Gli esiti occupazionali della formazione professionale in Piemonte. Evidenze dall’indagine di placement 2013

Igor Benati1

  

Cosa accade ai formati dopo un corso di formazione? In che misura la formazione professionale ha un’effettiva valenza occupazionale? Quali formati trovano più facilmente lavoro? Questi sono alcuni dei quesiti tipici ai quali un policymaker informato deve dar risposta per valutare le attuali politiche formative e riprogrammare quelle future. Gli esercizi di valutazione che tentano di soddisfare queste domande nel nostro Paese crescono, di anno in anno, in numero ed affidabilità. La Regione Piemonte, in particolare, registra una singolare produzione di lavori in questo settore. In questa direzione, il presente articolo propone i risultati di un percorso di ricerca ormai triennale sugli esiti occupazionali della formazione professionale, condotto dall’IRCrES – CNR in qualità di valutatore indipendente del Programma Operativo Regionale 2007-2013 del Fondo Sociale Europeo. L’articolo propone una sintetica presentazione dell’oggetto e del metodo dell’indagine, delle principali evidenze emerse nell’ultima annualità, quella effettuata nel 2013 su qualificati e specializzati dell’anno 2011 ed una sintesi delle indicazioni utili alla riprogrammazione degli interventi formativi .

 

1. L’analisi di placement: le domande valutative, l’oggetto ed il metodo d’indagine.

L’analisi di placement della Formazione Professionale (FP) a valere sul Programma Operativo 2007-2013 del Fondo Sociale Europeo (FSE) della regione Piemonte, ormai giunta alla sua terza annualità, ha come proprio obiettivo principale quello di fornire informazioni sui risultati e sugli effetti degli interventi formativi finanziati nella programmazione regionale, consentendo la formulazione di giudizi valutativi sull’efficacia degli stessi. Concretamente essa si configura come un’indagine relativa agli esiti occupazionali delle attività formative, finalizzata a verificare, ad una certa distanza dalla conclusione dell’intervento, la condizione occupazionale dei destinatari, nonché le caratteristiche dell’eventuale inserimento lavorativo, correlando tali informazioni alle loro condizioni socio-economiche e ai loro comportamenti.

Le attività di valutazione sono sempre orientate da specifici quesiti che hanno il compito di guidare il percorso di ricerca e la scelta delle opportune opzioni di contenuto e metodologiche. Tali quesiti vengono articolati a partire dai bisogni conoscitivi esplicitati dai soggetti interessati alle politiche (programmatori regionali, parti sociali, beneficiari). Nel caso dell’indagine di placement sulla formazione professionale finanziata dal POR FSE della Regione Piemonte, il confronto con lo Steering group della valutazione ha fatto emergere due principali fabbisogni conoscitivi: la misurazione dei risultati dei corsi di formazione e la valutazione della loro efficacia. Il primo bisogno conoscitivo, relativo alla misurazione dei risultati delle politiche formative, è stato articolato in una serie di quesiti specifici.

a) “Quanti formati trovano lavoro alla conclusione del percorso formativo?”

b) “Che tipo di lavoro trovano i formati?”

Il secondo bisogno conoscitivo, relativo all’efficacia, è stato invece tradotto nei seguenti quesiti specifici.

c) “Quante persone hanno effettivamente trovato lavoro grazie alla formazione?”

d) “Quali tipi di azioni formative hanno dato i risultati migliori?”

e) “Quali target (categorie di soggetti, aree territoriali) hanno mostrato di beneficiare maggiormente degli interventi formativi?”

Per dar risposta a tali quesiti, l’edizione 2013 del Rapporto Annuale sul Placement (RAP) ha provveduto ad indagare, tramite indagine campionaria, la condizione lavorativa degli utenti partecipanti ad alcune iniziative formative finanziate dal POR FSE nell’anno 2011/2012. L’indagine non ha riguardato l’intera offerta formativa regionale ma si è limitata a specifiche categorie di corsi. Le iniziative formative oggetto d’indagine sono state scelte nelle direttive regionali “Attività formative sperimentali – Obbligo di Istruzione” (OI), orientata ai giovani soggetti all’obbligo formativo, e “Disoccupati – Mercato del Lavoro” (MdL), orientata alla formazione di lavoratori, prevalentemente disoccupati. In dettaglio, le sei iniziative formative incluse nell’analisi sono state (in parentesi gli acronimi usati nel rapporto di placement):

– Dir. OI, azione IV.H.11.99 (OI3): percorsi triennali di qualifica finalizzati all’assolvimento dell’obbligo di istruzione e dell’obbligo formativo; 2

– Dir. OI, azione IV.H.11.01 (OIB): percorsi annuali e biennali di qualifica con crediti in ingresso; 3

– Dir. MdL, azione II.E.12.01 (SPE): percorsi post-qualifica, post-diploma e post-laurea che portano a specializzazione;4

– Dir. MdL, azione IV.I.12.02 (SPE): corsi formativi mirati ad una specializzazione, corsi formativi brevi di aggiornamento delle competenze trasversali e/o professionali;5

– Dir. MdL, azione III.G.06.04 (SIS): percorsi di qualifica per immigrati stranieri disoccupati;6

– Dir. MdL, azione IV.I.12.01 (ABS): percorsi di qualifica di base rivolti ad adulti con bassa scolarità.7

Nelle successive elaborazioni del rapporto sul placement le sei azioni formative sono state raggruppate in tre insiemi omogeni: formazione per l’obbligo di istruzione (OI3+OIB), formazione specialistica (SPE+SPE) e formazione di base (SIS+BAS): Gli acronimi utilizzati per indicare le tre macrocategorie sono stati rispettivamente:OI, SPE e BAS.

