Acqua e scarsità: dall’emergenza come regola alla regola dell’emergenza

Federico Caporale[1]

Sommario:

1. Guerre dell’acqua e stato di emergenza permanente – 2. Il sistema attuale: governance conflittuale ed emergenza come regola – 3. Verso il futuro: un governo dell’acqua capace di regolare l’emergenza

1. Guerre dell’acqua e stato di emergenza permanente

Oltre venti anni fa, Vandana Shiva scriveva, a proposito dei rapporti tra gli stati, che nel XXI secolo il controllo dell’acqua avrebbe rappresentato il principale motivo di conflitto[2]: delle vere e proprie “guerre dell’acqua”, non necessariamente combattute con le armi, ma con strumenti economici, culturali, giuridici e diplomatici[3]. Del resto, “Whiskey is for drinking. Water is for fighting over” è una famosa battuta in circolazione negli Stati Uniti almeno da un secolo prima del libro della Shiva[4].

Questa profezia è di tragica attualità anche all’interno dei confini nazionali, a guardare i rapporti tra i soggetti impegnati nel governo delle acque in Italia[5]: basti pensare al conflitto tra la provincia di Rieti e l’azienda incaricata della distribuzione dell’acqua nella Città di Roma per le concessioni a uso potabile delle sorgenti Peschiera e Le Capore; a quello tra la Regione Lazio e l’Acea per le ordinanze con cui la regione, per tutelare i livelli idrometrici del lago di Bracciano durante la siccità del 2017, ha sospeso la concessione di prelievo per la distribuzione dell’acqua nella Città di Roma[6]; a quello tra l’autorità di bacino distrettuale del fiume Po e alcuni comuni per l’innalzamento dei livelli idrici massimi estivi del lago Maggiore[7]; a quello tra i risicoltori della Lomellina e del novarese sulla gestione dell’acqua del consorzio irriguo Est Sesia[8]; a quelli tra l’Arera e gli enti d’ambito, tra gli enti d’ambito e i comuni e tra regioni e comuni per l’organizzazione e la regolazione dei servizi idrici[9].

Eppure, non è stato sempre così: l’Italia ha a lungo insegnato al mondo come regolare l’uso dell’acqua; nell’Ottocento, il regime giuridico delle acque italiano è stato un modello in Europa (per la Francia, la Russia, il Portogallo, la Germania, l’Inghilterra, i Paesi Bassi) e persino in altri continenti (per l’India, gli Stati Uniti, il Cile e l’Argentina)[10].

Ed è paradossale che proprio il Piemonte e la Lombardia, che oggi sono tra i territori maggiormente in sofferenza, in passato abbiano rappresentano i riferimenti principali della disciplina giuridica in materia di acque[11].

Se questi conflitti sono all’ordine del giorno, è proprio per la frequenza sempre maggiore con cui si ripropongono situazioni di stress idrico: nell’arco di pochi anni, si sono verificati diversi episodi di siccità, dovuti a una diminuzione delle precipitazioni, nel periodo 1991-2020, del 20% rispetto al periodo 1921-1950; dal 2017 a oggi, situazioni di deficit idrico si sono ripetute quasi ogni anno in molte zone d’Italia; il C.N.R. ha stimato che una percentuale compresa tra il 6 e il 15% della popolazione italiana vive in aree a rischio di severa o estrema siccità; il futuro sembra preludere a un’ulteriore intensificazione del fenomeno[12].

Si può dire che la siccità rimane un fenomeno naturale di intensità eccezionale, ma ormai sempre più ordinario per la frequenza con cui si manifesta: di fatto, si è entrati in uno stato di emergenza permanente.

2. Il sistema attuale: governance conflittuale ed emergenza come regola

Il modo in cui l’ordinamento ha affrontato questo stato ordinario di eccezione è rivelatore.

Iniziamo dagli strumenti: nella gestione ordinaria, l’emersione della questione della scarsità ha determinato un passaggio dalla centralità delle concessioni, paradigma di un modello appropriativo-dissipativo (orientato, cioè, all’uso della risorsa[13]), alla centralità delle pianificazioni, paradigma di un modello regolativo-custodiale (orientato, cioè, alla tutela qualitativa e quantitativa della risorsa)[14].

Nelle fasi di emergenza, però, questo sistema cede e si è fatto sistematicamente ricorso al modello di intervento della protezione civile, in cui il deficit idrico ha trovato una sua specifica tipizzazione sin dal 2018 (art. 16 del d.lgs. 2 gennaio 2018, n. 1) e, successivamente, alla nomina di commissari straordinari, con i relativi poteri extra ordinem. Un modello di azione, questo, che rappresenta “l’indicatore di una incapacità di gestione ordinaria” di un fenomeno che, pure, è ormai tutt’altro che straordinario[15].

Insomma, l’emergenza è diventata una regola e si è scelto di normalizzare (cioè di rendere strutturale) un modello di intervento extra-ordinario, sia in termini di competenze che di poteri, per affrontare situazioni di deficit idrico e ristabilire situazioni ordinarie.

Questo modello di intervento è interessante per due motivi: il momento in cui si interviene e le fragilità di carattere organizzativo che mette a nudo.

Iniziamo dal primo aspetto: il momento in cui si interviene.

Questo modello tende ancora ad essere declinato a posteriori, in chiave reattiva: l’attivazione della protezione civile o la nomina del commissario servono a rimediare a una situazione ormai conclamata di deficit idrico. Non si previene l’emergenza, quindi, ma, semmai, si prova a risolverla.

Pochi mesi fa, a seguito della siccità dell’estate del 2022, è stato introdotta un’innovazione importante: la possibilità di dichiarare lo stato di emergenza in via preventiva, cioè prima che lo stato di siccità evolva in una situazione di reale emergenza[16]. Premesso che le amministrazioni non sembrano ancora pronte a raccogliere questa sfida, per le ragioni che si diranno nel prossimo paragrafo, questa previsione racconta ancora un modo di trattare il deficit idrico come eccezione alla regola: in altre parole, i fenomeni di deficit idrico sembrano essere considerati un qualcosa di alieno dall’ordinaria attività amministrativa di gestione di una risorsa scarsa, un’evenienza extra-ordinaria che interrompe il ciclo ordinario di gestione dell’acqua.

