Alloggi pubblici ed emergenza abitativa. Discriminatoria la richiesta di maggiori oneri documentali ai soli stranieri (nota a Tribunale di Torino, ordinanza del 25 luglio 2021)

Francesca Paruzzo[1]

(ABSTRACT)

Il Tribunale di Torino, con ordinanza del 25 luglio 2021, accogliendo il ricorso presentato dall’Associazione degli Studi Giuridici per l’Immigrazione dichiara “il carattere discriminatorio della condotta tenuta dalla Regione Piemonte consistente nell’aver emanato la circolare n. 81 del 14.11.2019, con la quale è previsto che i Comuni piemontesi debbano richiedere, ai soli cittadini extra UE, in sede di presentazione della domanda di accesso agli alloggi sociali e in emergenza abitativa, la produzione di certificazione attestante l’assenza di proprietà nello Stato di nazionalità nelle forme previste dell’art. 3 DPR 445/2000, con conseguente disparità di trattamento tra cittadini italiani e cittadini stranieri”.

1. Premessa. L’ordinanza del Tribunale di Torino.

Il Tribunale di Torino, con ordinanza ex art. 702 ter c.p.c. del 25 luglio 2021[2], accogliendo il ricorso presentato dall’Associazione degli Studi Giuridici per l’Immigrazione – ASGI – dichiara “il carattere discriminatorio della condotta tenuta dalla Regione Piemonte e per essa della sua Giunta Regionale, consistente nell’aver emanato la circolare n. 81 del 14.11.2019, con la quale è previsto che i Comuni piemontesi debbano richiedere, ai soli cittadini extra UE, in sede di presentazione della domanda di accesso agli alloggi sociali e in emergenza abitativa, la produzione di certificazione attestante l’assenza di proprietà nello Stato di nazionalità nelle forme previste dell’art. 3 DPR 445/2000, con conseguente disparità di trattamento tra cittadini italiani e cittadini stranieri”.

Ai sensi della Legge regionale n. 3 del 2010, come modificata con legge Regionale n. 19 del 2018, è previsto che per avere accesso agli alloggi sociali sia necessario, tra gli altri requisiti, che “i componenti il nucleo non siano titolari, complessivamente, di diritto di proprietà, usufrutto, uso o abitazione, ad eccezione della nuda proprietà, su un alloggio ubicato in qualsiasi comune del territorio nazionale o all’estero adeguato alle esigenze del nucleo familiare ai sensi del D.M. 5.7.1975, salvo che il medesimo non risulti inagibile da certificazione rilasciata dal comune oppure sia sottoposto a procedura di pignoramento”.

Se con circolare n.3/PFS del 18.3.2019, la Giunta Regionale specifica che “al fine di rendere concretamente esercitabili tanto la produzione di documentazione da parte dell’interessato, quanto l’esercizio di controlli da parte delle pubbliche amministrazioni, […], verificate le proprietà sul territorio nazionale mediante interrogazione delle banche dati esistenti, occorre la produzione di apposita dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, ai sensi del DPR 445/2000”, con la successiva circolare n.81 del 14.11.2019, sul cui carattere discriminatorio si è pronunciato il Tribunale di Torino, la stessa Giunta limita la facoltà di autocertificazione, prima prevista per tutti, ai soli cittadini italiani e comunitari[3].

Sul carattere discriminatorio di tale ultima circolare, già l’ex Difensore Civico della Regione Piemonte Augusto Fierro, con relazione straordinaria del maggio 2020, aveva sollevato dubbi. Invero, lo stesso affermava come l’art. 3 comma 1 lett. b) e c) della legge regionale 17 Febbraio 2010, n. 3, come modificata dall’art. 106 della legge regionale 17 Dicembre 2018, n. 19, differenziasse in modo indebito tra cittadini e stranieri: ciò, tanto con riferimento all’obbligo previsto “per i soli cittadini stranieri di procurarsi una certificazione rilasciata dagli Enti preposti dei Paesi di origine per attestare l’assenza di proprietà immobiliari, quanto in relazione alla pretesa, ai fini dell’assegnazione di un alloggio, della residenza quinquennale (o di un’attività lavorativa esclusiva o principale) nel territorio regionale[4].

