I bandi politici: genesi, natura, contenuti, funzioni ed evoluzione

Alessandro Crosetti[1]

Sommario:

1. Premessa. I bandi nella pluralità delle fonti del diritto – 2. Genesi storica, natura giuridica e pluralità di tipologie dei bandi nel rapporto tra funzione del diritto ed esigenze sociali – 3. Evoluzioni dei bandi e l’affermarsi della nozione di attività di “polizia” – 4. Natura, funzioni e rilevanza dei bandi politici negli Stati sabaudi tra sette e ottocento – 5. Contenuti e funzioni dei bandi politici nella codificazione ottocentesca dell’ordinamento sabaudo – 6. Il regime sanzionatorio contenuto nei Bandi politici e campestri – 7. L’eclissi della funzione normativa comunale: la regolamentazione di polizia amministrativa – 8. La polizia locale e i relativi regolamenti comunali nell’ordinamento italiano unitario – 9. Brevi annotazioni conclusive: dai bandi ai regolamenti

1. Premessa. I bandi nella pluralità delle fonti del diritto

Costituisce un dato ampiamente acquisito che le regole giuridiche (simili ad ogni altro tipo di regole per il fatto di costituire dei modelli di comportamento tendenzialmente vincolanti) vengono costruite sulla base di determinate prescrizioni. Le quali non sono che il contenuto di entità concrete, percepibili, o quanto meno individuabili storicamente e fisicamente, cioè di atti e fatti giuridici prescrittivi.[2]

Lo svolgersi e l’intrecciarsi di tutti i molteplici atti e fatti prescrittivi (variamente condizionanti e condizionati) formano, da sempre, quel particolare aspetto della realtà sociale che è stato denominato esperienza o fenomenologia giuridica[3], di cui il diritto e l’ordinamento giuridico rappresenta un momento centrale ed essenziale.[4]

Degli innumerevoli atti e fatti giuridici prescrittivi è stata, ab antiquo, fatta una serie di distinzioni e classificazioni. Quale che sia il criterio di individuazione di tali atti e fatti prescrittivi, in tutti gli ordinamenti contemporanei essi sono ascritti alle c.d. fonti del diritto[5]. In ogni società e in ogni tempo si ritrovano tali fonti, anche se oltremodo eterogenee, destinate a produrre un sistema di prescrizioni riconducibili alla più ampia nozione di norma giuridica[6].

Questa esigenza, comune a qualsiasi compilazione normativa, è chiaramente finalizzata a conseguire l’obiettivo fondamentale della obbligatorietà dei precetti giuridici (costituite da diritti e doveri), giacchè tutte le regole di condotta, anche non giuridiche, e tutte le prescrizioni giuridiche, esprimono un qualche obbligo di comportamento, attraverso il costante binomio precetto-sanzione[7].L’altro carattere tipico delle norme giuridiche, come ben noto, è la combinazione della coattività con l’effettività da intendersi non come la mera applicazione ad un sistema prescrittivo ma una certa aderenza del sistema alla società a cui è rivolto in un determinato momento storico, con tutti i problemi di relatività che questo comporta[8].

Si è ritenuto non inutile richiamare tali premesse per poter legittimamente affermare che i bandi, sia nella loro originaria forma ordinativa che nella loro evoluzione storica in forma regolamentare (v. infra), sono da considerare delle fonti giuridiche[9] a tutti gli effetti in quanto definibili come una regolamentazione coordinata di attività umane. Essi seguono, in genere, lo schema logico in cui figurano i seguenti elementi: 1. Il soggetto o i soggetti di cui si regola l’attività consentendola e/o impedendola; 2. Il modo in cui l’attività è regolata; 3. L’attività regolata; 4. La relazione che tale attività implica con altri soggetti e/o beni; 5. La connessione che detta attività implica con altre norme e/o interessi pubblici o privati[10].

Appare opportuno solo evidenziare che la valenza storico-ambientale di tali compilazioni normative, nello spazio e nel tempo, è riconducibile inevitabilmente alla storicità di qualsiasi produzione normativa[11].

2. Genesi storica, natura giuridica e pluralità di tipologie dei bandi nel rapporto tra funzione del diritto ed esigenze sociali

Il termine bando (lat.medievale bannus o bannum, francese ban) deriva dall’antico tedesco ban, storicamente si identifica con le prescrizioni dirette a mantenere l’ordine e la sicurezza pubblica[12]. Segnatamente fra i poteri dell’Imperatore romano-germanico vi era appunto quello di esercitare il banno sia per scopi militari che per altre finalità con le caratteristiche tipiche delle norme giuridiche del precetto e della sanzione. Retaggio di tale istituito lo si può ritrovare significativamente nei c.d. bandi militari, disciplinati nell’ordinamento italiano dal R.D. 8 luglio 1938 n. 1415 e dal R.D.20 febbraio 1941 n. 303, e che hanno trovato il presupposto e legittimazione nella dichiarazione dello stato di guerra e il conferimento al Governo dei poteri necessari[13].

Storicamente il potere di esercitare il banno, quale espressione di potere di “comandare e vietare”, proprio inizialmente dell’Imperatore, fu utilizzato anche dai vari regimi reali, nella ampia accezione di “editto pubblico”[14]; tali regimi, infatti, potevano emanare “capitolari”, che avrebbero dovuti essere approvati dall’Imperatore trattandosi di un potere derivato e non originario. In epoca successiva, con il sorgere dei Comuni questi esercitarono il diritto di banno quale espressione di potere impositivo[15], largamente utilizzato e menzionato negli Statuti cittadini,[16] e tale diritto fu esercitato anche dai domini che riuscirono, di fatto, ad instaurare un dominatus loci, successivamente riconosciuto anche di diritto. Nell’ancien règime l’istituto si è ulteriormente evoluto assumendo la configurazione dell’ordine o ordinanza amministrativa a valenza pubblicistica (v. infra).

Sulla natura giuridica dei bandi tra gli storici del diritto non vi è mai stato un orientamento univoco. Vi è chi come Pertile che li ha considerati come “fonte aggiuntiva degli Statuti comunali”[17], Besta ha ritenuto che siano “atti di amministrazione e di polizia” più che “veri e propri atti legislativi”[18], Solmi li ha considerati come “una delle forme della legislazione comunale”[19]. Tali diversi orientamenti interpretativi hanno giustificato la richiamata iscrizione dei bandi tra le fonti secondarie e/o derivate da parte della dottrina moderna (v. supra).

Tali difformità di orientamenti sono inoltre senza dubbio riconducibili alla pluralità e alla varietà dei contenuti presenti nei bandi e alla relativa evoluzione (v. infra). In dottrina, è stata fatta giustamente distinzione tra quelli “campestri”, quelli “politici” e quelli di “polizia[20]. Tale summa divisio non può peraltro considerarsi esaustiva e chiusa, vuoi per l’eterogeneità delle materie vuoi per l’assenza di un modello teorico unitario.

Ciò non deve stupire perchè, come noto, oggetto del diritto è tutto ciò che essendo utile ed esterno alla persona umana può formare il contenuto d’un interesse di questa e quindi della relativa tutela giuridica[21]. In tal senso, sono anzitutto oggetto di diritto le cose, ossia le porzioni del mondo esterno suscettibili di appropriazione o d’utilizzazione da parte del soggetto, per soddisfare a loro mezzo taluni bisogni economici o anche immateriali[22]. Il concetto giuridico di cosa, corrisponde, in linea di massima al concetto economico i bene[23]. Oggetto del diritto sono altresì le attività, vale a dire i servizi, le prestazioni e, in genere, i comportamenti delle persone, in quanto suscettibili di rilevanza esterna.

In coerenza con tali oggetti tipici delle scienze giuridiche, i bandi hanno, da sempre, avuto come oggetto sia i beni che le attività, in quanto i soggetti pubblici possono essere titolari di pretese e/o di prestazioni di dare o di facere come quelle relative a contribuzioni patrimoniali (tributi) o personali (servizi). Anzi, sotto questo profilo i bandi hanno rappresentato una significativa e rilevante espressione espansiva del diritto pubblico[24] e segnatamente di quello che sarebbe divenuto il diritto amministrativo[25].

Senza dubbio i Bandi campestri furono una sorta di modello anticipato dei successivi regolamenti di polizia rurale (v. infra), contenenti norme disciplinanti la vita dei campi, cioè la vita rurale, la proprietà terriera, le produzioni agricole (i raccolti, le vendemmie, le mietiture…) e le attività connesse (governo delle acque irrigue, uso dei pascoli, allevamento caccia e pesca).[26]

Diverso il contenuto dei bandi politici, così denominati proprio perchè attinenti ad attività e comportamenti tipici delle vita delle comunità urbane (la c.d. polis)[27] e che, come vedremo, hanno successivamente assunto la forma di regolamenti locali concernenti l’urbanistica, i servizi pubblici, il commercio, la tassazione dei prodotti locali, gli interessi dei consumatori (pesi e misure).

Diverso ancora il contenuto dei c.d. bandi di polizia, nati e concepiti per garantire principalmente l’ordine pubblico, la sicurezza dei luoghi cittadini, l’igiene e la sanità (v. infra).

Com’è dato di constatare la diversificazione dei contenuti e degli obiettivi dei bandi è direttamente derivante dalla eterogeneità delle fonti-fatto, vale a dire dai vari eventi ai quali si riconnettono i convincimenti circa la costruibilità di norme giuridiche in risposta alle varie esigenze di carattere sociale ed economico, che è, del resto, il ruolo del diritto nelle società umane[28].

L’uomo, infatti, annovera, fra i propri bisogni, taluni tipi che presuppongono o determinano, o comunque, implicano una reciprocità di rapporti con altri uomini, in quanto si basano sulla necessità di rendere accettabili e vantaggiose, sia la mera convivenza sia la cooperazione. I bisogni umani, a seconda che si determinano in funzione di siffatte finalità sociali, ovvero riguardino la sfera strettamente individuale, vengono solitamente distinti in bisogni sociali ed individuali [29].

I bandi, al pari di altre fonti del diritto, sono finalizzati a disciplinare e soddisfare alcuni determinati bisogni e/o esigenze in una determinata società in un determinato contesto storico e ambientale; in altri termini, rappresentano i mezzi giuridici, più precisamente regole di condotta idonee a rendere la convivenza e la cooperazione possibili e vantaggiose per i singoli e per le comunità[30]. Di qui la diversità e la pluralità dei contenuti precettivi che variamente si sono evoluti nel tempo.

Stante la pluralità dell’istituto del bando, inteso, nella progressione storico-giuridica, quale ordine, insieme di disposizioni e di prescrizioni e quindi di regolamenti, appare non inutile cercare di delinearne a grandi tratti la relativa evoluzione.

3. Evoluzioni dei bandi e l’affermarsi della nozione di attività di “polizia”

Partendo dalle origini, storicamente e letteralmente i bandi nascono nella forma dell’ordinanza o ordine quale sinonimo di comando, positivo o negativo o particolare[31]. Con il termine “bando”, si indica più in generale la proclamazione ufficiale di un provvedimento della pubblica autorità, vincolante per i membri di una comunità, avente le caratteristiche di norme generali ed astratte rivolte ad un gruppo più o meno ampio di persone con effetti impositivi (v. supra)[32].

Nello Stato assoluto, come già anticipato, l’ordinanza era uno dei numerosi termini con cui si usavano intitolare anche gli atti legislativi del sovrano. Successivamente, la stessa espressione fu adoperata per indicare gli atti di sovranità di competenza del potere esecutivo, sia per provvedimenti particolari che generali. In senso più ristretto, però, l’espressione fu prevalentemente usata per designare gli atti solo formalmente propri del potere esecutivo aventi un contenuto generale, quali i regolamenti e appunto i bandi (v. infra). Con l’emanazione di norme di rango costituzionale tutti questi vari ordini e prescrizioni vennero assumendo poi varie denominazioni, quali regie patenti, regi decreti, regi biglietti, regi rescritti, regi manifesti[33].

Ciò che accomuna e che caratterizza gli ordini è che sono tutti provvedimenti, pur nelle varie forme, promananti da un potere sovrano, in forza di un potere di supremazia generale (sia il Monarca, sia una Signoria, sia una istituzione pubblica comunale o ecclesiastica) per lo più volti a disciplinare certi comportamenti e talune attività[34]. In particolare, in forza dell’ordine, viene sancito un obbligo, che nella legge era sancito soltanto in potenza ed in astratto, in un obbligo specifico e concreto di compiere e/o non compiere una determinata azione o omissione, con conseguenti effetti coattivi[35].

Negli ordini, a seconda del contenuto, come noto, vi possono essere, quindi, dei comandi di facere, di dare, di patire, di praestare oppure dei divieti cioè ordini negativi di non facere, come pure dei vincoli di limitazione di diritti dispostivi privati[36]. Tali ordini sia positivi che negativi sono frequenti in materia di polizia, di sanità, di commercio, di ordine pubblico o di sicurezza e hanno costituito, in effetti, l’oggetto principale dei bandi politici[37], a differenza dei bandi campestri principalmente rivolti alla economia e alle attività agricole.

Da questa archetipa nozione a valenza edittale, i bandi si sono progressivamente evoluti in quanto attratti nell’ambito di quella attività che i pubblici poteri (sia centrali che locali) sono chiamati a svolgere per la c.d. “conservazione dell’ordine pubblico[38]. Tale attività ha assunto nel tempo anche il nome di “polizia” in senso lato[39]. In questa evoluzione e per questa configurazione di prescrizioni generali, i bandi politici hanno costituito una tipica espressione dei c.d. poteri di polizia.[40]

Il significato della polizia si era già modificato nel Medioevo, giungendo ad indicare il buon ordine della società civile, al quale dovevano presiedere le autorità pubbliche, in contrapposizione al buon ordine morale e religioso, cura esclusiva dell’autorità ecclesiastica[41]. Più tardi, in Francia e i Germania, la police e la Polizei giunsero ad esprimere il diritto del sovrano e del signore feudale di provvedere, con ogni mezzo, al benessere della collettività e dei singoli cittadini. In tal modo, il concetto di polizia andò estendendosi, fino a comprendere tutta l’attività della pubblica amministrazione, sia che fosse diretta a prevenire inconvenienti e disordini nella società, sia che provvedesse, per mezzo di pubblici uffici, al benessere fisico, economico, intellettuale della popolazione[42].

Per ritrovare un concetto più ristretto della “polizia”, occorre attendere si tempi più recenti, alla fine de secolo XVIII e alla prima metà del XIX. La dottrina e la legislazione ritornarono allora a separare l’attività di polizia, come la parte del potere pubblico, con la quale viene assicurata la difesa dei diversi pericoli che, all’interno dello Stato, possono minacciare il potere del sovrano per la cura del benessere e del progresso dei sudditi[43]. Il concetto e l’uso di tale concetto ebbe a subire non poche deviazioni, in quanto alcuni autori, specialmente nella dottrina tedesca, cercarono di estendere la polizia a molti settori della pubblica amministrazione, ben al di là del fine fondamentale dell’ordine e della “pace nella società”.[44]

La dottrina più moderna, specialmente francese ed italiana, basandosi sui dati del diritto positivo, è successivamente pervenuta a formulare una definizione della “polizia”, limitandone il concetto a tutto ciò che si collega alle varie limitazioni delle libertà personali in funzione dei fini pubblici di conservazione[45].

Tali “leggi di polizia”, ancorchè largamente condizionate dai principi della “politica”, hanno avuto un ruolo ed un significato rilevante, in quanto hanno costituito un contributo storico nella formazione del “diritto amministrativo”, inteso come quella parte delle norme del diritto pubblico che regolano non solo l’organizzazione della pubblica amministrazione ma anche le relative funzioni pubbliche di conservazione e di benessere[46].

