La territorializzazione del Patto di stabilità interno in Piemonte

Matteo Barbero e Igor Lobascio1

Il Piemonte è stato la prima Regione ordinaria a credere nella regionalizzazione del Patto di stabilità interno come strumento di rilancio degli investimenti da parte degli enti locali. Nei sei anni in cui tale istituto è stato applicato, esso ha distribuito oltre 1 miliardo di euro che avrebbero potuto essere utilizzati per incrementare i pagamenti in conto capitale da parte di comuni e province. Tuttavia, una quota significativa di tali risorse (che rappresentano una sorta di “moneta virtuale”, che consente il libero utilizzo delle giacenze di cassa a disposizione delle amministrazioni) è stata sprecata. Ciò è imputabile soprattutto all’eccessiva rigidità della normativa, che ostacola una autentica programmazione finanziaria. L’analisi di tale esperienza può fornire alcuni utili spunti di riflessione per i prossimi anni, nei quali, con l’entrata a regime della riforma contabile e l’applicazione della regola costituzionale del pareggio di bilancio, la capacità programmatoria degli enti territoriali verrà vieppiù messa alla prova.

 

1. Introduzione.

Il Patto di stabilità interno (PSI) costituisce il principale meccanismo volto ad adeguare la struttura della finanza pubblica territoriale italiana alle esigenze imposte dall’appartenenza all’Unione economica e monetaria.

La realizzazione di quest’ultima ha determinato, in una con il progressivo accentramento della politica monetaria, il moltiplicarsi e l’intensificarsi dei vincoli direttamente discendenti dal diritto comunitario nei confronti delle politiche fiscali e di bilancio nazionali2.

Tali vincoli – definiti dal Trattato UE, dal Protocollo sulla procedura per i disavanzi eccessivi e rafforzati dal Patto europeo di stabilità e crescita (PSC) – hanno comportato l’assunzione, da parte degli Stati membri, dell’obbligo di progressiva riduzione dell’entità del disavanzo e del debito del settore pubblico in percentuale sul PIL, allo scopo di assicurare la “sostenibilità” della finanza pubblica e di non provocare distorsioni del mercato imputabili alla condotta dei pubblici poteri.

Per il rispetto degli standards comunitari di finanza pubblica assumono rilevanza i dati aggregati di tutte le pubbliche amministrazioni, non solo quelle centrali e periferiche dello Stato, ma anche le Regioni e gli enti locali3, fermo restando che in sede comunitaria risponde delle eventuali violazioni esclusivamente lo Stato.

In questo contesto, il PSI mira a garantire allo Stato – in vista degli obiettivi aggregati di finanza pubblica imposti a livello comunitario – la disponibilità di strumenti di coordinamento e di controllo finanziario nei confronti di Regioni ed enti locali.

L’esigenza di siffatti strumenti si comprende alla luce del processo di crescente devoluzione di poteri di entrata e (soprattutto) di spesa pubblica avviato “a Costituzione invariata” nel corso degli anni ’90 e suggellato dalla riforma costituzionale operata dalla l. cost. n. 3/20014.

Il (parziale) abbandono del modello di finanza territoriale derivata precedentemente invalso ed il (difficile) transito verso un modello di federalismo fiscale ha richiesto la definizione – da parte dello Stato nei confronti dei livelli di governo intermedi e periferici – di vincoli finanziari di tipo nuovo, almeno teoricamente più rispettosi della rinnovata ed ampliata condizione di autonomia dei secondi ma comunque idonei a consentire un governo unitario della finanza pubblica da parte del primo5.

Il PSI si colloca cronologicamente proprio nella fase di (sul piano esterno) rafforzamento dei vincoli comunitari alle finanze pubbliche nazionali – attraverso la sottoscrizione del PSC, di cui mira evidentemente a costituire, anche sul piano terminologico-lessicale, l’omologo – e (sul piano interno) di decentramento finanziario.

Il PSI, a dispetto della sua stessa denominazione, ha sempre presentato un carattere marcatamente unilaterale, essendo di fatto imposto dallo Stato a Regioni ed Enti locali6.