Questa affermazione potrebbe sembrare in contraddizione con quanto osservato prima, a proposito della normalizzazione di un modello di intervento extra-ordinario: al contrario, non solo le due affermazioni possono convivere, ma sono profondamente legate. Infatti, è proprio la perdurante configurazione dei fenomeni di deficit idrico come un evento extra-ordinario (che rompe il ciclo normale del governo dell’acqua) a giustificare la scelta di normalizzare (cioè di rendere sistematico) un modello extra-ordinario di soluzione della crisi. È ancora vero, come nel XVII secolo, che “non conosciamo mai il valore dell’acqua finché il pozzo non si prosciuga”[17].

Di qui, si arriva all’altra considerazione: questo modello mette in evidenza le fragilità di carattere organizzativo che ancora segnano il governo della risorsa idrica.

Nel governo delle acque è maturata sin dai primi anni del Novecento la consapevolezza che l’allocazione delle competenze amministrative dovesse prescindere dalle ripartizioni politiche, per essere impostata sulla base di altri indici, geografici, sociali e urbanistici[18], più funzionali al perseguimento degli interessi pubblici[19].

Questo principio ha portato a una frammentazione e a una moltiplicazione dei soggetti impegnati, a vario titolo, nel governo dell’acqua: una vera e propria “complessità organizzativa” che coinvolge la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Comitato interministeriale per la transizione ecologica, il Ministero dell’ambiente, la conferenza Stato-regioni, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, le regioni, gli enti locali, i consorzi e, con un ruolo teoricamente dominante e di chiusura del sistema, le autorità di bacino distrettuale[20]. A queste, si aggiungono le competenze in materia di servizio idrico, distribuite tra Ministero dell’Ambiente, regioni, Arera, enti di governo d’ambito, comuni, con intersezioni e sovrapposizioni[21], che hanno un impatto fortissimo sul governo delle risorse idriche, sia dal punto di vista quantitativo (i servizi idrici rappresentano la percentuale maggiore di utilizzazioni delle acque) che qualitativo (vista la priorità riconosciuta, nel sistema giuridico, agli usi umani[22]).

Questo quadro è ulteriormente complicato dalla circostanza che non solo coesistono enti articolati su base territoriale e su base funzionale, ma anche che i confini territoriali degli enti articolati su base funzionale (autorità di bacino ed enti di governo di ambito del servizio idrico) sono tracciati (giustamente) sulla base di principi differenti (la tutela quali-quantitativa delle acque, a livello di bacino idrografico, da un lato, e le economie di scala, dall’altro[23]).

In alcuni casi, poi, più frequenti di quanto si possa pensare, i gestori del servizio idrico derivano una parte dell’acqua che distribuiscono al di fuori del distretto idrografico in cui svolgono il servizio, il che comporta che le decisioni di un’autorità di bacino finiscono per avere un impatto indiretto sulle decisioni dell’altra autorità di bacino.

L’ultimo fattore di complicazione attiene al fatto che questi soggetti perseguono interessi differenti: si pensi, per esempio, alle autorità di bacino che hanno come obiettivo prioritario la tutela quali-quantitativa delle acque; agli enti di governo d’ambito e all’Arera, che sono tenuti a organizzare e regolare i servizi idrici in funzione degli interessi sociali ed economici, prima ancora che ambientali[24]; ai consorzi irrigui, che, riflettendo l’impostazione tipica di un’altra epoca storica (quella in cui hanno iniziato a diffondersi), sono orientati a comporre i conflitti nell’utilizzazione di una risorsa comune, massimizzando i prelievi individuali in maniera compatibile con la conservazione del singolo corpo idrico, ma senza curarsi troppo degli effetti sugli altri corpi idrici e sul distretto idrografico nel suo complesso[25].

Il quadro, insomma, è quello di uno “Stato ad organizzazione disaggregata”[26].

Questo modello, però, è radicalmente messo in discussione quando si utilizzano i poteri di protezione civile, si nomina un commissario ad hoc o si costituisce una cabina di regia interministeriale, come sta accadendo in questi giorni[27]: soluzioni che servono a centralizzare in un unico soggetto i poteri decisionali (le prime due) e ad aggirare l’attuale impianto organizzativo (tutte e tre), a riprova dell’insoddisfazione con cui si valuta il suo reale funzionamento.

Questa sfiducia è particolarmente evidente se si considera che nei piani di gestione adottati dalle autorità di bacino sono indicate le opere infrastrutturali necessarie a mitigare i rischi di siccità e le misure per contrastare i fenomeni di desertificazione e che alcune autorità hanno adottato persino degli appositi piani di gestione delle siccità[28].

Ricorrere a soluzioni organizzative alternative ed eccezionali è un segno evidente del fatto che qualcosa non va: a mancare, nel complesso, è un sistema di coordinamento efficace, necessario sia dal punto di vista organizzativo, per comporre il pluralismo istituzionale che si è evidenziato, sia sul piano sostanziale, per tradurre in pratica quell’approccio olistico che è presupposto per un governo efficace delle risorse idriche in tempi di scarsità[29] e per riannodare le politiche idriche agli altri ambiti settoriali limitrofi che le influenzano, come la tutela del suolo[30].

Il fattore di debolezza è rappresentato proprio dalle autorità di bacino, perché, sia sul piano organizzativo che dei poteri loro affidati, il legislatore non sembra aver creduto fino in fondo a un modello di amministrazione tecnica e funzionale, dotandola di poteri di chiusura del sistema e rendendola garante, per così dire, di un modello di coordinamento “per sovraordinazione” delle politiche idriche[31].

