Che ne è stato, e che ne è ora, della Costituzione?

Mario Dogliani[1]

Secondo una definizione pressoché unanimemente accettata, le Costituzioni democratiche sono il “minimo comun denominatore che rende possibile l’esistenza di un corpo politico (un popolo)”.

Questa definizione viene rappresentata con l’immagine biblica dell'”Arca dell’alleanza” (a sottolinearne la natura pattizia), o con quella del “ponte”, dell’arco a secco: una costruzione artificiale, autoportante, che sta in piedi, che “regge”, perché trae il suo equilibrio dalle spinte contrapposte delle pietre che la compongono (a sottolinearne la natura convenzionale: se tutti stanno al posto che la costituzione loro assegna, la costituzione regge, nell’interesse di tutti).

Il nerbo della opposizione intellettuale alla riforma bocciata stava proprio in questo: ammesso che la forma di governo richiedeva robuste correzioni per evitare “le degenerazioni del parlamentarismo”, essa negava però – per il modo stesso con cui venne proposta e approvata – la natura pattizia-convenzionale della costituzione, e riesumava le antiche concezioni della costituzione stessa come atto d’imperio che i vincitori impongono ai vinti (e che organizza conseguentemente in modo analogo il processo di determinazione della politica nazionale).

 

Per descrivere la fragilità delle costituzioni è chiarissimo questo breve scritto di Franz Kafka, intitolato, appunto, Il ponte[2]:

«Ero rigido e freddo, ero un ponte, stavo sopra un abisso.

Di qua avevo le punte dei piedi, di là avevo confitto le mani, e mi tenevo rabbiosamente aggrappato all’argilla friabile. Da una parte e dall’altra mi si agitavano le falde della giacca. In fondo rumoreggiava il gelido torrente popolato di trote. Nessun turista si smarriva fino a quelle impervie altezze, il ponte non era ancora registrato nelle carte topografiche. Così me ne stavo e aspettavo. Dovevo aspettare. Un ponte, una volta costruito, non può cessare di essere ponte senza precipitare.

Una volta, era verso sera – la prima? la millesima? non so – i miei pensieri erano sempre confusi e giravano in tondo. Verso sera, d’estate, il torrente scrosciava più buio, udii un passo d’uomo. A me, a me! Stenditi, ponte, mettiti in posizione, trave senza spalletta, reggi colui che ti è affidato. Pareggia insensibilmente il suo passo incerto, ma se vacilla, fatti conoscere e come una divinità montana scaglialo a terra.

Quello venne, mi percosse con la punta ferrata del bastone, sollevò con essa le mie falde e me le aggiustò addosso. Infilò la punta nei miei capelli folti e ve la lasciò a lungo, probabilmente guardandosi ansiosamente intorno. Ma poi – stavo appunto seguendolo nel sogno per monti e valli – mi balzò in mezzo al corpo a piedi pari. Rabbrividii per un dolore lancinante, ignaro di tutto. Chi era? Un bambino? Un sogno? Un bandito? Un suicida? Un tentatore? Un distruttore? E mi girai per vederlo.

Un ponte che si volta! Non mi ero ancora voltato che già precipitavo e già ero straziato e infilzato sui sassi aguzzi che mi avevano sempre fissato così pacifici dall’acqua impetuosa.».

 

Il ponte crolla perché si pone una domanda sbagliata, che non avrebbe mai dovuto porsi: «chi è di preciso, quello che mi sta utilizzando? quello che si sta facendo portare? quello che mi sta calpestando?».

Un ponte che si volta! Non può accadere! E infatti non si era ancora voltato che già precipitava.

 

 

                                                                     * * *

 

Adesso a che punto siamo?

La Costituzione del 1947 si è sfracellata o no? L’esito del referendum ha evitato che la costituzione negasse se stessa trasformandosi in un atto unilaterale imposto da alcuni contro altri, o, invece, la costituzione ha ormai perso la sua legittimazione, per motivi opposti, di fronte a tutti? Al contrario, si può forse dire che abbia addirittura guadagnato una nuova legittimazione (come si diceva dopo il referendum del 2006, quando si parlò di una sua “novazione”)? Il grande ammalato – il sistema parlamentare – potrà trarre qualche beneficio da quanto è successo, o resterà impantanato nelle sue contraddizioni e nella sua impotenza?

 

I primi giorni successivi al referendum non lasciano presagire nulla di buono; anzi. I temi di fondo della campagna referendaria sono stati dimenticati. La spiegazione di quanto è accaduto, di quanto si è mosso nel profondo della società italiana, è stato sepolto nel silenzio. La stampa si è beatamente dedicata ai pettegolezzi connessi alla soluzione della crisi di governo.

Ma è troppo presto per spingersi oltre, dal punto di vista di giuristi interessati al buon funzionamento del sistema istituzionale e al modello di società buona che lo deve ispirare. Ma torneremo presto – nel nostro piccolissimo – a ritessere la tela della téchne basilichè, dell’arte regia, che – come ci dice Platone – è analoga all’arte della tessitura.


 


[1]  Professore Ordinario di Diritto Costituzionale presso l’Università degli Studi di Torino.

 

[2] Il ponte (Die Brücke, 1917, titolo apposto da Max Brod) pubblicato nel 1932 in una raccolta di 37 racconti postumi editi da Max Brod e di Hans-Joachim Schops intitolata (dal titolo di uno di essi) Durante la costruzione della muraglia cinese.