Rispetto a questi ultimi, inoltre, i relativi meccanismi (vincoli e connesse premialità ovvero sanzioni per chi li abbia o meno rispettati) hanno perlopiù mantenuto, sin dalle origini, una diretta derivazione dalla normativa statale, senza un significativo ruolo in capo alle Regioni.

In tal modo, il PSI è divenuto uno strumento rigidamente top-down, come tale incapace di adattarsi alla variegata dimensione territoriale che caratterizza le politiche pubbliche, specialmente in una realtà fortemente frammentata quale quella italiana.

Tale rigidità ha comportato un’imperfetta ripartizione del carico delle manovre correttive, con enti incapaci di sfruttare a pieno i margini finanziari per essi disponibili ed altri costretti a rallentare (anche fortemente) la propria dinamica gestionale. Invero, il carattere progressivamente più stringente dei vincoli imposti dal PSI ha reso sempre più frequente il secondo scenario, determinando talora il sostanziale “blocco” dei pagamenti ben prima della fisiologica chiusura degli esercizi finanziari, con l’accumularsi di residui passivi e di ritardi nei confronti dei fornitori. Ne sono risultati penalizzati soprattutto gli investimenti, per loro natura, come noto, assai più facilmente comprimibili delle spese correnti7. In tale contesto è maturata una crescente insoddisfazione verso il PSI, che ha portato alla costante richiesta, da parte degli enti soggetti, di deroghe ai relativi vincoli ed alle sanzioni ad essi collegate.

In questa prospettiva, da tempo la dottrina8 ha individuato una possibile soluzione nella c.d. “territorializzazione” del PSI, attraverso una declinazione della relativa struttura che la renda maggiormente aderente all’assetto multilivello che caratterizza l’ordinamento italiano.

Si tratta di una strada già seguita in altri Paesi9, ma che in Italia, fino al 2008, era percorribile solo dalle Regioni speciali e dalle province autonome per gli enti locali in esse compresi. Invero, a partire dal 2008, una disciplina in parte analoga è stata estesa anche alle Regioni ordinarie ed ai rispettivi enti locali. Se sul primo versante si sono registrate in questi anni esperienze strutturate ed interessanti, sul secondo la territorializzazione del PSI sta muovendo i primi passi.

In tale solco si è inserita l’esperienza della Regione Piemonte, che a partire dal 2009 ha sperimentato un modello compiuto di PSI “territorializzato”.

Il presente lavoro si propone di analizzare i risultati prodotti in questi 6 anni in termini di capacità di rilancio e di accelerazione della spesa in conto capitale da parte delle amministrazioni locali.

 

2. La territorializzazione del PSI: evoluzione normativa.

L’esperienza piemontese di territorializzazione del PSI prende le mosse dall’art. 77-ter, comma 11, della legge n. 133/2008. Quest’ultimo ha per la prima volta esteso alle Regioni ordinarie la possibilità di adattare i vincoli del PSI applicabili agli Enti locali del proprio territorio, consentendo loro di modificare (in senso peggiorativo o migliorativo) gli obiettivi dei singoli Comuni e Province, fermo restando l’obiettivo aggregato del relativo comparto.

Con i successivi interventi normativi (dapprima con l’art. 7-quater del decreto legge n. 33/2009, successivamente confluito nell’art. 1, commi 138 e seguenti, della legge n. 220/2010) sono state definite due possibili declinazioni del PSI territorializzato: da un lato, quella c.d. “orizzontale”, in cui la Regione opera come stanza di compensazione fra i diversi Enti locali, attraverso la rimodulazione degli obiettivi specifici di Comuni e Province, garantendo l’invarianza dell’obiettivo aggregato di comparto; dall’altro, quella c.d. “verticale”, che consente alla Regione di cedere agli Enti locali spazi finanziari mediante il peggioramento del proprio obiettivo di PSI.

In questa sede ci concentriamo sulla seconda modalità (PSI verticale), tralasciando l’atra (quella PSI orizzontale), che ha prodotto risultati assai più modesti.