Dal complesso delle originarie norme di polizia di “sicurezza”, intese come quelle volte ad attuare le misure amministrative preventive e repressive perché dall’azione dei privati non derivino danni sociali all’attività dei singoli e della collettività, negli ordinamenti più recenti, denominati comunemente come Stati a diritto amministrativo[47], si è venuta distinguendo la c.d. “polizia amministrativa”, che non comprende soltanto la polizia di sicurezza che, come si è visto, è quella esercitata dall’autorità di sicurezza pubblica ed è volta a garantire la preservazione dell’ordine pubblico e cioè dell’ordine sociale, la sicurezza personale dei singoli componenti del corpo sociale, la loro incolumità, l’integrità dei diritti patrimoniali[48].

Tale polizia amministrativa, già nella configurazione presenti nei bandi sette e ottocenteschi, è venuta ricomprendendo vasti settori di quelle che oggi sono ascritte alle funzioni pubbliche, sia di conservazione che di benessere, quali l’assetto e il governo del territorio (un tempo denominata urbanistica), i servizi pubblici, il commercio, l’igiene e la sanità, l’economia, i prodotti locali, gli interessi dei consumatori (v. infra).

Tale attività di polizia amministrativa è stata, inizialmente, caratterizzata da una funzione preventiva, essendo intesa ad impedire che le azioni ed i comportamenti dei privati non si ponessero in contrasto e/o violazione di limitazioni poste in essere dalle leggi o dagli atti amministrativi a tutela degli interessi della comunità; successivamente, è stata, altresì, caratterizzata dal fatto di mirare alla tutela di interessi primari essenziali per la vita dei consociati, con conseguenti possibili limitazioni ai diritti personali e di libertà dei cittadini[49]

In questo processo evolutivo, i bandi politici sono venuti assumendo, e talora anticipando, la forma ed il contenuto dei successivi regolamenti di polizia amministrativa quali atti amministrativi a contenuto normativo in quanto composti da una serie articolata di disposizioni, con i caratteri di generalità e di astrattezza per lo meno per i componenti di quella comunità locale (v. infra).

Tutti questi diversi regolamenti, principalmente di provenienza comunale hanno, per molti aspetti, costituito, nella storia dell’ordinamento italiano, il fondamento e l’antecedente della potestà regolamentare delle amministrazioni comunali (v. infra)[50].

4. Natura, funzioni e rilevanza dei bandi politici negli Stati sabaudi tra sette e ottocento

In epoca medievale, anche negli Stati sabaudi, l’inclusione della normativa “politica” e “campestre” all’interno delle compilazioni statutarie, aveva fatto sì che fossero per lo più le comunità locali, ottenuto il consenso signorile, a dotarsi di tali disposizioni, trattandosi di “un diritto annesso e connesso alla giurisdizione”. [51] Il potere di bando lo si trova, peraltro, espressamente menzionato in una delle prime compilazioni normative sabaude gli “Ordini nuovi” emanati da Emanuele Filiberto nel 1565 per dare un primo disegno normativo più omogeneo al nuovo assetto degli Stati. [52] In tale assetto, ancora fortemente caratterizzato dal primato del dominus loci, sono stati molto diffusi i bandi di emanazione signorile. L’attenzione del Signore locale per un ordinato assetto dei vari comportamenti della vita civile ed agricola entro il territorio della sua giurisdizione, non disgiunto dall’interesse economico derivante dai proventi di diritti di esazione e di sanzione per le sanzioni comminate, avevano così consentito una rilevante diffusione e utilizzazione di tale strumento regolamentare a livello locale. La genesi e la diffusione dei bandi politici e campestri derivante dalla normativa statutaria comunale è ben evidenziata ancora nella dottrina piemontese di metà ottocento.

In un’autorevole opera di metà ottocento, nota ed apprezzata[53], con molta chiarezza alla voce Bandi politici e campestri, si legge: “Nessuno ignora come al risorgere dell’incivilimento in Italia ogni municipio si reggesse a popolo, e con leggi proprie, autonomia questa che le città italiane ebbero in retaggio dalla pace di Costanza. Tra le varie leggi statutarie che i Comuni imponevano a sé stressi, quando si reggevano in autonomia, o supplivano con propri ordinamenti all’autorità indebolita dell’impero, voglionsi annoverare i bandi politici e campestri, che riguardano i minuti commerci e la pulizia degli abitati, non che gli interessi dell’agricoltura. Malgrado la mutata forma del reggimento dei Comuni fu sempre salva la facoltà di formare i bandi politici e campestri, unica immagine che sia ancora rimasta dell’antica costituzione Comunale”.

Va, peraltro, evidenziato che gli sconvolgimenti rivoluzionari francesi che avevano portato alla abolizione dei diritti feudali avvenuta nei territori continentali del Regno di Sardegna con l’editto del 29 luglio 1797[54], avevano comportato, anche in piena Restaurazione, il passaggio del diritto all’emanazione dei bandi ai singoli Comuni interessati.

Ciò detto, va subito avvertito che questi Bandi, negli Stati sabaudi, hanno avuto origini, oggetto e funzioni diverse in funzione delle specifiche esigenze sociali e territoriali [55]. Il tratto comune, per entrambi, è rappresentato dall’essere un’espressione minore dell’autonomia comunale, in genere subordinata agli statuti, manifestatasi principalmente tra il XVII e il XVIII secolo negli Stati sabaudi ma affievolitasi sino alla metà dell’ottocento[56]. Gli Statuti comunali hanno, infatti, rappresentato il fondamento del vivere comune di una comunità su un certo territorio[57]

In realtà, come si avrà modo di constatare tali bandi, in progresso di tempo, hanno trovato nuova espressione nei nostri regolamenti comunali, trattandosi di atti amministrativi a contenuto generale in quanto rivolti ad una comunità (v. infra).

Ai fini della formazione, anticamente i bandi, quale espressione di potere giuridico negli Stati sabaudi[58], erano infatti deliberati dal Consiglio Comunale plenario, o dalla riunione dei capi di casa in quei luoghi che dipendevano direttamente dal Re. In altri casi, erano stabiliti dal dominus loci, cioè dal Feudatario locale, di concerto con il Comune, ovvero dal Signore che deteneva il Comune in appannaggio ovvero dall’Autorità ecclesiastica che aveva la terra soggetta alla sua giurisdizione temporale, ciò in quanto, come si è visto, la possibilità di stabilire bandi era considerato un diritto connesso alla giurisdizione[59].

Sino al 1733 negli Stati sardi ogni comunità si reggeva con regole proprie non soltanto sotto il profilo dell’organizzazione ma anche per quanto rifletteva l’amministrazione dell’ordine pubblico e dell’economia locale. Con l’Editto del 29 aprile 1733, ebbe inizio un ampio processo di unificazione della disciplina delle amministrazioni locali, espressione del nuovo assolutismo dello Stato sabaudo[60], che trovò il suo momento più alto nel Regolamento per le amministrazioni de’ pubblici nelle città, borghi e luoghi dei Regi Stati di terraferma di qua dai monti, da quell’anno infatti ai Comuni fu sottratta ogni possibilità di differenziazione organizzativa[61]. Abolita poi ogni forma di feudalità con il R. Editto del 29 luglio 1797 (art. 3), il diritto e la prerogativa di formare i Bandi è stato in via esclusiva passato alle città e alle comunità che ne hanno fatto ampio uso anche in piena Restaurazione.

I bandi, sia politici che campestri, hanno rappresentato, per un lungo tempo, la più genuina testimonianza dell’antica autonomia normativa dei Comuni in età moderna, quando l’accentramento principesco che porta allo Stato assoluto e poi a quello moderno, comprime e riduce il particolarismo locale. I bandi inoltre, hanno costituito, prima dei codici ottocenteschi unificanti il diritto statale, una preziosa testimonianza della specifica normativa tarata sulle economie e sulle esigenze delle comunità locali e sono in grado di offrire elementi conoscitivi utilissimi per la ricostruzione di usi, costumi, tradizioni e forme di vita sociale ed economica di determinate aree geografiche.

5. Contenuti e funzioni dei bandi politici nella codificazione ottocentesca dell’ordinamento sabaudo

Nella produzione normativa sei e settecentesca negli stati sabaudi il contenuto dei Bandi sia politici che campestri è caratterizzato da ampia discrezionalità sia nelle prescrizioni che nelle sanzioni. Si tratta di norme, per lo più già contenute negli statuti medievali, che vengono aggiornate in età moderna per adeguarle alle nuove esigenze secondo modalità variabili da luogo a luogo. Le prescrizioni contenute nei vari Bandi trovano fondamento nel più generale potere di ordinanza quale potere di supremazia generale che spetta alla amministrazione nei confronti dei cittadini (v. supra).

Gli ordini, che solitamente si distinguono dalle intimazioni, perché queste sono atti propulsivi, sono quei provvedimenti con i quali si invita un soggetto ad adempiere ad un obbligo concreto e specifico, che discende direttamente dal Bando (cioè dalla legge) ovvero da altro provvedimento amministrativo. Gli ordini, nei Bandi, possono assumere le caratteristiche di un comando che consistono in comportamenti positivi (dare, facere, praestare), ovvero in comportamenti negativi con prescrizioni di divieto (non facere o pati) (v. supra).

L’introduzione del codice civile albertino nel 1837 ha proceduto a cancellare dal 1838 la parte del diritto locale con esso incompatibile, in specie per quanto riguarda gli antichi statuti medievali, ma la disciplina dei bandi, è stata considerata connessa con quella disciplina in via di formazione che è divenuta il diritto amministrativo[62] e come tale è rimasta ancora in vigore, tanto da costituire oggetto di disciplina nelle “Istruzioni” del Ministero degli Interni sull’amministrazione dei comuni dell’aprile 1838[63].

In particolare, l’art. 154 della citata Istruzione per i Comuni del 1 aprile 1838, evidenziava che la funzione di questi Bandi era quella di offrire ai Comuni il mezzo più facile e sicuro per provvedere “al bene degli amministrati”, sia per quanto riguarda il buon ordine interno del Comune che ai bisogni del commercio, della pubblica sicurezza, della salubrità, sia per quanto attiene alla custodia e difesa dei prodotti rurali. I Bandi politici dunque assolvono alle esigenze della città (la polis), mentre i Bandi campestri a quelli della campagna nella sua accezione più vasta. Sebbene entrambi tendano ad assolvere funzioni di polizia generale (nell’accezione di cui supra) essi sono sempre stati caratterizzati da normative specifiche, tipiche dell’economia ma anche degli usi e delle consuetudini delle singole località[64].

Nel Piemonte sabaudo, secondo la citata Istruzione del 1838, i Bandi politici, “debbono principalmente aver per oggetto di assicurare la libertà del commercio nei limiti stabiliti dalle leggi; di tutelare l’interesse dei consumatori, sia nella qualità delle robe che si mettono in vendita, sia nel loro giusto peso e misura; di provvedere alla comoda viabilità delle contrade e piazze interne; di prevenire i disordini nelle occasioni di pubbliche solennità, di fiere o mercato; e di straordinari spettacoli; di proteggere la pubblica tranquillità, specialmente in tempo di notte; di far rimuovere, od assicurare tutto quello che può minacciare la sicurezza delle persone; d’allontanare le cause d’insalubrità rispetto massimamente al deposito, o scolo di materie fetenti; di prevenire i casi di idrofobia nei cani o l’irruzione di lupi od altre bestie feroci; di prevenire quelli d’inondazione, straripamenti od incendi, attendendosi per queste ultime alle direzioni contenute nelle R. Lettere Patenti del 27 aprile 1824”.

Nei Bandi politici ottocenteschi si ritrovano, infatti, numerose disposizioni relative all’igiene e sanità pubblica locale intesa, prevalentemente, quale attività di prevenzione e di controllo volta a evitare la pericolosa diffusione di malattie contagiose (quali il colera ed il vaiolo)[65].

I Bandi campestri, invece, a sensi della citata Istruzione, “debbono principalmente assicurare e proteggere le raccolte e la custodia dei prodotti rurali, non che il buon governo delle acque di irrigazione; far per tempo rimuovere i danni derivanti dai bruchi ed altri nocivi insetti; provvedere all’uso regolare dei pascoli secondo che lo comporta la condizione locale, al cui riguardo sarebbe desiderabile…; prevedere, per quanto è possibile, i casi di epizoozia, mercè la pronta segregazione delle bestie infette e lo interramento delle morte a sufficiente profondità”[66].

Questi contenuti sono durati per lungo tempo e li troviamo confermati in altra autorevole compilazione dell’inizio dell’ottocento[67], ove si afferma che i Bandi campestri sono “diretti alla conservazione de’ boschi e frutti delle campagne” ma contengono spesso anche disposizioni riguardanti il corretto sfruttamento delle acque, “l’uso regolare dei pascoli secondo che lo comporta la condizione locale”, la difesa del suolo, delle strade o dell’ambiente. In realtà, il diverso contenuto, soprattutto nel settecento, era riconducibile e dovuto proprio dalla diversità delle colture e dell’economia agraria delle varie località (pianura, collina, valli).

Il controllo sui contenuti di tali disposizioni normative veniva effettuato dall’organo giurisdizionale del Senato, mediante l’istituto dell’interinazione[68], strumento assai importante dell’assolutismo e riformismo sabaudo preunitario.

6. Il regime sanzionatorio contenuto nei Bandi politici e campestri

Il regime sanzionatorio previsto nei Bandi, contendendo contravvenzioni e multe, ha trovato, nel corso del tempo, fondamenti sia nel diritto penale che in quello civile, per approdare poi a quello più autenticamente amministrativo[69].

Più in particolare, le materie oggetto dei Bandi politici, essendo principalmente dirette alla repressione di comportamenti in violazione dell’ordine pubblico (denominato anche del “Buon governo”), assolvendo quindi a funzioni di polizia, sono state a lungo ascritte al diritto penale (v. le RR. CC. del 1723 e segg al Libro 4, tit. 3, § 9, come ancora nel R. Editto giudiziario del 27 settembre 1822 art. 26). Con l’entrata in vigore del Codice penale nel 1837, lo stesso art. 758 di detto Codice e la Circolare del 15 giugno 1840 della Segreteria di Stato, hanno avuto modo di chiarire che le ipotesi di illecito contemplate nei Bandi politici e campestri, in quanto semplici contravvenzioni, debbono considerarsi depenalizzate anticipando una tendenza che ha avuto conferme anche recentemente nel nostro ordinamento[70].

In effetti, il regime repressivo, soprattutto nei Bandi campestri, ha avuto ad oggetto sanzioni relative alla disciplina dell’economia agraria (pascoli, boschi, acque, bestiame, ecc.) che sono tipiche violazioni degli obblighi imposti dall’ordine e dall’autorità amministrativa e che oggi sono unanimemente ascritte alla tipologia delle sanzioni amministrative[71]. Tali sanzioni possono avere caratteristiche diverse. Talora sono sanzioni di tipo personale, in quanto incidono su diritti soggettivi dell’individuo con misure di carattere interdittivo (ad esempio l’espulsione, l’inibizione), altre volte sono sanzioni di carattere ripristinatorio (rimozione, ripristino, distruzione, ecc.), altre volte sono sanzioni di tipo reale che consistono in misure di natura ablativa (con terminologia moderna: confisca, sequestro, fermo, ritiro), molto più spesso sono sanzioni di tipi pecuniario (multe).

Le multe per le contravvenzioni alle disposizioni contenute nei Bandi, spettavano, anticamente al Feudatario ovvero al dominus loci, e ne costituivano anzi fonte di reddito, successivamente sono state attribuite ai Comuni nei quali sono state commesse. La riscossione delle sanzioni pecuniarie è stata, soprattutto nei Bandi campestri, variamente affidata anche ad appositi incaricati del pubblico servizio, denominati Campari (una sorta di guardia campestre)[72], dopo il 1821 con lettere Patenti del 22 novembre e con R. Patenti del 15 dicembre 1832 è stata affidata ad Agenti demaniali, confermandone così la natura di entrate di diritto pubblico[73].

