Corte dei Conti e giudizio di parificazione del rendiconto generale della Regione: alcuni principi

Luca Geninatti Satè[1]

Sommario:

1. Premessa – 2. Oggetto e parametri del giudizio di parifica regionale – 3. Il giudizio di parificazione del rendiconto come strumento di garanzia – 4. Sul principio di continuità della gestione – 5 Spesa sanitaria, eventi straordinari e autonomia delle sfere distributive – 6. Sui principi contabili in materia di rappresentazione degli equilibri di bilancio

1. Premessa

La Corte dei Conti, Sezione Regionale di Controllo per il Piemonte, con la decisione n. 101/2022/SRCPIE/PARI, resa all’udienza del 27 luglio 2022, ha reso la propria delibera nel giudizio di parificazione del rendiconto generale della Regione Piemonte per l’esercizio 2021.

La decisione si sostanzia in un poderoso e articolato documento, suddiviso in tre volumi (per un totale di oltre milletrecento pagine); ad essa si aggiungono la “Memoria” del Procuratore Generale (ulteriori centotrentasei pagine) e la “Sintesi” della Presidente (che compendia in ottanta pagine i tratti salienti del giudizio).

L’ampissimo testo che ne risulta restituisce un quadro complesso, analizzato con puntuale dettaglio e rappresentativo della gestione finanziaria e contabile condotta dalla Regione Piemonte nell’esercizio 2021; questo quadro comprende tutti i principali settori in cui l’azione pubblica e amministrativa della Regione si è sviluppata: la gestione finanziaria, l’indebitamento, il patrimonio, il sistema dei controlli, il personale, la gestione dei fondi comunitari, il trasporto pubblico locale, la razionalizzazione delle società partecipate e infine, approfonditamente trattata nell’intero volume terzo, la gestione della spesa sanitaria.

La ricchezza di informazioni, dati, analisi e considerazioni presenti nella decisione non consente, evidentemente, una sintesi – nemmeno parziale – dei contenuti del giudizio, i cui aspetti principali, come detto, sono peraltro stati riassunti nella menzionata “Sintesi” della Presidente (testo che non può essere ulteriormente scomposto in più minuti riepiloghi).

In questo senso, non è possibile dare conto, in questo scritto, di elementi pur grandemente significativi rispetto all’attività della Regione Piemonte in ambiti di massimo rilievo per l’istituzione e per la collettività (come, per esempio: (i) il fatto che la Regione Piemonte, a confronto con le 13 Regioni più sviluppate, si ponga sopra la soglia derivante dal dato aggregato sia per capacità di impegno delle risorse comunitarie, sia per capacità di spesa; (ii) gli investimenti in materia di monitoraggio e miglioramento della qualità dei servizi di trasporto pubblico locale; (iii) la razionalizzazione delle società partecipate; (iv) la complessa gestione della spesa sanitaria e delle articolate riorganizzazioni imposte dall’emergenza pandemica).

E’ invece utile mettere in evidenza alcuni principi che emergono dalla decisione, sia sul versante del significato e delle implicazioni che il giudizio di rendiconto assume come strumento di garanzia, sia in ordine alla funzione ordinamentale rivestita da alcuni istituti (solitamente confinati invece nelle tecnicalità contabili) quali (a) il principio di continuità della gestione, (b) l’assestamento di bilancio e (c) la corretta rappresentazione degli equilibri di bilancio.

2. Oggetto e parametri del giudizio di parifica regionale

Il giudizio di parifica regionale è ritenuto dalla giurisprudenza contabile[2] finalizzato “rafforzare il coordinamento della finanza pubblica, in particolare tra i livelli di governo statale e regionale, e di garantire il rispetto dei vincoli finanziari derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea” (art. 1, co. 1 e co. 5, del d.l. n. 174/2012), obiettivo perseguito mediante l’attribuzione alla Corte dei Conti di “(..) strumenti efficaci di sindacato sul rispetto del vincolo gravante sul complesso dei conti pubblici, dalla cui sommatoria dipendono i risultati suscettibili di comparazione per verificare il conseguimento degli obiettivi programmati[3].

Questo giudizio costituisce pertanto attuazione dei principi dei principi costituzionali contenuti negli artt. 81, 97, 100 e 119 Cost.: esso ha per oggetto il raffrontare “i fatti e gli atti dei quali deve giudicare alle leggi che li concernono (sentenza n. 226 del 1976) […], risolvendosi nel valutare la conformità degli atti che ne formano oggetto alle norme del diritto oggettivo[4].

In questo senso, secondo la Corte dei Conti, “oggetto del giudizio di parificazione è la legalità del rendiconto generale dell’esercizio e, quindi, del correlato risultato di amministrazione che ne rappresenta, in sintesi, l’epilogo[5].

In ragione della natura accertativa del giudizio, i dati contabili rappresentati nel rendiconto sono scrutinati rispetto ai parametri costituzionali e alle norme dell’ordinamento giuridico-contabile vigenti nell’esercizio analizzato[6].