L’indagine campionaria ha analizzato l’esito occupazionale dei formati andando a verificare, ad una certa distanza dalla partecipazione ai corsi di formazione, la condizione dei formati sul MdL e contestualmente, ponendo attenzione anche alle motivazioni della scelta formativa, alle abilità tecniche e conoscitive acquisite ed alle caratteristiche dell’occupazione (forma contrattuale, retribuzione). I destinatari degli interventi formativi sono stati intervistati dopo un intervallo di tempo dalla conclusione dell’intervento compreso fra i 12 e i 24 mesi, in modo da poterne apprezzare gli effetti di durata nel medio periodo e non solo i benefici immediati.

Da un punto di vista metodologico l’indagine è stata realizzata attraverso interviste telefoniche di 1999 soggetti, articolati tra campione principale (1680) e gruppo di controllo (319). L’indagine è stata focalizzata sui destinatari degli interventi di formazione che risultavano non occupati8 al momento dell’avvio dell’attività formativa. A tal fine sono stati presi in considerazione coloro che avevano conseguito una qualifica o un attestato di specializzazione fra il primo gennaio e il 31 dicembre dell’anno oggetto di indagine, il 20129. I soggetti selezionati sono stati intervistati tramite un questionario composto da 38 domande, somministrato attraverso CATI (Computer Assisted Telephonic Interview), costruito sulla base del “Questionario per la rilevazione degli esiti occupazionali degli interventi rivolti ai destinatari diretti delle azioni cofinanziate dal FSE”, predisposto dal Gruppo di lavoro sul Placement ISFOL. Il campione analizzato è stato scelto attraverso un campionamento stratificato e riprorzionato. Le variabili di stratificazione utilizzate sono state la tipologia di azione (OI, BAS, SPE) e lo status di cittadinanza (italiano/straniero), quelle di riproporzionamento la nazionalità (italiana, marocchina, rumena ecc…), la fascia d’età (25-, 26-35, 36+) e il genere.

 

Tabella 1: campione dei formati per tipo di azione e per nazionalità, valori assoluti e percentuali rispetto all’universo, errori campionari.

 

  Tipi azione    
  OI BAS SPE Tot.nazionalità Errore nazionalità
Straniero (nazionalità) V.A. % univ. V.A. % univ. V.A. % univ. V.A. % univ.
No 556 18,0 211 17,9 411 18,5 1178 18,1 2,6
179 31,0 265 30,4 58 24,1 502 29,7 3,7
Tot. azione 735 20,0 476 23,2 469 19,1 1680 20,5 2,2
Errore azione 3,3 4,0 4,1 2,2  

 

Per quanto riguarda le modalità di analisi, l’indagine di placement 2013 ha previsto al proprio interno una specifica valutazione d’impatto delle misure della formazione professionale. La valutazione di impatto della formazione professionale si è posta l’obiettivo principale di stimare se e in che misura gli strumenti di natura formativa siano stati in grado di aumentare il livello di occupazione o di ridurre il tasso di disoccupazione nel gruppo dei formati, anche attraverso un reinserimento nel percorso dell’istruzione. In sintesi, alla valutazione è richiesto di misurare l’effetto del trattamento sui formati. Nella valutazione degli impatti vi è una netta distinzione contenutistica e metodologica tra impatto lordo ed impatto netto. L’impatto lordo valuta il risultato delle politiche semplicemente misurando la differenza in un valore assoluto (es. numero di occupati) o in un indicatore (es. tasso di occupazione) prima e dopo il trattamento. Questo senza distinguere metodologicamente tra il ruolo delle politiche e quello di altre variabili di contesto. Nel RAP, dunque, la misurazione degli effetti occupazionali coincide con la valutazione di impatto lordo, poiché l’analisi è stata concentrata sui soggetti disoccupati o inoccupati all’atto dell’iscrizione al corso formativo. L’impatto netto ha come obiettivo quello di valutare come l’intervento abbia contribuito a modificare la situazione preesistente, al netto dei risultati che si sarebbero ottenuti ugualmente. Il metodo dell’effetto netto si basa sul confronto con gruppi di controllo, che forniscono un benchmark e una modalità per distinguere l’impatto delle politiche da quello di altre variabili esterne. L’obiettivo è misurare l’effetto addizionale delle politiche, che senza di esse non si sarebbe concretizzato. L’importanza cruciale dell’impatto netto sta nella possibilità di evitare effetti di dead-weight (perdita secca di risorse per aver sussidiato obiettivi che si sarebbero raggiunti comunque), cioè evitare che le risorse pubbliche siano indirizzate inutilmente verso obiettivi che si sarebbero potuti conseguire anche senza l’intervento di politiche formative (Sestito, 2002; Martini e Sisti, 2009).Spesso nella valutazione ci si limita all’impatto lordo per la mancanza di dati adeguati e per la difficoltà di costruire un impianto teorico di supporto all’analisi sufficientemente solido. In ogni caso, la difficoltà di controllare tutte le variabili in gioco suggerisce molta cautela nella considerazione dei risultati dell’impatto netto, come si vedrà di seguito. In particolare, i problemi si concentrano soprattutto nella disponibilità di dati adeguati, dal momento che per analizzare l’impatto netto occorrono due gruppi di soggetti: il gruppo dei trattati (gruppo fattuale) e il gruppo dei non trattati (o gruppo contro-fattuale). Il RAP prevede la duplice valutazione dell’impatto lordo e dell’impatto netto per le iniziative formative analizzate. Per i corrispondenti richiami teorici si rimanda a Ragazzi, Nosvelli e Sella (2012).