I procedimenti per l’applicazione delle sanzioni previste nei Bandi politici e campestri erano, in genere, assai sommari e non formalizzati, attraverso accertamenti e contestazioni principalmente tramite prove testimoniali.

7. L’eclissi della funzione normativa comunale: la regolamentazione di polizia amministrativa

Per meglio comprendere tale approdo non appare inutile spendere ancora alcune brevi annotazioni sul processo evolutivo che ha caratterizzato l’ordinamento sabaudo tra i secoli XV e XVII.

Nel disegno riformistico solo avviato da Emanuele Filiberto e più organicamente concepito ed attuato da Carlo Emanuele III, ogni norma generale è destinata a prevalere sul privilegio locale, tendenzialmente destinato a svanire[74]. Tale orientamento emerge con tutta evidenza già nella codificazione dei c.d. Ordini nuovi emanati verosimilmente nel 1561 il Libro terzo e nel 1565 il Libro quarto [75]. La posizione di Emanuele Filiberto nei confronti dell’autonomia normativa delle comunità locali appare decisamente mutata rispetto a quella tenuta dal suo predecessore Amedeo VIII poco più di un secolo prima. Com’è stato esattamente avvertito ora l’ordine pubblico e la ragione di Stato, vengono a porsi su un piano decisamente superiore rispetto al principio pacta sunt servanda, in ossequio al quale erano fatti salvi, i patti, le franchigie, le consuetudini e gli statuti locali[76]. Ora il Duca si atteggia sempre più quale principe legislatore ed esercita tale funzione in termini di rilevanza crescente ed il diritto locale (sia esso consuetudinario e/o statutario) è destinato ad assumere una valenza cedevole rispetto agli “ordini” o editti sovrani[77]. L’azione dello Stato accentratore è, infatti, rivolta a delimitare e sempre più a ridurre gli spazi del particolarismo locale e quindi dell’autonomia politica comunale.

In particolare, il ‘700 negli Stati sabaudi è stato il secolo delle riforme, fortemente imperniate su uno spirito accentratore e di assolutismo[78], e sostenuto da due grandi sovrani, quali furono Vittorio Amedeo II[79] e Carlo Emanuele III[80]. L’obiettivo principale di tali riforme, è stato essenzialmente rivolto all’accentramento dei poteri in capo al sovrano e quindi all’assolutismo anche negli assetti giuridici dell’amministrazione pubblica.[81]

Questa ampia revisione ha poi trovato una più compiuta codificazione a seguito della emanazione delle Regie Costituzioni, sia nelle prime due edizioni del 1723 e 1729 e definitivamente nella edizione del 1770[82] che si presentano come una “ricompilazione innovativa del vecchio diritto al servizio di un’ampia riforma programmata dell’ordinamento giuridico dello Stato”[83]. In tale nuovo assetto normativo i rapporti tra le diverse fonti giuridiche vengono fondate su un generale criterio gerarchico che tende a far prevalere la legge del sovrano e le normative locali relegate ad un diritto sempre più subordinato e residuale. Tale principio risulta ben espresso già nella edizione del 1723 delle Regie costituzioni, ove si afferma nel proemio che, in omaggio alle esigenze di certezza del diritto, “le presenti Leggi e Costituzioni dovranno generalmente osservarsi” in tutti gli Stati di Terraferma da parte di tutti gli organi giurisdizionali, senza possibilità di eccezione né per consenso delle parti, né per “Uso, Stile, Consuetudine o Regolamento” contrario “quantunque inveterato, a’ quali tutti, per quella parte, che ripugnassero alle medesime (leggi e costituzioni) s’intenderà espressamente derogato”[84]. Il principio della deroga a qualsivoglia fonte normativa contrastante con la legge del sovrano si riflette ovviamente nei confronti degli Statuti e dei regolamenti locali, in ordine ai quali risultano oltremodo eloquenti le disposizioni contenute nel Titolo XXIX del Libro terzo, ove è stabilita una vera e propria gerarchia delle fonti, che obbliga i magistrati ad applicare in primo luogo le leggi del sovrano, poi gli statuti locali ed infine il diritto comune[85].

Con la progressiva attestazione in capo al sovrano di ogni fonte giuridica e normativa, ogni indipendenza è destinata a scomparire. In questo ampio processo di uniformizzazione legislativa, con editti e leggi aventi valore per tutto lo Stato, anche l’ultimo residuo di autonomia normativa comunale nei Bandi politici e campestri, quale produzione giuridica minore relativa all’assetto interno delle comunità locali, è destinato progressivamente a venire meno.

La produzione normativa locale di Bandi politici e campestri, come anticipato, resta in vita, in Piemonte, ancora fino alla Restaurazione. Con l’introduzione del Codice Civile albertino del 1837, la parte del diritto locale diventa con esso incompatibile[86]. Infine, la legge comunale e provinciale del 7 ottobre 1848, ispirata dal più recente clima costituzionale introdotto dallo Statuto albertino[87], viene a considerare i bandi espressione di un modello legislativo d’ancien règime ormai superato e consente che restino ancora interinalmente in vigore sino a quando i Comuni non si siano dotati dei nuovi regolamenti di polizia urbana e rurale, che sono facoltizzati ad adottare secondo le procedure previste dalla stessa legge[88]. Va tuttavia evidenziato che in tale nuovo contesto normativo con il termine regolamento si “comprende tutto ciò che viene ordinato per l’esecuzione delle leggi o pel mantenimento del buon ordine e della disciplina. I regolamenti sono generali o speciali per determinati luoghi, detti perciò municipali[89]. Più precisamente viene detto che “principio generale è che questi regolamenti possono comprendere soltanto disposizioni che si raggirino sopra le materie contemplate nelle leggi, e che senza ostare alle leggi vigenti soddisfino ai bisogni speciali delle località, ed agli usi di cui l’esperienza ha convalidato l’utilità”.[90]

Com’è stato giustamente evidenziato i nuovi regolamenti possono anche ricalcare nella sostanza la normativa dei bandi, ma lo spazio di autonomia locale è ormai venuto sempre più ristretto, annegato nell’uniformità statale imposta dalle leggi amministrative di unificazione[91].

E’ sempre più chiaro, infatti, che il progressivo consolidarsi dello Stato sabaudo come Stato tendenzialmente unitario, è destinato a superare i diversi particolarismi locali e soprattutto l’autonomia normativa delle istituzioni locali. E questo affermarsi di un diritto omogeneo, al di là dei privilegi e delle prerogative, ben esprime quel processo di aggregazione istituzionale che si ispira ai concetti ed alle esigenze del cosiddetto “Stato moderno”[92] e che troverà una più compiuta realizzazione nell’ordinamento comunale e provinciale[93].

L’epilogo più significativo di questa vicenda è rappresentato dall’attribuzione alla potestà normativa comunale esclusivamente delle funzioni regolamentari di polizia amministrativa [94] (v. supra).

A far luce su tale funzione, può avere un valore emblematico la definizione della funzione di polizia amministrativa nell’opera che resta fondamentale di Ranelletti intesa come “quella manifestazione di attività pubblica nel campo dell’amministrazione interna, che si esplica limitando o regolando l’attività dei singoli, eventualmente per mezzo della coercizione, allo scopo di garantire il tutto sociale e le sue parti contro i danni che possono provenire dall’attività umana”[95], ripresa dalla successiva dottrina come “l’attività amministrativa che, per mezzo di limitazioni, eventualmente coattive, all’attività privata, è diretta a prevenire i danni sociali che da questa possono derivare”.[96]

Per gli Stati sabaudi, in questa stessa prospettiva si pongono le definizioni di “polizia” contenute del citato Dizionario di diritto amministrativo di Vigna e Aliberti secondo i quali questo termine, in senso lato, “indica quel regime determinato dal governo di uno Stato, secondo cui ogni cittadino è tenuto a conformare gli atti della sua condotta nella civile società” e, in senso più lato, la polizia è da considerarsi “il complesso di quei principi e di quelle prescrizioni sanzionate dalle leggi onde provvedere alla sicurezza ed alla prosperità dei sudditi”.[97]

Tale funzione, in quanto funzione amministrativa, è stata, con il Codice civile carloalbertino e più compiutamente con la legge comunale e provinciale del 23 ottobre 1859[98] e successivamente, con l’avvento dello Stato unitario[99], con il T.U. della legge comunale e provinciale del 1915, affidata alla competenza regolamentare dei Comuni[100].

8. La polizia locale e i relativi regolamenti comunali nell’ordinamento italiano unitario

Il consolidamento dello Stato unitario ha portato al riconoscimento in capo al Comune delle più importanti funzioni e potestà pubbliche, sia quelle dirette ai fini di ordine e conservazione come pure a quelle di benessere e di progresso. Le prime funzioni ricomprendono quei compiti di conservazione che rientrano nelle attività dei pubblici poteri volte alla tutela conservativa dell’organismo sociale e destinate a prevenire ed evitare i pericoli di turbative esterne e interne e far fronte alle emergenze insorte. Nelle seconde vi rientrano tutte quelle attività volte al benessere fisico e sociale della popolazione, quale premessa essenziale per qualsiasi ulteriore beneficio sia della collettività che degli individui[101].

In tal senso, queste funzioni del Comune rispondono al concetto di attività giuridica o a quello di attività sociale della pubblica amministrazione[102]. Rispondono alla prima le funzioni di polizia locale e di vigilanza igienico-sanitaria. Come già anticipato, la prima fra le attività dirette immediatamente alla cura dei fini pubblici è stata quella di polizia. Nell’assetto normativo dell’inizio del 900, tutti i Comuni sono tenuti ad attuare, per mezzo delle autorità e degli agenti di pubblica sicurezza, le leggi ed i regolamenti di polizia, che corrispondono alle esigenze generali dell’ordine, della sicurezza e della “moralità pubblica” in tutto il territorio comunale. Per provvedere a tali varie esigenze e funzioni, il citato T.U. del 1915 (art. 131, n. 6), confermato dal successivo T.U. del 1934 (art. 53, n. 6) disponeva che i Comuni fossero tenuti ad emanare speciali regolamenti di polizia locale, che la legge attribuiva alla competenza del Consiglio comunale.

Tale potestà regolamentare è venuta comprendendo diversi tipi di regolamenti: la polizia urbana, la polizia rurale e forestale e quella di edilizia.

a) I regolamenti di polizia urbana volti a stabilire le norme sulla vendita dei generi alimentari, sulla nettezza dell’abitato e dei cortili interni delle case, quelle per regolare lo sgombero della neve dalle vie, per mantenere la libera circolazione in queste e nei luoghi pubblici e per vietare il passaggio in certi luoghi ed in certe ore di veicoli ed animali, le norme per l’uso delle acque pubbliche, sulla custodia dei materiali incendiabili, sulle cautele per evitare gli incendi e sui provvedimenti relativi alla loro pronta estinzione (v. Regolamento 12 febbraio 1911 art. 109).

b) Nei regolamenti di polizia rurale, i Comuni rurali sono facoltizzati a stabilire le norme per impedire i furti campestri, per regolare il pascolo degli animali e l’esercizio della pastorizia, per evitare i passaggi abusivi nelle proprietà private, per la manutenzione la pulizia delle strade vicinali, per la distruzione delle piante e degli animali nocivi all’agricoltura (Regolamento cit. art. 110), che erano le tipiche discipline contenute nei pregressi bandi campestri.

c) Accanto ai regolamenti di polizia rurale, sono venuti assumendo rilevanza anche i regolamenti di polizia forestale già presenti nell’ancien règime ma che concepivano il bene forestale essenzialmente in funzione strumentale e servente alla produzione legnosa.[103] Negli Stati Sabaudi, nelle Regie Costituzioni del 1770 ci si limitava a ribadire il principio generale per cui “gli’ Intendenti delle Province veglieranno attentamente all’importante conservazione di boschi e selve”. Al momento della Restaurazione, per dare più adeguati indirizzi normativi, un primo importante intervento di riordino fu posto in essere dal re Carlo Felice con le Regie patenti colle quali S. Maestà approva l’annesso Regolamento per l’amministrazione de’ boschi e selve del 15 ottobre 1822, che costituisce il primo tentativo di disciplina organica del settore dopo l’occupazione francese in Piemonte, in superamento dei particolarismi locali presenti ne vari Bandi campestri.[104] Tale Regolamento volendo favorire la coltura del bosco, anche per contrastare la grave situazione dei terreni incolti e abbandonati con conseguente danno economico sia allo Stato che ai Comuni, pur introducendo una normativa generale, lasciava spazio ai singoli Comuni di disporre idonee disposizioni locali per conservazione e per la vigilanza sulla tutela delle aree boscate (tagli nei boschi e operazioni relative, accensione dei fuochi, regimi d’uso) con conseguente regime repressivo degli abusi e delle relative sanzioni[105]. Tali normative hanno trovato legittimazione nei citati Regolamenti di polizia forestale che hanno avuto diffusione in Italia sino alla prima legge forestale nazionale del 20 giugno 1877 (Mairana-Calatabiano) che ha introdotto una disciplina uniforme a livello nazionale.[106] Con l’avvento dell’ordinamento regionale, in attuazione di leggi regionali forestali, alcune regioni italiane hanno adottato propri Regolamenti forestali dando così continuità alle prescrizioni di massima e di polizia forestale introdotte dalla c.d. legge Serpieri di cui al R.D. 30 dicembre 1923 n. 3267. [107]

d) Con i regolamenti di polizia edilizia, che hanno origine più recente [108], i Comuni sono legittimati ad individuare norme per regolare le costruzioni, i restauri, la demolizione degli edifici, nonché le tipologie, l’intonaco, la tinta dei muri e delle facciate, l’altezza massima dei fabbricati in relazione all’ampiezza delle vie e dei cortili, le sporgenze di qualunque genere sulle vie e sulle piazze pubbliche, l’apposizione e conservazione dei numeri civici (Regolamento cit. art. 111). Tali regolamenti hanno introdotto, per la prima volta, anche limitazioni al diritto di proprietà sollevando non pochi problemi applicativi, essendo questi atti regolamentari concepiti essenzialmente per provvedere soltanto all’interesse pubblico e ai fini del pubblico decoro. [109]

Queste materie sono indicate solo in via dimostrativa; il capoverso finale di ciascuno degli articoli citati avvertiva che i Comuni avevano facoltà di provvedere, con propri regolamenti, ad intervenire in altri settori dell’attività di polizia in relazione alle esigenze dell’ordine, della sicurezza e dell’igiene pubblica, con la sola limitazione che essi non fossero già regolati da leggi o regolamenti generali e non siano con esse in contrasto.

e) Particolare rilevanza sono poi venuti assumendo i regolamenti di igiene e sanità, in una più matura consapevolezza delle esigenze di tutela della salute pubblica delle collettività [110]. La fonte principale di tali regolamenti è rinvenibile nel T.U. delle leggi sanitarie 27 luglio 1934 n. 1265 (artt. 218 e 334). Secondo tali disposizioni i regolamenti di igiene e sanità devono contenere “le disposizioni speciali richieste dalla topografia del Comune e dalle condizioni locali per l’assistenza medica, la vigilanza sanitaria, l’igiene del suolo, delle abitazioni, delle latrine, degli scaricatoi, la purezza dell’acqua potabile, la salubrità e la genuinità degli alimenti e delle bevande, le misure contro la diffusione delle malattie infettive, la polizia mortuaria e, in generale, l’esecuzione delle leggi sanitarie dirette a rimuovere ogni causa di insalubrità”. Com’è dato di constatare si tratta di un complesso di attività regolamentari (ed una serie di funzioni amministrative concrete) volte a far osservare quel complesso di limitazioni, che nell’interesse dell’igiene e della salute pubblica, sono imposte dalle leggi generali e segnatamente dai regolamenti locali all’attività privata e che costituiscono nel complesso quella che è stata denominata la polizia sanitaria[111].

