Allontanamento? Zero! La legge regionale 17/2022

Joëlle Long[1]

Sommario:

1. Afflati ideali e slogan politici – 2. Il contesto, l’iter di approvazione e i contenuti principali – 3. I nodi problematici – 3.1. Rigidità e adultocentrismo – 4. Quali risorse? – 5. Verso un depotenziamento del sistema pubblico di protezione e promozione dei diritti delle persone di età minore in condizioni di disagio familiare

1. Afflati ideali e slogan politici

Come non concordare con l’obiettivo di tutelare il diritto dei figli minorenni di essere allevati dai genitori e di prevenire l’allontanamento di bambine e bambini dalla casa familiare proclamato dall’articolo 1 della legge piemontese 28 ottobre 2022, n. 17 “Allontanamento zero. Interventi a sostegno della genitorialità e norme per la prevenzione degli allontanamenti dal nucleo familiare d’origine”?

La stessa Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia riconosce la famiglia come “ambiente naturale per la crescita e il benessere di tutti i suoi membri e in particolare dei fanciulli” (Preambolo) e il diritto della persona minorenne a essere allevata dai genitori (artt. 7 c. 1 e 8) “a meno che le autorità competenti non decidano (…) che questa separazione è necessaria nell’interesse preminente del fanciullo” (art. 9)[2]. Negli ultimi ventiquattro anni, la Corte europea dei diritti umani ha ripetutamente condannato il nostro Paese per rotture infondate e frettolose dei rapporti giuridici e di fatto tra un minore e la famiglia di origine[3]. A livello nazionale, la legge 4 maggio 1983, n.184 proclama il diritto del minore “di crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia” (art.1 c. 1), prevedendo a sua tutela precise garanzie sostanziali e processuali e gravando lo Stato e gli enti locali dell’obbligo di adottare interventi “al fine di prevenire l’abbandono e di consentire al minore di essere educato nell’ambito della propria famiglia” (art. 1 c. 3)[4]. In attuazione di questa norma, le diverse realtà territoriali sono da tempo impegnate nella prevenzione degli allontanamenti. La più importante progettazione è P.I.P.P.I. (Programma di Intervento per la Prevenzione dell’Istituzionalizzazione), nata nel 2010 e frutto di una collaborazione tra Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Università di Padova e dieci città italiane[5]. Proprio muovendo dai risultati di P.I.P.P.I., nel 2017, la Conferenza Unificata Stato-Regioni ha approvato le Linee di indirizzo nazionali per l’intervento con bambini e famiglie in situazione di vulnerabilità (correttamente richiamate dall’art. 5 c. 4 della normativa in commento)[6].

La legge “Allontanamento zero” va tuttavia oltre. L’obiettivo, evidente dallo slogan politico trasfuso nel titolo dell’atto normativo, è che gli affidi e i collocamenti in comunità debbano essere “arginati”[7]. L’idea di fondo è che in Piemonte gli allontanamenti siano troppi[8] e in gran parte ingiustificati, cioè decisi in situazioni in cui le difficoltà della famiglia di origine sarebbero risolvibili preservando la comunione di vita della famiglia nucleare[9]. Inoltre, si ritiene che siano frequenti i casi di separazione del nucleo per mere difficoltà economiche dei genitori[10]. In quest’ottica, la nuova normativa introduce ostacoli procedimentali all’allontanamento e concentra le risorse sulla prevenzione mediante meccanismi stereotipati e rigidi che paiono ispirati non tanto alla protezione di bambini e ragazzi quanto alla tutela del diritto naturale della famiglia di sangue[11].

2. Il contesto, l’iter di approvazione e i contenuti principali

La legge “Allontanamento zero” si inquadra nell’esercizio della potestà legislativa esclusiva (“residuale”, ai sensi dell’art. 117 Cost.) della Regione nella materia dell’assistenza e sicurezza sociale[12]. L’obiettivo infatti è regolare l’operato dei servizi sociali, il cui ruolo è cruciale nell’assicurare il diritto delle persone di età minore “a una famiglia”[13]. Essendo deputati per legge a promuovere interventi per prevenire, eliminare o ridurre le condizioni di disagio individuale e familiare, derivanti da inadeguatezza di reddito e difficoltà sociali (così l’art.1 legge n. 328/2000), ed essendo la “genitorialità positiva (…) il motore dello sviluppo umano”[14], i servizi sociali devono anzitutto “mobilitare il potenziale educativo delle famiglie”, “accompagnando” la genitorialità nelle situazioni di vulnerabilità[15]. Ove possibile, i genitori devono essere sostenuti nel loro ruolo mantenendo la comunione di vita e degli affetti con la prole, per esempio tramite servizi di educativa domiciliare e/o territoriale[16]. Qualora invece si ritenga necessario, nell’interesse del figlio, che lo stesso sia transitoriamente allontanato dal nucleo di origine e accolto presso terzi (famiglia allargata, volontari), i servizi sociali dovranno sia lavorare con la famiglia di origine per il recupero delle capacità genitoriali, sia sostenere il nucleo affidatario monitorando e garantendo l’interesse del minore durante il collocamento eterofamiliare (artt. 2 ss. legge n.184/1983). Ove vi sia il consenso dei genitori o, in loro mancanza, del tutore, i servizi sociali territoriali gestiscono in toto l’affidamento familiare, individuando la famiglia affidataria e sostenendo la stessa e quella di origine durante il percorso (art. 4 c. 1 legge n.184/1983). Nel caso in cui manchi il consenso dei genitori o del tutore, collaborano all’istruttoria dell’autorità giudiziaria e sono comunque “responsabili” del “programma di assistenza”, dovendo organizzare e garantire alle famiglie affidatarie e alle famiglie di origine un adeguato supporto professionale (art. 4 c. 3 legge n.184/1983)[17].

In effetti, l’approvazione della nuova normativa è stata lunga e accidentata.

Il disegno di legge è stato presentato dalla Giunta regionale il 3 dicembre 2019. Il testo si connota politicamente come provvedimento “bandiera” di partiti che, anche a livello nazionale, si sono fatti portavoce delle istanze di famiglie di sangue che hanno visto i figli “sottratti” dai servizi sociali e dalle autorità giudiziarie minorili. E’ stato da subito oggetto di un ampio e articolato movimento di critica e contestazione da parte di professionisti e di volontari che, a diverso titolo, operano per la protezione dei minorenni in condizioni di disagio sociale. E’ sorto un apposito comitato (Comitato ZERO – allontanamento zero) e numerosi ordini professionali del territorio (es. l’Ordine Assistenti Sociali del Piemonte, l’Ordine degli Psicologi del Piemonte, l’Ordine degli Avvocati di Torino), associazioni (es. Tavolo nazionale affido, Camera Minorile di Torino, Cammino – Camera Nazionale Avvocati per le persone, per i minorenni e per le famiglie, sezione di Torino), docenti universitari e interi consigli di dipartimento e corsi di laurea universitari dell’Università di Torino hanno stigmatizzato la logica adultocentrica che sembrava ispirare il disegno di legge ed evidenziato il rischio che il sistema proposto si traducesse in un depotenziamento dell’effettività del sistema pubblico di protezione dell’infanzia e dell’adolescenza in condizioni di disagio familiare. Numerosi consigli comunali piemontesi (tra i quali il Comune di Torino) hanno approvato ordini del giorno che invitavano la Giunta regionale e ritirare o comunque modificare sostanzialmente il testo.