Tale differenza, nel comportare ai fini dell’accesso a prestazioni sociali quali l’edilizia residenziale pubblica, oneri documentali più gravosi per i soli stranieri extra UE, chiama in causa e pone al centro dell’analisi la dimensione costituzionale dell’uguaglianza[5] nella sua prospettiva anti-discriminatoria, in un contesto in cui la cittadinanza, in una connotazione più ampia e comprensiva[6], dovrebbe tendere a essere intesa quale forma di “partecipazione dello straniero regolarmente soggiornante a una comunità che raggruppi tutti coloro che, condividendo le sorti di un territorio per il solo fatto di viverci, sono tra loro legati da vincoli di diritti e doveri”[7]. Se però la cittadinanza rappresenta “il prodotto di una scelta politica”[8] – sono cittadini tutti coloro che la legge sulla cittadinanza qualifica come tali[9] -, allora tale dato, astrattamente considerato, non può rappresentare, in una prospettiva di giustizia sociale, una condizione materiale in grado di giustificare una disparità di trattamento tra cittadini e stranieri[10].

2. Principio di uguaglianza e accesso alle prestazioni sociali.

L’emancipazione dalla lettera della Costituzione, secondo cui una serie di diritti fondamentali sono riservati al cittadino[11], ha fatto sì che, attraverso l’affermazione del principio di non discriminazione[12] e utilizzando il canone della ragionevolezza[13], quegli stessi diritti fondamentali siano stati progressivamente riconosciuti come spettanti anche allo straniero[14]. Tra questi, è stata riconosciuta la titolarità in capo al non cittadino del diritto a una serie di prestazioni di natura assistenziale[15], riconducibili all’art.38 della Costituzione[16] e sono così state censurate quelle disparità di trattamento fondate su criteri distintivi – irrazionali o arbitrari – rispetto alla causa normativa della disciplina generale da cui il non cittadino era escluso[17].

La giurisprudenza costituzionale ha invero affermato il principio secondo cui il legislatore può legittimamente circoscrivere la platea dei beneficiari delle prestazioni sociali in ragione della limitatezza dei mezzi destinati al loro finanziamento[18] (soprattutto in un ambito che richiede una costante ricerca di equilibrio tra l’ampiezza dei destinatari e la scarsità delle risorse disponibili[19]), ma tali scelte non sono esenti da vincoli di ordine costituzionale[20]: perché possano essere considerate ragionevoli, deve infatti esistere una causa normativa[21] della differenziazione, “giustificata da una ragionevole correlazione tra la condizione cui è subordinata l’attribuzione del beneficio e gli altri peculiari requisiti che ne condizionano il riconoscimento e ne definiscono la ratio[22].

Non solo, però, il riferimento al criterio della cittadinanza può risultare “ultroneo ed incoerente” [23] rispetto alla causa normativa della disciplina volta a definire le modalità di accesso a prestazioni sociali, ma le medesime considerazioni possono essere estese anche a quelle disposizioni che, pur non escludendo lo straniero dall’accesso a prestazioni sociali, impongono solo nei confronti di esso requisiti ulteriori quali la residenza protratta sul territorio o, come nel caso che qui interessa, la produzione di differente e più gravosa documentazione: in tutti i casi in cui la misura sociale è volta a migliorare le condizioni di vita e di relazione di persone accomunate dalla medesima condizione soggettiva di svantaggio, è solo quest’ultima, nel giudizio di rilevanza sui caratteri comuni delle fattispecie poste a confronto, a dover essere considerata come prevalente[24].

In questo senso si è pronunciata la Corte costituzionale, da ultimo, con le sentenze n. 106, 107, 166 del 2018 e 44 del 2020 – in tema di residenza protratta sul territorio quale requisito ulteriore per accedere a prestazioni sociali – e le con le n. 9 e 157 del 2021[25], inerenti, per il tema che qui interessa, proprio l’illegittimità della richiesta di maggiori oneri documentali in capo ai soli cittadini extra UE.