Nell’ampliarsi delle funzioni pubbliche, denominate di “benessere”, la regolamentazione sia statale che locale, e segnatamente comunale, ha sempre più orientato ed esteso attenzione verso nuove forme di vigilanza igienico-sanitaria a favore della collettività. Da queste più specifiche finalità si sono originati e hanno avuto diffusione i regolamenti di polizia veterinaria volti ad impedire e limitare lo sviluppo e la diffusione delle malattie contagiose fra gli animali e a tutelare con la loro salute anche quella dell’uomo.[112] Nella stessa prospettiva di tutela della salute ed igiene pubblica hanno trovato legittimazione anche i regolamenti di polizia mortuaria, che hanno riguardato sia la disciplina dei decessi e relativa inumazione e trasporto dei cadaveri sia le caratteristiche costruttive dei cimiteri [113].

Da tutti questi regolamenti, che costituiscono l’ultima manifestazione dell’autonomia normativa comunale, derivano numerose limitazioni alla libertà e alla proprietà dei cittadini (particolari). L’osservanza di queste è assicurata mediante le citate sanzioni contravvenzionali, la cui determinazione è affidata ai Comuni stessi. Ove dalla trasgressione fosse derivato un danno ad altro soggetto, alla eventuale responsabilità penale si aggiungeva, secondo i principi generali, anche quella civile, consistente nell’obbligo del risarcimento.

9. Brevi annotazioni conclusive: dai bandi ai regolamenti

Come si è cercato di evidenziare l’evoluzione storica e normativa dell’istituto del bando, quale strumento ordinativo e precettivo, volto a disciplinare attività e comportamenti umani, storicamente trae la sua fonte genetica da un potere di supremazia.[114] Tale potere ha, per lo più coinciso con il concetto di sovranità o potestà di impero. Questo antico, discusso e spesso confuso concetto, ha portato la dottrina a sottolineare che la qualifica di “sovrano” è diretta conseguenza di determinati poteri, in altri termini la sovranità, prima di essere una qualità dei soggetti è una qualità dei poteri, inoltre la sovranità, o meglio le potestà sovrane, presuppongono sempre un carattere essenziale che è un rapporto di soggezione e di subordinazione sui soggetti destinatari[115].

Nel caso dei bandi, come si è visto, tale potere è venuto assumendo, nel tempo, configurazioni e contenuti oltremodo diversi. Dalla originaria accezione di tipo “edittale”, tipica espressione del potere assoluto, con il progressivo affermarsi degli apparati pubblici nello stato moderno[116], il potere è venuto assumendo sempre più nettamente la configurazione di una funzione e segnatamente di una funzione pubblica intesa quale attività che si caratterizza per il fatto di essere finalizzata ad soddisfacimento di un interesse prevalentemente generale.[117] Tale adeguamento appare del tutto coerente con le esigenze di evoluzione del diritto alla realtà sociale variamente intesa come istituzione, ordinamento, organizzazione, economia[118]. Il modo di essere del diritto va, da sempre, ricercato nel suo modo di operare nel tempo attraverso regole di condotta le quali influiscono nel suo stesso modo di essere in modo adattivo[119].

In tale evoluzione, come anticipato, i bandi hanno sempre più spesso rivestito la forma regolamentare. Secondo un tradizionale orientamento per regolamento s’intende, infatti, ogni atto a valenza normativa diverso dalla legge ed a questa in genere derivato e subordinato. Già da questa sommaria accezione si può avvertire come il concetto di regolamento non sia rigorosamente definito, anche perché, a determinarlo, ha concorso e concorre la concreta e varia disciplina evolutasi negli ordinamenti[120].

La potestà regolamentare, nell’ordinamento italiano ottocentesco, anche preunitario, era disciplinata nello Statuto albertino che la attribuiva al Re, il quale diceva- “fa i decreti e i regolamenti necessari per la esecuzione delle leggi” (art. 6)[121]. Altre fonti, di poco successive, dimostrarono, tuttavia, sia pure per implicito, che la potestà regolamentare non era limitata alla sola esecuzione delle leggi. Così la legge 23 giugno 1854 n. 831, nel disciplinare la promulgazione e pubblicazione dei “regolamenti emanati dal Re, necessari per la esecuzione delle leggi e che interessano la generalità dei cittadini” (art. 6), nonché le forme di divulgazione dei decreti “che non interessano la generalità dello Stato” (art. 7), evidenziava già la differenza tra regolamenti “generali” e “non generali”, e quella, altrettanto significativa, tra regolamenti esecutivi e generali, per non parlare poi della categoria dei regolamenti della c.d. prerogativa regia.[122]

Tale potestà regolamentare ha interessato inizialmente il potere esecutivo e segnatamente il Governo ma ha trovato espressa legittimazione nella successiva legge comunale e provinciale del 1858 e, come si è visto, nei successivi Testi unici sui Comuni e sulle Provincie (R.D. 4 febbraio 1915 n. 148 e R.D. 3 marzo 1934 n. 383).

Per lungo tempo la dottrina ottocentesca aveva sostenuto che i principi che giustificavano i regolamenti non strettamente esecutivi fossero, da un lato, il potere di auto-organizzazione del Governo e, dall’altro lato, il principio secondo il quale l’amministrazione è dotata (per definizione) di potere discrezionale esercitabile nei singoli casi per il soddisfacimento di interessi pubblici [123].

Ben presto, però, entrambi i principi furono sottoposti a severa critica, contrapponendosi ad essi la necessità che l’emanazione di regolamenti contenenti norme con effetti giuridici dovesse essere autorizzata legislativamente[124]. La conclusione di tale dibattito, come ben noto, ha portato alla affermazione del principio che il fondamento della potestà regolamentare era da rinvenire soltanto ed in ogni caso nella legge.[125]

Acquisita tale conclusione si è largamente riconosciuta l’autonomia delle persone giuridiche pubbliche (non solo Stato, ma Regioni, Province, Comuni) cioè la capacità di emanare norme giuridiche a diversa valenza, non con carattere originario, poiché tale carattere è proprio dell’ordinamento giuridico dello Stato, bensì derivato da tale ordinamento. Tale acquisizione ha conseguentemente contribuito alla progressiva affermazione della stessa nozione di pubblica amministrazione quale insieme di enti e di soggetti pubblici che concorrono all’esercizio e alle funzioni di interesse pubblico dello Stato anche tramite propri strumenti normativi[126].

L’affermazione di tale principio ha portato a ritenere che i regolamenti, segnatamente quelli delle amministrazioni locali, antica eredità dei bandi politici comunali, siano da ascrivere alle fonti secondarie quale espressione di autonomia normativa, come già anticipato (v. supra)[127]

Ad ulteriore conferma di tale potestà e autonomia normativa la stessa Costituzione italiana all’art. 117 comma 6 ha previsto che Comuni e Provincie hanno “potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite”[128]. La riserva di legge relativa cui sono sottoposte tutte le amministrazioni pubbliche, ivi comprese quelle locali, non esclude che una quota non irrilevante della disciplina delle funzioni stesse possa essere contenuta nei regolamenti[129]. Certo lo spazio oggi affidato ai regolamenti locali si è venuto progressivamente riducendo a causa della legislazione statale e regionale, ma ancora numerosi sono i regolamenti comunali di vario genere e contenuto (soprattutto di polizia locale ed edilizi) eredità degli originari bandi politici.

Da ultimo, non va sottaciuto come, nel nostro ordinamento, anche dopo la riforma del 2001 del Titolo V della Costituzione, alle Regioni, all’interno della loro autonomia statutaria, è stata riconosciuta anche una potestà regolamentare nelle materie di loro competenza, sempre nel rispetto dei principi e della eventuale normativa statale di riferimento.[130]