 

 

2. Le principali evidenze emerse nell’analisi di placement.

L’indagine di placement ha consentito di raccogliere una pluralità di dati relativamente alle condizioni socio-economiche e agli esiti occupazionali dei formati. Questi, tramite l’utilizzo di opportune tecniche statistiche ed econometriche, sono stati elaborati al fine di produrre una serie di evidenze che forniscono un consistente patrimonio informativo, utilizzabile per aumentare le capacità del policymaker regionale di giudicare gli interventi effettuati, ponendo le basi per la loro riprogrammazione. Alcune delle evidenze emerse derivano da una semplice descrizione dei fenomeni osservati, altre chiamano in causa ragionamenti più articolati che implicano anche comparazioni e confronti. Di seguito, le principali evidenze emerse nel corso dell’attività di ricerca svolta vengono proposte come risposte ai quesiti valutativi sopra individuati.

a) Quanti formati trovano lavoro alla conclusione del percorso formativo?

A ottobre 2013, a distanza di quasi un anno in media dalla conclusione dei percorsi di formazione, quasi il 37% dei lavoratori del campione è risultato essere occupato. La “prestazione” migliore, in termini di collocazione, è stata quella offerta dalla formazione di base, che ha collocato quasi il 50% dei suoi formati. Risulta, per converso, essere disoccupato complessivamente quasi il 56% del campione analizzato. In realtà il dato, che può apparire consistente, è mitigato dal dato sulle transizioni al lavoro (soggetti che nell’arco dell’anno hanno dichiarato di aver lavorato per almeno un mese), che evidenzia come un 60% di formati abbia compiuto nel corso del primo anno una prima esperienza lavorativa consistente. Il fenomeno del rientro in istruzione riguarda complessivamente poco più del 5% del campione. In particolare, come attendibile, il fenomeno è significativo tra i formati dell’OI (9,5%), per i quali il rientro in istruzione è comunque considerabile come un fattore di successo. Il dato degli inattivi è piuttosto contenuto (meno dell’1%) e ciò in qualche modo segnala una capacità della FP di “attivare” i soggetti che vi partecipano. Chi compie un investimento formativo, cerca di capitalizzarlo per un periodo piuttosto lungo, rimanendo attivo nel mercato del lavoro.

 

Tabella 2: condizione professionale degli intervistati ad ottobre 2013.

 

Condizione professionale ottobre 2013.

  OI BAS SPE Tot.
Occupato (compresa CIG) 26,7% 49,6% 39,0% 36,6%
In cerca di occupazione 60,7% 48,7% 55,4% 55,8%
Studente 9,5% 0,4% 3,4% 5,2%
Tirocinante/stagista 2,9% 0,6% 1,7% 1,9%
Inattivo 0,3% 0,6% 0,4% 0,4%
Totale 100,0% 100,0% 100,0% 100,0%


b) Che tipo di lavoro trovano i formati?

I formati si dirigono perlopiù verso il bacino del lavoro alle dipendenze (a tempo determinato o indeterminato). Infatti, i formati che hanno trovato un impiego hanno instaurato perlopiù rapporti di lavoro alle dipendenze con contratto (70,6%). Tuttavia una quota consistente (9,1%) ha dichiarato di aver lavorato in assenza di contratto. Tale fenomeno, che probabilmente individua forme di lavoro in nero, è più frequente tra i giovani iscritti a corsi OI (13,8%). Il lavoro autonomo è invece un esito occupazionale che ha riguardato una percentuale inferiore al 5% dei formati, quasi pari al lavoro parasubordinato L’esito lavorativo alle dipendenze è più frequente tra i formati della formazione di base (84,5%), mentre il lavoro autonomo, è risultato essere più frequente nei corsi di specializzazione.

 

Tabella 3: distribuzione degli inseriti al lavoro per tipologia di rapporto di lavoro ad ottobre 2013.

 

Rapporto di lavoro.

  OI BAS SPE Tot.
Alle dipendenze retribuito con contratto 58,1% 84,5% 67,5% 70,6%
Alle dipendenze retribuito senza contratto 13,8% 7,9% 5,2% 9,1%
Autonomo 2,8% 2,5% 7,9% 4,2%
Coadiuvante di impresa familiare 4,1% 0% 2,1% 2%
Parasubordinato 5,1% 2,5% 5,8% 4,3%
Tirocinio, stage, praticantato, LSU 16,1% 2,5% 11,5% 9,7%
TOT per azione 100% 100% 100% 100%

 

c) Quante persone hanno effettivamente trovato lavoro grazie alla formazione?

L’analisi di placement ha consentito di fornire una risposta di massima a questo quesito valutativo, a partire dalle stime econometriche degli effetti marginali medi sul campione dei formati MdL. La risposta, chiaramente, non è tetragona e cambia, almeno parzialmente, in base alla specificazione del modello esplicativo di riferimento. Pertanto, è impossibile determinare il numero effettivo di persone che hanno trovato lavoro grazie alla formazione, ma si possono indicare dei ragionevoli intervalli di confidenza, da cui inferire (al livello di significatività desiderato) l’impatto complessivo sul totale dei formati. Stimando l’effetto marginale medio della formazione nel campione MdL, si calcola un impatto netto medio sull’occupabilità individuale pari al 25,7%, con un intervallo di confidenza al 95% tra il 19,3% e il 32,0%. Detto in termini più semplici, secondo tali stime, l’aver frequentato un corso di formazione aumenta del 25% circa la propria probabilità di avere un’occupazione, cioè circa 25 formati su 100 hanno trovato un lavoro che senza formazione non avrebbero trovato. Riportando il ragionamento all’universo dei formati MdL, con il 95% di probabilità, il numero di persone che hanno trovato lavoro in seguito alla formazione valutata è nel range 871-1444, su di un totale di 4514 formati.

 

Tabella 4: Effetto marginale medio della formazione sull’occupabilità.

 

Variabile.

  AME S.E.
Formazione 0,257*** 0,032

* p<0,1; ** p<0,05; *** p<0,01

 

d) Quali target hanno beneficiato maggiormente degli interventi formativi?