Piuttosto, le autorità hanno assunto principalmente la funzione di un organismo istituzionale di coordinamento, dal momento che il loro perno è rappresentato dalla conferenza istituzionale permanente, che adotta tutti gli atti di indirizzo, coordinamento e pianificazione[32], e il loro motore è la conferenza operativa, che esprime pareri e direttive, anche tecniche, sui piani.

La conferenza istituzionale è espressione di un indirizzo politico e non tecnico: vi prendono parte i presidenti (o gli assessori) delle regioni comprese nel distretto idrografico, i ministri (o i sottosegretari) dell’ambiente e delle infrastrutture, il capo del Dipartimento della protezione civile e, nei casi in cui siano coinvolti i rispettivi ambiti di competenza, i ministri (o i sottosegretari) dell’agricoltura e della cultura. Il segretario generale dell’autorità, che pure la convoca, vi partecipa senza diritto di voto. Inoltre, possono essere invitati, in funzione consultiva, due rappresentanti delle organizzazioni agricole maggiormente rappresentative a livello nazionale e un rappresentante dell’Associazione nazionale consorzi di gestione e tutela del territorio e acque irrigue, sempre senza diritto di voto.

Anche le conferenze operative rispondono allo stesso schema, perché sono composte dai rappresentati delle amministrazioni che partecipano alla conferenza istituzionale: per quanto tecnici, quindi, essi esprimono l’indirizzo strategico dell’amministrazione di appartenenza e non un indirizzo tecnico-funzionale autonomo.

Dunque, guardate in una prospettiva statica, le autorità, più che latrici di un proprio indirizzo funzionale, sembrano un luogo di confronto e coordinamento tra amministrazioni statali e regioni.

La scelta di un meccanismo di composizione di carattere politico sarebbe giustificata se ci fossero particolari scelte allocative da compiere, dal momento che indicare se e quanta acqua destinare ai consumi umani, all’agricoltura, alla produzione idroelettrica e alle altre attività ha evidenti ricadute di carattere sociale, economico e di politica industriale.

Sarebbe del tutto legittimo, quindi, pensare che la scelta allocativa possa essere compiuta dal decisore politico, purché all’interno di un limite massimo di acqua utilizzabile stabilito dall’amministrazione tecnica.

Una lettura del genere, però, non trova riscontro nella realtà: da un lato, perché esiste un intreccio profondo tra scelte allocative e quantità complessiva d’acqua utilizzabile, dal momento che i singoli usi hanno un impatto differente sulla risorsa[33]; dall’altro, perché la gerarchia tra i diversi usi è stata già definita in via legislativa, affermando la primazia dei consumi umani e, secondariamente, la preferenza per gli usi irrigui[34].

La conseguenza di questa impostazione è che le dinamiche delle autorità d’ambito vengono condizionate da valutazioni congiunturali di carattere politico, come l’eventuale omogeneità della maggioranza politica che guida le amministrazioni che compongono la conferenza istituzionale. Ma soprattutto, sul lato dei poteri, questa conformazione implica che le autorità, come momento orizzontale di coordinamento, non hanno modo di imporsi sugli altri enti che contribuiscono al governo del settore idrico, che a questo punto, però, sembra più corretto definire governance[35].

La loro capacità di tradurre le pianificazioni da obiettivi astratti in risultati concreti è limitata: basti pensare, per esempio, che le autorità, pur partecipando al procedimento per la concessione di nuove derivazioni, attraverso l’adozione di un parere vincolante[36], non hanno strumenti per sospendere o revocare le concessioni in caso di deficit idrico; che la scelta di quanto investire sulle reti in funzione di ridurre le perdite (una delle priorità, visto che il tasso di dispersione, nei servizi idrici, è ancora pari al 40%[37]) resta appannaggio esclusivamente degli enti d’ambito, per i servizi idrici, e dei consorzi irrigui, per le loro reti, senza che l’autorità abbia alcun potere cogente nei loro confronti; che le autorità non hanno modo di imporre all’Arera e agli enti d’ambito di rafforzare gli strumenti di regolazione dei servizi idrici funzionali a ridurre gli sprechi, come l’installazione di contatori e, contestualmente, il passaggio da utenze condominiali a utenze individuali[38].

Il risultato è che molti dei principi contenuti nel codice dell’ambiente non hanno trovato piena attuazione: si pensi alla gerarchia tra gli usi, che nei servizi idrici si declina nella diversificazione dei regimi tariffari, la cui disciplina è rimessa ai singoli enti d’ambito (sicché è difficile comprendere quale effettività abbia in concreto) ed è ancorata a criteri di sostenibilità economica, prima ancora che ambientale[39], come dimostra anche il fatto che l’attuazione di questa disposizione passa esclusivamente per il controllo dell’Arera e non dell’autorità che governa il bacino competente. O ancora alle politiche di riduzione degli sprechi, rispetto a cui le autorità hanno solo strumenti di nudging[40], che sono davvero poca cosa rispetto all’importanza degli obiettivi in gioco.

La ricaduta tocca anche la collocazione sistematica dei piani: quella primazia e quella capacità conformativa dei piani delle autorità di bacino restano proclamate nel codice dell’ambiente e nelle direttive europee perché, sprovviste di strumenti cogenti (che siano poteri sostitutivi o poteri di intervento diretto[41]), le autorità non riescono a far sì che quei piani imprimano un indirizzo reale sugli altri atti di pianificazione previsti dal codice dell’ambiente e rimessi ad altri soggetti istituzionali.

Considerate in chiave dinamica, quindi, come meccanismo di chiusura del sistema di governo delle acque e nei rapporti con gli altri enti che compongono questo sistema, le autorità di bacino sembrano configurare un modello di coordinamento orizzontale e politico (cioè tra le amministrazioni che partecipano alla conferenza istituzionale) e non un modello di coordinamento verticale e tecnico-funzionale che si “impone” sul sistema.