  1. Già professore ordinario di diritto amministrativo nel Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Torino.
  2. Una legge, una consuetudine, un provvedimento e/o un ordine amministrativo sono solo alcuni esempi degli innumerevoli atti e fatti prescrittivi in cui si sostanza la svariata realtà giuridica in tutti i tempi. Sulla distinzione fra regole giuridiche ed altri tipi di regole, tra i molti, v. già I. Petrone, Contributo all’analisi dei caratteri differenziali del diritto, in Riv. scienze giur., 1897, pp. 20 ss; quindi S. Romano, Frammenti di un dizionario giuridico, Milano, 1947, pp. 251 ss in particolare la voce Diritto (funzione del), ivi, pp. 76 ss; E. Paresce, Diritto, norma, ordinamento, in Riv. int. fil. dir., 1933, 14, pp.3 ss; G. Chiarelli, Il problema dei caratteri differenziali dell’ordinamento giuridico, in Rass. dir. pubbl.,1950, pp. 40 ss; G. Tarello, Studi sulla teoria generale dei precetti. Milano, 1968; N. Bobbio; Fatto normativo, in Enc. dir., Milano, 1967, IX, pp. 988 ss; F. Pulitini, Regole giuridiche e teoria economica, in Pol. dir., 1977, pp. 297 ss; S. Cassese, Introduzione allo studio della normazione, in Riv. trim. dir. pubbl. 1992, pp. 307 ss.
  3. Per il concetto di esperienza e di fenomenologia giuridica v. già F. Opocher, Il valore dell’esperienza giuridica, Treviso, 1947; V. Fassò, La storia come esperienza giuridica, Milano, 1953; B. Giuliano, Ricerche in tema di esperienza giuridica, Milano, 1957; A. Baratta, Ricerche su “essere” e “dover essere” nell’esperienza normativa e nella scienza del diritto, Milano, 1968; L. M. Friedman, Fenomenologia e scienza del diritto, in Riv. int. fil. dir., 1971, pp. 30 ss; V. Orestano, Della “esperienza” giuridica vista da un giurista, in Riv. trim. dir. e proc. civ.,1980, pp. 60 ss.
  4. Sul problema degli ordinamenti giuridici e della loro pluralità restano irrinunciabili i contributi a S. Romano, L’ordinamento giuridico, 1917, quindi Firenze, 1945; A. E. Cammarata, Il concetto di diritto e la “pluralità” degli ordinamenti giuridici, Catania, 1926, pp. 40 ss; G. Capograssi, Note sulla pluralità degli ordinamenti giuridici, in Riv. int. fil. dir., 1939, pp. 9 ss; V. Gueli, Pluralità degli ordinamenti giuridici e condizioni della loro esistenza, Milano, 1949; Id., Relatività storica e carattere convenzionale di un ordinamento come giuridico, in Studi per F. Messineo, Milano, 1959, IV, pp. 195 ss; M. S. Giannini, Sulla pluralità degli ordinamenti giuridici, in Atti XIV Congresso internaz. di Sociologia, Roma, 1950; Id., Gli elementi dell’ordinamento giuridico, in Riv. trim. dir. pubbl., 1958, IV, pp. 455 ss, ora in Scritti vari, Milano, 2005, IV, pp. 246 ss; V. Ottaviano, Sulla nozione di ordinamento giuridico e di alcune sue applicazioni, Milano, 1958, pp. 85 ss; N. Bobbio, Teoria dell’ordinamento giuridico, Torino, 1960; A. G. Conte, Ordinamento giuridico, in Noviss. dig. it., Torino, 1965, XII, pp. 45 ss; D. Pasini, Lo studio degli ordinamenti giuridici nel tempo e nello spazio, in Riv. it. fil. dir., 1970, pp. 30 ss; S. D’Albergo, Riflessioni sulla storicità degli ordinamenti giuridici, in Riv. trim. dir. pubbl., 1974, pp. 451 ss; L. Bentivoglio, Ordinamento giuridico o sistema di diritto?, in Riv. trim. dir. pubbl., 1976, pp. 873 ss; F. Modugno, Ordinamento giuridico (dottrine generali), in Enc. dir., Milano, 1980, XXX, pp. 678 ss; E. Fazzalari, Ordinamento giuridico (teoria generale), in Enc. giur. Treccani, Roma, 1990, XI, ad vocem ed ivi ampi richiami bibliografici.
  5. La nozione di fonte del diritto, in conformità al principio di relatività delle valutazioni giuridiche, è relativa all’ordinamento dal cui punto di vista si pone l’interprete, nel senso che ciascun ordinamento, sulla base di criteri autonomamente prescelti, stabilisce l’individuazione delle fonti del diritto del medesimo ordinamento. Tale relatività assume ovviamente valenze diverse anche a seconda del momento storico. Sulla crisi del sistema delle fonti, per utili approfondimenti non possibili in questa sede, v. già G. Del Vecchio, Il problema delle fonti del diritto positivo, in Riv. int. fil. dir., 1934, 184 ss; quindi A. Pizzorusso, Delle fonti del diritto. disposizioni sulla legge in generale. Art. 1-9, Commentario al Codice civile di A. Scialoia e G. Branca, Roma-Bologna, 1974, pp. 152 ss; A. M. Sandulli, Fonti del diritto, in Noviss. Dig. it., Torino, 1961, VII, pp. 524 ss; V. Crisafulli, Fonti del diritto, in Enc. dir., Milano, 1968, XVII, pp. 925 ss; F. Musacchia, Gerarchia e teoria delle norme sulla produzione giuridica nel sistema costituzionale delle fonti, in Studi per Scaduto, Padova, 1970; quindi D. Nocilla, Considerazioni critiche sul concetto di fonte del diritto, Milano, 1979; G. Silvestri, La ridefinizione del sistema delle fonti: osservazioni critiche, in Pol. dir., 1987, pp. 149 ss; F. Sorrentino, Le fonti del diritto, Genova, 1994, III ediz.; R. Guastani, Dalle fonti alle norme, Torino, 1992; A. Ruggeri, Fonti e norme nell’ordinamento e nell’esperienza costituzionale, Torino, 1993; L. Paladin, Le fonti del diritto italiano, Bologna, 1996; F. Modugno, Fonti del diritto (gerarchia delle), in Enc. dir. Aggiorn., Milano, 1997, I, pp. 561 ss; A. Ruggeri, Sistema delle fonti, ordinamento pluralista, garanzie costituzionali, in Scritti in onore di G. Guarino, Padova, 1998, III, pp. 517 ss; A. Pizzorusso, S. Ferreri, Le fonti del diritto italiano. I. Le fonti scritte, in Trattato di diritto civile, diretto da R. Sacco, Torino, 1998, pp. 53 ss; P. Giocoli Nacci, Appunti sulle fonti normative, Bari, 1999; da ultimo M- Luciani, Fonti del diritto, in Il Diritto. Enciclopedia giuridica del Sole 24 Ore, Milano, 2017, 6, pp. 469 ss; per la distinzione tra gerarchia delle fonti e gerarchia delle norme, fino a poco tempo fa poco studiata, v. G. Tarello, Gerarchie normative e interpretazione dei documenti normativi, in Pol. dir., 1977, pp. 499 ss; per le fonti del diritto amministrativo rimangono sempre importanti il primo studio di V.E. Orlando, Le fonti del diritto amministrativo, in Trattato di diritto amministrativo, Milano, 1901, I, pp. 1073 ss, con riserva di ulteriori richiami.
  6. Per la nozione di norma giuridica da fatti in funzione di disciplina dei comportamenti, la dottrina è, da tempo, assolutamente pacifica. Tra i molti: già C. Esposito, Norma giuridica, in Nuovo Dig. It., Torino, 1937, VII, pp. 50 ss; A. De Valles, La norma giuridica, in Scritti per la CEDAM, Padova, 1952, II; N. Bobbio, Teoria della norma giuridica, Torino, 1958, pp. 20 ss; V. Crisafulli, Atto normativo, in Enc. dir., Milano, 1960, IV, pp. 251 ss; Id., Disposizioni e norme, ivi, 1964; per i profili storici: E. Cortese, La norma giuridica. Spunti teorici nel diritto comune classico, Padova, 1962-1964; Id., Norma giuridica (Storia), in Enc. dir., Milano, 1978, XVIII, pp. 393 ss; F. Modugno, Norma giuridica (Teoria generale), in Enc. dir., Milano, 1978, XVIII, pp. 328 ss; A. Catania, Decisione e norma, Napoli, 1979, pp. 30 ss; da ultimo G. U. Rescigno, Norma giuridica (Dir. cost.), in Il Diritto. Enciclopedia giuridica del Sole 24 Ore, Milano, 2007, X, pp. 19 ss.
  7. Del resto il principio di obbligatorietà delle norme giuridiche coincide con lo stesso principio di effettività del diritto a cui in questa sede non può che essere fatto un mero rinvio ad autorevoli contributi: v. già G. Battaglini, Sul valore imperativo delle norme giuridiche, in Arch. giur., Perugia, 1911; C. Esposito, La validità delle leggi, Milano, 1932, pp. 132 ss; F.Migliori, Sulla imperatività delle norme giuridiche, in Riv. int. fil. dir.,1933, pp. 30 ss; A. Brunetti, Il diritto, la forza dello Stato e la morale, Firenze, 1935; E. Paresce, Lineamenti di una teoria della coazione, Palermo, 1938; A. E. Cammarata, Sulla cosiddetta coattività delle norme giuridiche, Milano, 1942; E. Paresce, La coazione nel diritto, in Il Circolo giuridico, 1947, 20 ss; N. Bobbio, Due variazioni sul tema dell’imperativismo, in Riv. int. fil. dir., 1960; G. Carcaterra, Il normativismo e la forza costitutiva delle norme, Roma, 1988; Pizzorusso, Delle fonti del diritto, cit., pp. 49 ss; E. Bulygin, Norme, validità, sistema, Torino, 1995.
  8. Problema antico e sempre attuale quello dell’effettività del diritto in rapporto ai fenomeni sociali che sarebbe chiamato ad interpretare e conseguentemente a disciplinare. Su tale complessità di effetti non può, in questa sede, che farsi rinvio ad una ricca letteratura che da tempo si è sforzata di affrontare la tematica: già V. Cesarini Sforza, Ex facto oritur jus, Modena, 1930; O. Condorelli, Ex facto oritur jus, in Riv. int. fil. diritto, 1931; T. Ascarelli, A. Dekkers e altri, Le fait et le droit, in Dialettica, XV, nn. 3-4, Bruxelles, 1961; P. Piovani, Il significato del principio di effettività, Milano, 1963; Id., Effettività (Principio di), in Enc. dir., Milano, 1965, XIV, 420 ss; R. Meneghelli, Il problema dell’effettività nella teoria della validità giuridica, Padova, 1934; K. Olivecrona, Il diritto come fatto, Milano, 1967; F. Modugno ed altri, Rassegna critica sulle nozioni di efficacia ed effettività, in Annuario bibl. fil. del diritto, 1967; A. Falzea, Efficacia giuridica, in Enc. dir., Milano, 1967, XIV, pp. 432 ss; F. Canfora, L’effettività nel suo aspetto normativo, in Justitia, 1971, pp. 311 ss; più recentemente G. Gavazzi, Effettività, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1988, XII; L. D’Andrea, Effettività, in Dizionario di diritto pubblico diretto da S. Cassese, Milano, 2006, III, pp. 2118 ss; F. Modugno, Efficacia, ivi, Milano, 2006, III, pp. 2135 ss.
  9. Si parla in tal senso di fonti secondarie e più in generale di fonti derivate, in quanto ricevono, di norma, la propria fonte genetica da fonti primarie di tipo normativo. Su tali accezioni v. segnatamente il contributo di G. Amato, Rapporti fra norme primarie e secondarie: aspetti problematici, Milano, 1962; G. Gavazzi, Norme primarie e secondarie, Torino, 1967; quindi N. Bobbio, Norme primarie e norme secondarie, in Studi per una teoria generale del diritto, Torino, 1971, pp. 175 ss; Id., Norme secondarie, in Contributi ad un dizionario giuridico, Torino, 1975, pp. 233 ss; A. Pelaggi, Potestà legislativa e potestà regolamentare, in Econ. e credito, 1976, pp. 436 ss; G. Gemma, Qualche osservazione in tema di regolamenti, in Arch. giur., 1968; L. Gianformaggio, Norme primarie e norme secondarie, in Riv. proc., 1968, pp. 10 ss; nei manuali A. M. Sandulli, Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 1984, pp. 61 ss; nonché C. Mortati, Istituzioni di diritto pubblico, Padova, 1967, I, p. 302.
  10. Per tale schema logico elementare v. per tutti. C. Lavagna, Istituzioni di diritto pubblico, Torino, 1982, pp. 22 ss secondo il quale le otto espressioni che formano tale schema si presentano, in genere, così qualificate: 1. Soggetto primario; 2. Situazione giuridica soggettiva. 3. Comportamento e attività. 4. Oggetto del comportamento. 5. Rapporto giuridico soggettivo. 6. Soggetto secondario. 7. Connessione normativa, 8. Sanzioni.
  11. Storicità che, come ben noto, è da ricondursi alla relatività dei valori giuridici, in base ai quali i medesimi atti, fatti, rapporti possono avere diverse qualificazioni ed apprezzamenti, a seconda della percezione e valutazione del momento storico e sociale. Per richiami a tali principi: già G. Cassandro, Metodologia storica e storia giuridica, in Annali Un. Bari, 1949; B. Paradisi, Nuovi orizzonti della storia giuridica, in Riv. it. scienze giur., 1952/1953, serie III; F. Calasso, Storicità del diritto, Milano, 1966; G. Tarello, Diritto, enunciati, usi. Studi di teoria e metateoria del diritto, Bologna, 1974; più recentemente P. Cerami-M. Miceli, Storicità del diritto. Strutture costituzionali, fonti, codici, Torino, 2018; A. Ballarini, La storicità del diritto. Esistenza materiale, filosofia, ermeneutica, Torino, 2018.
  12. La derivazione del termine giuridico italiano “bando”, inteso come compilazione di norme/regolamento, è assai controversa. Di conseguenza nei Dizionari etimologici, si possono trovare accezioni diverse e non univoche (cfr. S. Battaglia, Grande dizionario della lingua italiana, Torino, Utet, II, 1962, voce Bando; G. Devoto, Dizionario etimologico. Avviamento all’etimologia italiana, Firenze, 1968, voce Bando). In genere, gli studiosi sono concordi nel ritenere che l’etimo di tale termine sia da ricondursi ad una radice germanica latinizzata cioè dal termine francone “bampn” (attestato solo nella sua forma latinizzata), quale espressione del “diritto/potere sovrano di comandare e vietare e quindi il significato di “ordine/ordinanza” assimilabile all’antico tedesco “ban”. Del resto, è pacifico che l’espressione orale del sovrano, fu, in antico, percepita come una “legge”. In terra franca, bampn/ban fu latinizzato, originariamente in bampnus/bannus. Il primo documento in cui risulta utilizzato e che sia giunto a noi è il Capitulare Clonnense Mundacum, dell’825 d.C., imputabile a Carlo il Calvo. Solo successivamente nel basso Medioevo si verifico una latinizzazione al neutro bampnum/bannum, con il significato di “multa/sanzione pecuniaria”.
  13. Secondo tale fattispecie il Governo, a sua volta, è responsabile dell’esercizio del potere di bando, attribuito al Comandante supremo della zona delle operazioni. Si ritiene peraltro che la loro emanabilità venga meno con il cessare dello stato di guerra: il che non significa che tutte le norme da essi prodotte decadano automaticamente, potendo tali bandi disciplinare anche rapporti non strettamente legati allo stato di guerra, purchè da questo giustificati. Su tali tipologia di bandi: Gabrielli-Dolce, Bandi militari, in Noviss. Dig. it., Torino, 1958, II, pp. 266 ss; C. Carbone, Bandi militari, in Enc. dir., Milano, 1959, V, pp. 49 ss; Id., Sulla validità dei bandi militari, Padova, 1957; per rilievi critici dopo l’avvento della Costituzione ed il superamento dello stato di guerra: C. Lavagna, Note sull’abrogazione dei bandi militari, in Giur. compl. Cass. civ., 1949; D. Pergolesi, Bandi militari e Costituzione, ivi, 1949; C. Carbone, I bandi militari e la nuova Costituzione, in Rass. Avv. Stato, 1957; G. Carbonaro, Limiti costituzionali all’esercizio della potestà di bando militare, in Studi polit., 1958, pp. 20 ss.
  14. Cfr. per tutti C. Defense Du Cange, Glossarium mediae et infimae latinitatis, I, Parisiis, 1840, pp. 567 voce “bannum”.
  15. Per la storia e la genesi della sovranità comunale e relativo potere impositivo sui cives, v., pur con posizioni divergenti, v. G. Cassandro, Comune. Cenni storici, in Nov.. Dig. it., Torino, 1959, III, pp. 810 ss; G. Galasso, Comune. Premessa storica, in Enc. dir., Milano, 1961, III, pp. 169 ss; per la rilevanza degli Statuti nella formazione dei comuni medievali: F. Galasso, Medioevo del diritto, Milano, 1956, pp. 40 ss; G. Chittolini, D. Willoweit (a cura di), Statuti, città territori in Italia e Germania tra Medioevo ed Età moderna, Bologna, 1991; nonché G. S. Pene Vidari, Statuti dei Comuni italiani, in Treccani, La cultura italiana, 2005, testo on line.