L’esame da parte della Commissione consiliare “Sanità; assistenza; servizi sociali” è stato lungo e vivace. Sono state svolte numerose audizioni e sono state acquisite memorie alcuni dei cui rilievi sono confluiti in una seconda e più moderata versione presentata dalla stessa Assessora alle Politiche Sociali e ai Bambini che si era fatta promotrice del testo originario nell’ambito della Giunta regionale.

Purtuttavia in Consiglio Regionale, per decisione della maggioranza, è stata poi riproposta la versione iniziale del 2019. In sede di discussione in Aula sono stati presentati 497 emendamenti, di cui 45 sono stati approvati[18]. Il 25 ottobre 2022 il testo è stato definitivamente approvato dal Consiglio regionale del Piemonte, con 29 voti favorevoli e 14 contrari. La legge regionale 17/2022, composta da 15 articoli, è stata pubblicata sul Bollettino ufficiale della Regione Piemonte n. 44, supplemento n. 2 del 3 novembre 2022 ed è entrata in vigore il 18 novembre 2022.

3. I nodi problematici

3.1. Rigidità e adultocentrismo

Onde prevenire l’allontanamento dei figli minorenni dalle famiglie di origine, la nuova legge regionale delinea un percorso a tappe obbligate che, in Piemonte, i servizi sociali dovranno seguire nelle situazioni croniche di “fragilità o inadeguatezza familiare” (art. 2 c. 1), al di fuori cioè delle situazioni di urgenza (art.403 cod. civ., art. 2 c. 3 legge n.184/1983) e dei casi di competenza giudiziaria (artt.330, 333 cod. civ., artt. 8 ss. legge n.184/1983)[19].

Un primo step è l’attuazione almeno semestrale di un progetto educativo familiare, in sigla PEF. Esso deve contenere “obiettivi di cambiamento e miglioramento delle relazioni familiari possibili e verificabili” e dettagliare gli interventi di recupero della capacità genitoriale della famiglia e di rimozione delle cause che impediscono la sua funzione educativa (art. 2 c. 1). Deve inoltre essere “costruito con la famiglia” e con i minori interessati, chiamati anch’essi a sottoscriverlo, “compatibilmente con l’età e lo sviluppo cognitivo” (ibidem).

Sebbene, come già ricordato, l’obiettivo di prevenire ove possibile gli allontanamenti sia certamente da condividere, la previsione di una procedura standardizzata e rigida di definizione e implementazione del PEF deve essere criticata. La formulazione in termini estremamente generali dei presupposti (“fragilità e inadeguatezza genitoriale”) potrebbe portare i professionisti ad applicare il PEF a tutte le situazioni, salvo i maltrattamenti gravi e conclamati di competenza giudiziaria. Così tuttavia si allungheranno i tempi per disporre gli allontanamenti, in situazioni in cui invece la tempestività è uno degli elementi che concorrono alla buona riuscita del progetto poiché ne potenziano gli effetti riparativi[20]. Inoltre, stabilire in modo rigido un termine non sembra tenere conto del fatto che le difficoltà delle famiglie di origine e le situazioni individuali dei figli minorenni sono diverse e dovrebbero pertanto essere valutate caso per caso[21]. Già oggi, inoltre, i servizi predispongono nelle situazioni di vulnerabilità familiare progetti di sostegno e, spesso, per un tempo ben più lungo di quanto previsto dalla norma in commento. Infine, l’indicazione di un termine molto breve di sei mesi (pur configurata come durata minima) appare irrealistica[22]. Lo stesso legislatore nazionale è consapevole della difficoltà di risolvere in tempi brevissimi le difficoltà delle famiglie di origine che portano all’allontanamento e stabilisce per questo un termine massimo di durata nell’affidamento familiare di 24 mesi, con possibilità di proroga. Le statistiche dimostrano peraltro che nella maggioranza delle situazioni due anni non sono sufficienti a creare le condizioni per il ritorno del minore in famiglia[23].

Nemmeno può essere condiviso il martellante richiamo contenuto nella legge regionale alla necessità di sostenere economicamente le famiglie di origine in funzione di prevenzione dell’allontanamento della prole minorenne. Il riferimento è, anzitutto, alle previsioni generali secondo cui il PEF “deve espressamente prevedere misure di sostegno economico alla famiglia…” (art. 5 c. 3, corsivo aggiunto) e gli interventi economici e abitativi “hanno carattere prioritario e vincolante rispetto all’allontanamento del minore dal nucleo familiare” (art.6 c. 8)[24]. Se infatti è certamente vero che in alcune situazioni il sostegno economico è necessario, in altre può non esserlo o addirittura rivelarsi controproducente: pensiamo non solo a casi emblematici di dipendenze dei genitori (da sostanze, gioco d’azzardo), ma a tutte quelle situazioni – e sono la grande maggioranza – in cui l’indigenza si accompagna ad altre problematicità, come la povertà educativa e la negligenza, con la conseguenza che i denari messi a disposizione dei genitori difficilmente sarebbe poi spesi per far fronte alle reali esigenze della prole e della famiglia. Oltre a ciò, la previsione secondo cui le condizioni di indigenza dei genitori non possono essere causa di allontanamento dei figli è già prevista dalla legge nazionale (art. 1 c. 2 legge n.184/1983) e appare dunque inutile.

Da ultimo, la legge regionale in commento introduce un nuovo e ulteriore presupposto per l’allontanamento: un “documentato e dettagliatamente motivato” esito negativo del percorso di “coinvolgimento dei parenti sino al quarto grado” (art.9 c. 1)[25]. Tuttavia, l’interesse del minore imporrebbe di includere nel progetto i soli parenti che abbiano con il minore un rapporto affettivo significativo e di prevedere comunque l’accertamento della loro idoneità all’accoglienza. Non è infatti l’esistenza del legame di sangue a rendere il parente atto alla cura e a farlo preferire rispetto a un estraneo, ma una frequentazione consolidata e positiva con il bambino o la bambina. Come i magistrati minorili e i professionisti dei servizi socio-sanitari ben sanno, dinamiche psicologiche e sociali possono rendere i parenti incapaci di riconoscere le condotte pregiudizievoli dei genitori o comunque di prenderne le distanze e di “governare” nell’interesse del minore i contatti tra lo stesso e il genitore maltrattante durante l’affidamento intrafamiliare[26]. Talvolta, inoltre, la famiglia allargata è portatrice di problematiche autonome che la rendono inidonea ad assumere un ruolo genitoriale vicario (es. per l’età o le condizioni di salute). Per questa ragione, la disciplina nazionale sull’affidamento non stabilisce in termini generali un principio di favore per la collocazione presso i parenti, ma riconosce piuttosto il diritto del minorenne alla “continuità affettiva”, locuzione coniata dal legislatore con la legge n.173/2015 per la tutela della relazione consolidatasi tra bambini e affidatari durante l’affidamento familiare, ma suscettibile di essere applicata a una molteplicità di altri ambiti, ivi compreso l’affidamento intrafamiliare. In materia di adozione, la legge esclude l’adottabilità del minore privo di assistenza morale o materiale da parte dei genitori qualora familiari entro il quarto grado siano disponibili e idonei a prendersene cura (art. 9 legge n.184/1983). I giudici precisano tuttavia che deve trattarsi di parenti idonei a crescere il minore e che l’idoneità “dovrebbe tra l’altro configurarsi sotto forma di efficace impedimento ed opposizione alle pretese e agli atteggiamenti dei genitori stessi, scongiurando la permanenza di una loro influenza negativa sul minore”[27].