L’indagine di placement ha effettuato un’analisi approfondita sull’efficacia delle azioni formative per particolari target di individui, ovvero, all’interno di un fenomeno complesso e multidimensionale, si è cercato di isolare le relazioni fra le singole caratteristiche individuali e l’efficacia netta delle azioni formative. Purtroppo, l’analisi di efficacia esclude le due azioni dell’obbligo di istruzione, per le quali non è stato possibile costruire un gruppo di controllo. Le evidenze principali vengono di seguito proposte sulla base di tre target specifici: giovani, donne e stranieri.

 

I giovani.

Come è noto, i giovani sono significativamente svantaggiati sul mercato del lavoro. Lo si intuisce già osservando semplicemente i differenziali occupazionali delle varie azioni, caratterizzate da età medie molto diversificate. Le azioni OI hanno un tasso di occupazione del 26%, le azioni di specializzazione (caratterizzate da un’utenza giovane ma non minorenne) del 40%, mentre nelle azioni BAS (frequentate da un’utenza più adulta) circa la metà dei formati lavora. Paragonando invece gli esiti occupazionali per fasce di età, più di un individuo su due è occupato nella fascia 26-35, che risulta essere la più collocata, mentre gli ultra 35enni sono occupati nel 44% dei casi e gli under 26 in meno di un caso su tre, subendo gli effetti dell’alta disoccupazione giovanile. Ragionando per tipologia di azione, tutte le fasce d’età hanno esiti migliori a seguito di azioni formative BAS, a conferma della buona performance occupazionale della tipologia. I livelli di ricerca di occupazione, invece, si attestano complessivamente sul 56%, toccando punte massime tra gli ultra 35enni specializzati (66%) e fra i giovanissimi in OI (60%). Infine, il rientro in istruzione coinvolge praticamente la sola fascia dei giovani under 26 in OI (9,5%) e SPE (5%), mentre è praticamente assente in BAS. Anche l’analisi multivariata conferma che, a parità di altre condizioni, la probabilità di trovare lavoro cresce con l’età, anche se in modo meno che proporzionale.

Purtroppo, a questo proposito, la situazione piemontese sembra condividere con il quadro generale europeo anche la resistenza ai rimedi posti in essere. Per i giovani, l’efficacia marginale della formazione è infatti positiva, ma inferiore rispetto alle altre classi di età; essa è bassa soprattutto nel caso dei giovanissimi under 20, per i quali si attesta addirittura su livelli inferiori a quella degli over 45, mentre raggiunge il suo massimo per le classi di età più appetibili sul mercato del lavoro, ovvero i giovani adulti fra i 30 e i 35 anni. Resta da sottolineare che lo svantaggio dei giovani non è un fattore puramente anagrafico, ma è legato indissolubilmente al mancato accumulo di esperienze lavorative pregresse.10

 

Le donne.

L’analisi di statistica descrittiva mostra che le donne hanno livelli di inserimento lavorativo comparabili a quelli dei corsisti maschi. Per le donne formate nel 2012 tale uguaglianza, almeno quantitativa, pare non risultare più dal saldo di due dinamiche differenti. L’occupabilità delle donne non formate, a parità di altre condizioni, non è significativamente diversa da quella degli uomini. In questo campione il puro effetto di genere pare scomparso, così come non si registra più una maggiore efficacia per le donne delle politiche formative. Evidentemente, la maggiore selettività in ingresso ha fatto prevalere nei corsi donne facilmente occupabili, vuoi per le loro caratteristiche personali, vuoi per la loro disponibilità ad accettare lavori con caratteristiche meno desiderabili ma molto richiesti.

 

Gli stranieri.

Da un punto di vista descrittivo, va innanzitutto osservato che, all’interno del gruppo degli stranieri, si osserva una netta distinzione fra etnie, che presentano modelli di partecipazione alla formazione e percorsi di inserimento molto differenti. Purtroppo, essendo presente nel campione solo una quota limitata di stranieri, commisurata alla loro presenza nei corsi, non è possibile fare analisi di dettaglio attendibili, se non per due etnie: i romeni e i marocchini.I romeni mostrano indicatori migliori rispetto alle altre etnie e persino rispetto agli italiani. Anche i differenziali occupazionali netti, che indicano l’impatto occupazionale al lordo degli effetti di composizione, segnalano ottime prestazioni per i romeni: il loro differenziale è +24%, contro una media per gli stranieri del +7,6% e una media per gli italiani del +3,2%. Infine, secondo l’analisi multivariata, i romeni sono gli unici per i quali l’aver partecipato a un corso di formazione costituisce un vantaggio addizionale, mentre la loro nazionalità non costituisce di per sé determinante dell’occupabilità nel nostro campione.

Al contrario, i marocchini non sembrano godere di vantaggi particolari a seguito della partecipazione ai corsi, mentre secondo i differenziali occupazionali le loro prestazioni sono negative (-9,2%) e peggiori della media degli stranieri. Naturalmente, è probabile che questo risultato dipenda dalla composizione dei formati marocchini. In generale, per gli stranieri formati nel 2012 non si registra più uno svantaggio iniziale in termini di occupabilità. L’occupabilità degli stranieri formati, a parità di altre condizioni, non è significativamente diversa da quella degli italiani. In questo campione il puro effetto di nazionalità, che era presente nelle indagini precedenti, pare scomparso, mentre solo più per i romeni si riscontra una maggiore efficacia delle politiche formative rispetto alla globalità dei formati. Evidentemente, anche nel caso degli stranieri, la maggiore selettività in ingresso ha fatto permanere nei corsi individui più facilmente occupabili. L’analisi di placement ha fatto emergere anche altre condizioni individuali di debolezza.