  16. Per tali richiami v. già A. Pertile, Storia del diritto italiano, II ediz., Torino, 1896, pp. 309 ss e pp. 340 ss; nonché P.S. Leicht, voce Bando, in Enc. It. Treccani, Roma, 1930, VI, pp. 83 ss; Id., Storia del diritto italiano. Diritto pubblico, Milano, 1972, pp. 113 ss; quindi C. G. Mor, Bando, in Noviss. Dig. it., Torino, 1958, II, pp. 271 ss; A. Padoa Schioppa, Banno, in Enc. Garzanti del Diritto, Milano, 1993, pp. 160 ss; G. Astuti, Banno, in Grande Dizionario enciclopedico UTET, Torino, 1966, II, pp. 160 ss. In epoca basso-medievale, la dottrina giuridica si sforzò di dare una definizione di “bando”, così sintetizzata dal noto giurista Baldo: Bannum etiam dicitur pluribus modis…id est vox preconis (cioè: l’ordine dell’Autorità, l’editto o il proclama)…secundo modo dicitur mulcta (la sanzione pecuniaria)…tertio dicitur poena (una sanzione generica)…quarto modo id est de espluso de civitate et protectione publica (l’esilio a causa di delitto o di male contagioso). Su tali accezioni: D. Cavalca, Il bando nella prassi e nella dottrina giuridica medievale, Milano, 1978, 19 ss; G. Sergi, Villaggi e curtes come basi economico-territoriali per lo sviluppo del banno, in Id., (a cura di), Curtis e signoria rurale: interferenze tra due strutturale medievali, Torino, 1993, 16 ss.
  17. A. Pertile, Storia del diritto italiano, Roma, 1898, II/2, pp. 152 ss.
  18. E. Besta, Fonti: legislazione e scienza giuridica, in AA.VV., (diretti da Del Giudice), Storia del diritto italiano, Milano, 1923/27, pp. 488 ss.
  19. A. Solmi, Storia del diritto italiano, Milano, 1930, pp. 479 ss.
  20. V. gran parte degli autori citati alla nota 15; v. pure G. Pene Vidari, Storia giuridica e storia rurale. Fonti e prospettive piemontesi e cuneesi, in Bollettino Soc. Studi, storici, archeologici ed artistici della Provincia di Cuneo, 1981, II, pp. 417 ss.
  21. Su tale finalità del diritto v. tra i molti N. Bobbio, Diritto, in Noviss. Dig. it., Torino, 1960, II, pp. 769 ss; M. Losano, Sistema e struttura del diritto, I. Dalle origini alla scuola storica, Torino, 1968; F. Modugno, Il diritto tra vecchie nuove concezioni, in Dir. e soc., 1974, pp. 30 ss; A. FALZEA, Introduzione alle scienze giuridiche. I Il concetto di diritto, Milano, 1973; B. Paradisi, Diritto, in Enciclopedia del Novecento, Roma, Treccani, 1977, XLVII; Piva e Spantigati, Introduzione agli studi giuridici, Roma, 1982; da ultimi F. Viola-G. Zaccaria, Le ragioni del diritto, Bologna, 2003; L. D’Avack, Diritto, in Il Diritto Enciclopedia giuridica del Sole 24 Ore, Milano, 2007, 5, pp. 191 ss
  22. Come, da tempo, già evidenziato dalla dottrina civilistica, tra cui occorre segnalare A. Berio, Beni e Cosa, in Dizionario pratico del diritto privato, Milano, s.a, vol. I, pp. 505 ss.; vol. II, pp. 485 ss.; F. S. Bianchi, Corso di diritto civile italiano. Dei beni, della proprietà e della comunione, Torino, 1885, IX, I, pp. 1 ss; N. Coviello, Manuale di diritto civile italiano, I, Parte generale, 3 ediz., Milano, 1924, pp. 75 ss., pp. 252 ss., pp. 257 ss.; F. De Filippis, Beni, in Enciclopedia giuridica italiana, Milano, 1911, II, I, pp. 399 ss.; R. De Ruggero, Istituzioni di diritto civile, Messina, 1926, I, pp. 436 ss.; F. Ferrara, Trattato di diritto civile italiano, Torino, 1921, I, I, pp. 729 ss; G. Lomonaco, Della distinzione dei beni e del possesso, in Il diritto civile italiano esposto secondo la dottrina e la giurisprudenza, Torino, 1922, III, pp. 11 ss.; D. Majorana, La teoria dei diritti reali (Studi in onore di Ciccaglione), Catania, 1909; A. Pino, Contributo alla teoria giuridica dei beni, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1948; B. Biondi, I beni, in Trattato di diritto civile italiano di F. Vassalli, Torino, 1953, vol. IV, tomo 1°, pp. 171 ss; M. Comporti, Diritti reali in generale, in Trattato dir. civ. di Cicu-Messineo, Milano, 1980; C. Granelli, La dichiarazione ricognitiva di diritti reali, Milano, 1983; tra i manuali A. Trabucchi, Istituzioni di diritto civile, Padova, 1988, p. 389.
  23. Per l’equivalenza del significato giuridico delle nozioni di cosa e di bene in senso giuridico, fondamentali, rimangono in dottrina i contributi di S. Pugliatti, Beni (teoria generale), in Enc. dir., Milano, 1959, vol. V, pp. 186 ss.; Id., Cosa (teoria generale), in Enc. dir., Milano, 1962, vol. XI, pp. 89 ss; e amplius Id., Beni e cose in senso giuridico, Milano, 1962, pp. 27 ss.; Id., Strumenti tecnico-giuridici per la tutela dell’interesse pubblico nella proprietà, in La proprietà nel nuovo diritto, Milano, 1954, pp. 11 ss.; v. altresì D. Messinetti, Oggettività giuridica delle cose incorporali, Milano, 1970, pp. 1 ss.; M. Costantino, D. Bellantuono, R. Pardolesi, I beni in generale, in Trattato di diritto civile, di P. Rescigno, Milano, 1980, vol. VII, pp. 5 ss.; F. Angioni, Contenuto e funzioni del concetto di bene giuridico, Milano, 1983; V. Zeno Zencovich, Cosa, in Dig. (disc. priv.), Sez. civ., Torino, 1989, vol. IV, pp. 438 ss.; O. T. Scozzafava, I beni e le forme giuridiche di appartenenza, Milano, 1982; C. Maiorca, Beni, in Enc. giur. it., 1988; ad vocem; A. Gambaro, La proprietà. Beni. Proprietà. Comunione, in Trattato di diritto privato (a cura di G. Iudica e P. Zatti), Milano, 1990, pp. 1 ss; da ultimo M. Palazzo, Bene giuridico, in Il Diritto. Enciclopedia giuridica del Sole 24 Ore, Milano, 2007, 2, pp. 469 ss.
  24. Inteso nella moderna accezione della “sfera dell’ordinamento giuridico statale relativa alla istituzione, organizzazione ed azione delle autorità di governo in senso lato ed ai rapporti di dette autorità fra loro o con altri soggetti giuridici”, così Lavagna, Istituzioni di diritto pubblico, cit., p. 44. In questo contesto storico si colloca la progressiva espansione del diritto pubblico in contrapposizione al diritto privato, a cui in questa sede non può che farsi un semplice rinvio. Per tale evoluzione v. già. O. Ranelletti, Il concetto di “pubblico” nel diritto, Prolusione al corso di diritto amministrativo e scienza dell’amministrazione presso la r. Università di Pavia, in Riv. it. sc. giur., 1905, XXXIX, pp. 337 ss; Id., Diritto pubblico e privato nell’ordinamento giuridico italiano, in Riv. dir. pubbl.. 1914, pp. 20 ss; L. Raggi, Ancora sulla distinzione fra diritto pubblico e privato, in Riv. it. sc. giur., 1915, pp. 10 ss; U. Borsi, Nuovi orientamenti e nuovi profili del diritto amministrativo italiano, in Riv. dir. pubbl., 1920, pp. 14 ss; S. Vassalli, Diritto pubblico e diritto privato, in Arch. dir. ecclesiastico, 1939, pp. 33 ss; U. Cerroni, Sulla storicità della distinzione tra diritto privato e diritto pubblico, in Riv. intern. fil. dir., 1960, XXXVII, pp. 355 ss; S. Pugliatti, Diritto pubblico e diritto privato, in Enc. dir., Milano, 1964, XII, pp. 696 ss; G. Zanobini, Diritto pubblico moderno, in Noviss. Dig. it., Torino, 1964, V, pp. 1021 ss; S. Cassese, Sulla storiografia giuridica e la scienza del diritto pubblico, in Quaderni storici delle Marche, 1966, n. 2. pp. 226; di grande rilevanza il volume di P. Grossi, Scienza giuridica italiana. Un profilo storico, Milano, 2000; per una ricognizione complessiva S. Cassese (a cura di), Il diritto pubblico nella seconda metà del XX secolo, Milano, 2002.
  25. Inteso quale “ramo del diritto pubblico le cui norme sono finalizzate a regolare l’organizzazione della pubblica amministrazione e le attività di perseguimento degli interessi pubblici e i rapporti tra le varie manifestazioni del potere pubblico e i cittadini”. Per questa nozione e per i profili della genesi storica del diritto amministrativo: G. Treves, Intorno alla nozione di diritto amministrativo, in Scritti in memoria di V.E. Orlando, Padova, 1956, II, pp. 509 ss; M.S. Giannini, Diritto amministrativo, in Enc. dir., Milano, 1964, XII, pp. 855 ss; S. Cassese, Cultura e politica del diritto amministrativo, Bologna, 1971; Id., La formazione del diritto amministrativo, Milano, 1974; G. Rebuffa, La formazione del diritto amministrativo italiano, Bologna, 1981; nonché G. Melis, La storia del diritto amministrativo, in Trattato di diritto amministrativo a cura di S. Cassese, Milano, 2000, I, pp. 89 ss; S. Cassese, Tendenze e problemi del diritto amministrativo, in Riv. trim. dir. pubbl., 2004, pp. 54 ss; L. Mannori -B. Sordi, Storia del diritto amministrativo, Roma-Bari, 2006, passim; V. Cerulli Irelli, Diritto amministrativo, in Dizionario di diritto pubblico, diretto da S. Cassese, Milano, 2006, III, pp. 1915; da ultimo S. Cassese, Il diritto amministrativo: storia e prospettive, Milano, 2010.
  26. Su tale produzione v. già G. Volpe, Questioni fondamentali sull’origine e lo svolgimento dei banni, in Medio Evo Italiano, Firenze, 1923, pp. 216 ss; una puntuale ricostruzione sulla genesi ed evoluzione di queste compilazioni è stata fatta da G. S. Pene Vidari, Aspetti storico-giuridici, in L’Alpe e la Terra. I bandi campestri biellesi nei secoli XVI-XIX, a cura di L. Spina, Biella, 1997, pp. 15 ss; v. inoltre E. Genta, Tutela del territorio e Bandi campestri in Piemonte, in Le dinamiche del cambiamento. Cultura, cittadinanza, economia nelle regioni alpine occidentali tra età moderna e globalizzazione, Atti del Convegno di studi del Centro Studi sull’arco alpino occidentale, a cura di A. Crosetti e M. Rosboch, Torino, 2009, pp. 105 ss. L’interesse pubblico nei confronti delle attività agricole (con esplicito riconoscimento già in sede civilistica nell’art. 2135 del c.c.) ha trovato nel corso tempo ampia diffusione sia in sede normativa che organizzativa. Su tali interventi: L. Acrosso, Agricoltura (disciplina amministrativa della), in En. dir. Milano, I, pp. 907 ss; E. Romagnoli, Agricoltura, in Noviss. Dig. it. Appendice I, Torino, 1980, pp. 165 ss; A. Fioritto, Agricoltura (amministrazione della), in Dig. (Disc. pubbl.), Torino, 1987, I, pp. 108 ss.
  27. Con il termine di origine greca polis, in senso traslato dall’accezione città-stato, si è passati ad identificare la forma di insediamento umano su un territorio. La polis è caratterizzata dall’unità sociale e territoriale di una comunità, nella quale i cittadini sono sottoposti alle stesse norme di comportamento giuridico (le c.d. leggi della città), quale forma di governo autonomo. Per ulteriori riferimenti sulla evoluzione semantica del termine: G. Cambiano, Polis. Un modello per cultura europea, Bari, Laterza, 2000.
  28. Sul ruolo del diritto nel dare e fornire adeguate risposte alle esigenze umane e sociali: v. a vario titolo: già P. Piovani, Normatività e società, Napoli, 1949; N. Bobbio, La scienza del diritto come vocazione, in Il Ponte, 1958, pp. 25 ss; F. Tonnies, Comunità e società, Milano, 1963; P. Rescigno, Persona e comunità, Bologna, 1966; S. De Fina, Diritto e società, Milano, 1974; V. Fassò, Società,legge, ragione, Milano, 1974; V. Frosini, La struttura del diritto, Milano, 1976; S. Castiglione, R. Guastini, G. Tarello, Introduzione teorica allo studio del diritto, Genova, 1978; F. Benvenuti, Il diritto come scienza umana, in Jus, 1983, pp. 344 ss; L. M. Friedman, Il sistema giuridico nella prospettiva delle scienze sociali, trad. di G. Tarello, Bologna, 1983; G. Rebuffa, I giuristi tra storiografia e comparazione, in Inform. bibl., 1992, pp. 265 ss.
  29. I bisogni umani vengono distinti in bisogni sociali ed individuali, che possono poi essere più o meno particolari o generali in relazione anche all’evolversi dei rapporti tra individuo e società. Su questi temi non può che farsi rinvio ad una fitta letteratura, soprattutto politologica, tra i molti studi, v. in particolare G. Solari, L’idea individuale e l‘idea sociale nel diritto privato, Torino, 1911; ma anche L. Einaudi, Le caratteristiche dei bisogni pubblici, in Riforma soc., 1927, pp. 166 ss; A. Brucculeri, Lo Stato e l’individuo, Roma, 1938; F. De Sarlo, L’uomo nella vita sociale, Bari, 1949; J. Royce, Il mondo e l’individuo, Bari, 1949; P. Pavan, La società al servizio dell’uomo, Roma, 1950; V. Gasparri, Gli interessi umani e il diritto, Bologna, 1951; J. Maritain, L’homme et l’Etat, Paris, 1953; G. Capograssi, Su alcuni bisogni dell’individuo contemporaneo, in Riv. int. fil. dir., 1955; G. Betti, Interesse (teoria generale), in Noviss. Dig. it., Torino, 1962, VIII, pp. 840 ss; L. Migliorini, Alcune considerazioni per un’analisi degli interessi pubblici, in Riv. trim. dir. pubbl.. 1968, pp. 292 ss utili riferimenti anche negli autori citati alla nota precedente.
  30. È questo il c.d. diritto oggettivo (quale norma agendi, law) con cui si indica (sia pur in forme diverse) la particolare posizione di fare o di pretendere (facultas agendi) ovvero di non fare, in cui i singoli soggetti vengono a trovarsi in virtù delle singole norme giuridiche. Su tali significati: W. Cesarini Sforza, “Jus” e “directum”, Bologna, 1930; B. Biondi, Lex e jus, in Jus, 1955, n.1-2; V. Frosini, La struttura del diritto, Milano, 1962; e ancora W.Cesarini Sforza, Diritto, in Enc. dir., Milano, 1964, XII, pp. 630 ss.
  31. Nel linguaggio comune quando gli ordini sono rivolti a più persone prendono il nome di ordinanze v. gli autori citati nella successiva nota 25 nonchè F. Bartolomei, Ordinanza (Dir. amm.), in Enc. dir., Milano, 1980, XXX, pp. 970 ss; P. Stella Richter, Atti e poteri amministrativi. Tipologia, in Dizionario amministrativo (a cura di G. Guarino), Milano, 1983, I, pp. 357 ss.
  32. In tal senso gli Autori citati alla nota 15. Assai diverso è stato il significato che il termine bando è venuto assumendo nella dottrina più recente la quale ha ritenuto che i bandi di concorso e i bandi di gara di appalto rientrino nella categoria degli atti amministrativi generali, che si rivolgono a destinatari non determinati o non determinabili a priori, ciò in quanto la determinazione dei destinatari può avvenire solo a posteriori, in sede di esecuzione del provvedimento. Per tale configurazione: v. M. S. Giannini, Provvedimenti amministrativi generali e regolamenti ministeriali, in Foro it., 1953, III, pp. 18 ss; A.M. Sandulli, Sugli atti amministrativi generali a contenuto non normativo, in Foro.it., 1954, IV, pp. 217 ss; G. Santaniello, Gli atti amministrativi generali a contenuto non normativo, Milano, 1963; O. Sepe, Atto normativo e atto amministrativo generale, in Studi per G. Carbone, Milano, 1970; più recentemente G. Della Cananea, Gli atti amministrativi generali, Padova, 2000; M. C.. Romano, Atti amministrativi generali, in Dizionario di diritto pubblico diretto da S. Cassese, Milano, 2006, I, pp. 491 ss; S. Vinti, Bando, ivi, 2006, I, pp. 667 ss; nello specifico v. M. Cafagno, Lo Stato banditore, Milano, 2001.
  33. Per questa varia terminologia v. G. Tarello, Storia della cultura giuridica moderna. Assolutismo e codificazione del diritto, Bologna, 1998; v. altresì A. Favata, Dizionario dei termini giuridici, Piacenza, 1963.