Ne deriva che i principi di “corretta rappresentazione degli equilibri di bilancio” (su cui si rinvia al successivo paragrafo 6.) non costituiscono parametri diretti del giudizio, ma canoni strumentali al suo esercizio, perché impongono che i dati contabili, oggetto di esame della Corte, siano rappresentati corrispondentemente alle regole in materia di armonizzazione dei bilanci, al fine – di qui la natura strumentale – di consentire il corretto esercizio della funzione scrutinante della Corte.

3. Il giudizio di parificazione del rendiconto come strumento di garanzia

La funzione del giudizio di parificazione va ricercata nel significato del principio di equilibrio di bilancio[7]: l’art. 3 della l. 24 dicembre 2012, n. 243, attuativa dell’art. 81 Cost., nella parte in cui prevede che “le amministrazioni pubbliche concorrono ad assicurare l’equilibrio dei bilanci ai sensi dell’articolo 97, primo comma, della Costituzione” e che “l’equilibrio dei bilanci corrisponde all’obiettivo di medio termine”, viene interpretato come espressione del principio dell’equilibrio tendenziale del bilancio, il quale consiste “nella continua ricerca di un armonico e simmetrico bilanciamento tra risorse disponibili e spese necessarie per il perseguimento delle finalità pubbliche”[8].

Per le Regioni, l’equilibrio del bilancio si realizza, ai sensi dell’art. 9 della l. n. 243/2012 quando, “sia nella fase di previsione che di rendiconto, conseguono un saldo non negativo, in termini di competenza, tra le entrate finali e le spese finali, come eventualmente modificato ai sensi dell’articolo 10”.

Secondo l’orientamento adottato dalla giurisprudenza della Corte dei Conti, quest’ultima norma comporta “l’accentuarsi del carattere strumentale dell’equilibrio di bilancio che le amministrazioni pubbliche, territoriali e non, devono conseguire in riferimento a obiettivi comunitari, ai cui fini non è sufficiente il pareggio finanziario complessivo del singolo ente, ma occorre l’ottenimento anche di ulteriori equilibri, appunto funzionali, sia in ragione della loro genesi che del loro contenuto, come ricordato anche dalla Sezione remittente, al perseguimento degli obiettivi di stabilità economica del settore pubblico” [9].

Il principio di equilibrio, comportando il contenimento del disavanzo e, nel caso quest’ultimo si manifesti, l’obbligo di provvedere al suo ripiano, è quindi volto a garantire la corretta gestione delle risorse pubbliche: si è osservato, al riguardo, che “il bilancio è un sistema di informazioni, espresso tramite dati sintetici (i saldi) la cui grammatica è stabilita dalla legge (art. 81, c. 6, Cost.) e dalla Costituzione (nella quale l’equilibrio è una “clausola generale” che può operare anche senza interposizione legislativa, cfr. Corte cost. n. 192/2012, n. 26/2013, n. 184/2016 e n. 274/2017). Tale informazione è vera/falsa, legittima/illegittima, nella continuità degli esercizi finanziari, a prescindere dal modo in cui le istituzioni repubblicane (art. 114 Cost.) ed i loro organi ne danno atto con le forme tipiche della loro funzione, nel caso delle regioni, in forma di legge”[10].

La redazione del bilancio assume quindi una funzione di garanzia del corretto esercizio del potere pubblico (e quindi di criterio per la verifica della corrispondenza fra tale esercizio e le finalità cui esso è preordinato in ragione della legittimazione democratica che sta alla base dell’attribuzione del potere stesso) perché esso è rivolto alla “specificazione delle procedure e dei progetti in cui prende corpo l’attuazione del programma che ha concorso a far ottenere l’investitura democratica e le modalità di rendicontazione di quanto realizzato”[11].

La redazione del bilancio diviene in questo modo la manifestazione della rendicontazione, intesa come lo strumento funzionale “a sintetizzare e rendere certe le scelte dell’ente territoriale in ordine all’acquisizione sia delle entrate, sia alla individuazione degli interventi attuativi delle politiche pubbliche, onere inderogabile per chi è chiamato ad amministrare una determinata collettività ed a sottoporsi al giudizio finale afferente al confronto tra il programmato ed il realizzato”[12].

La funzione di garanzia della rendicontazione si fonda, dunque, sul principio dell’equilibrio di bilancio perché questo principio “non corrisponde ad un formale pareggio contabile, essendo intrinsecamente collegato alla continua ricerca di una stabilità economica di media e lunga durata, nell’ambito della quale la responsabilità politica del mandato elettorale si esercita, non solo attraverso il rendiconto del realizzato, ma anche in relazione al consumo delle risorse impiegate”[13].

In questo contesto, la funzione di parificazione del bilancio regionale, prevista dall’art. 1, comma 5 del d.l. 10 ottobre 2012, n. 174, convertito dalla l. 7 dicembre 2012, n. 213, viene individuata “nel contribuire al rafforzamento del coordinamento della finanza pubblica, in particolare tra i livelli di governo statale e regionale, al fine di garantire il rispetto dei vincoli finanziari derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea”[14].