La disciplina del PSI verticale prevede che ciascuna Regione possa disciplinare autonomamente (previo confronto in sede di Consiglio delle autonomie locali e, ove non istituito, con i rappresentanti regionali delle stesse) i criteri di virtuosità e le modalità operative per l’attribuzione delle quote, che tuttavia possono essere utilizzate solo per spese in conto capitale.

L’art. 16, commi 12 bis-12 sexies, del decreto-legge n. 95/2012 ha introdotto una variante del PSI verticale. La differenza sostanziale sta nel fatto che lo Stato incentiva le Regioni a cedere spazi finanziari a favore degli Enti locali del proprio territorio attraverso un contributo a favore delle Regioni stesse vincolato alla riduzione del rispettivo debito. Tale incentivo (che ha condotto a definire l’istituto come PSI regionale verticale “incentivato”) viene erogato all’interno di uno stanziamento massimo, che la legge statale quantifica annualmente ripartendolo fra le singole Regioni, che tuttavia possono concordare fra di loro una differente distribuzione. Ciascuna Regione, entro il limite massimo della propria quota, riceve un contributo pari ad una percentuale (83,33%) degli spazi ceduti agli Enti locali.

Il c.d. PSI verticale incentivato, che inizialmente era previsto per il solo 2012 e limitato ai soli comuni, è stato successivamente esteso fino al 2015.

Da quest’anno, inoltre, è prevista (in base all’art. 1, commi 482 e seguenti, della legge n. 190/2014) una sorta di PSI territoriale integrato, che consentirà scambi fra quote all’interno di ciascun sistema regionale, ad invarianza dell’obiettivo aggregato, superando la dicotomia fra orizzontale e verticale.

3. I risultati del PSI territorializzato in Piemonte.

Nel periodo 2009-2014 la Regione Piemonte, attraverso lo strumento del PSI verticale ha autorizzato maggiori spese per 1.030,6 milioni di euro (Tabella 1).

Tabella 1 – Importi autorizzati a valere sul PSI Verticale anni 2009-2014, importi in migliaia di euro.

Tipo di Ente PSI verticale 2009 PSI verticale 2010 PSI verticale 2011 PSI verticale 2012 PSI verticale 2013 PSI verticale 2014 TOTALE 2009-14
Comuni sopra i 5.000 abitanti 84.411 47.152 227.176 113.585 88.515 36.920 597.759
Comuni fino a 5.000 abitanti         63.376 41.631 105.007
Province   17.848 142.824 87.765 53.201 26.184 327.822
Totale 84.411 65.000 370.000 201.350 205.092 104.735 1.030.588

Fonte: Regione Piemonte

 

Nel 2009 gli enti beneficiari sono stati appena 26 e sono stati selezionati sulla base di criteri definiti dall’art. 7-quater della Legge 33/2009. A partire dal 2010 i criteri di accesso e di riparto sono stati definiti dalla Regione ed è cresciuto il numero degli enti beneficiari. A partire dal 2013 poi sono soggetti ai vincoli del PSI anche gli enti con popolazione compresa tra 1.000 e 5.000 abitanti: in Piemonte gli enti soggetti al PSI sono passati da 143 a 618 con conseguente ulteriore aumento degli enti beneficiari del PSI verticale (Tabella 2). Il meccanismo ha avuto una penetrazione abbastanza capillare: fra gli enti soggetti ai vincoli, sono appena 10 (tutti con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti) quelli che non hanno mai beneficiato degli interventi regionali.

 

Tabella 2– Enti soggetti al PSI e beneficiari del PSI verticale nel periodo 2009-2014.

Tipo di Ente PSI 2009 PSI 2010 PSI 2011 PSI 2012 PSI 2013 PSI 2014
Beneficiari 26 120 131 130 596 431
Non Beneficiari 115 22 11 13 22 183
Totale 141 142 142 143 618 614

Fonte: Regione Piemonte

 

Negli stessi anni, tuttavia, il trend decrescente della spesa in conto capitale è continuato, a fronte della crescita sia pure modesta della spesa corrente. Come mostra la Tabella 3, fa eccezione solo l’anno 2011, che è quello in cui la Regione Piemonte ha assegnato l’importo più alto attraverso il PSI verticale (370 milioni di euro). Peraltro, nello stesso anno, il Comune di Torino ha sforato il proprio obiettivo per oltre 480 milioni di euro.

