nell’ambito delle procedure comparative per l’accesso ai posti di ricercatore … sono sindacabili in sede giurisdizionale con la verifica dell’attendibilità delle valutazioni della commissione esaminatrice rispetto alla correttezza dei criteri utilizzati e applicati, con la precisazione che resta comunque fermo il limite della relatività delle valutazioni scientifiche, potendo il giudice amministrativo censurare la sola valutazione che si ponga al di fuori dell’ambito di opinabilità…” (la sentenza richiama, in proposito, Consiglio di Stato, sez. VI, 24 agosto 2018, n. 5050, e 8 luglio 2011, n. 4125).

Ciò premesso, con riguardo – in primo luogo – ai motivi di ricorso relativi alla valutazione dell’attività di ricerca dei candidati, il TAR li accoglie sulla base del rilievo per cui gli atti della procedura concorsuale “non consentono di ricostruire le ragioni” che hanno indotto la Commissione ad attribuire alla candidata risultata vincitrice un punteggio superiore a quello dei ricorrenti, pur a fronte di un’“apparente superiore produzione” scientifica di questi ultimi. La Commissione, sebbene fosse libera di formulare i suoi giudizi “tecnici”, non ha dato conto “degli elementi di differenza [che essa ha ravvisato: n.d.A.] tra i profili dei candidati e di come sono stati valorizzati, al fine di consentire la comprensione dell’operato svolto e dunque il sindacato di legittimità …” proprio del Giudice Amministrativo. In particolare, nonostante essa abbia assegnato alla vincitrice, per questa “voce”, un punteggio di poco superiore a quello dei ricorrenti, non ha giustificato la “maggiore pregevolezza del [suo: n.d.A.] profilo – … ad esempio, sotto l’aspetto dei ruoli ricoperti nei gruppi di ricerca –”; né, d’altra parte, ha motivato la mancata valutazione di “una parte dell’elenco dei gruppi di ricerca cui ha partecipato” uno dei ricorrenti. Inoltre la Commissione non ha esternato le ragioni sottostanti alla differenza di punteggio tra uno dei ricorrenti – i cui progetti di ricerca non sono stati valutati perché “confluiti in pubblicazioni” – e la vincitrice – la cui attività di ricerca scientifica su un determinato tema è parimenti “confluita” in una pubblicazione –.

Sulla base di principi analoghi il TAR accoglie anche i motivi di ricorso riguardanti la valutazione dell’attività didattica e dell’attività clinico- assistenziale svolta dai ricorrenti e dalla candidata risultata vincitrice. Di conseguenza, viene ordinato alla Commissione di ripetere la valutazione dei candidati e – in particolare – di “dare adeguato conto delle scelte effettuate”, secondo i principi affermati nella sentenza.

Da segnalare, infine, che sul concorso oggetto del giudizio è stata avviata altresì un’indagine penale (a seguito di esposto presentato da uno dei ricorrenti), che, alla data della sentenza del TAR, ha portato alla formulazione a carico di uno dei Commissari delle imputazioni di turbata libertà di scelta del contraente (art. 353-bis c.p.) e minaccia. In proposito il TAR si limita ad affermare che spetta all’Università che ha bandito il concorso valutare se sostituire o meno il Commissario in questione, alla luce “dell’eventuale avvio e prosieguo del processo penale.

[G. Sobrino]

 

SANITÀ

 

SULL’APPLICAZIONE DELLA CLAUSOLA DI SALVAGUARDIA PREVISTA DALLA DELIBERA REGIONALE CHE INTRODUCE NUOVE REGOLE RELATIVE AL FINANZIAMENTO PER L’ACQUISTO DI PRESTAZIONI SANITARIE DA EROGATORI PRIVATI ACCREDITATI
TAR Piemonte, Sez. I – R.G. 887/2018 – Sentenza del 19/03/2020, n. 200
Est. Picone, Pres. Risso , Ref. Perilli
 [Casa di Cura Privata Città di Bra s.p.a. c. Regione Piemonte]

 