La natura essenzialmente contabile di questo giudizio, che lo ha caratterizzato sin dall’originaria introduzione in epoca preunitaria[15], si è quindi arricchita per effetto della revisione costituzionale dell’art. 81, attraverso la quale alla funzione di controllo si è aggiunta quella di garanzia[16]: la parifica diviene “uno strumento capace di garantire l’accertamento del rispetto degli equilibri di bilancio in una prospettiva dinamica, vale a dire nel passaggio tra i diversi esercizi finanziari per assicurare il principio di continuità dei conti”[17].

In questo senso, il giudizio di parificazione va inteso “quale adempimento essenziale in relazione alla responsabilità nei confronti degli elettori e degli altri portatori di interessi”[18], perché la rendicontazione costituisce “presupposto fondamentale del circuito democratico rappresentativo”, in quanto assicura “ai membri della collettività la cognizione delle modalità [di impiego delle risorse e [de]i risultati conseguiti da chi è titolare del mandato elettorale] (sent. n. 184/2016)”[19].

La funzione del giudizio di parificazione del rendiconto ne orienta l’oggetto, che la giurisprudenza costituzionale[20] ha individuato nelle seguenti: a) il risultato di amministrazione, rappresentativo della situazione economico-finanziaria al termine dell’esercizio in modo comparabile a quella dell’anno precedente ed a quella che sarà determinata per l’esercizio successivo; b) il risultato della gestione annuale, con cui si evidenzia l’andamento della gestione annuale integralmente imputabile agli amministratori in carica; c) lo stato dell’indebitamento e delle eventuali passività dell’ente applicate agli esercizi futuri che è un dato indicativo delle politiche di investimento regionale e del rispetto dei limiti e delle condizioni che ne ammettono, ai sensi degli artt. 97 e 119 Cost., il ricorso.

In questa prospettiva, la “Memoria” del Procuratore Regionale individua la funzione del giudizio di parificazione nella finalità di “assicurare il rispetto dell’equilibrio di bilancio e l’estensione delle compatibilità finanziarie anche alle autonomie territoriali”[21].

E la concezione del giudizio di parifica come strumento di garanzia viene sottolineata, nella decisione della Corte dei Conti, attraverso il richiamo della giurisprudenza costituzionale secondo la quale “le sfere di competenza della Regione e della Corte dei conti si presentano distinte e non confliggenti. Infatti, l’una consiste nel controllo politico da parte dell’assemblea legislativa delle scelte finanziarie dell’esecutivo, illustrate nel rendiconto, l’altra nel controllo di legittimità/regolarità (validazione) del risultato di amministrazione e cioè delle risultanze contabili della gestione finanziaria e patrimoniale dell’ente su cui si basa il rendiconto, alla luce dei principi costituzionali di stabilità finanziaria”[22], e quest’ultimo controllo, riservato al giudice contabile, concorre alla funzione di “garanzia della legalità nell’utilizzo delle risorse pubbliche”.

4. Sul principio di continuità della gestione

La delibera di parificazione rimarca in più punti il rilievo che assume, nella rendicontazione, il principio di continuità della gestione, principio che viene sottolineato anche dal Procuratore Regionale.

La Corte configura il principio di continuità valorizzandone la componente che impone “il ripiano dei disavanzi accumulati nel tempo dagli enti”[23].

In questo senso, nell’impostazione della Corte, il principio di continuità va inteso come espressivo dell’esigenza di “continuità della gestione con gli esercizi precedenti”, dal che deriva una duplice conseguenza, l’una politica e l’altra contabile: (i) la prima è che l’ente territoriale deve adottare politiche pubbliche che tengano conto dell’indebitamento pregresso e che sia volte al suo progressivo ripiano, mentre (ii) la seconda è che queste scelte di politica gestionale e finanziaria devono trasparire nella rendicontazione.

Sotto questo profilo, la Corte mostra di concepire il principio di continuità della gestione come correlato a quello di annualità, dovendosi perseguire politiche gestionali (e quindi scelte contabili) volte a ripianare l’indebitamento nell’esercizio successivo.

A questo riguardo, la Corte richiama “il carattere del tutto straordinario delle previsioni di termini più lunghi per il ripiano del disavanzo”[24], e ciò in quanto “i canoni costituzionali afferenti alla sana gestione finanziaria, alla responsabilità di mandato ed all’equità intergenerazionale impongono che i disavanzi emergenti dai singoli esercizi siano ripianati con immediatezza nell’esercizio successivo e comunque non oltre il termine della consiliatura regionale (art. 42, c. 12, del D.Lgs. n. 118 del 2011)”[25].