Ultimo, ma non ultimo, l’assenza di una guida tecnica, autorevole e competente chiamata a imporre la sintesi e a prevenire e/o risolvere gli stati di crisi, con poteri adeguati, ha una ricaduta anche sul coordinamento delle azioni a tutela del suolo, perché le autorità di bacino non sempre vengono riconosciute come interlocutori credibili dagli enti deputati alla tutela del suolo.

3. Verso il futuro: un governo dell’acqua capace di regolare l’emergenza

È possibile, a questo punto, formulare alcune osservazioni conclusive.

Da ormai da molti anni si suggerisce di adottare un modello integrato di gestione delle risorse idriche (integrated water resource management), cioè un corpo di regole e di principi organizzativi che consentano di inscrivere gli aspetti sociali, ambientali ed economici dei servizi idrici e dei vari usi dell’acqua (irrigui, idroelettrici, voluttuari, industriali, artigianali e commerciali) nella tutela qualitativa e quantitativa delle acque, ricomponendo la frammentazione amministrativa. Più recentemente, è stato elaborato anche l’integrated urban water management, un metodo di governo olistico dell’emergenza idrica urbana che mira a ritessere la trama esistente tra gestione delle risorse idriche, distribuzione del servizio e pianificazione urbanistica[42].

Questi principi si trovano anche nella legislazione italiana, ma hanno stentato ad avere reale attuazione per ragioni organizzative: del resto, affermare che “in principio sono le funzioni” significa, da un lato, che l’assetto organizzativo va costruito in base alle funzioni amministrative, ma, dall’altro lato, che la capacità di esercitare le funzioni amministrative è influenzata dagli assetti organizzativi[43].

Per questo motivo, appare così difficile integrare nell’amministrazione delle risorse idriche, che pure sono risorse scarse, l’attività di prevenzione e gestione delle siccità: quello che dovrebbe essere ordinario diventa straordinario, perché mancano gli strumenti (e le responsabilità) per prendere decisioni definitive (e spesso impopolari), di talché diventa possibile (con un evidente controsenso logico) dichiarare lo stato di emergenza in via preventiva, cioè prima che un’emergenza ci sia davvero[44].

Ripensare il sistema di governance, quindi, è il primo passo: necessario, certo, ma non ancora sufficiente.

Il secondo è abbracciare un modello, oggi tecnologicamente possibile, di amministrazione predittiva e adattabile: un’amministrazione, cioè, che possa colmare l’inevitabile incertezza dipendente dal limitato patrimonio informativo basato sul passato attraverso la simulazione di scenari futuri plausibili, in modo da acquisire ulteriori informazioni sulle criticità delle politiche idriche in atto. Modelli di questo tipo, che già esistono[45], potrebbero fornire alle amministrazioni un set aggiuntivo di informazioni che consentirebbe loro di rafforzare e migliorare il processo decisionale, possibilmente orientandolo verso politiche adattabili, cioè in grado di rispondere positivamente al numero maggiore possibile di scenari, anziché, magari, orientando la scelta verso una soluzione molto specifica, ottimale in un particolare contesto, ma estremamente rigida e, quindi, totalmente fallimentare se le condizioni improvvisamente dovessero cambiare.

Ovviamente, tutto questo rimette al centro della riflessione l’attività conoscitiva dell’amministrazione[46], sia sul piano degli strumenti che della qualità dei dati raccolti, perché un campione informativo insufficiente o male assortito compromette il modello predittivo[47]: sicché bisogna ripartire dalle informazioni in possesso delle autorità di bacino, rendendo effettivi gli obblighi informativi già esistenti, creandone di nuovi, migliorando la qualità dei dati raccolti e uniformandoli, mentre il patrimonio informativo attuale è carente sotto molti punti di vista[48]. L’attività di acquisizione di informazioni andrebbe presa sul serio, sorretta da specifici e incisivi poteri sanzionatori, e, forse, andrebbe organizzata in maniera tale da aggirare l’attività di trasmissione dei singoli enti e di fare in modo che, per quanto tecnicamente possibile, i dati vengano acquisiti direttamente dalla rete dall’autorità di bacino.

In quest’ottica, giocano un ruolo fondamentale le tecnologie digitali applicate alle reti infrastrutturali, che possono semplificare il processo di acquisizione del dato, arricchire il set di informazioni, migliorare la qualità dei dati raccolti.

In conclusione, si tratta di portare a compimento il processo di trasformazione del sistema di governo delle acque alla luce della loro scarsità, rimasto a metà del guado: il sistema attuale sembra preoccuparsi di coordinare la programmazione dell’allocazione di una risorsa scarsa (o, detto altrimenti, che di distribuire in maniera equa una risorsa scarsa), ma non sembra pensato davvero per gestire il rischio di scarsità. Non a caso, le autorità di bacino sembrano essere costruite per fornire un apporto conoscitivo sullo stato delle risorse idriche e per dettare obblighi di non fare (cioè per impedire condotte che possono compromettere la tutela qualitativa e quantitativa della risorsa) più che per dettare obblighi di fare con i relativi poteri sostitutivi (cioè per imporre comportamenti attivi tesi a ridurre i consumi idrici).

Non si tratta solo di dare a un ente i poteri per prevenire e gestire i rischi idrici, ma di dare a questo ente anche gli strumenti per esercitare al meglio questi poteri.

Si tratta, però, di imprimere anche un cambiamento più profondo, che tocca la prospettiva con cui l’amministrazione (ma sarebbe meglio dire l’intera società) guarda all’acqua: non più quell’idrofobia, quella vera e propria paura dell’acqua legata, prima, ai danni che l’acqua poteva provocare e, ora, allo spettro della siccità e alla possibilità che l’acqua sia ragione di conflitti, ma con una sincera idrofilia, una disponibilità ad adattare noi e le nostre abitudini, anche giuridiche, all’acqua[49].