E’ certamente vero che in molti casi i congiunti più stretti (nonni, zii, cugini) sono disponibili e idonei a prendersi cura dei minori che non possono crescere con i genitori: del resto già oggi, indipendentemente dalla legge “Allontanamento zero”, gli affidamenti intrafamiliari costituiscono la metà degli affidamenti familiari[28]. Purtuttavia, imporre rigidamente per legge il coinvolgimento dei familiari rischia di allungare in modo irragionevole i tempi per addivenire a un collocamento extrafamiliare e dunque di pregiudicare l’interesse del minore, oltreché di produrre spese inutili: si pensi a parenti che non abbiano frequentazioni significative con il minore e che abitino anche a molta distanza da lui o dei quali i genitori e/o i servizi non conoscano la residenza abituale[29]. Ci si chiede, inoltre, quale dovrà essere la collocazione del minore durante questi accertamenti, che potrebbero protrarsi anche per molto tempo….

L’introduzione di presupposti per l’allontanamento ulteriori rispetto a quelli della normativa nazionale e che rischiano di pregiudicare l’interesse del minore, anche ritardando l’intervento di protezione, potrebbe essere forse tacciata di incostituzionalità[30]. Il riferimento è agli artt. 2 e 32 Cost., sotto il profilo del diritto di tutti gli individui alla salute psico-fisica, e all’art. 31 c. 2, che garantisce all’infanzia una protezione specifica. Inoltre, si potrebbe richiamare l’art.3 Cost., poiché il diritto dei minori in situazione di disagio familiare residenti in Piemonte a essere adeguatamente e prontamente tutelati è irragionevolmente limitato rispetto a quello dei ragazzi abitualmente residenti in altre Regioni italiane. Infine, si potrebbe invocare l’art. 117 Costituzione. Il comma primo, infatti, obbliga il legislatore nazionale e regionale a conformarsi agli obblighi internazionali, tra cui garantire all’infanzia una particolare attenzione ai sensi della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia e, in ambito eurounitario, di strumenti quali la recentissima Child Guarantee. In più, poiché l’affidamento familiare e il collocamento in comunità sono materia di diritto civile della famiglia e quindi di legislazione esclusiva dello Stato, seppur ovviamente intrecciati profondamente con i servizi sociali che sono invece di competenza esclusiva regionale, potrebbe configurarsi una violazione del riparto di competenze tra Stato e Regioni ex art. 117 secondo c. lett. l. Infine, qualora si ritenesse l’affidamento familiare sussumibile tra i livelli essenziali della prestazioni da rendersi uniformemente sul territorio nazionale, si aggiungerebbe la violazione della lettera m della medesima disposizione normativa.

4. Quali risorse?

La legge “Allontanamento zero” quantifica in 44,5 milioni di euro per il biennio 2023-2024 gli oneri da essa derivanti, facendovi fronte attingendo alle risorse già allocate nell’ambito della missione 12 (Diritti sociali, politiche sociali e famiglia), programma 12.07 (Programmazione e governo della rete di servizi socio-sanitari e sociali) del bilancio di previsione finanziario 2022-2024 per un importo pari a 44 milioni di euro ed alla missione 12 (Diritti sociali, politiche sociali e famiglia), programma 12.10 (Politica regionale unitaria per i diritti sociali e la famiglia) del bilancio di previsione finanziario 2022-2024 per un importo pari a euro 568.750.00[31].

Prima facie, e fermo restando che ben più dettagliate valutazioni saranno svolte dalla Corte dei conti-Sezione regionale di controllo per il Piemonte, il provvedimento legislativo sembra avere una copertura finanziaria[32]. Purtuttavia, la lettura del testo legislativo sembra portare a un giudizio negativo in termini di adeguatezza dell’investimento e addirittura a prefigurare il rischio di un peggioramento del sistema pubblico impegnato nella tutela del diritto del minore a una famiglia. Un primo profilo critico concerne la ritenuta invarianza finanziaria o addirittura l’assenza di oneri di norme che comportano attività amministrative aggiuntive per i servizi socio-sanitari, i quali – da anni – sono in carenza di organico e caratterizzati da un elevato turn over. Quantomeno, il legislatore avrebbe dovuto indicare per quale ragione ritiene le risorse stanziate comunque sufficienti: infatti attività aggiuntive (di natura procedimentale o meno) difficilmente possono essere svolte a risorse invariate. Per esempio, rilevare come fa in modo formalmente corretto la relazione tecnico-finanziaria conclusiva che dalla norma sul PEF (art. 2) “non derivano nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio regionale, trattandosi di norma di carattere procedimentale”, non dà conto del fatto che gli assistenti sociali che operano nei servizi saranno gravati di un nuovo e articolato compito che si aggiungerà alle attività già svolte. La redazione del PEF, infatti, pur essendo nei contenuti già simile a quanto realizzato ordinariamente per sostenere le famiglie e prevenire gli allontanamenti, comporterà attività aggiuntive, quali la predisposizione e l’utilizzo di moduli ad hoc per la redazione del PEF e la raccolta del consenso informato dei genitori e, addirittura, dei bambini e l’informazione, nonché la formazione ai professionisti sull’utilizzo di questo nuovo strumento. Il rischio concreto è che poco tempo e poche energie possano essere effettivamente spese per la messa a sistema, con l’opportuno (ma impegnativo) coinvolgimento della famiglia di origine, di un buon piano educativo familiare e che questo finisca per essere ridotto a un mero adempimento burocratico. Lo stesso discorso può, a fortiori, essere fatto per le attività inerenti l’affidamento familiare: dal lavoro con le famiglie allargate, che deve essere documentato e il cui esito deve essere dettagliatamente motivato, alla selezione delle famiglie affidatarie attraverso procedure “di carattere sociale e psicologico, identificabili e documentali”, alle verifiche trimestrali, all’ individuazione dell’“operatore dell’affido temporaneo”, che possa seguire le fasi di rientro e di accompagnamento del minore nella propria famiglia di origine (art. 9, c. 1 e 2)[33]. Anche in questo caso la relazione tecnico-finanziaria afferma che “non derivano oneri a carico del bilancio regionale trattandosi di norme procedimentali”, concludendo addirittura per l’“assenza di oneri”!