Il principio di continuità della gestione (come inteso dalla Corte dei Conti rispetto alle politiche pubbliche e alle scelte contabili degli enti territoriali) presenta quindi una struttura articolata, schematizzabile nella seguente:

  1. da un lato, il principio di continuità si fonda sul (o potremmo dire: è un corollario del) principio dell’annualità, sancito dal d.lg. 23 giugno 2011, n. 118 (il decreto che detta le disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali): in attuazione del principio dell’annualità, “i documenti del sistema di bilancio, sia di previsione sia di rendicontazione, sono predisposti con cadenza annuale e si riferiscono a distinti periodi di gestione coincidenti con l’anno solare. Nella predisposizione dei documenti di bilancio, le previsioni di ciascun esercizio sono elaborate sulla base di una programmazione di medio periodo, con un orizzonte temporale almeno triennale”; letteralmente, dunque, questo principio non impone il ripianamento annuale dei disavanzi, ma questo precetto – intende la Corte – discende alla funzione di garanzia del rendiconto (esaminata nel paragrafo precedente), perché se i documenti di bilancio sono predisposti con cadenza annuale, e se tali documenti devono dare conto del corretto impiego delle risorse pubbliche, poiché tale corretto impiego si sostanzia anche nel ripianare l’indebitamento, allora il ripiano deve a sua volta perseguire una logica annuale;
  2. dall’altro lato, il principio di continuità della gestione richiede che le politiche pubbliche siano ispirate dall’esigenza di ripianare (tempestivamente) i disavanzi perché l’indebitamento ostacola gli investimenti successivi (oltre a rendere gravoso il sostenimento delle spese correnti): in questo senso, il principio della continuità si sdoppia (a) nella regola per cui le politiche pubbliche devono necessariamente contemplare il passato, evitando scelte che prescindano dal preliminare ripiano dei disavanzi, e (b) nella regola per cui le stesse politiche devono guardare al futuro, alla prosecuzione dell’azione pubblica e alle linee lungo le quali essa si svolgerà, sia per includere nella pianificazione gestionale il ripiano del debito pregresso, sia per definire gli investimenti futuri con la consapevolezza che essi inevitabilmente risentono del necessario ripiano dei disavanzi.

Le due anime del principio di continuità potrebbero, in effetti, risultare confliggenti: la necessità di programmare gli investimenti tenendo previamente conto del doveroso ripiano dei disavanzi (la seconda, quindi, delle componenti ora descritte) potrebbe anche generare scelte politiche, e gestionali, maggiormente favorevoli a una distribuzione del ripiano stesso su molteplici esercizi successivi, laddove l’esigenza di un ripiano compiuto “con immediatezza nell’esercizio successivo” (la prima delle due componenti del principio) può invece condizionare le politiche pubbliche (specie al principio di una consiliatura regionale) nella strutturazione degli investimenti secondo una logica meno proiettata sull’investimento e maggiormente concentrata sul ripiano).

La Corte mostra di valorizzare la prima componente del principio, perché allorché richiama la Regione a un rigoroso rispetto del “principio di continuità” intende in realtà sottolineare il fatto che “l’eccessivo protrarsi dei tempi del ripiano del deficit finirebbe per confliggere con il principio di equità intergenerazionale, visto che si sposterebbe sulle generazioni successive il peso finanziario di gestioni prive di copertura, senza alcun beneficio dipendente dall’indebitamento a lungo termine, oltre ad innescare ritardi preoccupanti nei pagamenti alle imprese”[26].

Questo nesso (fra il principio dell’annualità e quello della continuità) poggia, come si è detto, su di una interpretazione magis ut valeat del principio del pareggio di bilancio: il principio di continuità è infatti inteso dalla magistratura contabile come “uno dei parametri teleologicamente collegati al principio dell’equilibrio pluriennale del bilancio di cui all’art. 81 Cost.”[27], e questa interpretazione sistematica del principio conduce a individuare il suo contenuto precettivo nel fatto che esso “esige che ogni rendiconto sia geneticamente collegato alle risultanze dell’esercizio precedente, dalle quali prende le mosse per la determinazione delle proprie”[28].

Il principio di continuità, inteso come canone per la formazione delle politiche pubbliche, diventa così anche regola contabile, ossia principio che stabilisce norme per la formazione del bilancio e del rendiconto.

In questo senso, il principio di continuità del bilancio viene inteso come una vera e propria “specificazione del princpio dell’equilibrio tendenziale contenuto nell’art. 81 della Cost.”[29], e ciò in quanto “collega gli esercizi sopravvenienti nel tempo in modo ordinato e concatenato”[30].

La natura, così ricostruita dalla Corte, del principio di continuità si riflette sulla funzione di garanzia del giudizio di parifica, che diventa lo strumento “capace di garantire l’accertamento del rispetto degli equilibri di bilancio in una prospettiva dinamica, vale a dire nel passaggio tra i diversi esercizi finanziari per assicurare il principio di continuità dei conti”[31]: con questo argomento vengono saldate le due componenti del principio, in ragione de fatto che “ogni determinazione infedele del risultato di amministrazione” “si riverbera a cascata sugli esercizi successivi”[32], incidendo sulle politiche d’investimento e sull’equilibrio contabile e di bilancio.

Questa ricostruzione dimostra che il principio di continuità della gestione assume, nella contabilità pubblica, un profilo più articolato rispetto a quello emergente dalle norme del diritto societario (comune).