L’uguaglianza, in questo senso intesa, pone un obbligo (quello di trattare in modo uguale situazioni uguali e in modo diverso situazioni diverse) e due divieti (quello di introdurre distinzioni non giustificabili alla luce di un qualche precetto costituzionale materiale e quello di discriminare in base ai profili individuati dall’art. 3, comma 1, della Costituzione)[26]. Il significato antidiscriminatorio, quale “nucleo forte” del principio di uguaglianza formale rappresenta quindi oggi una garanzia irrinunciabile[27] che trova altresì fondamento tanto nella Convenzione europea dei diritti dell’Uomo, all’art. 1[28] e all’art. 14[29] – che individua nell’origine nazionale una delle cause che costituiscono l’elemento centrale del divieto di discriminazione[30] – quanto nel diritto dell’Unione europea[31], negli articoli 18 e 19[32] del TFUE e nella Carta di Nizza, il cui titolo III è interamente dedicato al principio di eguaglianza. L’art. 20 della Carta, in particolare, prevede che tutte le persone sono uguali davanti alla legge, mentre l’art. 21 riprende e arricchisce i divieti di discriminazione che tradizionalmente hanno costituito il “nucleo forte” dell’eguaglianza nelle Costituzioni dei singoli Stati e, al secondo comma, ribadisce che, nell’ambito di applicazione dei Trattati[33] – e fatte salve disposizioni specifiche in essi contenute – è vietata qualsiasi discriminazione in base alla nazionalità[34].

3. Il diritto alla casa e la parità di trattamento nell’accesso a esso.

È alla luce del quadro sommariamente tratteggiato che deve quindi essere analizzata la pronuncia del Tribunale di Torino.

La legge della Regione Piemonte n. 3 del 2010, nello stabilire i requisiti di accesso all’edilizia sociale, si propone di riconoscere e promuovere “mediante politiche territoriali e abitative tese ad assicurare il fabbisogno delle famiglie e delle persone meno abbienti, nonché di particolari categorie sociali”[35], quel diritto all’abitazione[36] che trova un riconoscimento esplicito nelle sentenze della Corte costituzionale n. 49 del 1987, n. 217 del 1988 e n. 404 del 1988.

Si tratta di un diritto che, punto di riferimento di un complesso sistema di garanzie strettamente legate allo sviluppo della persona[37], nella prospettiva dei pubblici poteri si qualifica come dovere volto a “impedire che le persone che versano in particolari condizioni di svantaggio possano rimanere prive di abitazione”[38] e a contribuire a “che la vita di ogni essere umano rifletta ogni giorno e sotto ogni aspetto l’immagine universale della dignità”[39]; avere una casa si pone pertanto come strumento idoneo e funzionale a combattere l’emarginazione e la povertà, come diritto sociale l’accesso al quale deve essere garantito nel rispetto del principio di eguaglianza e di parità di trattamento[40], senza che particolari condizioni siano tali da assumere la connotazione di indebito fattore di esclusione.

L’edilizia residenziale pubblica, in un contesto così delineato, rappresenta quindi l’adempimento del dovere di assicurare il soddisfacimento del diritto all’abitazione nei confronti dei “soggetti economicamente più deboli nel luogo ove è la sede dei loro interessi”[41], al fine di garantire un’esistenza dignitosa a tutti coloro che non dispongono di risorse sufficienti[42].

Essa, rientrando nell’ambito dei “servizi sociali” di cui agli artt. 1, comma 2 della legge n. 328 del 2000 e 128, comma 2, del decreto legislativo n. 112 del 1998, riguarda quelle prestazioni non destinate alla generalità dei soggetti, ma limitate a coloro che si trovino in possesso di particolari requisiti di natura essenzialmente economica[43]: solo questi ultimi devono essere tenuti in considerazione, mentre non possono trovare giustificazione trattamenti differenziati sulla base del possesso di particolari status, in funzione del grado di integrazione su un determinato territorio[44] o subordinati a diversi – e più gravosi – oneri documentali.

Alla luce di ciò, differenziando le modalità di certificazione dello stato di impossidenza di altre proprietà tra cittadini e stranieri e ponendo solo in capo a questi ultimi (se extra UE), l’obbligo di procurarsi un’attestazione corredata da traduzione in lingua italiana e rilasciata “dagli Enti preposti dei Paesi di origine per attestare l’assenza di proprietà immobiliari”, la Regione Piemonte ha così occultato una discriminazione vietata dall’ordinamento e non giustificata sulla base dei criteri di proporzionalità, ragionevolezza e necessarietà[45].