In generale, i dati sembrano mostrare la scarsa capacità del PSI verticale di rilanciare gli investimenti.

 

Tabella 3: Pagamenti per titolo di spesa dei Comuni del Piemonte, anni 2009-2013, importi in euro.

  2009 2010 2011 2012 2013
Spese correnti 3.594.361.300 3.777.716.597 3.626.938.864 3.654.850.951 3.940.661.209
Spese in conto capitale 1.394.129.095 1.079.216.487 1.369.670.636 880.095.020 750.426.293

Fonte: nostre elaborazioni su dati SIOPE

 

In tutti gli anni considerati, a livello aggregato si è osservata una differenza positiva tra il risultato netto e l’obiettivo annuale del saldo finanziario. Da ciò si evince che non tutte le risorse assegnate sono state effettivamente utilizzate dai beneficiari; una parte di esse é stata “sprecata”.

Col termine risorse sprecate intendiamo la differenza tra risorse assegnate (a ciascun ente) e risorse utilizzate. Queste ultime sono rappresentate da quella quota di spazi finanziari concessi sul PSI verticale in assenza della quale, a parità di saldo finanziario, l’ente non avrebbe rispettato il proprio obiettivo programmatico annuale di saldo finanziario.

Al fine della costruzione della base di dati le risorse sprecate abbiamo considerato il periodo 2009-2013, poiché i dati relativi all’anno 2014 non sono ancora disponibili.

In ciascun anno sono state calcolate come segue:

  • sono pari a 0 se l’ente non ha rispettato il PSI o se non ha beneficiato del PSI verticale;
  • sono pari alla differenza tra risultato netto e obiettivo annuale saldo finanziario se la differenza in assenza di PSI verticale risulta minore di 0;
  • sono pari al PSI verticale se la differenza in assenza di PSI verticale risulta maggiore o uguale a 0.

Come si nota dalla Tabella 4, le risorse sprecate ammontano a circa 242,6 milioni di euro, pari al 26,2% del totale delle risorse assegnate, con un picco nell’anno 2013 in cui le risorse sprecate sono state pari al 45,4%. Le province risultano più virtuose dei comuni. I piccoli comuni (quelli fino a 5.000 abitanti) nel primo anno di assoggettamento al PSI hanno sprecato il 56,2% delle risorse. Nello stesso anno i comuni più grandi hanno sprecato il 57,7%, e in media, nei 5 anni di riferimento il 32,4% (Tabella 5).

 

Tabella 4 – Risorse sprecate dai beneficiari del PSI verticale nel periodo 2009-2013, importi in migliaia di euro.

Tipo di Ente Anno 2009 Anno 2010 Anno 2011 Anno 2012 Anno 2013 Totale 2009-13
Comuni sopra i 5.000 abitanti 32.184 11.676 40.604 46.078 51.042 181.584
Comuni fino a 5.000 abitanti         35.629 35.629
Province 0 3.213 10.726 4.974 6.495 25.408
Totale 32.184 14.889 51.330 51.052 93.166 242.621

Fonte: Regione Piemonte

 

Tabella 5 – Risorse sprecate dai beneficiari del PSI verticale sul totale delle risorse assegnate nel periodo 2009-2013, valori in percentuale.

Tipo di Ente Anno 2009 Anno 2010 Anno 2011 Anno 2012 Anno 2013 Totale 2009-13
Comuni sopra i 5.000 abitanti 38,1% 24,8% 17,9% 40,6% 57,7% 32,4%
Comuni fino a 5.000 abitanti         56,2% 56,2%
Province   18,0% 7,5% 5,7% 12,2% 8,4%
Totale 38,1% 22,9% 13,9% 25,4% 45,4% 26,2%

Fonte: Regione Piemonte

 

Ovviamente, le cause della virtuosità e della tendenza allo spreco sono complesse, ma tutte rimandano all’eccessiva rigidità delle regole del PSI, che attraverso la cd “competenza mista” ed imponendo sia alle Regioni che agli enti locali un orizzonte programmatorio annuale difficilmente compatibile con il ciclo degli investimenti, hanno penalizzato soprattutto le spese in conto capitale.