Com’è noto, l’articolo 2423-bis, comma 1, n. 1 del Codice Civile stabilisce tale principio sancendo che “(n)ella redazione del bilancio devono essere osservati i seguenti princìpi: 1) la valutazione delle voci deve essere fatta (…) nella prospettiva della continuazione dell’attività”.

Questa previsione, che trova origine nell’articolo 31, paragrafo 1, lettera a), della Direttiva 78/660/CEE (c.d. Quarta Direttiva), comporta che “il bilancio deve esprimere valori di funzionamento, cioè valori ottenuti applicando criteri coerenti con la finalità di rilevare l’utilità che i beni possono fornire all’impresa”[33]. Viene messa in luce, così, la differenza tra il bilancio di esercizio, dal quale emerge il valore d’uso dei beni, e quello di liquidazione, finalizzato ad indicare il valore di cessione del patrimonio aziendale e dei singoli cespiti che lo compongono.

La dottrina interpreta generalmente questa norma come fonte dell’onere, per l’organo amministrativo, di effettuare una valutazione circa la sussistenza del presupposto della continuazione dell’attività quantomeno nel momento in cui si procede alla predisposizione del progetto di bilancio d’esercizio[34].

Nella contabilità pubblica il principio di continuità comporta, in senso parzialmente differente, che la valutazione delle poste contabili di bilancio sia svolta nella prospettiva della continuazione delle attività istituzionali per le quali l’amministrazione pubblica è costituita.

In questo senso, la portata tecnico-contabile del principio di continuità (in forza della quale “le valutazioni contabili finanziarie, economiche e patrimoniali del sistema di bilancio devono rispondere al requisito di essere fondate su criteri tecnici e di stima che abbiano la possibilità di continuare ad essere validi nel tempo, se le condizioni gestionali non saranno tali da evidenziare chiari e significativi cambiamenti”, come previsto nel d.lg. n. 118/2011) comporta altresì che, al fine di garantire equilibri economico – finanziari che siano salvaguardati e perdurino nel tempo, i dati contabili devono essere rilevati e rappresentati con correttezza nelle situazioni contabili di chiusura e di riapertura dei conti e in tutti i documenti contabili.

Nell’ambito della contabilità pubblica, quindi, il principio della continuità si amplia rispetto al canone della “going concern”: non soltanto perché, nel diritto comune, quest’ultimo principio “si pone in un ruolo subordinato rispetto al principio della prudenza, non tanto in forza dell’ordine espositivo con il quale il legislatore ha presentato i due principi, quanto in relazione al fatto che ambedue attengono in sostanza al novero dei principi generali che presiedono alle valutazioni ed allora il principio della prudenza, nei sistemi dei Paesi di civil law, assume un ruolo dominante rispetto al principio della durabilità la cui valutazione deve essere “prudente” ed a quello della competenza economica, che la dottrina internazionale coniuga frequentemente con il principio della prudenza”[35]; ma soprattutto perché il principio della continuità si unisce, in ambito pubblico, a quello della costanza, che risponde alla logica di rappresentare nel sistema di bilancio, mediante i diversi valori contabili di tipo finanziario, economico e patrimoniale, la coerenza, la chiarezza e la significatività delle scelte di programmazione, della gestione e delle risultanze finali di esercizio.

La natura complessa del principio di continuità gestionale, e le peculiarità che lo caratterizzano nella contabilità degli enti territoriali, vengono quindi ricondotte a unità nella descritta impostazione della Corte dei Conti, che impernia attorno a questo principio uno dei principali canoni che guidano, oltre che la redazione del rendiconto, la definizione delle stesse politiche pubbliche e delle scelte di gestione contabile e finanziaria dell’ente.

5. Spesa sanitaria, eventi straordinari e autonomia delle sfere distributive

Nella delibera di parificazione la Sezione regionale di controllo ha dedicato un’ampia analisi alla spesa sanitaria (che occupa l’intero volume III, monografico rispetto al tema), esaminando in particolare i flussi finanziari delle risorse provenienti dal Governo e destinate a contrastare l’epidemia, esaminando la rappresentazione nel bilancio della Regione, l’evoluzione della spesa, nonché le relazioni finanziarie fra il bilancio regionale e quello delle aziende sanitarie.

Dall’analisi la Corte rileva un “continuo e progressivo incremento della spesa sanitaria”[36], a fronte del quale “si registra un pari andamento delle entrate”[37].

L’andamento della spesa viene però confrontato dalla Corte con la natura degli interventi, sia con riferimento agli investimenti, sia rispetto alla spesa corrente.

In questo senso, la Corte richiama in primo luogo l’esigenza di rispettare i tempi di realizzazione degli interventi di adeguamento dei presidi sanitari (e in particolare dei “pronto soccorso”) ai fini di dotarli dei posti aggiuntivi di terapia intensiva.