L’irragionevolezza di tale pretesa peraltro, afferma il Tribunale di Torino, appare evidente nel confronto con altre disposizioni, tra cui il DM 21.10.2019 che, in materia di reddito di cittadinanza, ha pubblicato un elenco (proprio con riferimento agli indicatori sulla proprietà immobiliare) di Stati i cui cittadini sono tenuti a produrre certificazione consolare limitatamente all’attestazione del valore del patrimonio immobiliare posseduto all’estero, accertando per quelli non compresi nell’elenco medesimo l’impossibilità di acquisire la documentazione riferita al patrimonio immobiliare per assenza o incompletezza dei sistemi di registrazione formale degli immobili privati in registri immobiliari e di loro mappatura”.

La Regione Piemonte non ha escluso lo straniero regolarmente soggiornante sul territorio dall’accesso a tali prestazioni; tuttavia, nel rendere più complesse e sproporzionate le modalità per accedervi, di fatto, lo ha reso impossibile. Ha introdotto quindi “nel tessuto normativo un elemento di distinzione non correlato in alcun modo a quegli altri requisiti (situazioni di bisogno e di disagio riferibili direttamente alla persona in quanto tale)”, che dovrebbero costituire l’unico presupposto di fruibilità di una provvidenza sociale che, per la sua stessa natura, non tollera differenziazioni volte a escludere coloro che risultano essere i soggetti più esposti a quelle condizioni che tale sistema di prestazioni si propone di superare[46].

4. Considerazioni conclusive.

La questione dell’accesso all’edilizia residenziale pubblica porta con sé l’esigenza di bilanciare i bisogni di gruppi sociali confliggenti e ciò diventa fonte di tensioni quando viene in gioco la categoria dello “straniero”, rispetto alla quale – si invoca – i cittadini dovrebbero poter vantare un diritto di precedenza che è conseguenza immediata e diretta della titolarità dello status civitatis[47]: la rivendicazione di un bisogno di identità che porta con sé una richiesta di riconoscere e valorizzare le differenze fa così sì che molte amministrazioni[48] abbiano sperimentato negli anni e con sempre maggiore frequenza politiche di appartenenza finalizzate a favorire coloro che hanno un legame più intenso con il territorio, trattando in modo irragionevolmente diverso soggetti nelle medesime condizioni di partenza e aspiranti al medesimo diritto.

È però evidente che una volta che sia ammessa la riferibilità del principio di uguaglianza formale anche agli stranieri, questo diventa il precetto costituzionale a cui fare riferimento rispetto a queste tematiche[49]. In tale ambito, l’opera dei giudici, chiamati a garantire l’effettività della pratica dei diritti fondamentali degli stranieri[50], è così divenuta lo strumento a cui è affidato il compito di tutelare chi è più debole, facendo valere la Costituzione come norma giuridica direttamente precettiva anche a dispetto della volontà popolare e svolgendo un ruolo di supplente che, però, non può durare ancora a lungo[51]. Affidarsi alle sole pronunce giurisprudenziali implica infatti rinunciare alla rimozione del fattore discriminatorio con efficacia erga omnes[52], limitandosi a contrastare, volta per volta, un orientamento di politica del diritto (a livello statale, come locale) che, esaltando un’idea di cittadinanza come fattore di esclusione, sembra orientato ad attuare ciò che la Costituzione, al contrario, vuole impedire attraverso il riconoscimento a ogni individuo del godimento di un nucleo minimo di diritti e operando ai fini della costruzione di una società fondata sul principio di solidarietà[53], quale chiave di volta dell’ordinamento costituzionale.