In questa prospettiva, tuttavia, emergono tutti i limiti dell’attuale disciplina sulla territorializzazione del PSI10.

Nelle Regioni ordinarie, essa ha potuto operare solo in modo parziale. In tali contesti, infatti, gli interventi regionali sono circoscritti alla sola modifica in corso di gestione degli obiettivi, attraverso il gioco delle compensazioni orizzontali e verticali, senza possibilità di derogare (ma solo di integrare) la disciplina statale in materia di incentivi, sanzioni e monitoraggio e rispettando una tempistica scandita da termini perentori e assai restrittivi.

In sostanza, nelle Regioni ordinarie la territorializzazione del PSI, che di per sé dovrebbe condurre ad una differenziazione dei relativi vincoli, si è sviluppata secondo criteri uniformi e standardizzati.

Le esperienze applicative più mature, a partire da quella piemontese hanno scontato gli effetti di tale contraddizione, che ne ha fortemente limitato la potenzialità.

Esse, in effetti, dimostrano che un eccesso di vincoli rischia di ridurre il ruolo della territorializzazione a quello di un correttivo di modesto impatto, incapace di consentire quel cambio di passo che richiederebbe di trasformare il PSI da semplice strumento di coordinamento/controllo in strumento (anche) di programmazione.

In tal senso, le critiche autorevolmente mosse da chi mette in dubbio l’opportunità di soggetti terzi incaricati di gestire il coordinamento di un’eventuale scambio compensativo11 colgono almeno in parte nel segno.

La strada da percorrere, tuttavia non sembra essere quella (perseguita da ultimo dal legislatore statale) di una maggiore uniformità dei vincoli che riduca “i casi estremi da compensare”12, giacchè in tal modo le evidenziate criticità connesse alla eccessiva rigidità del PSI verrebbero ulteriormente accentuate.

A parere di chi scrive il modello da assumere come riferimento dovrebbe essere quello delle Regioni speciali e delle Province autonome, che andrebbe esteso anche alle Regioni ordinarie.

Ciò sarebbe coerente, oltre che, in termini generali, con il principio di sussidiarietà, anche con l’art. 117, comma 3, Cost., che inquadra il coordinamento della finanza pubblica fra le materia di competenza legislativa concorrente, oltre che con la legge n. 42/2009 (in materia di federalismo fiscale), che, da un lato, prevede espressamente la territorializzazione del PSI13, dall’altro ritaglia un ruolo regionale di rilievo in materia di finanza locale14. Eventualmente si potrebbe anche procedere attraverso il c.d. “federalismo differenziato” ex art. 116, comma 2, Cost., consentendo ai territori più dinamici di sperimentare buone pratiche che potrebbero poi essere estese alle altre realtà territoriali.

 

4. Conclusioni.

In un’ottica di policy, l’analisi condotta conferma la necessità di un complessivo ripensamento degli attuali meccanismi di coordinamento della finanza pubblica. A tal fine, è giocoforza tenere conto dei profondi cambiamenti che interesseranno tale ambito nei prossimi anni.

Già dal 2015, è in vigore la riforma della contabilità degli enti territoriali contenuta nel decreto legislativo n. 118/2011 (come modificato ed integrato dal decreto legislativo n. 126/2014). Essa renderà ancora più cruciale la programmazione, subordinando ad essa non solo l’effettiva realizzabilità delle opere, ma anche la stessa quadratura dei bilanci. Una programmazione sbagliata o incauta, infatti, rischierà di ipotecare le gestioni future sia in termini di compatibilità con le regole di finanza pubblica sia in termini di costruzione dei futuri bilanci.

Dal 2016, inoltre, dovrebbe essere sancito il superamento delle attuali regole del PSI, con l’introduzione per tutte le amministrazioni pubbliche dell’obbligo del pareggio di bilancio, come previsto dalla legge costituzionale n. 1/2012 e dalla successiva legge n. 243/201215. Quest’ultima, inoltre, all’art. 10 prevede un meccanismo di territorializzazione dell’indebitamento per certi versi analogo a quello applicato finora rispetto al PSI16.