In secondo luogo, la Corte, riferendosi alle risorse previste dal d.l. n. 104/2020, conv. nella l. n. 126/2020, per il recupero dei ricoveri ospedalieri che non si sono potuti assicurare durante l’emergenza epidemiologica COVID-19 e per le prestazioni di specialistica ambulatoriale e di screening non erogate, se da un lato riconosce “un continuo monitoraggio da parte della Regione”, riscontra che “dai dati trasmessi l’obiettivo del recupero delle liste di attesa non appare ancora pienamente raggiunto”[38].

Sul punto, la delibera richiama il principio della natura strumentale del finanziamento delle prestazioni sanitarie rispetto alla garanzia di effettività del diritto alla salute, menzionando la giurisprudenza della Corte costituzionale secondo la quale “l’effettività del diritto alla salute è assicurata dal finanziamento e dalla corretta ed efficace erogazione della prestazione, di guisa che il finanziamento stesso costituisce condizione necessaria ma non sufficiente del corretto adempimento del precetto costituzionale”[39].

Questo principio (che costituisce esito di una rilettura valorizzatrice dell’assunto in forza del quale, una volta normativamente identificato, il nucleo invalicabile di garanzie minime per rendere effettivo un diritto sociale non può essere finanziariamente condizionato in termini assoluti e generali[40]) comporta che se, per un verso, il corretto finanziamento degli interventi a favore dell’attuazione di un diritto sociale è condizione necessaria per garantire il rispetto delle norme costituzionali che lo stabiliscono, per altro verso è l’attuazione materiale del servizio che sola può assicurare il soddisfacimento del diritto alla prestazione.

In questa prospettiva, mentre spetta al legislatore statale definire i livelli essenziali di assistenza e l’ammontare delle risorse economiche necessarie al relativo finanziamento, spetta alle Regioni “il compito di organizzare sul territorio il rispettivo servizio e garantire l’erogazione delle prestazioni nel rispetto degli standard costituzionalmente conformi”[41].

Accanto a questo principio, la delibera della Corte sembra evocare (pur non richiamandolo esplicitamente) la nota impostazione di Walzer sull’eguaglianza “complessa” e sulla correlata autonomia delle sfere distributive[42].

Come infatti, per Walzer, la giustizia distributiva, anziché perseguire una eguaglianza “semplice”, attraverso la fornitura a tutti di una uguale quantità del “bene dominante”, deve tentare di realizzare l’eguaglianza “complessa”, avendo cura che nessun bene divenga dominante (il che equivale a richiedere che venga salvaguardata l’autonomia delle sfere), così per la Corte “la programmazione degli interventi in edilizia sanitaria non può prescindere da considerare fenomeni come quello pandemico che ha caratterizzato gli ultimi due anni e che ha richiesto una nuova integrazione tra la rete ospedaliera e quella territoriale”[43].

Pertanto, le sfere distributive (a) dell’erogazione di prestazioni sanitarie in condizioni “ordinarie” e (b) della garanzia di un servizio sanitario adeguato a fronteggiare gli eventi straordinari devono rimanere autonome, nel senso che l’appropriata attuazione di misure eccezionali non può giustificare inefficienze sul piano della gestione quotidiana degli interventi e dei ricoveri, così come l’organizzazione delle infrastrutture sanitarie non può limitarsi ad assumere come criteri di pianificazione la domanda di servizi sanitari tradizionali, dovendo confrontarsi con le esigenze rappresentante da fenomeni eccezionali come quelli derivanti dalla pandemia.

L’autonomia di queste sfere diventa, quindi, il presupposto teorico-giuridico per la garanzia del diritto alla salute (atteso che “il servizio sanitario e ospedaliero in ambito locale è, in alcuni casi, l’unico strumento utilizzabile per assicurare il fondamentale diritto alla salute”), e, attraverso l’implicito riferimento della Corte dei Conti a questo principio, esso diviene anche criterio per la verifica della correttezza delle politiche pubbliche per il tramite dell’analisi contabile della spesa sanitaria.

6. Sui principi contabili in materia di rappresentazione degli equilibri di bilancio

La corretta rappresentazione degli equilibri di bilancio costituisce uno dei principi della armonizzazione dei bilanci, introdotta a partire dal d.lg. n. 118/2011 con la finalità di rendere i bilanci pubblici omogenei e, perciò, aggregabili e confrontabili.

Secondo la giurisprudenza costituzionale, l’armonizzazione ha assunto gradualmente una sua fisionomia più ampia, collocandosi “contemporaneamente in posizione autonoma e strumentale rispetto al coordinamento della finanza pubblica: infatti, la finanza pubblica non può essere coordinata se i bilanci delle amministrazioni non hanno la stessa struttura e se il percorso di programmazione e previsione non è temporalmente armonizzato con quello dello Stato”[44].

La rilevanza degli equilibri di bilancio era peraltro già stata evidenziata dalla Corte affermando che “la salvaguardia degli equilibri di bilancio ex art. 81, quarto comma, Cost. (parametro invocato) risulta inscindibilmente connessa al coordinamento della finanza pubblica perché, da un lato, i richiesti elementi, di carattere non solo finanziario ma anche economico (valore del contratto nel suo complesso), costituiscono indefettibili informazioni al fine della definizione dell’indebitamento pubblico in ambito nazionale”[45].