In fondo, si tratta di accettare che non ci si può imporre sull’acqua, perché “[n]ulla è più morbido e debole dell’acqua. Ma nulla le è pari nel suo modo di opporsi a ciò che è duro”. È proprio dall’acqua, invece, che bisogna imparare: “niente ostacoli, essa scorre. Trova una diga, allora si ferma. La diga si spezza, scorre di nuovo. In un recipiente quadrato, è quadrata. In uno tondo, è rotonda. Ecco perché è più indispensabile di ogni altra cosa. Niente esiste al mondo cosa più adattabile dell’acqua”[50].

Non resta, quindi, che accettare di governarla senza governarla, cioè senza pretendere di imporsi, ma semplicemente adattandosi a lei.

  1. Ricercatore a t.d. lett. b) in diritto amministrativo nel Dipartimento di ingegneria industriale e dell’informazione e di economia dell’Università degli Studi dell’Aquila.
  2. Cfr. V. Shiva, Water wars. privatization, pollution and profit, Cambridge, South End, 2002.
  3. In proposito, cfr. S. Sassen, Expulsions. Brutality and Complexity in the Global Economy, Cambridge, Harvard University Press, 2014.
  4. La battuta è attribuita da molti a Mark Twain, anche se la sua paternità è incerta.
  5. Desidero esprimere un sentito ringraziamento a Giovanni Boggero, che mi ha indicato una ampissima casistica di conflitti istituzionali esplosi in Piemonte e in Lombardia, a seguito delle siccità registrate nel 2022 e nel 2023.
  6. Cfr. le ordinanze di regolamentazione del livello idrometrico del lago di Bracciano della Direzione regionale delle risorse idriche, difesa del suolo e dei rifiuti della regione Lazio dei giorni 20 luglio 2017 e 28 luglio 2017.
  7. Cfr. www.verbanonews.it/aree-geografiche/lago-maggiore/2021/12/30/per-i-prossimi-cinque-anni-il-livello-del-lago-maggiore-sara-regolato-fino-a-15-metri/.
  8. Cfr. www.rainews.it/tgr/piemonte/articoli/2022/07/e-scoppia-la-guerra-dellacqua-tra-novarese-e-lomellina.html.
  9. Tra le molte, cfr. T.A.R. Molise, sez. I, 24 gennaio 2019, n. 29; Cons. St., sez. IV, 9 ottobre 2018, n. 5813, che conferma T.A.R. Toscana, sez. II, 4 marzo 2016, n. 389.
  10. Per l’influenza del diritto delle acque italiano sulla Francia, sulla Russia, sul Portogallo e sulla Germania, si veda L. Moscati, In materia di acque. Tra diritto comune e codificazione albertina, Roma, Fondazione Sergio Mochi Onory per la storia del diritto italiano, 1993; per l’influenza sul Cile e sull’Argentina, cfr. G. S. Pene Vidari, Note sui rapporti tra codice cileno e codice sardo, in Andrés Bello y el derecho Latino americano. Atti del congresso internazionale, Roma, 10-12 dicembre 1981, Caracas, La Fundación La Casa de Bello, 1987, 425 ss. e G. S. Pene Vidari, Codice civile argentino, esperienze piemontesi ed acquedotto coattivo, in Dalmacio Vélez Sarsfield e il diritto latinoamericano. Atti del Congresso internazionale. Roma, 17-19 marzo 1986, Padova, Cedam, 1991, 425 ss.; per l’influenza sull’Inghilterra, cfr. R. Baird Smith, Italian Irrigation. Report on the agricultural canals of Piedmont and Lombardy, Edinburgh-London, Blackwood and Sons, 1852, 2 voll.; per l’influenza sugli Stati Uniti, cfr. W.H. Hall, Irrigation development. History, customs, laws, and administrative systems relating to irrigation, water-courses, and waters in France, Italy, and Spain…, Sacramento, State Office, 1886; per l’influenza sull’India, cfr. C. C. Scott Moncrieff, Irrigation in Southern Europe. Being the report of a tour of inspection of the irrigation works of France, Spain and Italy, undertaken in 1867-68 for the government of India, London, Spon, 1868; per l’influenza sui Paesi Bassi, cfr. P. Grinwis Plaat, Bevloeiingen in Noord-Italie en Spanje. Verslag uitgebracht op last van Zijne Excellentie den Minister van Kolonien, s.l., 1895.
  11. Per una ricostruzione dell’evoluzione del regime giuridico delle acque, che mette in luce la centralità delle esperienze lombarde e piemontesi, cfr. L. Moscati, In materia di acque, cit., passim.
  12. Cfr. A. Baronetti, V. Dubreuil, A. Provenzale e S. Fratianni, Future droughts in northern Italy: high-resolution projections using EURO-CORDEX and MED-CORDEX ensembles, in Climatic Change, 2022.
  13. Per tutti, cfr. U. Pototschnig, Vecchi e nuovi strumenti nella disciplina pubblica delle acque, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 1969, 1009 ss..
  14. Per tutti, cfr. E. Boscolo, Le politiche idriche nella stagione della scarsità. La risorsa comune tra demanialità custodiale, pianificazioni e concessioni, Milano, Giuffré, 2012
  15. Così, E. Boscolo, Politiche idriche adattive nella stagione della scarsità. Dall’emergenza alla regolazione, in Il Piemonte delle Autonomie, 2022.
  16. Cfr. l’art. 15, del d.l. 9 agosto 2022, n. 115, con cui è stato introdotto il seguente capoverso all’art. 16 del d.lgs. n. 1/2018: “(a)llo scopo di assicurare maggiore efficacia operativa e di intervento, in relazione al rischio derivante da deficit idrico la deliberazione dello stato di emergenza di rilievo nazionale di cui all’articolo 24 può essere adottata anche preventivamente, qualora, sulla base delle informazioni e dei dati, anche climatologici, disponibili e delle analisi prodotte dalle Autorità di bacino distrettuali e dai centri di competenza di cui all’art. 21, sia possibile prevedere che lo scenario in atto possa evolvere in una condizione emergenziale”.
  17. Questo aforisma è attribuito a Thomas Fuller.