  34. Sulla natura, i contenuti e la funzione degli ordini e delle ordinanze, anche per profili storici, nel diritto pubblico e segnatamente nel diritto amministrativo, v. già F. Cammeo, Della manifestazione di volontà dello Stato: legge e ordinanza, in V. E. Orlando, Trattato di diritto amministrativo, Milano, 1901, III, pp. 3 ss; R. Trifone, Ordinanze, in Dig. it., Torino, 1907, XVII, pp. 989 ss; A. Origone, Ordinanza, in Nuovo Dig. it., Torino, 1939, IX, pp.. 296 ss; quindi R. Resta, Premessa ad una teoria degli ordini del diritto amministrativo, in Riv. dir. pubbl., 1939, I, pp.145 ss; L. Galateria, Teoria giuridica degli ordini amministrativi, Milano, 1950; Id., Ordine amministrativo, in Noviss. Dig. it., Torino, 1970, III, pp. 107 ss; F. Bassi, Ordine (Dir. amministrativo), in Enc. dir., Milano, 1980, XXX, pp. 995 ss; più recentemente il contributo di R. Cavallo Perin, Potere di ordinanza e principio di legalità, Torino, 1990; Id., Ordine ed ordinanza nel diritto amministrativo, in Dig. (Disc. pubbl.), Torino, 1990, X, pp. 434 ss; Id., Ordinanza (Dir. amm.), in Dizionario di diritto pubblico diretto da S. Cassese, Milano, 2006, IV, pp. 3981 ss; E. Scotti, Ordini amministrativi, ivi, IV, 4010 ss; da ultimo M. Brocca, L’altra amministrazione. Profili strutturali e funzionali del potere di ordinanza. Napoli, 2012.
  35. Gli effetti coattivi, in effetti, sono stati inizialmente una prerogativa dei provvedimenti autoritativi, in particolare degli ordini che impongono ai privati obblighi di facere, non facere, di dare e di pati, in seguito hanno avuto più ampio riconoscimento nel principio di imperatività e di esecutorietà dei provvedimenti amministrativi, che ha trovato legittimazione nella natura stessa della potestà amministrativa. Per l’affermarsi di tale principio in forza del quale i provvedimenti della pubblica amministrazione possono essere portati ad esecuzione coattiva, v. già U. Borsi, L’esecutorietà degli atti amministrativi, Torino, 1901; quindi A.M. Sandulli, Note sul potere amministrativo di coazione, in Riv. trim. dir. pubbl., 1954, pp. 819 ss; N. Mancuso, Saggio sull’esecutorietà degli atti amministrativi, in Riv. amm., 1969, pp. 1 ss; C. Carbone, Esecuzione dell’atto amministrativo, in Enc. dir., Milano, 1966, XV, pp. 422 ss; G. Sacchi Morsiani, Esecuzione amministrativa, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1980, XIII, ad vocem; S. Amendola, Esecutività, esecutorietà ed esecuzione d’ufficio, in Amm. it., 1989, pp. 1173 ss; G. Falcon, Esecutorietà ed esecuzione dell’atto amministrativo, in Dig. (Disc. pubbl.), Torino, 1991, VI, pp. 140 ss.
  36. L’ordine, infatti, può essere impartito o in forza di un potere di supremazia generale nei confronti di tutti i cittadini ovvero in forza di una supremazia speciale che può spettare a soggetti nei confronti di altri soggetti subordinati come i militari e i sottoposti (c.d. ordini gerarchici) v. L. M. Giriodi, I pubblici ufficiali e la gerarchia amministrativa, in Trattato di diritto amministrativo di V. E. Orlando, Milano, 1900, I, pp. 223; per la nozione di gerarchia: già A. Amorth, La nozione di gerarchia, Milano, 1936; G. Marchi-E.Casetta, Gerarchia, in Nov. Dig. it., Torino, \961, VII,pp. 806 ss; G. Marongiu, Gerarchia amministrativa, in Enc. dir., Milano, 1969, XVIII, pp. 616 ss; G. Conti, Considerazioni sulla nozione giuridica di gerarchia, in Arch. giur., 1985, pp. 415 ss; L. Arcidiacono, Gerarchia amministrativa, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1989, ad vocem; sul rapporto di gerarchia: F. Severi, Gerarchia e rapporti interorganici, in Dig. (Disc. pubbl.), Torino, 1991, VII, pp. 139 ss..
  37. Un interessante saggio della varia tipologia e diversità di questi bandi, manifesti, editti variamente denominati è contenuto nel catalogo dal significativo titolo Udite! Udite!, pubblicato dalla Libreria Prometheos di Roma nel 2011 in occasione della Mostra internazionale del libro antico, Bologna, 2011.
  38. Storicamente s’intende per ordine pubblico quella parte delle disposizioni normative che hanno per contenuto i principi etici e politici, la cui osservanza e attuazione sono ritenute, in un determinato periodo storico, all’esistenza del vivere sociale e al conseguimento dei fini essenziali dell’ordinamento. L’ordine pubblico deriva da un apprezzamento del potere sovrano dello Stato, ed esclude ogni manifestazione dell’autonomia privata. Di conseguenza comunemente si ritiene che le norme di ordine pubblico siano sempre cogenti, ossia inderogabili. Il carattere cogente delle norme di ordine pubblico non esclude che gli organi cui è affidata la loro attuazione siano, ove occorre, investiti di un potere discrezionale più o meno ampio, ossia della facoltà di scelta fra i vari mezzi che, secondo le circostanze, meglio possono corrispondere al fine di tale attuazione sia con riferimento ai precetti che alle sanzioni. Assai rilevanti, a questi fini è l’attività di controllo e di vigilanza sull’attività dei singoli e delle associazioni. Altrettanto rilevante è l’attività di prevenzione volta ad assicurare la sicurezza generale. Su tale funzione e valore dell’ordine e della sicurezza pubblica e dei relativi strumenti nella evoluzione della percezione storica e sociale, nella vastissima letteratura, per limitarci a quella giuridica, tra i molti: G. Fragola, Le norme di ordine pubblico nel diritto pubblico, in Riv. dir. pubbl., 1912, IV, parte II, 321 ss; A. Groppali, Sul concetto di ordine pubblico, in Scritti per Santi Romano, Padova, 1940, I; F. Sperduti, Sul limite dell’ordine pubblico, in Scritti per A. C. Jemolo, Milano, 1963, III; L. Paladin, Ordine pubblico, in Noviss. Dig. it, Torino, 1965, VII, 130 ss; P. Barile, La pubblica sicurezza, in Atti del Congresso celebrativo delle leggi amministrative di unificazione, Vicenza, 1967; quindi per una contestualizzazione G. Corso, L’ordine pubblico, Bologna, 1979; Id., Ordine pubblico (Dir. pubbl.), in Enc. dir., Milano, 1980, XXX, pp. 1057 ss; Id., Ordine pubblico (Dir. amm.), ivi, X, pp. 437 ss; L. Moccia, Ordine pubblico (disposizioni a tutela dell’), in Enc. giur. Treccani, Roma, 1980, XVII, ad vocem; G. De Vergottini, Ordine pubblico, in Dizionario di politica, diretto da N. Bobbio, N. Matteucci, G. Pasquino, Torino, 1983, pp. 742 ss; M. Di Raimondo, Il sistema dell’amministrazione della pubblica sicurezza, Padova, 1984; G. Pansa, Ordine pubblico (Teoria generale), in Enc. giur. Treccani, Roma, 1990, XII, pp. 1 ss; G. Caia, L’ordine e la sicurezza pubblica, in Trattato di diritto amministrativo. Diritto amministrativo speciale (a cura di S. Cassese), Milano, 2003, I, pp. 281 ss; F. Angelini, Ordine pubblico, in Dizionario di diritto pubblico, diretto da S. Cassese, Milano, 2006, IV, pp. 3998 ss; da ultimo C. Meoli, Ordine e sicurezza pubblica, in Il Diritto. Enc. giur. del Sole 24 ore, Milano, 2007, 10, pp. 502 ss.
  39. Il termine “Polizia”, è qui inteso come la classica politia (da polis: città-Stato), nel senso di buon governo, buon ordinamento, equivalente ad ordinamento della cosa pubblica. Una elle matrici importanti del diritto di polizia, soprattutto nei paesi germanici, fu proprio il bisogno di affermare l’autorità dello Stato e di unificare discipline normative nei confronti del particolarismo locali (municipi, piccoli potentati locali civili ed ecclesiastici), che con i loro diritti (in effetti privilegi) erano venuti creando pesanti disparità. In tal senso, lo Stato di polizia rappresentava un progresso rispetto allo Stato assoluto puro. Sul diritto di polizia mancano, ancora oggi, contributi moderni, fra gli autori italiani occorre fare riferimento a contributi risalenti: E. Bussi, I principi di governo nello Stato di polizia, in Riv. trim. dir. pubbl., 1954, pp. 812 ss; nonché G. F. Miglio, Le origini della scienza dell’amministrazione, in La scienza dell’amministrazione, Atti del I Convegno di Studi amministrativi di Como, Milano, 1977; un importante recente contributo sulla genesi della polizia è quello di P. Napoli, Naissance de la police moderne. Pouvoir, normes, societè, Paris, 2003; qualche ulteriore dato nei contributi citati nella nota precedente.
  40. I c.d. poteri di polizia, nella originaria accezione storica, sono le attività dei pubblici poteri volte alla tutela conservativa dell’organismo sociale in quanto destinate a prevenire ed evitare i pericoli di turbative esterne ed interne dell’ordine giuridico e sociale. Per questa nozione risalente v. già nella dottrina francese: M. De Lamarre, Traitè de police, II ediz., Paris, 1732; quindi A. Grun, Traitè de la police gènerale et municipale, Paris, 1862; nella dottrina italiana v. già O. Ranelletti, La polizia di sicurezza, in Trattato di diritto amministrativo di V. E. Orlando, Milano, 1932, vol. IV, pp. 420 ss; G. Tamburrino, Il diritto di polizia, Roma, 1940; E. Roddi, La polizia di sicurezza, Milano, 1953; P. Virga, La potestà di polizia, Milano, 1954; più recentemente G. Mazzoni, Il potere di polizia. Valori attuali della discrezionalità amministrativa, Milano, 1971; A. Chiappetti, L’attività di polizia, Padova, 1973; Id., Polizia (dir. pubbl.), in Enc. dir., Milano, 1985, XXXIV, pp. 121 ss.
  41. Su cui v. per tutti L. Fiaux, La police des moeurs, Paris, 1907-1910.
  42. Dal jus politiae restavano escluse soltanto l’attività finanziaria e l’amministrazione militare. Da tale concezione ebbe origine il c.d. “Stato di polizia”, con cui fu designato quell’ordinamento nel quale ogni funzione veniva compresa nel generico concetto della polizia, e siccome in quel periodo si vanno affermando i principi circa i limiti che lo Stato deve osservare anche nell’esercizio della sovranità, salvo le eccezioni che possono derivare dalle necessità della “ragione di Stato”, ossia dalla difesa dei supremi interessi politici dell’ordinamento, così l’espressione “Stato di polizia” servì alla dottrina moderna per indicare quel tipo storico di Stato (intermedio tra lo Stato patrimoniale e lo Stato di diritto), nel quale vari limiti erano imposti all’attività del sovrano, ma tali limiti non erano assoluti e soprattutto non erano istituzionalmente garantiti; in tal senso già O. Ranelletti, Principi di diritto amministrativo, Napoli, 1912, pp. 161 ss; G. Maggiore, La politica, Bologna, 1941, pp. 298 ss; Zanobini, Corso dir. amm., cit., V, p. 72. Per la dottrina più recente lo Stato di polizia rappresenta una evoluzione del tipico Stato assoluto o monarchico, in quanto basato sullo jus politiae , un diritto mirato, sulla base di alcuni principi giusnaturalistici, alla soddisfazione degli interessi dei cittadini e alla promozione del loro benessere, sebbene la individuazione di questi interessi continui ad essere effettuata dall’alto e quindi con evidenti limiti (v. ancora su tali profili E. Bussi, Principi di governo nello Stato di polizia, Cagliari, 1955). Il termine è “stato” spesso utilizzato impropriamente come sinonimo di Stato autoritario, in quanto dominato dalle forze di polizia con poteri forti. Utili riferimenti per tali concezioni in O. Brunner, Terra e potere, Milano, 1983, passim; N. Matteucci, Stato, in Enc. del Novecento, Roma, Treccani, 1984, VII, pp. 93 ss; F. Fioravanti, Stato (Storia), in Enc. dir., Milano, 1990, XLIII, pp. 133 ss; E. Tosato, Stato, ivi, pp. 758 ss; L. Ornaghi, Stato, in Dig. (Disc. pubbl.), Torino, 1999, pp. 25 ss; P. Schiera, Stato di polizia, in Dizionario di politica (a cura di Bobbio, Matteucci, Pasquino), cit., 2016, pp. 948 ss; v. ancora N. Bobbio, Stato, in Enc. Einaudi, 1981, XIII, pp. 453 ss; da ultimi S. Labriola, Stato, in Dizionario di diritto pubblico diretto da S. Cassese, Milano, 2006, VI, pp. 5691 ss; D. Nocilla, Stato, in Il Diritto. Enciclopedia giuridica del Sole 24, Milano, 2007, 15, pp. 389 ss ed ivi ulteriori richiami bibliografici.
  43. Così già J. S. Putter, Istitutiones juris publici germanici, Bonn, 1770, § 331; quindi O. Berge, Handbuch des deutschen Polizeirechts, Hannover, 1801, ricordati da Zanobini, Corso di diritto amministrativo, cit., p. 72; per la funzione preventiva di tale attività: B. Fiani, Della polizia considerata come mezzo di preventiva difesa. Trattato teorico-pratico, Firenze, 1853.
  44. Così R. Mohl, Die Polizeiwissenschaft, Tubingen, 1852; E. Foerstemann, Prinzipiendes preussinschen Polizeirechts. Bonn, 1869; O. Gerber, Grundzuge des deutschen Staatsreschts, Berlino, 1880, pp. 71 ss; H. Rosin, Das Polizeiverordnugsrecht, Berlino, 1895, tutti citati da Zanobini, Corso di amm., cit., p.72.
  45. Questo concetto è espresso con formule assai diverse ma tutto sommato convergenti. Si parla dell’azione negativa dell’amministrazione, in contrapposto a quella positiva della stessa, della cura autoritaria dell’ordine e della sicurezza della persona contro i pericoli derivanti dall’attività umana. Per queste diverse prospettazioni v. già Bluntschli, Diritto pubblico universale (trad. it.), Torino, 1876, I, pp. 397 ss; P. Stein, La scienza della pubblica amministrazione, (trad. it.), Torino, 1897, pp. 50 ss. Per ulteriori riferimenti a tale concezione v., a vario titolo, gli autori citati alla nota 30.
  46. Le norme di polizia, storicamente, sono state ascritte alle attività dei pubblici poteri volte alla tutela conservativa dell’organismo sociale, in quanto destinate a prevenire ed evitare i pericoli di turbative esterne ed interne e a contrastarle, di qui la denominazione di “polizia di sicurezza”. Per la valenza storica di tale nozione anche nella formazione del diritto amministrativo oltre agli autori già precedentemente citati v. M.S. Giannini, Profili storici della scienza del diritto amministrativo, in Studi sassaresi, XVIII, 1940, pp. 27 ss, ora in Quaderni fiorentini. Per la storia del pensiero giuridico moderno, n. 2 (1973), pp. 184 ss; V. E. Orlando, Sviluppi storici del diritto amministrativo, in V. E. Orlando e S. Lessona, Principi di diritto amministrativo, Firenze, 1952, I, pp. 1 ss.
  47. Per una considerazione del processo evolutivo riguardante l’ordinamento italiano come ordinamento a diritto amministrativo v. V. Ottaviano, Sulla nozione di ordinamento amministrativo e di alcune sue applicazioni, Milano, 1958, pp. 40 ss; N. Bobbio, Teoria dell’ordinamento giuridico, Torino, 1960, passim; F. Benvenuti, Mito e realtà dell’ordinamento amministrativo italiano, in F. Benvenuti e A. Miglio, Atti del congresso celebrativo delle leggi amministrative di unificazione, Vicenza, 1967, pp. 67 ss; S. Cassese, La formazione dello Stato amministrativo, Milano, 1974, pp. 60 ss; M. S. Giannini, L’amministrazione pubblica dello Stato contemporaneo, in Trattato di diritto amministrativo, diretto da G. Santaniello, Padova, 1988, I; Id., Profili storici della scienza del diritto amministrativo, in Quaderni fiorentini, Milano, 1973, 2, pp. 184 ss; E. Cannada Bartoli, Vanum disputare de potestate: riflessioni sul diritto amministrativo, in Dir. proc. amm., 1989, VII, pp. 155 ss; A. Ruggeri, Stato di diritto e dinamica istituzionale (Spunti per una riflessione), in Pol. dir., 1990, XXI, pp. 371 ss; per profili storici: L. Mannori, Diritto amministrativo dal medioevo al XIX secolo, in Dig. (Disc. pubbl.), Torino, 1990, V, pp. 171 ss,
  48. Per gli esordi di tale distinzione oltremodo importante il contributo di E. Presutti, Polizia di pubblica sicurezza e polizia amministrativa, in Arch. giur., LXV, 1900, pp. 30 ss. Sulla polizia amministrativa mancano contributi specifici; sulla origine e sulla sua evoluzione normativa, oltre agli autori citati v. M. Colacito, Sicurezza (polizia di), in Enc. giur. Treccani, Roma, 1980, XVIII, ad vocem; G. Corso, Polizia di sicurezza, in Dig. (Disc. pubbl.), Torino, 1989, VII, pp. 319 ss ; M. Nova, Polizia amministrativa, in Dig. (disc. pubbl.), Torino, 1996, XI, pp. 316 ss.