Inoltre, potrebbero risultare irrealizzabili per mancanza di adeguate risorse altri, pur condivisibili, interventi previsti dalla nuova legge. Mi riferisco alla formazione, all’aggiornamento e alla consulenza per gli operatori coinvolti nella cura e nella tutela dei minori e delle famiglia e delle famiglie affidatarie e delle famiglie di origine (art. 4 c. 2 lett. f, g), nonché alla previsione che i protocolli di intesa con enti pubblici e privati “diretti alla realizzazione di reti e sistemi articolati di assistenza, di consulenza e di mediazione famigliare, in modo omogeneo sul territorio regionale” dovranno avvenire “senza oneri a carico della regione” (ivi, lett. b). Inoltre, le previsioni secondo cui “in ogni azienda sanitaria locale del territorio regionale i servizi afferenti ai Dipartimenti Materno Infantile, Salute Mentale e Dipendenze realizzano una propria valutazione sullo stato psicologico del minore e degli adulti coinvolti e svolgono attività psicoterapeutica, al fine di rafforzare le capacità del nucleo familiare” (art. 7 c. 3) e che “i servizi sanitari collaborano attraverso le professionalità specifiche, alla predisposizione del piano educativo e della presa in carico (art. 10 c. 6) sono certamente condivisibili ma velleitarie in una situazione in cui, allo stato, i servizi non riescono neanche a far fronte alle richieste di approfondimento da parte delle autorità giudiziarie. Analogamente, mi chiedo con quali fondi si possa attuare la lodevole previsione di un supporto al percorso di autonomia anche oltre la maggiore età per i minori che non possano tornare in famiglia (art. 10 c. 7). Rischia, inoltre, di essere depotenziato in quanto esplicitamente istituito “senza oneri a carico del bilancio regionale”, l’Osservatorio sull’allontanamento dei minori a carico del bilancio regionale (art. 12)[34].

Desta preoccupazione, infine, la previsione secondo cui saranno destinate “una quota non inferiore a euro 20.000.000 delle risorse del sistema integrato dei servizi sociali delle politiche familiari per sostenere le azioni di prevenzione all’allontanamento” (art. 4 c. 2, lett. c). Destinare gran parte delle risorse regionali ad alcune azioni individuate dalla legge e volte a prevenire l’allontanamento implica infatti che i costi relativi all’affidamento familiare e ai collocamenti in comunità (che rappresentano oggi la gran parte dell’impegno di tempo e risorse dei servizi) graveranno quasi completamente sui bilanci dei comuni, spesso magri. Da qui il rischio non solo del peggioramento della qualità degli interventi prestati, ma addirittura della paralisi del sistema attuale dei servizi. La conseguenza, paradossale, sarebbe che la Regione stessa, e finanche, in sostituzione, lo Stato, onde garantire i livelli essenziali delle prestazioni, dovrebbero intervenire per mettere i Comuni nelle condizioni di avere risorse finanziarie sufficienti per potere esercitare le proprie funzioni in ambito sociale in quanto, com’è noto, il sistema di finanzia degli enti locali è ancora prevalentemente derivata.

5. Verso un depotenziamento del sistema pubblico di protezione e promozione dei diritti delle persone di età minore in condizioni di disagio familiare

La visione e i contenuti propugnati dalla nuova legge regionale “Allontanamento zero” non sono isolati né sul piano nazionale né sul piano regionale.

A livello nazionale, riecheggiano le argomentazioni contrarie alla “cancellazione” del “vincolo di sangue” che più di cinquant’anni fa avevano ostacolato l’approvazione della legge 5 giugno 1967, n. 431 di introduzione dell’”adozione speciale” del minore come strumento principale di protezione nei confronti dell’infanzia abbandonata[35] e, recentemente, le critiche alle decisioni di alcuni Tribunali per i minorenni del Sud di allontanare da famiglie inserite in contesti culturali e di vita di criminalità organizzata i figli minorenni per salvaguardare il loro superiore interesse ad uno sviluppo psico-fisico rispettoso dei valori della convivenza civile rendendoli “liberi di scegliere” il loro futuro[36]. A partire dal 2020, anche in conseguenza della gran cassa mediatica sul cosiddetto “caso Bibbiano”[37], alcuni interventi normativi sembrano alimentare un clima generale di sfiducia nei confronti del sistema pubblico di protezione dell’infanzia e dell’adolescenza in condizioni di disagio familiare in nome. Il riferimento è alla legge 29 luglio 2020 n. 107 che ha, tra l’altro, istituito una commissione parlamentare di inchiesta sulle attività connesse alle comunità di tipo familiare che accolgono minori, ma anche alla Riforma Cartabia (legge 206 del 2021 e decreto legislativo n.149 del 2021), che sembra ridimensionare per via processuale il controllo dello Stato sulle famiglie (ossia sull’esercizio delle funzioni genitoriali)[38]. Dall’inizio della legislatura (13 ottobre 2022), poi, sono stati presentati ai due rami del Parlamento diversi progetti di legge di riforma della disciplina in materia di affidamento familiare e adozione dei minorenni: alcuni, come la legge “Allontanamento zero”, focalizzano l’attenzione sui diritti delle famiglie di origine, proclamando la necessità di garantire ai genitori condizioni economico-sociali idonee a evitare l’allontanamento del minore dalla famiglia[39].

A livello regionale, si segnalano la presentazione in Emilia Romagna e in Lazio di proposte di legge per interventi a sostegno della genitorialità e azioni per la prevenzione degli allontanamenti di minori, con contenuti molto simili a quelli del testo normativo subalpino qui in commento[40].

Tra le direttrici comuni alla legge “Allontanamento zero” e alle summenzionate riforme, recenti e venture, emergono anzitutto l’enfatizzazione dell’autonomia individuale e sociale dalle ingerenze pubbliche e la delega al settore privato.

La Riforma Cartabia, com’è noto, potenzia la mediazione familiare prevedendo che il giudice possa “in ogni momento” informare le parti della possibilità di mediazione, invitarle a rivolgersi a un mediatore per valutare se intraprendere una mediazione e rinviare l’adozione dei provvedimenti provvisori per consentire loro di utilizzare tale percorso per raggiungere un accordo (art. 473bis.10 cod. proc. civ.)[41]. Inoltre, viene esteso l’ambito soggettivo e oggettivo di applicazione della negoziazione assistita (art. 6 c. 1 e c. 3 bis decreto legge 12 settembre 2014, n.132)[42]. Viene poi formalizzata, seppure senza nominarla esplicitamente, la cosiddetta coordinazione genitoriale (art. 473bis.26 cod. proc. civ.)[43]. Si valorizza il ruolo del curatore speciale (art. 473bis.8 cod. proc. civ.) e si introduce la figura del curatore del figlio di genitori limitati nell’esercizio della responsabilità genitoriale (art. 473bis.7 cod. proc. civ.)[44]. Infine, si prevede che alcune funzioni di volontaria giurisdizione possano essere svolte anche dai notai (art. 21 decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 149)[45].