  18. In proposito, cfr., per tutti, F. Ruffolo, Sulla nuova proposta di legge relativa alle pubbliche acque, Napoli, Tip. Mefi e Joele,1907, 17 ss.; G. Valenti, Le ragioni economiche di un nuovo regime delle acque, in Il problema idraulico e la legislazione sulle acque, a cura del Gruppo Nazionale di Azione Economica, Roma, Bertero, 1916, 39 ss. e V. Scialoja, La legislazione sulle acque, ivi, 57 ss..
  19. Sul tema del superamento delle articolazioni politico-amministrative per la cura di alcuni interessi, cfr., in termini generali, A. Crosetti, Profili giuridici della riorganizzazione sovracomunale del territorio, Milano, Giuffré, 1979, e, con specifico riferimento all’ambiente, M. Renna, L’allocazione delle funzioni normative e amministrative, in Diritto dell’ambiente, a cura di G. Rossi, 2021, 148 ss..
  20. In proposito, cfr. A. Pioggia, Acqua e ambiente, in Diritto dell’ambiente, cit., 277 ss., specie 286 ss..
  21. In proposito, mi sia consentito rinviare a F. Caporale, Pubblico e privato nei servizi idrici: snodi critici e prospettive, in Munus, 2019, 747 ss..
  22. Cfr. gli art. 144, c. 4 e 167, c. 1 del Codice dell’ambiente.
  23. In proposito, mi sia consentito rinviare a F. Caporale, I servizi idrici. Dimensione economica e rilevanza sociale, Milano, Franco Angeli, 2017, 393.
  24. In proposito, mi sia consentito rinviare ancora a F. Caporale, I servizi idrici, cit., 288 ss..
  25. Le forme di gestione comunitaria delle risorse idriche in ambienti rurali sono molto risalenti e diffuse quasi ovunque. Si pensi ai consorzi dell’esperienza giuridica italiana e alle acequias spagnole, su cui cfr. S. Gianzana, Le acque nel diritto civile italiano, vol. II, p. II, Torino, Unione tipografico editrice, 1880 e G. Piola, Consorzi e Utenze, in Digesto Italiano, vol. VIII, p. II, Torino, Utet, 1925, 497 ss., nonché F. Jaubert de Passa, Voyage en Espagne dans les années 1816, 1817, 1818, 1819 ou recherches sur les arrosages, sur les loi et coutumes qui les régissent, sur les lois domaniales et municipales, considérés comme un puissant moyen de perfectionner l’agriculture française, II, Paris, Madame Huzard, 1823, passim; C.C. Scott Moncrieff, Irrigation in Southern Europe, cit., 9 ss. e W.H. Hall, Irrigation Development, cit., 479 ss.. Forme di gestione comunitarie sono state documentate, ad esempio, nelle Filippine (A.S. Bacdayan, Securing Water for Drying Rice Terraces: Irrigation, Community Organization, and Expanding Social Relationships in a Western Bontoo Group, Philippines, in Ethnology, 1974, 247 ss.); in Finlandia (T. Katko, Evolution of Consumer‐managed Water Cooperatives in Finland, with Implications for Developing Countries, in Water International, 1992, 12 ss.); in Tanzania (A. Kyessi, Community‐based Urban Water Management in Fringe Neighbourhoods. The Case of Dar Es Salaam, Tanzania, in Habitat International, 2005, 1 ss.; C. Sokile e B. van Koppen, Local Water Rights and Local Water User Entities: The Unsung Heroines of Water Resource Management in Tanzania, in Physics and Chemistry of the Earth, 2004, 1349 ss. e T. Potkanski e W.M. Adams, Water Scarcity, Property Regimes and Irrigation Management in Sonjo, Tanzania, in Journal of Development Studies, 1998, 86 ss.); nello Zimbabwe (N. Nemarundwe e W. Kozanayi, Institutional Arrangements for Water Resource Use: A Case Study from Southern Zimbabwe, in Journal of Southern African Studies, 2003, 193 ss.); in Bolivia (P. Trawick, Against the Privatization of Water: An Indigenous Model for Improving Existing Laws and Successfully Governing the Commons, in World Development, 2003, 977 ss. e P. Trawick, Successfully Governing the Commons: Principles of Social Organization in an Andean Irrigation System, in Human Ecology, 2001, 1 ss.). Sull’importanza dei modelli cooperative per la gestione delle risorse idriche negli ambienti rurali, cfr. E. Ostrom, Governing the Commons. The Evolutions of Institutions for Collective Action, Cambridge, Cambridge University Press, 1990.
  26. In questo senso, ma in termini generali, cfr. S. Cassese, Lo Stato ad amministrazione disaggregata, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 2020, 467 ss..
  27. Cfr. https://finanza.lastampa.it/News/2023/03/01/siccita-il-governo-nominera-un-commissario-straordinario-per-lemergenza.
  28. Si veda, per esempio, proprio il caso dell’Autorità di bacino distrettuale del Fiume Po che ha dedicato un allegato del Piano di bilancio idrico adottato nel 2016 alla gestione di eventuali siccità e a forme di monitoraggio preventivo.
  29. Di approccio olistico al governo della risorsa idrica si parla almeno dai primi anni Novanta. Cfr. The Dublin Statement and Report of the Conference. International conference on Water and the Environment: Development issues for the 21st century. 26-31 january, Dublin, Ireland, Dublin, 1992 e United Nations Conference on Environment and Development (UNCED) – Agenda 21 (Rio de Janeiro, 14 giugno 1992). Approccio olistico vuol dire riannodare i rapporti tra i diversi usi della risorsa, protezione del bene acqua, erogazione del servizio idrico e altri aspetti di carattere ambientale e urbanistico che possono compromettere l’uso della risorsa.