La letteratura di tipo qualitativo evidenzia frequentemente come i disoccupati di lunga durata siano una categoria con notevoli difficoltà di reinserimento. Questo risultato è confermato, e quantificato, dall’analisi di placement; la probabilità di trovare lavoro alla fine della formazione diminuisce man mano che cresce il periodo passato alla ricerca di lavoro prima dell’inizio del corso. La formazione, però, non riesce a recuperare questo handicap iniziale. Invece, la formazione migliora le chance di trovare lavoro dei disoccupati di breve durata. Al contrario, dall’analisi econometrica emerge che i disoccupati di lunga durata non migliorano la loro occupabilità partecipando ai corsi. Probabilmente, per i disoccupati di medio e lungo periodo la sola formazione non è sufficiente a recuperare il gap psicologico, sociale e culturale che tende ad intrappolarli al di fuori dal mercato del lavoro, relegandoli fra le file dei disoccupati non ancora scoraggiati o parcheggiandoli nel canale formativo. Piuttosto, essa deve essere integrata da interventi congiunti e strutturati di politiche attive per il lavoro, che accompagnino e sostengano il processo di inserimento con l’obiettivo di potenziare gli effetti occupazionali degli stessi interventi formativi. Infine, un altro elemento che viene confermato è che il livello di istruzione ha un impatto positivo, aumentando l’occupabilità a parità di altre condizioni. E’ quindi corretto puntare a rafforzare il capitale umano degli adulti con bassa scolarità.

 

e) Quali tipi di azioni formative hanno dato i risultati migliori?

L’analisi di placement ha evidenziato una maggiore efficacia occupazionale dei corsi miranti a qualifica di base. I differenziali occupazionali netti, infatti, sembrano confermare esiti nettamente positivi per i corsi per adulti miranti a qualifica di base, mentre le prestazioni dei corsi di specializzazione restano molto più basse ma sono positive, anche se non si escludono dal campione di controllo gli individui che hanno abbandonato il corso perché hanno trovato lavoro nel frattempo e che sono caratterizzati da una posizione di forza sul mercato del lavoro.

Tali risultati richiedono però un’analisi più approfondita. Le differenze che emergono dai differenziali occupazionali sono pesantemente influenzate dalla composizione dei corsi in base a caratteristiche individuali che incidono sull’occupabilità, e sono trainate dalla presenza dei corsi del settore socio-sanitario. Nelle analisi multivariate, se si inserisce una variabile per isolare l’effetto specifico dei corsi Operatori Socio-Sanitario (OSS), la differenza nelle performance delle varie azioni diventa non significativa.

 

Tabella 5: condizione professionale prevalente a ottobre 2013 per tipologia di azione nel campione principale e nel campione di controllo, con calcolo del differenziale.

 

  Tipo azione
  BAS SPE
Condizione professionale ottobre 2013 P C C2 Δ Δ2 P C C2 Δ Δ2
Occupato 43,9% 26,4% 15,9% 17,5% 28,0% 36,9% 35,6% 15,2% 1,3% 21,7
Occupato in CIG 5, %7 0,0% 0,0% 5,7% 5,7% 2,1% 0,0% 0,0% 2,1% 2,1%
Disoccupato alla ricerca di una nuova occupazione 45,4% 68,8% 78,4% -23,4% -33,0% 48,4% 57,2% 73,3% -8,8% -24,9%
In cerca di prima occupazione 3,4% 3,2% 4,5% 0,2% -1,1% 7,0% 2,6% 4,8% 4,4% 2,2%
Studente 0,4% 0,0% 0,0% 0,4% 0,4% 3,4% 3,1% 5,7% 0,3% -2,3%
Tirocinante o stagista 0,6% 0,8% 0,0% -0,2% 0,6% 1,7% 0,0% 0,0% 1,7% 1,7%
Inattivo diverso da studente (casalingo/a, inabile al lavoro, ritirato dal lavoro, in servizio civile) 0,4% 0,0% 0,0% 0,4% 0,4% 0,4% 0,0% 0,0% 0,4% 0,4%
Altro inattivo (non occupato che non cerca attivamente occupazione) 0,2% 0,8% 1,1% -0,6% -0,9% 0,0% 1,5% 1,1% -1,5% -1,1%
Tot. % 100% 100% 100%     100% 100% 100%    
Tot. V.A. 476 125 88     469 194 105    

* Nel campione di controllo C2 sono stati esclusi gli intervistati che avevano abbandonato il corso per motivi di lavoro.

 

Un risultato specifico che viene invece confermato sia dall’analisi descrittiva, sia da quella econometria, è l’efficacia dei corsi relativi al settore socio-sanitario. I formati dei corsi OSS presentano risultati occupazionali significativamente migliori a parità di altre condizioni individuali, confermando la tenuta di tale specifico settore del mercato del lavoro anche in condizioni di crisi come quello attuale. Va però anche richiamato che i risultati confermano altresì l’efficacia netta della formazione professionale (ancorché su livelli inferiori) anche per le altre tipologie di corsi.

 

f) In che misura i corsi hanno favorito il rientro in istruzione, in particolare per la direttiva obbligo di istruzione?