Il TAR Piemonte accoglie il ricorso per annullamento promosso avverso alcuni atti della Regione Piemonte da parte della Casa di Cura Privata Città di Bra s.p.a., che gestisce una clinica privata accreditata con il servizio sanitario regionale. Oggetto del contenzioso è, nello specifico, la delibera della Giunta regionale del 3 agosto 2017 mediante la quale, da un lato, venivano introdotte nuove regole relative al finanziamento per l’acquisto di prestazioni sanitarie da erogatori privati accreditati; da altro lato, venivano fatte salve alcune strutture accreditate che avessero raggiunto con l’Amministrazione specifiche intese (relative, fra l’altro, alla determinazione e suddivisione del proprio budget produttivo), come nel caso della ricorrente. In essa si prevede infatti che “con riguardo alle strutture private accreditate che, nel corso della fase di negoziazione per le annualità 2014 – 2016, avevano concluso con l’Amministrazione regionale una specifica intesa anche con riguardo all’annualità 2017 (…) salvo esplicita richiesta di piena adesione alle nuove regole regionali da parte delle strutture interessate, provvederanno alla definizione del contratto per l’annualità 2017 in conformità ai tetti di spesa ed ai posti letto contrattati sulla base delle predette intese”. Fino al 2017 la Regione Piemonte prevedeva, nell’ambito dell’area del ricovero, un budget indifferenziato per le attività di acuzie e post acuzie. In linea con quella metodologia, le parti stipulavano in data 1° ottobre 2015 un contratto per gli anni 2014 – 2016 ove si considerava un budget ripartito fra le prestazioni di ricovero e quelle ambulatoriali. I tetti di spesa contrattualizzati per l’anno 2016 non prevedevano alcuna suddivisione fra acuzie e post acuzie, entrambe collocate nell’area del ricovero, ma unicamente una distinzione di budget fra area di ricovero ed area ambulatoriale. In virtù di questi fatti, la Regione avrebbe dovuto rideterminare il tetto di spesa assegnato alla ricorrente, alla luce della riorganizzazione effettuata negli anni 2016 e 2017.

[V. Vaira]

 

TAR VALLE D’AOSTA

LA MANCATA AMMISSIONE ALLA CLASSE SUCCESSIVA DI UN ALUNNO DSA NON PUÒ ESSERE DISPOSTA SENZA UNA PROVA ORALE INTEGRATIVA DI QUELLA SCRITTA (ANCHE LADDOVE NON PREVISTA DAL PDP)
 TAR Valle d’Aosta R.G. 56/2019 – Sentenza dicembre – 10 dicembre 2019, n. 30
Pres. Migliozzi, Est. Migliozzi
 [OMISSIS c. Regione autonoma Valle d’Aosta]

 

Il TAR Valle d’Aosta ha accolto il ricorso dei genitori di un alunno affetto da disturbo psichico dell’apprendimento (DSA) che non era stato ammesso alla classe successiva per non aver superato l’esame di riparazione di lingua e letteratura francese. L’alunno era affetto da disturbo specifico dell’ortografia e fruiva di un piano didattico personalizzato (PDP) con misure dispensative e compensative. Alla fine dell’anno scolastico l’alunno aveva riportato la valutazione di insufficiente in italiano e francese. Nel mese di settembre, aveva sostenuto l’esame di riparazione, senza tuttavia superare la prova di francese. Per detta materia l’esame consisteva in un elaborato da svolgere al computer e all’esito della prova l’alunno risultava insufficiente, non venendo così ammesso alla classe successiva.

I genitori dell’alunno hanno impugnato la pagella scolastica con richiesta di annullamento sulla base di una serie di motivi di gravame. Essi lamentavano la mancata ostensione della delibera del consiglio avente ad oggetto le modalità e le tipologie delle prove per il recupero dei debiti scolastici per l’alunno DSA. Inoltre, la prova di francese non indicava specificatamente gli obbiettivi da raggiungere dallo studente e recava solo alcune delle misure compensative e dispensative previste per l’alunno e tra queste non era stato fornito dall’Istituto il dizionario bilingue anche digitale espressamente invece indicato nel PDP. Infine, gli interessati deducevano quale motivo di illegittimità l’assenza della previsione della prova orale nonostante il PDP prevedesse verifiche orali, mentre l’Istituzione ha previste per il recupero delle carenze nella lingua francese esclusivamente una prova scritta. Rilevavano altresì che il PDP non era stato mai aggiornato nonostante la scuola avesse richiesto ed ottenuto l’aggiornamento della certificazione.