La legge “Allontanamento zero” include la mediazione familiare tra gli strumenti di sostegno al nucleo familiare vulnerabile, stabilendo che, per promuovere il diritto del minore a vivere in famiglia e prevenire l’allontanamento, “la Regione… favorisce interventi di… mediazione familiare”. Tali interventi saranno “diretti al superamento del disagio, al recupero della propria autonomia ed al mantenimento del ruolo genitoriale” (art. 8 c. 1 e 2). Così come formulata, la norma pare dunque proporre un ricorso generalizzato alla mediazione familiare. Non è tuttavia chiaro chi siano i protagonisti della mediazione: il bambino e i genitori o i genitori tra loro? Poiché il successo della mediazione richiede il dialogo tra soggetti su un piano di sostanziale parità, appare ragionevole dubitare che la mediazione possa operare efficacemente rispetto ai figli minorenni, che assommano una doppia condizione di vulnerabilità: quella di persone in formazione e di figli, quindi spesso in soggezione psicologica rispetto al genitore. Nel caso poi di maltrattamenti familiari, la mediazione familiare è da respingere con decisione in quanto potrebbe essere interpretata dall’adulto abusante come un’arma per mantenere il controllo e il dominio sul figlio o sull’altro genitore, perpetuandone la vittimizzazione[46].

Nel disegno della legge regionale, gli interventi di mediazione familiare saranno erogati dagli enti locali, dai servizi socio-sanitari e da “associazioni e organizzazioni di volontariato… anche finanziati tramite risorse statali” (art. 8). Analoga valorizzazione del privato sociale “a vocazione specifica” si trova con riferimento agli interventi di sostegno alla famiglia di origine dettagliati nel PEF (l’art. 2 c. 4 parla infatti di “supporto… degli enti o associazioni senza fini di lucro che operano nel campo della tutela dei minori e delle famiglie”), alle parti coinvolte in protocolli di intesa per sostenere i nuclei familiari a rischio (l’art. 4 c. 2 parla genericamente di ”ogni altro soggetto operante nella mediazione familiare, operanti nella tutela dei minori e delle famiglie”), alla promozione e al sostegno di “progetti sperimentali e percorsi di aiuto per la famiglia di origine (da realizzarsi ex art. 6 c. 3 “anche in collaborazione con enti e associazioni”). Purtuttavia, se è certamente vero che il principio della sussidiarietà orizzontale sollecita l’intervento attivo degli enti del terzo settore, questo non dovrebbe portare a un disinvestimento del settore pubblico dal contrasto del disagio familiare, un ambito strategico in cui gli interventi dovrebbero essere garantiti su tutto il territorio nazionale.

Una seconda linea di tendenza comune alla legge regionale “Allontanamento zero” e ai suoi omologhi regionali e nazionali sembra essere costituita dalla delegittimazione dell’affidamento familiare e del collocamento in comunità e dallo svilimento dei servizi sociali e degli affidatari. I servizi sono infatti identificati come principali responsabili del fallimento del dovere istituzionale delle autorità pubbliche di sostenere i nuclei familiari in difficoltà. Gli affidatari, invece, sono sospettati di dare la disponibilità all’accoglienza per finalità lucrative.

La Riforma Cartabia cerca di limitare l’autonomia dei servizi sociali in nome del giusto processo[47]. Introduce, inoltre, regimi di incompatibilità per giudici, assistenti sociali, professionisti e volontari di comunità per minori, consulenti tecnici d’ufficio, affidatari[48] ispirati alla vulgata dell’esistenza di un business degli affidi e dei collocamenti in comunità.

Dal canto suo, la legge “Allontanamento zero” sembra alimentare la contrapposizione tra i genitori da un lato e i servizi sociali e gli affidatari dall’altro[49]. Affermando, per esempio, la necessità di promuovere politiche regionali “finalizzate a prevenire l’allontanamento realizzando interventi di sostegno alla genitorialità”, si disconosce che anche l’allontanamento temporaneo è funzionale a consentire alle famiglie di origine di assicurare un ambiente idoneo alla crescita del minore. Plurime sono poi le disposizioni che indicano ai servizi come fare bene il loro lavoro nell’evidente convinzione che nella maggioranza dei casi ciò non avvenga (ex art. 2 c. 1 il PEF deve essere “pertinente e dettagliato” ed ex art. 2 c. 1 le relazioni “devono espressamente comprendere tutti gli elementi di analisi e valutazione necessari”, mentre ex art. 9 i servizi devono documentare e “dettagliatamente” motivare ed effettuare la selezione delle famiglie affidatarie “attraverso procedure di carattere sociale e psicologico, identificabili e documentabili”). Inoltre, la cronica mancanza di fondi per i servizi, oltre a rischiare di rendere meramente burocratici in quanto da svolgersi con le risorse di personale esistenti, interventi quali il PEF, favorisce il ricorso al precariato e a un elevato turn over degli operatori. Infine, la limitazione a due dei minori affidati allo stesso nucleo, con precisazione che essi non possono comunque “superare il tetto massimo di n.5 minori, compresi i figli degli affidatari”), sembra ispirata più al pregiudizio che gli affidatari siano mossi da ragioni economiche, invece che dall’intenzione di tutelare i minorenni. Non pare infatti potersi escludere a priori che sia nell’interesse di un minore vivere in un nucleo familiare numeroso: la stessa legge nazionale favorisce l’affidamento a famiglie con altri figli minori (art. 2 c.1 legge n.184/1983), nell’evidente convinzione che l’accoglienza del minore possa essere facilitata dalla presenza di pari.

L’effetto rischia di essere un depotenziamento del sistema pubblico di controllo sull’esercizio della responsabilità genitoriale e dunque un potenziale peggioramento delle condizioni di vita dei bambini e delle bambine.