Complessivamente 88 individui su 1680 (5,2%) sono rientrati in un percorso di istruzione o hanno continuato a formarsi. Il loro peso sale al 7,2% se si includono gli individui attualmente impiegati in un tirocinio, ovvero in un percorso di lavoro con valenza formativa. Ovviamente il peso di tali reinserimenti varia molto in base all’età (10% prima dei 25 anni, solo 2,4% sopra i 25 e quasi nullo oltre il 36) e, di conseguenza, per tipologia di azione, a seconda dell’utenza prevalente. Dei vari potenziali canali di rientro in istruzione, solo tre sono risultati cospicuamente battuti dai formati: gli istituti professionali di stato (52,3%), gli istituti tecnici (21,6%) e i corsi universitari o equipollenti (13,6). Il canale dell’istruzione universitaria rappresenta lo sbocco maggiormente battuto da giovani adulti che, a volte dopo aver effettuato periodi lavorativi e di disoccupazione, si sono rivolti a un percorso formativo MdL di specializzazione che, a sua volta, sembrerebbe averli motivati a riprendere, iniziare o concludere un percorso universitario. Diversamente, il rientro nei canali dell’istruzione secondaria superiore ha coinvolto principalmente i giovanissimi, di età compresa tra i 16 e i 25 anni, provenienti da un percorso di formazione nell’Obbligo di Istruzione. Esso ha accolto per lo più soggetti che hanno compiuto un percorso triennale nella formazione professionale e che, al termine di questo, hanno deciso di conseguire un diploma di scuola superiore perché mossi dal desiderio di completare il proprio percorso di istruzione più che dalla prospettiva di facilitare nel breve termine il proprio ingresso nel mercato del lavoro. La formazione professionale in OI sembrerebbe aver agito efficacemente nel rinforzare le competenze e la motivazione di questi soggetti. Tra questi, lo sbocco scolastico più comune e naturale è rappresentato dagli Istituti Professionali di Stato (IPS) con un inserimento, nella maggioranza dei casi e sempre più frequentemente, nella classe quarta senza debiti formativi. Sembra quindi migliorare il sistema delle interconnessioni fra la scuola e la formazione, che favorisce una migliore integrazione dei percorsi senza discontinuità. Sono risultati in crescita, seppure ancora sporadici (11,4%) i passaggi alla quinta dopo aver conseguito il diploma professionale. In conclusione, le azioni formative in OI e in MdL sembrerebbero incentivare rientri in istruzione di diversa natura: i percorsi formativi in OI agiscono nel senso del contenimento della dispersione scolastica in età di Obbligo di Istruzione, fornendo nei casi migliori una nuova spinta al completamento degli studi per il conseguimento di un diploma di maturità; nell’ambito delle azioni MdL, i corsi BAS non sembrerebbero incentivare alcun rientro in istruzione, mentre i corsi di specializzazione risulterebbero favorire l’ingresso o il rientro in percorsi universitari, caratterizzati anch’essi nel nostro sistema da ampie proporzioni di abbandoni.

 

3. Conclusioni: dalle evidenze ai suggerimenti per il policymaking.

La formazione professionale è una delle principali “leve” a disposizione del governo regionale per migliorare la qualità del capitale umano. Essa costituisce lo strumento fondamentale per assicurare una forza lavoro competente e capace di accompagnare le imprese nella loro sfida per la competitività sui mercati nazionali ed internazionali. In tale prospettiva, la corretta programmazione dell’investimento in formazione assume un ruolo fondamentale per garantire un rapido e puntuale adattamento della stessa forza lavoro alle necessità del sistema produttivo. Il meccanismo della programmazione formativa regionale è estremamente complesso ed opera attraverso un articolato sistema di direttive pluriennali (mercato del lavoro, OI e diritto dovere, occupati, orientamento, ecc.), alla predisposizione delle quali concorrono una pluralità di fattori:

– i fabbisogni (o per meglio dire le loro rappresentazioni) del sistema produttivo;

– la domanda di formazione dei cittadini;

– le priorità indicate dal Fondo Sociale Europeo;

– le caratteristiche che il sistema della FP regionale ha assunto nella sua storia passata, condizionandone i gradi di libertà dell’evoluzione futura;

– i vincoli finanziari e gli aspetti congiunturali.

 

Per determinare un’efficace ed efficiente programmazione dell’investimento formativo, il programmatore regionale deve bilanciare tali elementi, combinandoli con le migliori informazioni disponibili sul funzionamento e sul rendimento della formazione già attivata e rese disponibili anche tramite l’analisi di placement. Le evidenze emerse da quest’ultima indagine, infatti, si prestano ad essere utilizzate per formulare alcuni suggerimenti al policymaker regionale, fermo restando che l’inserimento occupazionale e le sue caratteristiche rappresentano un risultato indiretto dell’azione formativa. Evidentemente, data la natura dell’analisi di placement, che indaga solo alcune fattispecie formative oltretutto in maniera non esaustiva, le indicazioni emergenti devono essere assunte con la dovuta cautela ed applicate ai soli ambiti nei quali risultano rilevanti. Tali indicazioni appaiono sintetizzabili nella forma specifica di “raccomandazioni” di ordine generale per la predisposizione dei dispositivi di programmazione sulla FP. In particolare, i risultati relativi all’efficacia possono essere colti, soprattutto in un periodo in cui le condizioni del mercato del lavoro sono notevolmente avverse, come l’indicazione a dare, nel breve termine, maggiore peso alle tipologie di intervento che evidenziano migliori prestazioni occupazionali, mentre nel medio periodo occorre invece trovare nuove strade per raggiungere gli obiettivi di quelle azioni che si rivelino al momento attuale meno efficaci. Lo stesso vale per le diverse tipologie di soggetti destinatari: la minore efficacia della formazione per alcune categorie, ritenute dall’esperienza come dalla teoria particolarmente meritevoli di supporto, deve spingere a un miglioramento qualitativo dell’offerta a loro dedicata, programmando azioni specifiche. Di seguito proponiamo tre raccomandazioni specifiche:

 

a) Programmare gli investimenti formativi con il miglior rendimento occupazionale.