Ad avviso del Collegio, che ha dichiarato fondato il ricorso, sarebbero ravvisabili diversi piani di illegittimità. Innanzitutto, l’alunno ha sostenuto la prova di francese all’esame di riparazione di settembre mediante l’elaborazione di uno scritto e nella esecuzione è stato supportato da una serie di accorgimenti tecnici ma non da tutte le misure dispensative e compensative previste dal PDP approvato dalla scuola e sottoscritto dai genitori. In particolare, secondo il TAR Valle d’Aosta, sarebbe trascurabile la circostanza relativa alla mancata fornitura del dizionario bilingue – ma su tale aspetto trascurabile il Collegio manca di motivare in termini rigorosamente normativi – mentre non lo sarebbe la mancata attivazione di una prova orale come modalità integrativa di quella scritta. Tale misura sarebbe stata da disporre in ragione della peculiarità del suo disturbo, che richiede misure compensative e dispensative (Cons Stato Sez. VI 9/7/2019 n. 4817), come del resto ricavabile dallo stesso PDP. Esso, pur non prevedendo esplicitamente la prova scritta per la prova di riparazione, la prevedeva per tutto il percorso scolastico, di talché dovendosi ritenere logica la sua previsione anche in sede di riparazione. Peraltro, tale strumento compensativo è espressamente previsto dalla normativa statale e regionale (artt. 2 e 5 l. n. 170/2010 e art. 6, co. 4 D.M. n. 5669/2011; art. 6, co. 2 lett. C) l. regionale n. 8/2019), sicché la decisione dell’istituzione scolastica si poneva in contrasto con le norme di legge che danno attuazione al diritto costituzionale all’istruzione degli alunni DSA.

Il sindacato del G.A. viene giustificato nonostante la natura tecnico-discrezionale del giudizio dell’amministrazione scolastica. Sostiene infatti il Collegio che anche le valutazioni tecniche dell’A. possano essere censurate laddove illogiche o irragionevoli: in particolare l’istituzione scolastica dovrebbe prendere in considerazione la storia scolastica del discente e il suo grado di maturazione con un’analisi complessiva e sintetica dell’attività svolta, analisi che, invece, nel caso di specie non sarebbe stata svolta dal corpo docente. Infine, il TAR ha ravvisato l’assenza di motivazione degli atti recanti la determinazione di non ammissione alla classe successiva. L’istituzione scolastica non avrebbe dato contezza del quadro didattico, personale, relazionale e di maturazione dell’alunno verificato nel corso dell’anno ed inoltre – ed è questo un dato assolutamente e incontrovertibilmente decisivo – non emergerebbe da nessuna parte la rilevanza del disturbo specifico dell’alunno nel giudizio finale. Anche per questo oltreché in primis per gli altri motivi su illustrati, gli atti impugnati si rivelano affetti dai vizi di legittimità fondatamente denunciati dalla parte ricorrente Il ricorso veniva pertanto accolto con conseguente annullamento degli atti nella parte in cui non hanno consentito all’alunno di essere ammesso alla classe successiva.

[G. Boggero]

 

LE FERIE ANNUALI RETRIBUITE POSSONO ESSERE PERSE LADDOVE IL TITOLARE NON NE FACCIA ISTANZA O NON ATTESTI L’IMPOSSIBILITÀ OGGETTIVA DI POTERNE GODERE
 TAR Valle d’Aosta R.G. 25/2019 – Sentenza 14 gennaio – 17 gennaio 2020, n. 1
Pres. Migliozzi, Est. Buonauro
[SilvanaCristofalo c. Ministero della Giustizia]

 

Il TAR Valle d’Aosta ha respinto il ricorso della sig.ra Cristofalo, Ispettore Superiore del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria in servizio presso la Casa Circondariale di Brissogne (AO), la quale aveva impugnato avanti ad esso l’Ordine di Servizio del Direttore della Casa Circondariale con il quale era stata disposta, da un lato, la perdita del diritto alla fruizione del congedo ordinario degli anni 2015 e 2016 e, dall’altro, la fruizione d’ufficio, in via eccezionale, del congedo maturato e non goduto di 39 giorni riferito all’anno 2017. La ricorrente aveva, infatti maturato e non fruito un congedo per gli anni 2015, 2016 e 2017 pari complessivamente a 173 giorni.

