C’è veramente bisogno di ridefinire i “territori” regionali?
Annamaria Poggi1
L’adeguatezza della delimitazione territoriale delle Regioni è una sorta di fiume carsico che torna, scompare e ritorna nel dibattito, e che pare non trovare una soluzione, nonostante le molte proposte avanzate nel tempo.
Si tratta di un tema che in Assemblea Costituente non trovò soluzione univoca, bensì una risposta mediana tra chi proponeva il metodo unilaterale statale fondato su dati demografici e sociali (Mortati) e chi proponeva, invece, soluzioni dal “basso” per aggregazioni di enti locali. Fu così che, da un lato, si decise di inserire in Costituzione all’art. 131 l’elenco delle Regioni ma, dall’altro lato, si aprì la strada possibile delle variazioni territoriali attraverso il procedimento di cui all’art. 132. Come noto la XI norma transitoria (che consentiva variazioni territoriali in deroga alll’art. 132) inizialmente in vigore per cinque anni, fu poi prorogata sino al 1963, anno di istituzione della Regione Molise.
Queste poche note introduttive consentono di comprendere a fondo la delicatezza del tema e perciò la necessità di affrontarlo in modo “laico” e non ideologico, non aprendo cioè la strada, senza uscita, della comparazione dell’adeguatezza dei vari enti territoriali (Stato, Regioni, Comuni, Province …).
Il tema dell’adeguatezza territoriale delle Regioni, infatti, è stato sempre affrontato attraverso l’adozione del criterio storico, quale esito di un ragionamento giuridico, più che il prodotto di una aggregazione culturale, sociale ed economica. Basti rammentare come, dopo la prima stagione costituente dello Stato italiano unitario – in cui prevalse la linea di continuità con il Regno di Sardegna e fu completamente sconfitto il progetto di regionalizzazione di Minghetti e Farini, – nella stagione costituente repubblicana esse furono identificate in maniera “artificiale”, recuperando la suddivisione a fini statistici del territorio nazionale operata dal Maestri nel 1864.
Le proposte successive (dalle macro-regioni di Giuseppe Ferrari alle proposte della Fondazione Agnelli o a quelle di Gianfranco Miglio ed ancora all’unificazione coattiva proposta da Trentin) non hanno mai trovato una sponda istituzionale.
1 Professoressa Ordinaria di Istituzioni di Diritto Pubblico presso l’Università degli Studi di Torino.
Ciò consente una prima considerazione: l’assetto determinatosi, seppure insoddisfacente, costituisce un dato di fatto, difficilmente modificabile. Ovvero un dato di fatto la cui modificazione richiede tempo e passaggi progressivi. Passaggi che il Titolo V, nella versione revisionata nel 2001, potrebbe favorire.
Infatti, la modifica dell’art. 117 del 2001 attraverso l’introduzione dell’ottavo comma (La legge regionale ratifica le intese della regione con altre regioni per il migliore esercizio delle propri funzioni, anche con individuazione di organi comuni”) consente oggi di ragionare di macroaggregazioni non solo più in termini “territoriali”, che passano attraverso la normativa di cui all’art. 132 Cost., bensì anche quale risultato di un processo di aggregazioni “funzionali” di collaborazione concreta, assai più snello (nella procedura delineata dallo stesso articolo 117) del processo delineato dall’art. 132 per le variazioni territoriali.
Inoltre mentre l’art. 132 consente di ragionare unicamente in termini di variazioni territoriali, l’ottavo comma dell’art. 117 consente una gamma assai più articolata di possibilità:
– l’adozione di discipline normative regolamentari comuni nonché l’esercizio coordinato di funzioni amministrative;
– il coordinamento tra le Regioni con una divisione di compiti per questioni di interesse comune;
– l’assunzione di dimensioni ottimali per l’esercizio di alcune funzioni.
Con la revisione costituzionale del 2001, dunque, si supera l’idea che sia legge statale a prevedere forme di raccordo interregionale, perché, invece, è direttamente la Costituzione la fonte degli accordi tra Regioni.
Per inciso va detto che già dalla Commissione bicamerale Bozzi si è ragionato su tale strada e non su quella della modifica degli artt. 131 e 132: evidentemente le ragioni storiche continuano ad essere una varabile dipendente e in ogni caso con l’accrescersi dell’autonomia regionale l’idea di una collaborazione istituzionale e politica viene percepita sempre di più dal “basso”.
Ciò sta a significare che l’ipotesi eventuale di costituzione di macro-regioni non può prescindere da questo metodo: favorire prima aggregazioni funzionali che col tempo potrebbero condurre a vere e proprie variazioni territoriali.
Comunque, dal 2001 entriamo in uno scenario completamente nuovo e poco esplorato rispetto al quale è evidente che sono le Regioni coloro che possono dar vita ad accordi politici che poi si trasformino in atti giuridici. L’effetto che la nuova previsione costituzionale pare produrre è quelle di facilitare la formazione di un diritto interregionale come prodotto dalla libera determinazione delle regioni, come disciplina specifica di una sfera di interessi interregionali, esuberanti rispetto al limite della dimensione territoriale della regione ma non per questo riconducibili alla sfera statale.
In quest’ottica, sarebbe, perciò, interessante analizzare approfonditamente la legge francese n. 58 del 2014 che prevede l’esercizio concertato delle competenze e risorse tra collettività territoriali, e secondo cui in ogni Regioni deve essere istituita la conferenza territoriale dell’azione pubblica, con a capo il Presidente del Consiglio regionale e con lo scopo di assicurare una gestione condivisa ed una maggiore razionalizzazione delle competenze tra collettività.
Inoltre, l’adeguatezza territoriale delle Regioni al momento attuale e dopo l’approvazione della legge Delrio ha bisogno di essere rivista alla luce dell’istituzione delle “aree metropolitane”.
Queste, infatti, sono destinate ad incidere molto profondamente sull’attuale assetto regionale. Non su quello provinciale (perché dove sono istituite si sostituiscono ad esse), né su quello comunale che rimane tale, ma che va ad aggregarsi per le prescrizioni della stessa legge Delrio.
Il livello territoriale regionale, invece, sarà fortemente inciso dall’area metropolitana che sostanzialmente, laddove è costituita, divide il territorio regionale in due: l’area metropolitana e il resto della Regione. Considerando che le aree metropolitane individuate dal Parlamento con riguardo ad aree interne alle Regioni ordinarie sono 10 (su 15 Regioni ordinarie) mentre le Regioni speciali, tranne Valle d’Aosta e Trentino, ne hanno a loro volta individuate, ciò equivale a dire che l’istituzione dell’area metropolitana interessa tutto il territorio dello Stato ed è destinata ad avere ripercussioni su tutto il territorio statale.