In quest’ultima prospettiva, gli equilibri di bilancio assumevano rilievo come “rappresentazione finalizzata al governo della dinamica del debito”[46].

Invece, nell’impostazione più recente (sviluppatasi a partire dal d.lg. n. 118/2011 e dal D.M. 1° agosto 2019) la rappresentazione degli equilibri di bilancio assume la funzione di garantire la trasparente dimostrazione della capacità dell’ente “di garantire, a consuntivo, la copertura integrale degli impegni, del ripiano del disavanzo, dei vincoli di destinazione e degli accantonamenti di bilancio”[47].

Questa impostazione valorizza il rafforzamento del carattere “procedurale” della democraticità del bilancio, nel senso che “se il bilancio è il prodotto di scelte che esprimono l’indirizzo politico-amministrativo fondamentale di una comunità, allora, esso è anche lo strumento principale tramite cui tal scelte possono e devono essere giudicate. Infatti, la principale espressione esegetica di tali novità è proprio la notoria giurisprudenza sul carattere “pubblico” della contabilità (C. cost. sent. n. 157/2020) e della sua necessaria declinazione in termini di accountabilty (c.d. contabilità di mandato)”[48].

Il principio che ne emerge si correla, dunque, alla funzione del giudizio di rendiconto come strumento per verificare l’effettivo pareggio di bilancio e, di qui, per garantire un esercizio della potestà normativa, e uno svolgimento delle funzioni amministrative, coerenti con le finalità sottese al principio costituzionale dell’equilibrio di bilancio.

La corretta rappresentazione degli equilibri svolge, quindi, non soltanto una funzione tecnico-contabile, né un ruolo meramente ancillare al principio di veridicità (pur costituendo, quest’ultimo, necessario presupposto del carattere effettivo del controllo): essa diviene espressione di un principio che impone, in sede di rendiconto, la trasparente e controllabile dimostrazione della sostenibilità finanziaria delle decisioni pubbliche, sostenibilità che non rimane un dato puramente contabile, ma che si correla alla sostenibilità come elemento che fonda la garanzia dei diritti[49].

D’altra parte, per la Corte costituzionale l’art. 81, comma 4 Cost. contiene, insieme con il principio di copertura finanziaria, anche il principio della tutela degli equilibri di bilancio[50], e dunque la corretta rappresentazione di questi equilibri costituisce una regola espressione di un principio che non resta circoscritto ai precetti contabili, ma è strumentale al controllo di democraticità delle decisioni.

Ed è quindi in questa cornice che la Corte dei Conti, nel giudizio di parificazione, evidenziare “l’esigenza che, per il futuro, la Regione si attenga in termini maggiormente rigorosi alla corretta applicazione dei principi contabili in materia di rappresentazione degli equilibri di bilancio, considerata l’importanza e la delicatezza di tale dato contabile nell’ambito della contabilità armonizzata”[51], confermando la peculiare funzione di garanzia che caratterizza (perché fondata sull’art. 81 Cost.) la natura stessa di tale giudizio.