  1. Professoressa associata di Diritto privato e docente di Diritto di famiglia, Dipartimento di Giurisprudenza, dell’Università degli Studi di Torino.
  2. Ancora attuale è il commento di A. C. Moro, Il bambino è un cittadino, Mursia, Milano, 1991, p.177.
  3. Alcune delle censure formulate nei confronti del nostro Paese stigmatizzano cattive prassi e inefficienze gravi del sistema amministrativo e giudiziario. Si pensi, per esempio, a violazioni di diritti processuali dei genitori e, dal punto di vista sostanziale, alla carenza di sufficienti azioni positive da parte dei servizi sociali per rimuovere lo svantaggio sociale derivante dalla situazione di vulnerabilità del genitore (spesso una madre single migrante). La prima condanna è stata E. P. c. Italia (sentenza 16 novembre 1999) e l’ultima D. M. e N. c. Italia (sentenza 20 gennaio 2022).
  4. Il riferimento è, per esempio, al divieto di allontanamento in ragione della mera indigenza dalla famiglia di origine (art. 1 c. 3 legge n.184/1983), alla necessità di prevedere il mantenimento dei rapporti tra minori e famiglia di origine durante la collocazione extrafamiliare e alla previsione di un termine massimo di durata del collocamento fuori famiglia (ivi, art. 4 c. 4) e, processualmente, alla difesa tecnica dei genitori, facoltativa nel caso dei procedimenti de responsabilitate (cfr. il combinato disposto degli artt. 4 c. 2 legge n.184/1983 e 336 c. 4 cod. civ.) e obbligatoria (unico caso di difesa d’ufficio in tutto il diritto civile!) nel procedimento per la dichiarazione dello stato di adottabilità prodromico all’adozione (art. 10 c. 2 legge n.184 del 1983). Per una ricostruzione d’insieme, cfr. A. C. Moro, Manuale di diritto minorile, Zanichelli, Bologna, 2019, p.163; L. Lenti, Diritto di famiglia, Giuffrè, Milano, 2021, pp. 981 e ss.; A. Thiene, “Gli affidamenti”, in A. Cordiano e R. Senigaglia (a cura di), Diritto civile minorile, Jovene, Napoli, 2022, pp.303 ss. Sulla codificazione del diritto del minore a una famiglia da parte dalla legge 28 gennaio 2001, n.149, si veda in particolare C.M. Bianca, “Il diritto del minore di crescere nella propria famiglia: un diritto ancora alla ricerca della propria identità e tutela”, in Minorigiustizia, 2008, n.2, p.27.
  5. I singoli progetti, concordati con le famiglie e i minorenni coinvolti, possono per esempio prevedere interventi di educativa domiciliare, gruppi di genitori e bambini, sostegni scolastici, famiglie d’appoggio. Per maggiori informazioni si rinvia a P. Milani, M. Ius, S. Serbati, O. Zanon, D. Di Masi, M. Tuggia, Il Quaderno di P.I.P.P.I.. Teorie, Metodi e strumenti per l’implementazione del programma, BeccoGiallo, Padova, 2015 e P. Milani, “Il Programma P.I.P.P.I.: un’innovazione scientifica e sociale come risposta alla vulnerabilità delle famiglie”, in Rivista Italiana di Educazione Familiare, n. 2 – 2017, pp. 9-24.
  6. Il documento si accompagna ad altre importanti linee di indirizzo approvate dalla Conferenza Stato-Regioni in questa materia: le Linee di indirizzo per l’affidamento familiare (2012) e le Linee di indirizzo per l’accoglienza nei servizi residenziali per i minorenni (2017).
  7. L’espressione è di A. Confente, “Allontanamento Zero. Protezione Zero”, in https://www.questionegiustizia.it/, 5 febbraio 2020.
  8. La consequenzialità logica tra un maggior ricorso in Piemonte all’allontanamento rispetto alla media nazionale e la necessità di intervenire per prevenire gli allontanamenti costituisce il leitmotif della riforma: cfr. da ultimo Regione Piemonte, Approvata “Allontanamento zero”, 25 ottobre 2022, www.regione.piemonte.it/web/pinforma/notizie/approvata-allontanamento-zero. Un’interpretazione alternativa potrebbe essere che in Piemonte le autorità riescono meglio che altrove a intercettare situazioni di grave difficoltà dei minorenni in famiglia. In questo senso si esprime per esempio B. Rosina, Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Assistenti Sociali, cit. in S. De Carli, “In Piemonte il sistema di protezione funziona: ma il merito diventa demerito”, 28 ottobre 2022, www.vita.it.
  9. Durante l’esposizione in aula del disegno di legge, l’Assessora alle Politiche Sociali C. Caucino ha affermato che, secondo i dati emersi dall’ inchiesta parlamentare sulle attività connesse alle comunità di tipo familiare che accolgono minori, “l’80,9% delle cause può essere rimosso con interventi mirati sulla famiglia, mentre il 18,7% ha motivazioni oggettivamente valide perché reali e degne di approfondimento” (Consiglio regionale del Piemonte, Contingentamento per Allontanamento zero, 18 ottobre 2022 www.cr.piemonte.it/web/comunicati-stampa/comunicati-stampa-2022/537-ottobre-2022/11004-contingentamento-per-allontanamento-zero). La lettura non convince in quanto nella raccolta dei dati viene registrato il motivo prevalente dell’allontanamento, mentre nella realtà si tratta, per la maggioranza, di situazioni multiproblematiche, così che – per esempio – la “povertà educativa” si associa a un “disturbo psicologico grave” o a una “dipendenza del genitore”. Una recente indagine condotta sulla situazione di 408 minori accolti nelle famiglie comunità piemontesi tra il 1995 e il 2019 ha utilizzato categorie più precise e analitiche di quelle delle indagini nazionali evidenziando come in tutti i casi fossero presenti almeno tre fattori di rischio e che dunque una categoria come la “trascuranza grave” è spesso associata a “disturbi psicologici, dipendenze o insufficienza mentale del genitore” quando causa di allontanamento: cfr. P. Ricchiardi, “Il disegno di legge piemontese “Allontanamento zero”: non supportato da evidenze di ricerca”, in Minorigiustizia, 2020, n.1, p.105. Critici sui dati portati dalla Giunta regionale a sostegno del disegno di legge anche E. Tomaselli, “Allontanamento Zero: uno slogan, non un obiettivo reale” e A. Confente, “Allontanamento Zero. Protezione Zero”, entrambi in www.questionegiustizia.it/, 5 febbraio 2020.
  10. Nelle parole dell’Assessora Caucino, il provvedimento sarebbe “necessario soprattutto oggi, dove tante famiglie scivolano verso la soglia di povertà inimmaginabile fino a un anno fa (…) perché si scongiuri che una famiglia con disagi economici possa vedere allontanato il minore” (A. Parisotto, Caucino difende Allontanamento Zero: “I bimbi ci chiedono di stare con le famiglie, noi le aiutiamo”. Intervista video, Torino Oggi, 3 ottobre 2022). Nell’ordinamento giuridico nazionale tuttavia già esistono norme che escludono che un minore possa essere allontanato dai genitori perché indigenti (art. 1 c. 2 legge n.184/1983) e prevedono che il giudice segnali ai comuni le situazioni di indigenza di nuclei familiari che richiedono interventi di sostegno per consentire al minore di essere educato nell’ambito della propria famiglia (ivi, art. 79-bis).