Su tali temi, è auspicabile che si apra quanto prima un’attenta riflessione, sia a livello tecnico che a livello politico.

1 Matteo Barbero, avvocato e dottore di ricerca in diritto pubblico, funzionario della Regione Piemonte – Direzione Risorse finanziarie; Igor Lobascio, analista di politiche pubbliche con competenze nella valutazione e nell’analisi dei dati, dal 2007 è componente dello staff di consulenza del Nucleo di valutazione e verifica degli investimenti pubblici della Regione Piemonte.
2 Sul tema, oltre a quelli citati più avanti, si segnalano i lavori di CAPORALI, Patto di stabilità ed ordinamento europeo, in Diritto e società, n. 1/2004 e CHITI, La finanza pubblica e i vincoli comunitari, in Rivista italiana di diritto pubblico comunitario n. 2/1997.
3 Cfr Della Cananea, Il Patto di stabilità e le finanze pubbliche nazionali in Rivista di diritto finanziario e scienza delle finanze, LX, 4, I, 2001. La grandezza di riferimento è rappresentata, secondo quanto dispone il Protocollo sulla procedura per i disavanzi eccessivi, dall’indebitamento netto del conto consolidato delle Pubbliche Amministrazioni .
4 Balassone – Franco, Il federalismo fiscale e il Patto di stabilità, in I controlli delle gestioni pubbliche” – Banca d’Italia, Atti del convegno di Perugia 2-3 dicembre 1999.
5 Pizzetti, Il Patto di stabilità interna: una nuova via obbligata nei rapporti tra Stato centrale e sistema dei soggetti periferici?, in Le Regioni, n. 5/1998.
6 Per una visione di insieme, si rinvia a Barbero, La territorializzazione del Patto di stabilità interno, in Rivista di diritto finanziario e scienza delle finanze, 2010.
7 Cfr, al riguardo, IFEL, Economia e Finanza Locale, 2009, passim ma soprattutto pag. 59 e seguenti.
8 Barbero, Un Patto di stabilità interno su scala regionale? L’esperienza delle Regioni a Statuto speciale (e delle Province autonome), in “www.federalismi.it”, 2004, n. 12.
9 Per una ricognizione comparatistica sul tema cfr Patrizi– Rapallini – Zito, I “Patti” di stabilità interni, (in questa Rivista, 2006, vol. 65, fasc. 1, pag. 156-189.
10 Sul punto, si rimanda a Lobascio-Barbero, Verso un Patto di stabilità interno “territorializzato”: l’esperienza della Regione Piemonte, “AISRe, Atti della XXXII Conferenza Scientifica Annuale, Torino, 2011.
11 Cfr IFEL (2011), che peraltro, un po’ contraddittoriamente, sembra indicare la possibilità di attribuire tale ruolo al Mef o ad un “coordinamento con Comuni capofila”.
12 Ibidem.
13 Si veda l’art. 17, comma 1, lett. c).
14 In particolare, all’art. 13, comma, lett. g) in materia di fondi perequativi.
15 Per le Regioni, l’obbligo del pareggio di bilancio è stato anticipato al 2015 dalla legge n. 190/2014.
16 Per il 2015, invece, si applicheranno regole simili a quelle degli anni scorsi in precedenza descritte. Ogni Regione potrà consentire agli enti locali di aumentare i propri pagamenti in conto capitale purché sia garantito l’obiettivo del pareggio complessivo a livello regionale. Comuni, città metropolitane e province avranno due finestre temporali per evidenziare ai governatori i loro fabbisogni: entro il 15 aprile (con riparto da disporre entro il 30 aprile) ed entro il 15 settembre (riparto entro il 30 settembre). Come accennato, inoltre, è stato rifinanziato anche il PSI verticale incentivato, con l’obbligo (difficilmente comprensibile) di vincolare le relative quote ai debiti commerciali in essere al 30 giugno 2014.