I dati dell’analisi di placement, pur limitandosi solo ad alcune fattispecie formative, fanno emergere come le performance occupazionali tra le diverse azioni siano differenziate e come, in buona sostanza, alcuni tipi di corsi consentano di trovar lavoro più facilmente di altri. In particolare, nel ristretto numero di percorsi formativi analizzati, i corsi di qualifica di base fanno registrare un tasso di occupazione dei frequentanti superiore di 23,2 punti (49,6% contro 26,4%) rispetto al gruppo di controllo. Tali corsi, dedicati a soggetti giovani (>18) o adulti (>25) e mirati a rilasciare una qualificazione di base a soggetti occupati e disoccupati in possesso della sola licenza di scuola secondaria di primo grado ma non di titolo di studio superiore, paiono incontrare un particolare favore nel mercato del lavoro. Il differenziale occupazionale è nettamente migliore di quello fatto registrare dai corsi di specializzazione per i quali è stato altresì identificato un gruppo di controllo. Questo dato conferma il risultato di precedenti analisi, che mostrano una notevole efficienza delle politiche attive del lavoro per i soggetti con basso capitale umano iniziale. Nello stesso tempo, con un risultato che è solo apparentemente contrastante, resta vera la teoria economica dell’accumulo del capitale umano, per cui il singolo individuo ha sia una maggiore propensione (per apprezzamento e facilità) a investire sulla propria formazione man mano che cresce il suo bagaglio di capitale umano, sia soprattutto una maggiore probabilità di trovare lavoro quanto più lungo e consistente è stato il suo percorso di istruzione/formazione.

Unendo i due risultati si può dire che il mercato oggi pare apprezzare le figure offerte dai corsi di qualifica, ma anche in tale contesto vale che, a parità di altre condizioni (e quindi anche di corso frequentato), un bagaglio di istruzione elevato aiuta a trovare lavoro. Nei dati di esecuzione finanziaria relativi all’ultimo triennio si evidenzia come l’investimento effettuato sui corsi di qualifica, seppur consistente (42 milioni di euro circa), risulti molto minore rispetto a quello (88,3 milioni di euro)effettuato per i corsi formativi di specializzazione (61, 5 milioni di euro circa), che hanno mostrato un’efficacia nettamente inferiore. Appare quindi opportuno raccomandare alla Regione, in particolare nell’attuale congiuntura economica critica, la possibilità di riconsiderare la ripartizione finanziaria fra i diversi tipi di formazione, viste le differenze nelle prestazioni occupazionali emerse dall’analisi. A tal fine sarebbe opportuno condurre indagini più dettagliate e puntuali sulle diverse misure, evidenziandone le criticità. Riteniamo di poter suggerire una riprogrammazione che vada ben al di là di una semplice riallocazione dei flussi finanziari, ma che ripensi sostanzialmente gli obiettivi, rendendoli più puntuali, e adegui gli strumenti al loro raggiungimento.

 

Tabella 6: impegni e spese per tipologia formativa (anni 2010-2011-2012).

 

  Impegni  
Azione 2010 2011 2012 Totale
OI 62.908.717 63.758.001 63.959.223 190.625.941
SPE 22.803.857 22.402.447 16.337.507 61.543.811
BAS 14.443.038 15.121.616 11.933.599 41.498.253
Totale 100.155.612 101.282.064 92.230.328 293.668.004

 

 

b) Programmare azioni formative specifiche per i giovani.

L’analisi di placement ha evidenziato una particolare fragilità e sofferenza di questo target di popolazione. Emerge quindi una forte indicazione sulla necessità di rendere maggiormente incisive le azioni formative rivolte ai giovani e giovanissimi, in particolare la II.E.12.01, che si ricorda avere un’utenza prevalentemente giovanile11. Tale azione è concepita nell’ottica di fornire un percorso professionalizzante ai giovani a valle del conseguimento di un titolo di studio, per favorirne l’occupabilità anche e soprattutto in relazione alle esigenze del sistema produttivo. Evidentemente, tale obiettivo non è attualmente raggiunto. E’ difficile spingere oltre il giudizio su cosa e come vada riformato, in quanto per valutare veramente cosa funzioni e cosa sia da rinnovare occorrerebbe conoscere a fondo le caratteristiche dell’offerta formativa. Certamente, occorre pensare in modo specifico ad azioni rivolte ai giovani usciti dal sistema di istruzione, riformando l’attuale offerta in modo da renderla utile sui due fronti, cioè sia appetibile per tale categoria di giovani, sia adeguata alle esigenze del mercato del lavoro.

 

c) Integrare formazione professionale e servizi al lavoro.

L’analisi di placement 2012 ha evidenziato un risultato particolarmente rilevante già ricavabile dall’analisi quantitativa riguardante l’efficacia dei servizi al lavoro. I singoli servizi non sono risultati efficaci12 (con l’unica eccezione rappresentata dallo stage), ma è risultato significativo l’impatto sull’occupabilità di chi ha fruito di un percorso completo nei servizi al lavoro (utilizzando il ventaglio di servizi disponibili). L’analisi ha permesso di isolare anche (con la metodologia degli average marginal effects) l’impatto netto delle politiche attive significative. L’occupabilità aumenta di 7 punti percentuali se l’individuo effettua uno stage, a cui si aggiungono 9,5 punti se ha fruito di un percorso integrato di servizi per il lavoro. E’ quindi opportuno, al fine di sfruttare la leva garantita dai servizi al lavoro all’occupabilità dei formati, predisporre strumenti di programmazione che prevedano un’esplicita integrazione di questi ultimi con i percorsi formativi.

 

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1 Ricercatore presso l’Istituto di Ricerca sulla Crescita Economica Sostenibile del Consiglio Nazionale delle Ricerche (IRCrES-CNR).

 

2 I corsi attivati in seno all’azione IV.H.11.99 (OI3) sono di durata triennale (3150 ore annuali) con stage formativo obbligatorio (320 ore) durante l’ultima annualità, rivolti prioritariamente a giovani 14enni che hanno terminato il I ciclo di istruzione.

 

3 I corsi attivati in seno all’azione IV.H.11.01 (OIB) hanno durata biennale (2250 ore, con 320 ore di stage formativo) o in alcuni sporadici casi annuale (1200 ore, con 240/260 ore di stage formativo) e sono di norma rivolti a giovani che abbiano frequentato almeno un anno di scuola superiore o siano in possesso di crediti formativi maturati tramite esperienze diverse (lavoro, percorso destrutturato, LaRSA). Ambo le azioni prevedono, al loro termine, il rilascio di una qualifica professionale.