Essa aveva, dunque, fatto ricorso al G.A. deducendo una serie di violazioni, tra cui quelle degli artt. 36 e 97 Cost., nonché del d.lgs. n. 66/2003, i quali, oltre a sancire il principio di legalità imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione, avrebbero – a suo dire – riconosciuto il diritto irrinunciabile del lavoratore ad un periodo di riposo annuale di ferie retribuite; inoltre sarebbe stato violato anche l’art. 17 lett. d) ed e) d.lgs. n. 165/2001 che imporrebbero al dirigente di garantire comunque il rispetto dei diritti soggettivi del personale e delle ferie nel caso specifico, anche con poteri sostitutivi nel caso di inerzia del dipendente. Un eventuale spostamento per ragioni di servizio adeguatamente motivate può essere dunque disposto solo dallo stesso con l’onere di curarsi che queste siano godute dal lavoratore eventualmente anche in periodi successivi.

Il Collegio rigettava il ricorso, a partire da un’elaborata motivazione che prende le mosse dalla giurisprudenza di matrice europea e in particolare dalla causa C- 696/16 emessa dalla Grande Sezione della Corte di Giustizia il 6 novembre 2018, dalla quale si evince che il datore di lavoro ha l’onere di assicurarsi concretamente e con trasparenza che il lavoratore sia effettivamente in condizione di godere delle ferie annuali retribuite invitandolo, se necessario formalmente, a farlo e nel contempo informandolo – in modo accurato e in tempo utile – del fatto che, se egli non ne fruisce, tali ferie andranno perse al termine del periodo di riferimento o di un periodo di riporto autorizzato. Questo onere del datore di lavoro non può estendersi fino al punto di costringere il lavoratore ad esercitare effettivamente la fruizione delle ferie, dovendo il datore di lavoro limitarsi a consentirgli di godere delle stesse dando prova di aver esercitato tutta la diligenza necessaria affinché tale diritto possa essere esercitato.

Nel caso di specie, tale onere è stato assolto dal Direttore della Casa circondariale, laddove ha invitato la sig.ra Cristofalo a programmare nel più breve tempo possibile la fruizione dei periodi di congedo ordinario degli anni 2018 e 2019. Tale invito non è stato però accettato dalla ricorrente che ha, invece, avanzato la pretesa di fruire anche del periodo maturato per gli anni 2015, 2016 e 2017. Tale pretesa si rivelava priva di fondamento, visto che, in base all’art 9 del Nuovo Accordo Quadro Nazionale, il congedo ordinario va programmato e fruito nell’anno solare di riferimento, salvo indifferibili esigenze di servizio che non ne rendano possibile la completa fruizione o per motivate esigenze di carattere personale e, limitatamente a queste ultime, compatibilmente con le esigenze di servizio; in tal caso, la parte residua deve essere fruita entro i successivi 12 mesi, fino all’entrata in vigore del N.A.Q.N. ed entro i successivi 18 mesi per il periodo successivo all’entrata in vigore del predetto accordo. Nel caso in esame non risultava esser stata presentata da parte dell’interessata al direttore alcuna istanza di congedo ordinario. né documentazione comprovante l’impossibilità oggettiva di godere dei benefici. Pertanto non era possibile giustificarne la mancata fruizione, né per motivate esigenze di servizio, né tantomeno per obbiettive esigenze personali. Il principio enucleato a partire dalla giurisprudenza europea, fatto proprio anche dai giudici amministrativi, non collide con il principio costituzionale dell’irrinunciabilità delle ferie, dal momento che, a detta del TAR Valle d’Aosta, garantirebbe, comunque, un equilibrato rispetto delle esigenze organizzative dell’amministrazione e di quelle di riposo del lavoratore; tale equilibrio sarebbe anche alla base della più recente giurisprudenza costituzionale in materia.

[G. Boggero]