  11. Non mi pare un caso che nel dibattito politico che ha accompagnato la legge sia emerso più volte il riferimento al “diritto naturale”: si vedano, per esempio, le dichiarazioni dell’Assessora Caucino che il giorno di approvazione della legge salutava un “preciso dettato legislativo di supporto alle famiglie di origine, rispettando il diritto naturale dei minori di poter vivere nel nucleo originario”. Fonte: www.regione.piemonte.it/web/pinforma/notizie/approvata-allontanamento-zero. Mi chiedo allora se sia un mero refuso o non invece una scelta consapevole voler continuare a parlare di “potestà” genitoriale (cfr. art. 5 c. 1 legge n.17/2022), senza considerare la riforma linguistica operata dal decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154, che, com’è noto, ha sostituito la locuzione “potestà genitoriale” con quella di “responsabilità genitoriale”. Nel senso di un approccio ancorato anzitutto ai diritti degli adulti sembra poi deporre la scelta del sottotitolo della legge che parla di “Interventi a sostegno della genitorialità e norme per la prevenzione degli allontanamenti dal nucleo familiare di origine”, senza mai menzionare bambini e ragazzi.
  12. Cfr. in particolare per la Regione Piemonte la legge regionale 8 gennaio 2004, n. 1 “Norme per la realizzazione del sistema regionale integrato di interventi e servizi sociali e riordino della legislazione di riferimento”. Di diritto regionale della famiglia ha, del resto, iniziato a discutere anche la dottrina: cfr. A.M. Benedetti, Il diritto privato delle Regioni, Il Mulino, Bologna, 2009, in partic. 162 ss. e Id., “Quali spazi per un diritto regionale della famiglia?”, in www.giurcost.org, 15 febbraio 2011; S. Marchetti, “Verso un diritto regionale della famiglia?”, in Familia, 2005, 985 e, in termini molto critici, E. Colombo, “Il riconoscimento degli statuti regionali di Toscana, Emilia e Umbria in materia di coppie di fatto: significati e prospettive”, in Iustitia, 2005, 193.
  13. Si tratta di un diritto che è oggi codificato nel titolo stesso della legge fondamentale in materia: la già citata legge n.184 del 1983. Per un inquadramento generale del ruolo dei servizi sociali a sostegno delle persone di età minore in condizioni di disagio si vedano tra gli studiosi di diritto di famiglia L. Lenti, Diritto di famiglia, cit., pp. 31 s. e F. Ruscello, Diritto di famiglia, Pacini Giuridica, Pisa, 2020, pp. 343 ss. e nella letteratura di servizio sociale M. Dellavalle, “Il sistema dei servizi sociali per i minorenni”, nel Trattato di diritto di famiglia diretto da Paolo Zatti, Giuffrè, Milano, 2002, pp. 111 e ss..
  14. Così le già menzionate Linee di indirizzo nazionali per l’intervento con bambini e famiglie in situazione di vulnerabilità, 2017. A livello internazionale, sono frequenti i riferimenti alla necessità di promuovere, nell’interesse dei minorenni e onde colmare lo svantaggio sociale, una genitorialità “positiva”: si veda per tutti la Recommendation Rec (2006)19 of the Committee of Ministers to member states on policy to support positive parenting.
  15. Linee di indirizzo nazionali per l’intervento con bambini e famiglie in situazione di vulnerabilità, cit., p.4.
  16. Ivi, pp.69 ss..
  17. Cfr. anche le Linee di indirizzo per l’affidamento familiare, 2013 cit.
  18. Molti di questi emendamenti hanno migliorato il testo. Penso, per esempio, alla sostituzione nell’art. 1 della imprecisa locuzione “le figure parentali o i titolari della responsabilità parentale” con “gli esercenti la responsabilità genitoriale”. Nell’art. 2, inoltre, si è precisato che gli interventi realizzati in casi di necessità e urgenza non sono sottoposti al vincolo di preventiva realizzazione di un PEF. Nell’art.5 è stata eliminata la quantificazione degli interventi di sostegno e di aiuto di tipo economico, domiciliare, educativo a favore della famiglia di origine del minore in un “impegno economico almeno pari alla retta in presidio o al contributo all’affido eventualmente erogabile”. All’articolo 7, poi, si è prevista la multidisciplinarietà e quindi la valenza socio-sanitaria degli interventi nelle situazioni di disagio familiare. Inoltre, è stato introdotto l’articolo 11 che prevede la redazione di un Piano triennale regionale degli interventi per l’infanzia e l’adolescenza onde definire, nel contesto della programmazione regionale complessiva, gli obiettivi da perseguire, le azioni necessarie, le priorità ed i criteri per la loro realizzazione, nonché i tempi, le modalità di monitoraggio e verifica rispetto agli interventi realizzati, nonché i percorsi di formazione continua a supporto.
  19. L’inapplicabilità del PEF ai casi di urgenza e di prescrizioni dell’autorità giudiziaria è espressamente sancita nell’art.3 c. 2 legge regionale n.64/2022.
  20. Così anche B. Rosina, Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Assistenti Sociali, in S. De Carli, “In Piemonte il sistema di protezione funziona: ma il merito diventa demerito”, cit.. Sottolinea come dal punto di vista degli effetti sul minore” la negligenza genitoriale può comunque pregiudicare in modo grave il minore E. Tomaselli, “Allontanamento Zero: uno slogan, non un obiettivo reale”, cit..
  21. Sei mesi “pesano” in modo diverso nella vita di un neonato, di un preadolescente e di un ragazzo alle soglie della maggiore età. L’attenzione all’interesse del singolo minore e la necessità di evitare soluzioni generali standardizzate costituiscono il leitmotiv del diritto minorile. Rileva il rischio di proceduralizzazione burocratica di adempimenti e, soprattutto, l’impossibilità di predeterminare tempi minimi così lunghi L. Tosco, “Allontanamento zero è legge”, in www.welforum.it.
  22. Nelle parole di A. Confente (“Allontanamento Zero. Protezione Zero”, cit.), “Sostenere che l’inadeguatezza genitoriale possa essere risolta in sei mesi grazie ad un progetto educativo famigliare (Pef) significa ignorare i tempi di recupero di un tossicodipendente, di certe patologie psichiatriche, di un alcolista, di un maltrattante”.
  23. Al 31 dicembre 2019, il 60,7% degli affidamenti dura oltre due anni e, tra questi, il 21,6% dura da due a quattro anni mentre ben il 39,1% si protrae oltre i quattro anni: Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Bambini e adolescenti accolti in affidamento familiare, Quaderni della ricerca sociale, n.49, 2022.
  24. Il focus sulle difficoltà materiali delle famiglie emerge anche da altre disposizioni: cfr. per esempio commi 5, 6 e 7 dell’art. 6.
  25. Il necessario coinvolgimento della famiglia allargata è ribadito dalla legge in modo martellante: si vedano, oltre all’articolo 9, gli art. 1 c. 1, art. 3 lett. b, art. 4 c. 2 lett. d, art. 6 c. 2, art. 10 c. 1.
  26. M. Giordano, “L’affidamento a parenti in Italia”, in M. Mattalia e M. Giordano (a cura di), L’affidamento familiare e parenti. Opportunità e criticità, FrancoAngeli, Milano, 2021, pp.24 ss..
  27. Così, per esempio, Cass. civ., sentenza 11 agosto 2009, n.18219.
  28. Le ultime statistiche disponibili indicano che a livello nazionale il 43.3% degli affidamenti avvengono nell’ambito della famiglia allargata. Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Bambini e ragazzi in affidamento familiare e nei servizi residenziali per minorenni, Quaderni della ricerca sociale n.49, 2021, p.4.