 

4 Per quanto riguarda la direttiva MdL, invece, l’azione II.E.12.01 (SPE) propone, in seno all’asse occupabilità, corsi formativi di specializzazione destinati ad adulti (> 25 anni) e giovani (> 18 anni) disoccupati, che dispongano di un titolo di studio superiore a quello relativo al primo ciclo di istruzione, cioè che siano qualificati, diplomati o laureati. I corsi sono strettamente connessi ai fabbisogni territoriali e finalizzati a garantire l’occupabilità delle persone, con particolare riferimento alle quote di popolazione che presentano maggiori margini di miglioramento, ovvero i giovani e le donne. Sono quindi presenti corsi annuali di specializzazione post-qualifica, di durata massima di 600 ore, cui possono eccezionalmente partecipare anche giovani 17enni qualificati in uscita dai corsi triennali (ex diritto dovere); corsi annuali post-diploma di durata compresa tra le 600 e 1200 ore (durate inferiori sono possibili solo per le figure normate); infine, corsi post-laurea (max 800 ore).

 

5 Infine, l’azione IV.I.12.02 (SPE) ha l’obiettivo di mettere a disposizione di persone prevalentemente occupate, di ogni età (>18) e titolo di studio, opportunità di formazione di competenze professionali e trasversali per tutto l’arco della vita, volte anche a prevenire fenomeni di esclusione sociale e dal mercato del lavoro, legati al deterioramento delle competenze professionali. Si tratta di un’azione particolarmente eterogenea, che prevede, tra l’altro, anche attività corsuali annuali (max 600 ore) o biennali (max 1200 ore), con stage formativo (min 30% ore corso), che rilasciano specializzazione professionale, accanto a corsi dedicati alle abilitazioni professionali e alle patenti di mestiere, e infine attività annuali di aggiornamento delle competenze trasversali/professionali (max 200 ore), che rilasciano una certificazione di frequenza con profitto. All’interno di questa azione sono quindi stati selezionati soltanto i formati dei corsi che hanno rilasciato specializzazione o qualificazione, in modo da escludere corsi di dimensioni eccessivamente ridotte.

 

6 L’azione III.G.06.04 (SIS) dell’asse inclusione sociale è rivolta a immigrati stranieri che, per problemi linguistici, non sono in grado di frequentare corsi di formazione relativi alle altre azioni. L’azione consta di corsi annuali di qualifica (max 600 ore), con stage formativo non inferiore al 30% delle ore corso e un modulo obbligatorio di lingua italiana e di educazione alla cittadinanza (20-40 ore). L’obiettivo principale è quello di sviluppare professionalità immediatamente spendibili sul mercato del lavoro, valorizzando per quanto possibile le competenze esistenti, favorendo al contempo l’inclusione sociale. Sono previsti anche corsi organizzati in forma modulare per favorire l’alternanza dello studio e del lavoro, permettendo, così, agli studenti di provvedere al proprio sostentamento.

 

7 L’azione IV.I.12.01(ABS) (asse capitale umano), prevede interventi finalizzati a incrementare la partecipazione di soggetti giovani (>18) o adulti (>25) al cosiddetto lifelonglearning e, nel contempo, ad innalzare i livelli di competenza della popolazione piemontese. In particolare, si contano corsi di qualifica annuali (max 1200 ore), anche in alternanza (stage per il 50% delle ore corso) o modulari, e corsi di qualifica biennali (max 1200 ore) con stage formativo obbligatorio (min 30% ore corso). Tali corsi sono mirati a rilasciare una qualificazione di base a soggetti occupati e disoccupati in possesso della sola licenza di scuola secondaria di primo grado ma non di titolo di studio superiore. Inoltre, a quest’azione afferiscono anche i corsi orientati alla formazione di figure professionali idonee alla creazione di servizi funzionali ad una migliore conciliazione tra vita lavorativa e vita familiare, finalizzati a consentire il potenziamento dei servizi all’infanzia e dei servizi per le cure degli anziani (es. operatore socio – sanitario, assistenti familiari, etc.).

 

8  Disoccupati, in cerca di prima occupazione, studenti e altri inattivi.

 

9 E’ bene infatti tener conto della tempistica reale dell’erogazione degli interventi di formazione, che vede la maggior parte dei corsi seguire un calendario parallelo a quello dell’anno scolastico, dunque con conclusione dei corsi e assegnazione degli attestati entro luglio, ma prevede anche numerose eccezioni derivanti da proroghe sulla data di inizio dei corsi.

 

10 Benché non sia possibile verificarlo con i dati attualmente disponibili, è probabile che la variabile età accorpi l’effetto della variabile non osservata “durata delle esperienze lavorative pre-formazione”. Se questa ipotesi risultasse corretta, la formazione da sola potrebbe rivelarsi un’arma non sufficiente, poiché essa non può sostituire quella formazione on-the-job che per il mercato pare essere indispensabile. Ciò implica concretamente che l’azione formativa deve includere un’importante parte di alternanza con il lavoro e che, a valle della formazione, deve esserci una sistematica integrazione con ulteriori politiche attive di inserimento sul mercato del lavoro (tirocini in primo luogo, ma anche reti di inserimento, servizi di accompagnamento al lavoro, incentivi all’assunzione di giovani, ecc.).

 

11 In particolare nella II.E.12.01 gli under 26 sono il 52%, mentre la IV.I.12.02 divide la sua utenza tra la classe 26-35 e gli over 35.

 

12 Questo è un risultato facilmente comprensibile; si tratta infatti, nella maggior parte dei casi (guida alla costruzione del curriculum, guida all’utilizzo di banche dati e portali,…) di interventi utilissimi, necessari per fornire un minimo bagaglio di partenza a chi si inizia il percorso di ricerca del proprio lavoro, ma tutto sommato accessori e dunque insufficienti a generare un effetto misurabile.