  30. Sul rapporto tra difesa del suolo e tutela delle acque, cfr. A. Farì e E. Fidelbo, Difesa del suolo e tutela delle acque, in Diritto dell’ambiente, cit., 424 ss..Il tema è quello di guardare alla tutela del suolo non solo in funzione della prevenzione da eventi naturali catastrofici (il dissesto idro-geologico), ma di guardare alla tutela qualitativa del suolo in connessione allo stato dei corpi idrici (desertificazione).
  31. Per dirla con le parole di F. Ledda, Qualificazioni giuridiche ed esperienze reali nelle figure di coordinamento, in L’amministrazione della società complessa. In ricordo di Vittorio Bachelet, a cura di G. Amato e G. Marongiu, Bologna, Il Mulino, 1982, 99 ss., specie 124, si tratterebbe di affidare all’autorità di bacino distrettuale il compito di imporre il coordinamento, al fine di eliminare o ridurre le occasioni di contrasto, interferenza e sovrapposizione.
  32. La conferenza istituzionale permanente, infatti, ai sensi dell’art. 63, c. 6 del codice dell’ambiente, oltre ad adottare i piani e le deliberazioni, indirizza l’intera attività dell’autorità. In particolare, “a) adotta criteri e metodi per l’elaborazione del piano di bacino in conformità agli indirizzi e ai criteri di cui all’articolo 57; b) individua tempi e modalità per l’adozione del Piano di bacino, che può articolarsi in piani riferiti a sottobacini o sub-distretti; c) determina quali componenti del Piano di bacino costituiscono interesse esclusivo delle singole regioni e quali costituiscono interessi comuni a più regioni; d) adotta i provvedimenti necessari per garantire comunque l’elaborazione del Piano di bacino; e) adotta il Piano di bacino e i suoi stralci; f) controlla l’attuazione dei programmi di intervento sulla base delle relazioni regionali sui progressi realizzati nell’attuazione degli interventi stessi e, in caso di grave ritardo nell’esecuzione di interventi non di competenza statale rispetto ai tempi fissati nel programma, diffida l’amministrazione inadempiente, fissando il termine massimo per l’inizio dei lavori. Decorso infruttuosamente tale termine, all’adozione delle misure necessarie ad assicurare l’avvio dei lavori provvede, in via sostitutiva, il Presidente della regione interessata che, a tal fi ne, può avvalersi degli organi decentrati e periferici del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti; g) delibera, nel rispetto dei princìpi di differenziazione delle funzioni, di adeguatezza delle risorse per l’espletamento delle funzioni stesse e di sussidiarietà, lo statuto dell’Autorità di bacino in relazione alle specifiche condizioni ed esigenze rappresentate dalle amministrazioni interessate, nonché i bilanci preventivi, i conti consuntivi e le variazioni di bilancio, il regolamento di amministrazione e contabilità, la pianta organica, il piano del fabbisogno del personale e gli atti regolamentari generali, trasmettendoli per l’approvazione al ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e al ministro dell’economia e delle finanze. Lo statuto è approvato con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il ministro dell’economia e delle finanze”.
  33. Perché sono diverse le caratteristiche quantitative e qualitative del corpo idrico oggetto di prelievo e la quantità e la qualità dell’acqua restituita rispetto a quella prelevata.
  34. Il riferimento è ancora agli art. 144, c. 4 e 167, c. 1 del Codice dell’ambiente.
  35. Sui caratteri della governance, cfr. M.R. Ferrarese, La governance tra politica e diritto, Bologna, Il Mulino, 2010.
  36. Cfr. l’art. 7 del r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775.
  37. Cfr. Arera, Stato dei servizi. Relazione annuale 2021, Milano, Arera, 2022, 381. Bisogna tenere conto, però, che questi dati non sono del tutto affidabili, per due circostanze, che operano una in aumento e una in difetto. Primo, le perdite registrate da Arera sono calcolate in base alla differenza tra acqua prelevata e acqua fatturata, sicché la quota di consumo non fatturata non corrisponde per intero alle perdite idriche, dal momento che comprende anche i consumi autorizzati non fatturati. Quindi le perdite dovrebbero essere inferiori rispetto alla quota rilevata da Arera. Secondo, le perdite sono calcolate su un campione di dati incompleto, specie al sud, dove le perdite sono più alte. Di conseguenza, è possibile che la percentuale reale di perdite sia, soprattutto al Sud, ancora più elevata di quanto stimato da Arera.
  38. In proposito, mi sia consentito rinviare ancora a F. Caporale, I servizi idrici, cit., 306 ss., ma si vedano anche A. Travi, La disciplina tariffaria nel servizio idrico integrato, in Rivista della regolazione dei mercati, 2014, n. 1, 126 ss. ed E. Boscolo, La funzione tariffaria nel settore idrico tra recupero di efficienza, istanze ambientali e sociali, in Diritto amministrativo e società civile. III. Problemi e prospettive, Bologna, BUP, 2020, 447 ss..
  39. Cfr. l’art. 14 del Testo integrato corrispettivi servizi idrici (T.I.C.S.I.) adottato dall’Arera con la delibera n. 665/2017/R/idr, ai sensi del quale “[l]a somma dei corrispettivi relativi agli usi diversi dal domestico e non rientranti in quanto previsto al precedente comma 9.2, calcolati sulla base delle variabili di scala preesistenti, non può essere superiore a quella determinata con le tariffe previgenti, incrementata di un valore superiore al 10%”.