  1. Assegnista di ricerca. Università della Valle d’Aosta
  2. Ordinanza della Prima sezione civile, RG 13469 del 2020, Dott.ssa Vitrò.
  3. A fronte delle modifiche introdotte con circolare del 14.11.2019 il Comune di Torino ha pertanto sospeso le richieste di alloggi in emergenza abitativa (i cui requisiti, quanto a reddito e “impossidenza” di alloggi, sono i medesimi degli alloggi ordinari), segnalando a tutti i cittadini stranieri l’incompletezza delle domande presentate e precisando che “ai sensi della comunicazione della Regione Piemonte prot. n.81 del 14/11/2019 i cittadini di Stati non appartenenti all’UE devono produrre apposita documentazione che certifichi la circostanza che i componenti il nucleo non siano titolari, complessivamente, di diritti di proprietà, usufrutto, uso o abitazione, ad eccezione della nuda proprietà su un alloggio ubicato in qualsiasi Comune del territorio nazionale o all’estero adeguato alle esigenze del nucleo familiare ai sensi del DM 5.7.1975, e tale certificazione/attestazione deve essere rilasciata dalla competente autorità dello Stato di nazionalità”.
  4. Sia consentito sul punto il richiamo a Paruzzo F. (2020), Accesso all’edilizia sociale: residenza protratta e certificazione dell’assenza di proprietà immobiliari. Quando differenziare è discriminatorio, in Piemonte delle autonomie, n. 2.
  5. Gottardi D. (2007), Le discriminazioni basate sulla razza e sull’origine etnica, in Barbera M. (a cura di), Il nuovo diritto antidiscriminatorio, Giuffrè, Milano, p. 2.
  6. Cassazione SS.UU. n. 20661 del 2014 in tema di accesso degli stranieri al servizio civile e Corte cost. n. 172 del 1999. Più di recente, si veda anche Corte cost., n. 119 del 2015. Cfr. in dottrina, si veda ex multiis, Grosso E.(1997), Le vie della cittadinanza. Le grandi radici. I modelli di riconoscimento, Cedam, Padova; Panzera C., Rauti A., Salazar C., Spadaro A. (2016) (a cura di), Metamorfosi della cittadinanza e diritti degli stranieri, Atti del Convegno internazionale di studi svoltosi a Reggio Calabria, 26-27 marzo 2015, Editoriale Scientifica, Napoli; Berti G. (1997), Cittadinanza, cittadinanze e diritti fondamentali, in Rivista di diritto costituzionale, p. 11.
  7. S. Benhabib (2008), Cittadini globali. Cosmopolitismo e democrazia, Il Mulino, Bologna.
  8. Losana M. (2016), «Stranieri» e principio costituzionale di uguaglianza, in Rivista AIC, n. 1, p. 17.
  9. Pezzini B. (2010), Una questione che interroga l’uguaglianza: i diritti sociali del non cittadino, in AA.VV. Lo statuto costituzionale del non cittadino, Atti del XXIV Convegno annuale dell’Associazione Italiana dei Costituzionalisti, Cagliari 16 -17 ottobre 2009, Jovene, Napoli, p. 218.
  10. Pezzini B., Una questione che interroga l’uguaglianza: i diritti sociali del non cittadino, cit., p. 218.
  11. Cozzi A.O. (2010), Un piccolo puzzle: stranieri e principio di eguaglianza nel godimento delle prestazioni socio-assistenziali, in Quaderni costituzionali n. 3, p. 552.
  12. Se in un primo tempo era più forte una contrapposizione tra ambiti coperti dai diritti fondamentali e ambiti rimessi alla discrezionalità del legislatore, ora sembra essersi attenuata. La tutela dell’uguaglianza si estende, infatti, ai diritti riconosciuti in generale dall’art. 2, così come a quelli ricavati, attraverso il richiamo operato dall’art. 10 dalle consuetudini o dalle dichiarazioni internazionali. Ex multiis, a livello giurisprudenziale si veda Corte cost., n. 120 del 1967; 104 del 1969; 144 del 1970; 109 del 1974; 244 del 1974; 40 del 1975; 46 del 1977; 54 del 1979; 460 del 1987; n. 62 del 1994; n. 490 del 1988; n. 432 del 2005. In dottrina, si veda Corsi C. (2013), Straniero (diritto costituzionale), in Enciclopedia del diritto, Giuffrè, Milano, p. 878.; Luciani M. (1992), Cittadini e