  1. Professore associato di Istituzioni di Diritto Pubblico nell’Università del Piemonte Orientale.
  2. Corte dei Conti, Sez. Giur. Riun. in speciale composizione, n. 7/2022/DELC.
  3. Corte cost., 10 marzo 2014, n. 40.
  4. Corte cost., 21 dicembre 2021, n. 247; 7 dicembre 2021, n. 235; 15 novembre 2021, n. 215; 27 aprile 2017, n. 89.
  5. Corte dei Conti, Sez. Giur. Riun. in speciale composizione, n. 7/2022/DELC.
  6. In argomento.
  7. In argomento, ex multis: V. Lippolis – N. Lupo – G. M. Salerno – G. Scaccia (a cura di), Costituzione e pareggio di bilancio, Napoli, 2012; M. Luciani, Costituzione, bilancio, diritti e doveri dei cittadini, in “ASTRID”, marzo 2013; A. Morrone, Pareggio di bilancio e Stato costituzionale, in “Rivista AIC”, n. 1/2014.
  8. Corte cost., 11 gennaio 2017, n. 6; 25 ottobre 2013, n. 250.
  9. Corte dei Conti, Sez. Riun. Contr., n. 20/SSRRCO/QMIG/2019.
  10. Corte dei Conti, Sez. Reg. Contr. Abruzzo, n. 76/2022.
  11. Corte cost., 21 giugno 2016, n. 184.
  12. Ibidem.
  13. Corte cost., 14 febbraio 2019, n. 18.
  14. W. Giulietti – F. Politi, Equilibrio di bilancio delle regioni e funzione di garanzia del giudizio di parificazione, in “Rivista della Corte dei Conti”, n. 3/2022, p. 116.
  15. In argomento, L. D’Ambrosio, La parifica dei rendiconti regionali: certezza dei saldi, in “Rivista della Corte dei Conti”, n. 4/2022, p. 194.
  16. Cfr. G. Rivosecchi, Il giudizio di parificazione dei rendiconti e l’accesso alla giustizia costituzionale, in G. Colombini (a cura di), Scritti in onore di Aldo Carosi, Napoli, 2021.
  17. W. Giulietti – F. Politi, Equilibrio di bilancio delle regioni e funzione di garanzia del giudizio di parificazione, cit., p. 116; v. anche R. Scalia, Il giudizio di parificazione del rendiconto generale dell’ente regione. Punti di vista, interpretazioni, orientamenti in fase di consolidamento, in “Amministrazione e contabilità dello Stato e degli enti pubblici”, 2018.
  18. Corte cost., 22 luglio 2022, n. 184; in termini, Corte cost., 21 dicembre 2021, n. 246
  19. Ibidem.
  20. Corte cost., 5 marzo 2018, n. 49.
  21. Giudizio di parificazione del rendiconto generale della Regione Piemonte 2021, Memoria del Procuratore Regionale all’udienza del 27 luglio 2022, p. 1.
  22. Corte cost., 22 luglio 2022, n. 184.
  23. Corte dei Conti, Sez. Reg. Contr. Piemonte, n. 101/2020 – “Relazione”, vol. I, p. 10.
  24. Ibidem.
  25. Corte cost., 7 dicembre 2021, n. 235.
  26. Corte dei Conti, Sez. Reg. Contr. Piemonte, n. 101/2020 – “Relazione”, vol. I, p. 11.
  27. Giudizio di parificazione del rendiconto generale della Regione Piemonte 2021, Memoria del Procuratore Regionale all’udienza del 27 luglio 2022, p. 5.
  28. Ibidem.
  29. Ibidem.
  30. Corte cost., 23 luglio 2015, n. 181.
  31. Giudizio di parificazione del rendiconto generale della Regione Piemonte 2021, Memoria del Procuratore Regionale all’udienza del 27 luglio 2022, p. 2.
  32. Corte cost., 20 dicembre 2017, n. 274.
  33. D. Mari, Perdita di continuità aziendale e impossibilità di conseguimento dell’oggetto sociale: i doveri dell’organo gestorio, in “Rivista del Notariato”., fasc. 3, 2014, p. 487 ss.; in argomento, R. Rordof, La continuità aziendale tra disciplina di bilancio e diritto della crisi, in “Società”, 2015, n. 8-9.
  34. In argomento, F. Pontani, La clausola generale ed i principi di redazione del bilancio di esercizio, Padova, 2005; Aa.Vv., Il rischio di continuità aziendale nel bilancio IAS e in quello OIC, Quaderno n. 47, Ordine Dottori Commercialisti di Milano, Scuola di Alta Formazione.
  35. F. Pontani, La clausola generale ed i principi di redazione del bilancio di esercizio, cit., p. 312.
  36. Corte dei Conti, Sez. Reg. Contr. Piemonte, n. 101/2020 – “Relazione”, vol. III, p. 44.
  37. Ibidem.
  38. Ivi, p. 231.
  39. Corte cost., 10 aprile 2020, n. 62.
  40. Su cui Corte cost., 16 dicembre 2016, n. 275.
  41. Corte cost., sent. n. 62/2020, cit..
  42. W. Walzer, Sfere di giustizia, tr. it. Roma-Bari, 2008. In argomento, per tutti, T. Casadei, Il sovversivismo dell’immanenza. Diritto, morale, politica in Michael Walzer, Milano, 2012.
  43. Corte dei Conti, Sez. Reg. Contr. Piemonte, n. 101/2020 – “Relazione”, vol. III, p. 235.
  44. Corte cost., 20 luglio 2016, n. 184.
  45. Corte cost., 28 marzo 2012, n. 70.
  46. M. Scognamiglio, Gli equilibri del bilancio statale e regionale, tra obiettivi eterodeterminati e coordinamento della finanza territoriale: una rilettura dei principi costituzionali per una ricostruzione della natura del giudizio di parificazione sul rendiconto regionale, in “Rivista della Corte dei Conti”, n. 4/2021, p. 11.
  47. Ministero dell’Economia e delle Finanze, Circolare del 9 marzo 2020, n. 5 (G.U. Serie Generale n. 81 del 27 marzo 2020), recante “Chiarimenti sulle regole di finanza pubblica per gli enti territoriali, di cui agli articoli 9 e 10 della legge 24 dicembre 2012, n. 243”.
  48. F. Sucameli, Attuazione ed esecuzione della l. cost. n. 1/2012 attraverso il giudice del bilancio, in “Federalismi.it”, 30 dicembre 2020.
  49. In argomento, v. C. Buzzacchi, Bilancio e stabilità. Oltre l’equilibrio finanziario, Milano, 2015.
  50. Cfr. Corte cost., 19 luglio 2012, n. 192.
  51. Corte dei Conti, Sez. Reg. Contr. Piemonte, n. 101/2020 – “Relazione”, vol. I, p. 528.