  40. Sul nudging, cfr. R.H. Thaler e C.R. Sunstein, Nudge. Improving Decisions about Health, Wealth and Happiness, New Haven, Yale University Press, 2008; Nudge and the Law. A European Perspective, a cura di A. Alemanno e A.-L. Sibonym, Oxford, Hart Publishing, 2015 e, per un inquadramento nella prospettiva del diritto amministrativo, A. Zito, La nudge regulation nella teoria giuridica dell’agire amministrativo, Napoli, Editoriale scientifica, 2021 e S. Cassese, Exploring the legitimacies of nudging, in Choice architecture in democracies. Exploring the legitimacy of nudging, a cura di A. Kemmerer, C. Möllers, M. Steinbeis e G. Wagner, Baden-Baden, Nomos, 2016, 241 ss..
  41. Rimane solo la dichiarazione di principio per cui “[l]e disposizioni del piano di bacino approvato hanno carattere immediatamente vincolante per le amministrazioni ed enti pubblici, nonché per i soggetti privati, ove trattasi di prescrizioni dichiarate di tale efficacia dallo stesso piano di bacino” (art. 65, c. 4 del codice dell’ambiente).
  42. Sull’integrated urban water management, cfr. Integrated Urban Water Management – Lessons and Recommendations from Regional Experiences in Latin America, Central Asia, and Africa, WPP Case Profile no. 1, a cura di A. Closas, M. Schuring e D. Rodriguez, Washington, World Bank, 2012; C.A. Howe, K. Vairavamoorthy e N. P. van der Steen, Sustainable Water Management in the City of the Future (S.W.I.T.C.H.). Findings from the S.W.I.T.C.H. Project 2006-2011, Delft, Unesco, 2011; The Future of Water in African Cities. Why Waste Water?, a cura di M. Jacobsen, M. Webster K. Vairavamoorthy, Washington, World Bank, 2013, 41 ss.; sull’integrated water resources management, cfr. Global Water Partnership, International Network of Basin Organization, A Handbook for Integrated Water Resource Management in Basins, Stockholm, G.W.P., 2009; Global Water Partnership, The Handbook for Integrated Water Resources Management in Transboundary Basins of Rivers, Lakes and Aquifers, Stockholm, GWP, 2012; Global Water Partnership Technical Advisory Committee (T.A.C.), Integrated Water Resources Management, T.A.C. Background Papers no. 4, Stockholm, G.W.P., 2000, nonché Integrated Water Resources Management in Practice. Better Water Management for Development, a cura di R. Lenton e M. Muller, London, Routledge, 2009.
  43. Sul rapporto tra funzioni e organizzazione amministrativa, cfr. M.S. Giannini, In principio sono le funzioni, in Amministrazione civile, 1955, 7 ss., nonché M. Nigro, Studi sulla funzione organizzatrice della pubblica amministrazione, Milano, Giuffrè, 1966 e G. Berti, La pubblica amministrazione come organizzazione, Padova, Cedam, 1968.
  44. Cfr. l’art. 15, del d.l. 9 agosto 2022, n. 115.
  45. In proposito, cfr. J. W. Hall e E. Borgomeo, Risk-based principles for defining and managing water security, in Philosophical transactions of the Royal Society, 2013; E. Borgomeo, J. W. Hall, F. Fung, G. Watts, K. Colquhoun e C. Lambert, Risk based water resources planning, incorporating probabilistic non-stationary climate uncertainties, in Water Resources Research, 2014, 6850 ss., E. Borgomeo, G. Pflug, J. W. Hall e S. Hochrainer-Stigler, Assessing water resource system vulnerability to unprecedented hydrological drought using copulas to characterize drought duration and deficit, in Water Resources Research, 2015, 8927 ss. e E. Borgomeo, M. Mortazavi-Naeini, M. J. O’Sullivan, J. W. Hall e T. Watson, Trading-off tolerable risk with climate change adaptation costs in water supply systems, in Water Resources Research, 2016, 622 ss.; K. J. Beven, S. Almeida, W. P. Aspinall, P. D. Bates, S. Blazkova, E. Borgomeo, J. Freer, K. Goda, J. W. Hall, J. C. Phillips, M. Simpson, P. J. Smith, D. B. Stephenson, T. Wagener, M. Watson e K. L. Wilkins, Epistemic uncertainties and natural hazard risk assessment – Part 1: A review of different natural hazard areas, IN Natural Hazards and Earth System Sciences, 2018, 2741 ss.; K. J. Beven, S. Almeida, W. P. Aspinall, P. D. Bates, S. Blazkova, E. Borgomeo, J. Freer, K. Goda, J. W. Hall, J. C. Phillips, M. Simpson, P.J. Smith, D.B. Stephenson, T. Wagener, M. Watson e K.L. Wilkins, Epistemic uncertainties and natural hazard risk assessment – Part 2: What should constitute good practice?, in Natural Hazards and Earth System Sciences, 2018, 2769 ss.; E. Borgomeo, M. Mortazavi-Naeini, J. W. Hall e B. P. Guillod, Risk, Robustness and Water Resources Management under Uncertainty, in Earth’s Future, 2018, 468 ss..
  46. Su cui, per tutti, cfr. F. Levi, L’attività conoscitiva della pubblica amministrazione, Torino, Giappichelli, 1967.
  47. Sulla qualità dei dati e sui bias che possono comportare alla decisione amministrativa, cfr. G. Avanzini, Decisioni amministrative e algoritmi informatici. Predeterminazione, analisi predittiva e nuove forme di intellegibilità, Napoli, Editoriale scientifica, 2019; L. Previti, La decisione amministrativa robotica, Napoli, Editoriale scientifica, 2022 e L. Torchia, Lo stato digitale, Bologna, Il Mulino, 2023.
  48. Si pensi al campione informativo relativo al servizio idrico integrato: l’Arera lamenta sempre l’incompletezza delle informazioni trasmesse dai singoli enti d’ambito.
  49. Per un approfondimento del significato di un approccio idrofilo alle politiche pubbliche dell’acqua, cfr. il bel libro di E. Borgomeo, Oro blu. Storie di acqua e cambiamento climatico, Roma-Bari, Laterza, 2020.
  50. Questi aforismi sono attribuiti al filosofo cinese Lao Tzŭ.