stranieri come titolari dei diritti fondamentali. L’esperienza italiana, in Rivista critica di diritto privato, p. 214; Grosso E. (1999), Straniero (status costituzionale dello), in Digesto delle discipline pubblicistiche, p. 156 ss.; Dolso G.P. (2005), Cittadini extracomunitari e diritti costituzionali, in AA.VV., Cittadinanza europea, accesso al lavoro e cooperazione giudiziaria, Eut, Trieste, p. 53 ss; Bascherini G. (2007), Immigrazione e diritti fondamentali, Jovene, Napoli; Ferrajoli L. (1999), Dai diritti del cittadino ai diritti della persona, in D. Zolo (a cura di), La cittadinanza. Appartenenza, identità, diritti, Laterza, Roma-Bari, pp. 287 ss.; Barile P. (1984), Diritti dell’uomo e libertà fondamentali, Il Mulino, Bologna, p. 32.
  13. La distinzione tra cittadino e straniero era già stata analizzata in termini di ragionevolezza per esempio da Corte cost., n. 144 del 1970, n. 201 e 204 del 1974. Più di recente, si vedano Corte cost., n. 230 del 2015, n. 22 del 2015, n. 329 del 2011, n. 187 del 2010.
  14. Sul come interpretare le disposizioni costituzionali che incidono sulla condizione giuridica degli stranieri si veda Losana M. (2017), Stranieri e principio costituzionale di uguaglianza, in Giorgis A., Grosso E., Losana M. (a cura di), Diritti uguali per tutti? Gli stranieri e la garanzia dell’uguaglianza formale, Franco Angeli, Milano, p. 67; V. Onida (2010), Lo Statuto costituzionale del non cittadino, in Lo statuto costituzionale del non cittadino, Atti del XXIV Convegno annuale dell’Associazione italiana dei costituzionalisti, Cagliari, 16-17 ottobre 2009, Jovene, Napoli.
  15. Si rinvia ex multiis: Biondi Dal Monte F. (2013), Dai diritti sociali alla cittadinanza, Giappichelli, Torino; Chiaromonte W. (2013), Lavoro e diritti sociali degli stranieri, Giappichelli, Torino, 2013; Ciervo A.(2011), I diritti sociali degli stranieri: un difficile equilibrio tra principio di non discriminazione e pari dignità sociale, in Angelini A., Benvenuti M., Schillaci A. (a cura di), Le nuove frontiere del diritto dell’immigrazione: integrazione, diritti, sicurezza, Jovene, Napoli; Bascherini G., Ciervo A. (2012), I diritti sociali degli immigrati, in Esclusione sociale. Politiche pubbliche e garanzie dei diritti, Passigli, Firenze; Rossi E., Biondi Dal Monte F., Vrenna M. (a cura di) (2013), La governance dell’immigrazione. Diritti, politiche e competenze, Il Mulino Bologna; Paladin L. (1965), Il principio di eguaglianza, in Enciclopedia del diritto, XIV, Milano, Giuffrè; Salazar C. (2000), Dal riconoscimento alla garanzia dei diritti sociali, Giappichelli, Torino, p. 131 ss.; Patroni Griffi A. (1999), I diritti sociali dello straniero tra costituzione e politiche regionali, in Chieffi L. (a cura di), Il regionalismo tra diritti sociali e prospettive federali, Cedam, Padova, p. 350.
  16. Per un commento all’art. 38 Cost. sotto il profilo più generale del diritto alla sicurezza sociale, cfr. Tripodina C., Art. 38 (2008), in S. Bartole, R. Bin (a cura di), Commentario alla Costituzione, Cedam, Padova, p. 370.
  17. Il riferimento è a Corte cost., n. 432 del 2005; cfr. Cuniberti M. (2006), L’illegittimità costituzionale dell’esclusione dello straniero dalle prestazioni sociali previste dalla legislazione regionale, in Le Regioni, 2006, 510 ss.; in questo testo, l’autore sottopone a critica il criterio che limita l’eguaglianza tra cittadino e straniero ai soli diritti fondamentali. In via generale su questi temi sia consentito un rinvio a Paruzzo F. (2020), Modalità di accesso alle prestazioni sociali. Quando differenziare è discriminatorio. Tra azione politica e ruolo della giurisprudenza, in Dirittifondamentali.it, n. 1, pp. 595 ss.
  18. Corte cost., n. 133 del 2013.