  29. Critico nei confronti della rigidità della previsione del coinvolgimento dei familiari è anche E. Tomaselli, “Allontanamento Zero: uno slogan, non un obiettivo reale”, cit..
  30. In questo senso, seppure implicitamente, sembrerebbe anche E. Tomaselli (“Allontanamento Zero: uno slogan, non un obiettivo reale”, cit.), secondo cui l’art. 2 sul PEF “diverge significativamente dalle previsioni della legge nazionale e impone uno stop ad un intervento che potrebbe essere, in concreto, necessario e urgente” e l’art. 9 sull’affidamento familiare affronta in “una sede impropria quale quella di una singola regione (…) questioni di carattere generale e di livello nazionale”.
  31. Va tuttavia rilevato che la legge regionale 17/2022 è stata esaminata dal Consiglio dei ministri in data 9 dicembre 2022 e che non è stata impugnata per il giudizio di legittimità costituzionale.
  32. Così l’art. 15 legge n.17 del 2022.
  33. Non a caso l’art. 15 è frutto di una completa riscrittura proposta dalla relazione tecnico-finanziaria al testo originario del disegno di legge.
  34. Come già per l’art. 2 relativo al PEF, anche per l’art. 9 la relazione tecnica conclusiva afferma l’”assenza di oneri”.
  35. Onerosa sarà infatti, per gli enti gestori, la raccolta stessa dei dati e la trasmissione trimestrale delle copie anonimizzate dei decreti di allontanamento e delle relative relazioni (così l’art. 12 c. 5).
  36. Cfr., per esempio, V. Lojacono (“Note critiche in tema di adozione legittimante”, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1965, 712) secondo cui “la rilevanza costituzionale della procreazione e dell’ortogenesi psico-somatica, quale legame naturale, e quindi sottratto a un intervento non meramente dichiarativo dello Stato, tra genitori e figli, rende i diritti che da tale legame scaturiscono non solo inviolabili ma anche indisponibili: la qual cosa rende giuridicamente irrilevante un eventuale interesse dei figli o dei genitori alla cancellazione formale del vincolo che li lega”.
  37. Sulle resistenze incontrate dai giudici si veda R. Di Bella e M. Zapelli, Liberi di scegliere. La battaglia di un giudice minorile per liberare i ragazzi della ‘ndrangheta, Rizzoli, Milano, 2019.
  38. Come si ricorderà, il caso scoppiò il 27 giugno 2019 con gli arresti domiciliari di 18 persone per un presunto traffico di minori nel Comune di Bibbiano. L’accusa era che una rete di professionisti allontanasse sistematicamente i bambini dalle famiglie invocando abusi sessuali intrafamiliari (“ricordati” dai bambini a seguito di pressioni e suggestioni da parte degli operatori) onde affidarli ad amici e conoscenti.
  39. Ne è un esempio l’istituzione di un tribunale unico che in primo grado giudicherà (anche) della patologia delle relazioni familiari in composizione monocratica ed esclusivamente togata: chi si occupa della materia sa, tuttavia, quando la sua complessità renda non solo opportuna ma necessario il confronto interno al collegio e anche l’apporto multidisciplinare fino a oggi garantito nei Tribunali per i minorenni dai giudici onorari.
  40. Il riferimento è al disegno di legge d’iniziativa del senatore Romeo, comunicato alla Presidenza il 13 ottobre 2022 e recante “Disposizioni per la tutela della famiglia e della vita nascente, per la conciliazione tra lavoro e famiglia e delega al Governo per la disciplina del fattore famiglia”.
  41. Per l’Emilia Romagna si veda la proposta di legge “Allontanamento zero: Interventi a sostegno della genitorialità e norme per la prevenzione degli allontanamenti” presentata dal Consigliere Facci il 19 dicembre 2019 e per il Lazio la proposta di iniziativa dei Consiglieri De Vito, Ghero, Aurigemma su “Interventi a sostegno della genitorialità e azioni per la prevenzione degli allontanamenti” presentata il 31 ottobre 2022.
  42. Per una panoramica cfr. D. Noviello, “La mediazione familiare indotta dal giudice”, in C. Cecchella (a cura di), La riforma del processo e del giudice per le persone, per i minorenni e per le famiglie. Il decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 149, Giappichelli, Torino, 2023, pp.77 ss..
  43. Per uno sguardo d’insieme sulle modifiche di cui alla legge n.206 del 2021 e del decreto legislativo n.149 del 2022 si veda R. Lombardi, La negoziazione assistita, in C. Cecchella (a cura di), La riforma del processo e del giudice per le persone, per i minorenni e per le famiglie. Il decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 149, cit., pp.323 ss..
  44. Sulle differenze tra i due istituti cfr. B. M. Lanza, “Il curatore speciale, il tutore e il curatore del minore”, in C. Cecchella (a cura di), La riforma del processo e del giudice per le persone, per i minorenni e per le famiglie. Il decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 149, cit., pp.77 ss..
  45. Per un approfondimento cfr. B. Poliseno, “Il curatore speciale, il tutore e il curatore del minore”, in C. Cecchella (a cura di), La riforma del processo e del giudice per le persone, per i minorenni e per le famiglie. Il decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 149, cit., pp.57 ss..
  46. Per una prima panoramica M. Labriola, “La delega al Notaio ai sensi dell’art. 21 D.Lgs. 10 ottobre 2022 n. 149 relativa agli affari di volontaria giurisdizione”, in www.osservatoriofamiglia.it, 1 marzo 2023.
  47. In quest’ottica, com’è noto, l’art. 48 Conv. Istanbul pone in caso di violenza un esplicito divieto di ricorso a strumenti di soluzione alternativa delle controversie come la mediazione e la conciliazione.
  48. Mi limito a un esempio: le previsioni, contenute nell’art. 473bis.27 cod. proc. civ., secondo cui all’interno delle relazioni sociali le valutazioni formulate dai professionisti dei servizi sociali e sanitari sarebbero meramente “eventuali” (quando, al contrario, esse costituiscono uno strumento conoscitivo essenziale per il giudice, che è un tecnico del diritto e potrebbe non avere le competenze per trarre da taluni fatti talune valutazioni) e la richiesta di fondare tali valutazioni su dati “oggettivi e su metodologie e protocolli riconosciuti dalla comunità scientifica, da indicare nella relazione” appaiono lesive dell’autonomia tecnico-professionale dell’assistente sociale garantita dall’art.1 della legge 23 marzo 1993, n.84 (“ordinamento della professione di assistente sociale e istituzione dell’albo professionale”). Sulla necessaria cooperazione tra servizi sociali e giudiziari e sul fatto che tale cooperazione presupponga il riconoscimento a tutti i soggetti coinvolti di uguale dignità morale e giuridica, nel rispetto reciproco delle differenti competenze e funzioni dei soggetti che interagiscono con genitori e minori, evitando derive che tendano ad assimilare confusivamente ruoli specifici, cfr. M. Dellavalle e J. Long, “La cooperazione fra servizio sociale e giudice in un processo giusto”, in Minorigiustizia, 2009, n.2, in particolare pp.178-179.
  49. Cfr. art. 2 c. 1.1 e 2bis legge n.184/1983 e art. 38 ter disp. att. cod. civ..
  50. Il rischio che “Allontanamento zero” alimenti sfiducia e diffidenza sull’operato dei Servizi sociali è rilevato anche da A. Confente, “Allontanamento Zero. Protezione Zero”, cit..