  19. Onida V. (2002), Eguaglianza e diritti sociali, in AA.VV., Corte costituzionale e principio di eguaglianza, Atti del Convegno in ricordo di Livio Paladin, Cedam, Padova, p. 101 ss.
  20. Come, ad esempio, dalle sentenze Corte cost., n. 306 del 2008, n. 187 del 2010, n. 2, n. 40 e n. 172 del 2013, n. 22 e n. 230 del 2015, n. 107 del 2018
  21. Il riferimento è a Corte costituzionale, n. 432 del 2005; cfr. altresì Cuniberti M. (2006), L’illegittimità costituzionale dell’esclusione dello straniero dalle prestazioni sociali previste dalla legislazione regionale, in Le Regioni, pp. 510 ss.; in questo testo, l’autore sottopone a critica il criterio che limita l’eguaglianza tra cittadino e straniero ai soli diritti fondamentali. Di nuovo, per una più compiuta ricostruzione con riferimento all’accesso alle prestazioni sociali, sia consentito fare riferimento a Paruzzo F. (2020), Modalità di accesso alle prestazioni sociali. Quando differenziare è discriminatorio. Tra azione politica e ruolo della giurisprudenza, cit. pp. 595.
  22. Corte cost., n. 107 del 2018. Per commenti si veda Belletti M. (2019), La Corte costituzionale torna, in tre occasioni ravvicinate, sul requisito del radicamento territoriale per accedere ai servizi sociali. Un tentativo di delineare un quadro organico della giurisprudenza in argomento, in Forum di Quaderni Costituzionali.
  23. Il test di ragionevolezza fondato sulla ricerca della “causa normativa” è descritto in maniera paradigmatica in Corte cost., n. 89 del 1996.
  24. Dolso G.P., Cittadini extracomunitari e diritti costituzionali, in AA.VV., Cittadinanza europea, accesso al lavoro e cooperazione giudiziaria, cit., p. 72.
  25. La sentenza n. 9 del 2021 dichiara incostituzionale e discriminatorio il disposto normativo di cui all’art. 2 comma 1 della Legge della Regione Abruzzo n. 34 del 2019, il cui contenuto risulta “letteralmente” identico a quello della circolare della Regione Piemonte oggetto di giudizio. In senso analogo si pone anche la sentenza n.157 del 2021 che dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 79, comma 2, del DPR 115/2002, recante “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia”, nella parte in cui non consente al cittadino di Stati non appartenenti all’Unione Europea, in caso di impossibilità a presentare la documentazione richiesta ai sensi dell’art.79, comma 2, di produrre, a pena di inammissibilità, una dichiarazione sostitutiva di tale documentazione.
  26. Si veda la ricostruzione del principio di uguaglianza che fa Losana M., (2016), «Stranieri» e principio costituzionale di uguaglianza, cit., pp. 16 ss..
  27. Ambrosi A. (2011), La discriminazione razziale ed etnica: norme costituzionali e strumenti di tutela, in Tega D. (a cura di), Le discriminazioni razziali ed etniche. Profili giuridici di tutela, Armando editore, Roma, pp. 22 ss.
  28. Che afferma che gli Stati “riconoscono ad ogni persona sottoposta alla loro giurisdizione i diritti e le libertà enunciati”, sancendo, con riferimento al godimento dei diritti convenzionali, l’indifferenza tra cittadino e straniero ed esprimendo, rispetto a tale ambito, una portata ratione personae universale.
  29. La Corte Costituzionale, con sentenza n. 187 del 2010, fa riferimento proprio all’art. 14 della CEDU per censurare la discriminazione dello straniero con riferimento alle prestazioni sociali.
  30. In dottrina si sono sottolineati i limiti dell’uguaglianza di cui all’art. 14 CEDU, sia perché formulata nei soli termini negativi del divieto di discriminazione, sia perché costituente un principio non autonomo, ma accessorio agli altri diritti convenzionali; cfr. Bin R. (2001), Art. 14, in S. Bartole, B. Conforti, G. Raimondi (a cura di), Commentario alla Convenzione europea per la tutela dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, Cedam, Padova, pp. 409 ss.
  31. Burgorgue – Larsen L. (2011), Il principio di non discriminazione nel diritto dell’Unione. L’art. 19 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, ovvero la rivoluzione silenziosa, in Ragion Pratica, n.1, pp. 55 e 56.
  32. Cfr. Barbera M. (2007), Il nuovo diritto antidiscriminatorio: innovazione e continuità, in Barbera M. (a cura di), Il nuovo diritto antidiscriminatorio, cit., IX; Bell M. (2002), Anti-discrimination Law and the European Unione, Oxford University Press, Oxford, pp.121-144.
  33. Sulle forme che il principio di uguaglianza assume, rispettivamente, nel nostro ordinamento e nell’ordinamento dell’Unione europea cfr. Sorrentino F. (2001), L’eguaglianza nella giurisprudenza della Corte costituzionale e della Corte di Giustizia, in Politica del Diritto, pp. 179 ss.
  34. M. Bell (2002), Anti-discrimination Law and the European Unione, Oxford University Press, Oxford, pp. 121-144.
  35. Art. 1 c. 1 l. n. 3 del 17 Febbraio 2010.
  36. Per una compiuta disamina si veda Pallante F. (2017), Gli stranieri di fronte al diritto all’abitazione, in Giorgis A., Grosso E., Losana M. (a cura di), Diritti uguali per tutti? Gli stranieri e la garanzia dell’uguaglianza formale, cit. pp. 244 ss.
  37. Martines T. (1974), Il “diritto alla casa”, in Lipari N. (a cura di), Tecniche giuridiche e sviluppo della persona, Laterza, Roma-Bari, pp. 392 ss.
  38. Già in Corte costituzionale, n. 49 del 1987.
  39. Corte costituzionale, n. 217 del 1988, ma, da ultimo, Corte costituzionale, n. 44 del 2020; nello stesso senso possono considerarsi le sentenze n. 106 del 2018, n. 168 del 2014, n. 209 del 2009 e n. 404 del 1988.
  40. Paladin L. (1965), Il principio di eguaglianza, in Enciclopedia del diritto, XIV, Milano, Giuffrè, pp. 214; Modugno F. (1995), I «nuovi diritti» nella giurisprudenza costituzionale, Giappichelli, Torino, pp. 61.
  41. Corte costituzionale, n. 176 del 2000 e n. 168 del 2014.
  42. Art. 34 co. 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
  43. Paruzzo F. (2020), Accesso all’edilizia sociale: residenza protratta e certificazione dell’assenza di proprietà immobiliari. Quando differenziare è discriminatorio, in Piemonte delle Autonomie, n. 2.
  44. Biondi Dal Monte F. (2013), Dai diritti sociali alla cittadinanza, cit.
  45. Corvaja F. (2011), Cittadinanza e residenza qualificata nell’accesso al welfare regionale, in le Regioni, pp. 1257 ss.
  46. Corte costituzionale, ordinanza n. 29 del 2012.
  47. Guariso A. (a cura di) (2018), Stranieri e accesso alle prestazioni sociali. Normativa nazionale ed europea schede pratiche, Fondazione Charlemagne, Roma, p. 8.
  48. Si veda ad esempio, Tribunale di Milano, con l’ordinanza del 13 Dicembre 2018; o anche Tribunale di Milano, del 27 marzo 2019 e Corte d’Appello di Milano del 17 gennaio 2019.
  49. Cfr. Biondi Dal Monte F., Lo Stato sociale di fronte alle migrazioni. Diritti sociali, appartenenza e dignità della persona, Relazione al Convegno annuale dell’Associazione “Gruppo di Pisa”, I diritti sociali: dal riconoscimento alla garanzia. Il ruolo della giurisprudenza, Trapani, 8-9 giugno 2012, spec. 21 e segg., consultabile all’indirizzo internet www.gruppodipisa.it, la quale parla dei diritti sociali degli «stranieri» come di diritti «pluricondizionati».
  50. Cfr. Onida V., Eguaglianza e diritti sociali, cit., p. 104. Al riguardo si veda anche Azzariti G. (2000), Forme e soggetti della democrazia pluralista, Giappichelli, Torino, p. 164.
  51. Biondi Dal Monte F., Lo stato sociale di fronte alle migrazioni. Diritti sociali, appartenenza e dignità della persona, cit. p. 8.
  52. Pace A. (2009), Dalla «presbiopia» comunitaria alla miopia “costituzionale”?, in Giurisprudenza costituzionale, p. 672 ss.
  53. Ridola P. (2006), Diritti fondamentali. Un’introduzione, Giappichelli, Torino, pp. 127.