  49. Sul problema delle possibili limitazioni/compressioni a diritti individuali fondamentali quali la libertà patrimoniale di proprietà per effetto di norme di polizia:v. già. J. Laferriere, Le droit de proprietè et le pouvoir de police, Paris, 1908; più in generale, nel dibattito di fine ottocento, sui limiti alle libertà individuali, tra i molti, A. Brunialti, La libertà nello Stato moderno, in Biblioteca scienze pol., 1891, pp. 10 ss; A. Bonucci, Diritto soggettivo e libertà, in Arch. giur., 1924, fasc. I, pp. 91 ss; O. Ranelletti, Contenuto e concetto giuridico della libertà civile, in Annali Macerata, 1927; G. Jezè, Les libertès individuelles, in Annuaire Ist. intern. droit public, 1929; E. Bonaudi, Dei limiti alla libertà individuale, Perugia-Venezia, 1930; nonchè il contributo di F. Ruffini, I diritti di libertà, Torino, 1926 con una Introduzione di P. Calamandrei; G. Amato, Individuo e autorità nella disciplina delle libertà personali, Milano, 1967.
  50. Proprio su questa genesi della potestà regolamentare delle amministrazioni pubbliche e segnatamente per le amministrazioni comunali, con riserva di ulteriori indicazioni: v. già L. Frezzini, Regolamenti municipali, in Dig. it., Torino, 1911-1915, XX, pp. 917 ss; U. Borsi, Le funzioni del Comune italiano, Milano, 1915, pp. 47 ss; G. Zanobini, L’amministrazione locale, Padova, 1935; segnatamente P. Bodda, I regolamenti degli enti autarchici, Torino, 1932; M. S. Giannini, Varietà di regolamenti degli enti minori, in Amm. civ. 1958, fasc. 20, pp. 17 ss; S. Pugliese, La normazione comunale, in I Comuni, Atti del congresso celebrativo del centenario delle leggi amministrative di unificazione a cura di M.S. Giannini, Vicenza, 1967, pp. 197 ss; A. Carullo-G. Marchianò, I regolamenti per la trasparenza delle amministrazioni locali, Rimini, 1991; più recentemente: F. Fenucci, I regolamenti di autonomia locale, Milano, 1994; L. Verrienti, Regolamento e potere normativo degli enti locali, in Dig. (Disc. pubbl.), Torino, 1997, XIII, pp. 56 ss; V. Italia, I regolamenti dell’ente locale, Milano, 2000; quindi M. Alì, Regolamenti degli enti territoriali, in Enc. dir. Aggiorn., Milano, 2002, VI, pp. 931 ss; A. Saitta, Regolamenti degli enti locali, in Dizionario di diritto pubblico, diretto da S. Cassese, Milano, 2006, V, pp. 5013 ss; M. C. Romano, Regolamenti dei Comuni, in Dig. (Disc. pubbl.) Aggiornamento, Torino, 2015, pp. 384 ss.
  51. Così G.M. Regis, Dizionario legale teorico-pratico ossia corso di giurisprudenza civile e criminale, Torino, 1816, I, pp. 232.
  52. Sulla portata e valenza innovativi di tale compilazione statutaria è d’obbligo il richiamo agli studi di C. Pecorella, Il libro terzo degli “Ordini nuovi di Emanuele Filiberto, Torino, 1989; v. anche P. P. Merlin, Gli Stati, la giustizia e la politica nel ducato sabaudo della prima metà del cinquecento, in Studi storici, 1988, n. 2, pp.503 ss..
  53. L. Vigna e V. Aliberti, Dizionario di diritto amministrativo, Torino, 1840, vol. I, p. 357; sull’importanza di tale compilazione e dei suoi autori v. ora A. Lupano, Tra le premesse culturali al costituzionalismo del 1848 nel Regno di Sardegna: il Dizionario di diritto amministrativo di Luigi Vigna e Vincenzo Alberti, in 1848 dans les Etats de Savoie. Un pas vers la modernitè politique, Contributions rèunis par M. Ortolani, C. Roux et O. Vernier, PRIDAES, Nice, 2020, pp. 71 ss.
  54. Tale editto emanato da Carlo Emanuele IV di Savoia, era stato fortemente condizionato dalla presenza militare francese nei territori continentali sabaudi.
  55. Cfr. G. M. Regis, Dizionario legale teorico-pratico ossia corso di giurisprudenza civile criminale, cit., p. 231 voce “bando”. Per un inquadramento di queste fonti v. segnatamente I. Soffietti e C. Montanari, Il diritto negli Stati sabaudi: fonti e istituzioni (secoli XV-XIX), Torino, 2008, (Storia giuridica degli Stati sabaudi 14), pp. 220 ss; v. altresì G.S. Pene Vidari, Legislazione e giurisprudenza nel diritto sabaudo, in Il diritto patrio tra diritto comune e codificazione (secoli, XVI-XIX), a cura di I. Barocchi – A. Mattone, Jus nostrum, Roma, Università della Sapienza, 2006, pp. 201 ss; per uno sguardo d’insieme P. Bianchi- A. Merlotti, Storia degli Stati sabaudi (1416-1848), Morcelliana, 2017, pp. 76 ss.
  56. Sugli statuti quale espressione di autonomia, intesa quale “speciale capacità di alcuni enti di costituire essi stessi la propria struttura ordinamentale”, sono d’obbligo i richiami a G. Zanobini, Caratteri particolari dell’autonomia, in Studi per O. Ranelletti, Padova, 1931 nonché S. Romano, Autonomia, in Frammenti di un dizionario giuridico, Milano, 1947, pp. 14 ss, e successivamente con l’evidenziazione delle funzioni politico-rappresentative M. S. Giannini, Autonomia, in Riv. trim. dir. pubbl., 1951, pp. 851 ss; Id., Autonomia, in Enc. dir., Milano, 1959, vol. IV, pp. 356 ss; v. inoltre G. Treves, Autarchia, autonomia, autogoverno, in Riv. trim. dir. pubbl., 1957, pp. 587 ss; Id., Autonomia, in Enc. dir., Milano, 1958, I, pp. 1559 ss; più recentemente S. De Fina, Autonomia, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1988, ad vocem; A. Romano, Autonomia nel diritto pubblico, in Dig. IV (Disc. pubbl.), Torino, 1987, II, pp. 30 ss; per i profili storici v. soprattutto A. Calasso, Autonomia (storia), in Enc. dir., Milano, 1959, vol. IV, pp. 351 ss.
  57. Così come unanimemente riconosciuto tra gli storici del diritto, tra i molti già A. Pertile, Statuti municipali, in Digesto it., Torino, 1892; P. Del Giudice, Storia del diritto italiano, Vol. I, Parte II, Fonti: legislazione e scienza giuridica di E. Besta, Milano, 1925, 477 ss e dello stesso Besta la voce Statuti comunali, in Enc. it. Treccani, Roma, 1936, XXXII, pp. 633 ss; V. Gualazzini, Considerazioni in tema di legislazione statutaria medievale, Milano, 1958, II ediz., pp. 4 ss; G. De Vergottini, Il diritto pubblico italiano nei secoli XII-XV, Milano, 1959, III ediz., II, pp. 155 ss; F. Calasso, Medioevo del diritto. I. Le fonti, Milano, 1962, pp. 426 ss; quindi puntualmente M. A. Benedetto, Statuti (diritto intermedio), in Nov. Dig. it. Torino, 1971, XVIII, pp. 397 ss; nonché M. Bellomo, Società e istituzioni in Italia dal medioevo agli inizi dell’età moderna, Catania, 1982, (3 ediz.), pp. 357 ss; E. Cortese, Il diritto nella storia del medioevo, Roma, 1995, II, pp. 282 ss; V. Piergiovanni, Lo statuto: lo specchio normativo dell’identità cittadina, in S. Bulgarelli (a cura di), Gli statuti dei comuni e delle corporazioni in Italia nei secoli, XII-XVI, Senato della Repubblica, Roma, 1995, pp. 13 ss.
  58. Per utili riferimenti a questo tipo di fonti normative le pagine di G. Astuti, Formazione degli ordinamenti politici e giuridici dei domini sabaudi fino ad Emanuele Filiberto, in La crisi degli ordinamenti comunali e le origini dello Stato del Rinascimento, a cura di G. Chittolini, Bologna, 1979, pp. 127 ss; G. Astuti, Gli ordinamenti giuridici degli Stati sabaudi, in Storia del Piemonte, Torino, 1961, I, pp. 487 ss; quindi G. S. Pene Vidari, Profili delle istituzioni sabaude da Amedeo VII a Carlo Emanuele III, in Bollettino Soc. Studi storici, archeologici ed artistici della Provincia di Cuneo, 1983, n. 89, I Savoia nella storia dei nostri Comuni: potere centrale e autonomie locali, pp. 27 ss; Id., Profilo delle istituzioni sabaude, in Id., Aspetti della storia giuridica piemontese. Appunti dalle lezioni di Storia del diritto italiano II, (a cura di C. De Benedetti), Torino, 1997, 63 ss; nonchè I. Soffietti-C. Montanari, Il diritto negli Stati sabaudi: fonti e istituzioni, cit., pp. 20 ss.
  59. Questa tesi era sostenuta nel citato Dizionario del Regis, p. 233. Va tuttavia avvertito che tale affermazione si rifaceva alla situazione di ancien règime sostenuta nell’opera settecentesca Pratica legale secondo la ragion comune, gli usi del foro e le Costituzioni di Sua Sacra Real Maestà; divisa in tre parti, Torino, 1772, 12 voll. curata dal Galli della Loggia e dal citato Regis in seconda edizione ottocentesca Torino, 1819-1827, presso Pietro Giuseppe Pic. Cfr. A. Manno, Bibliografia storica degli Stati della Monarchia di Savoia, Torino, I, 1884, p. 217.
  60. E’ ben noto, infatti, che l’obiettivo principale delle riforme volute da Vittorio Amedeo II e proseguite da Carlo Emanuele III fu principalmente rivolto all’accentramento, al controllo dei poteri e delle autonomie locali e quindi all’assolutismo e fu essenzialmente motivato da considerazioni di matrice economica, come ben è stato posto in luce dagli importanti studi di L. Bulferetti, Considerazioni generali sull’assolutismo mercantilistico di Carlo Emanuele II (1663-1675), in Annali delle Facoltà di lettere e filosofia e magistero dell’Università di Cagliari, 1952, vol. XIX, pp. 172 ss; Id., Assolutismo e mercantilismo di Carlo Emanuele II (1663-1675), in Memorie Accad. Scienze Torino, Serie 3°, tomo II, Torino, 1953; Id., L’elemento mercantilistico della formazione dell’assolutismo sabaudo, in Boll. Storic. Bibl. sub., 1956, LIV, pp.. 273 ss. Su tutte queste tendenze riformiste rimane ancora utilissimo l’ottimo studio di G. Quazza, Le riforme in Piemonte nella prima metà del settecento, Modena, 1957, 2 voll.; nonché per i riflessi sull’assetto comunale G. Petracchi, Le origini dell’ordinamento comunale e provinciale italiano, Venezia, 1962, vol. I, passim; da ultimo sull’assolutismo di Vittorio Amedeo II, con nuovi apporti, G. Symcox, Vittorio Amedeo II. L’assolutismo dello Stato sabaudo, 1675-1730, Torino, 1985 (trad. it.).
  61. L’importanza di questo provvedimento è largamente riconosciuta dagli storici del diritto: Petracchi, Le origini, cit., I, pp. 12 ss; Pene Vidari, Profili delle istituzioni sabaude, cit., 65 ss; L. Mussi, Le Regie patenti del 6 giugno 1775, Torino, 1975; tale Regolamento anticipa in qualche misura la successiva legge comunale e provinciale del 1859.
  62. Per questi particolari profili della storia del diritto amministrativo, anche con riferimenti all’ordinamento sabaudo, oltre agli autori già citati v. già V.E. Orlando, Introduzione al diritto amministrativo (I presupposti, il sistema, le fonti), in V.E. Orlando, Primo Trattato completo di diritto amministrativo italiano, Milano, 1897, pp. 48 ss; Id., Il sistema di diritto amministrativo e delle scienze amministrative in Italia, Milano, 1900; G. Schupfer, I precedenti storici del diritto amministrativo vigente in Italia, in V. E. Orlando, Trattato di diritto amministrativo, Milano, 1902, vol. I, pp. 1089 ss.
  63. Sull’Istruzione del 1 aprile 1838 v. Petracchi, Le origini dell’ordinamento comunale e provinciale italiano, cit., I, pp. 82-88; sul processo di codificazione negli Stati sabaudi: M. E. Viora-I.Soffietti, Ricerche sulla codificazione sabauda, Biblioteca della Rivista di storia del diritto italiano, Torino, 1981. Le “Istruzioni” nell’ordinamento sabaudo avevano valenza precettiva quale fonti di diritto interno assimilabili alle attuali circolari amministrative a valenza regolamentare con le quali vengono impartite “istruzioni” alle autorità inferiori al fine di assicurare una applicazione uniforme delle norme legislative e regolamentari. Su natura, funzioni ed evoluzioni delle istruzioni e delle circolari amministrative, da intendersi quali espressioni di norme interne: già F. Cammeo, A proposito di circolari e istruzioni, in Giur. it., 1920, III, pp. 107 ss; M. S. Giannini, Circolare, in Enc. dir., Milano, 1960, VII, pp. 1 ss; A. Catelani, Le circolari della pubblica amministrazione, Milano, 1984; M. P. Chiti, Circolare amministrativa, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1988, VI, ad vocem; f. Bassi, Circolare amministrativa, in Dig. (Disc. pubbl.), Torino, 1989, III, pp. 54 ss..
  64. Gli usi e le consuetudini, intesi quali comportamento uniforme e costante, praticato nella diffusa convinzione che corrisponda ad un obbligo giuridico, hanno, da sempre, avuto rilevanza nelle fonti della regolamentazione di comportamenti locali, anzi i bandi molto spesso non hanno fatto altro che recepire e tradurre tali usi e consuetudini in proposizioni normative. A tale rilevanza, non solo nel diritto privato, ma segnatamente anche nel diritto pubblico hanno dedicato attenzione importanti contributi, tra i molti: v. già A. Longo, Della consuetudine come fonte di diritto pubblico, Palermo, 1892; O. Ranelletti, La consuetudine come fonte del diritto pubblico interno, in Riv. dir. pubbl., 1913, V, pp. 30 ss; M. Reglade, Le coutume en droit public interne, Bordeuax, 1919; quindi N. Bobbio, La consuetudine come fatto normativo, Padova, 1942; G. Miele, Profilo della consuetudine nel sistema delle fonti del diritto interno, in Stato e diritto, 1943, pp. 20 ss; S. Romano, Consuetudine, in Frammenti di un dizionario giuridico, Milano, 1946, ad vocem; M. S. Giannini, Sulla consuetudine, in Riv. int. fil. dir., 1947, pp. 10 ss; Mori-Checcucci, Gli usi normativi, Milano, 1948; G. Ferrari, Introduzione ad uno studio sul diritto pubblico consuetudinario, Milano, 1950; E. Balossini, Consuetudini, usi, pratiche e regole del costume, Milano, 1958; Id., La rilevanza giuridica delle regole sociali, Milano, 1965; A. Pavone La Rosa, Consuetudine (usi normativi e negoziali), in Enc. dir., Milano, 1961, IX, pp. 513 ss; C. Esposito, Consuetudine, ivi, IX, pp. 472 ss; N. BOBBIO, Consuetudine, ivi, IX, pp. 426 ss; C. E. Balossini, Usi (teoria degli), in Noviss. Dig. it., Torino, 1975, XX, pp. 200 ss; A. Pizzorusso, Consuetudine, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1988, VIII, ad vocem.; da ultimo G. De Muro, Consuetudine, in Dizionario di diritto pubblico diretto da S. Cassese, Milano, 2006, II, pp. 1363 ss.
  65. Per contrastare tali epidemie si era provveduto ad emanare varie leggi di contrasto che avevano trovato una prima compilazione in Leggi e provvedimenti di sanità per gli Stati di terraferma di S.M. il Re di Sardegna, 1831 Stamperia Reale che rinviavamo anche a regolamentazione locale. Nel citato Dizionario di diritto amministrativo di Vigna e Aliberti alla voce Sanità pubblica, pp. 331ss vengono fatti espressi riferimenti ai contenuti dei regolamenti di polizia sanitaria e di polizia mortuaria e di polizia veterinaria. V. anche F. Freschi, Dizionario d’igiene pubblica e di polizia sanitaria ad uso dei medici e de’ magistrati, Torino, 1857-1860, 9 voll.. Solo successivamente verrà introdotta una apposita legge sull’amministrazione sanitaria, 20 novembre 1859 n. 3793.
  66. Su tale fonte v. De’ bandi campestri, in F. A. Duboin, Raccolta per ordine di materie delle leggi, editti ecc. pubblicati dal principio dell’anno 1681 sino agli 8 dicembre 1798 sotto il felicissimo dominio della reale casa di Savoia, Tomo XI, vol. XIII, Torino, 1835, pp.45 ss.
  67. Per queste definizioni v. G. M. Regis, Dizionario legale teorico-pratico ossia corso di giurisprudenza civile criminale, cit. p. 232.
  68. La rilevanza di tale istituto è stata evidenziata e studiata già da A. Lattes, L’interinazione degli editti. Studio del diritto pubblico piemontese, in Atti R. Accademia delle Scienze Torino, Vol. XLIII, 1908 cui adde G. Lombardi, Note sul controllo degli atti del sovrano negli Stati Sabaudi ad opera delle supreme magistrature nel periodo dell’assolutismo, in Annali della Scuola speciale per archivisti e bibliotecari dell’Università di Roma, 1962,1, pp. 3 ss; da ultimo E. Genta, Senato e senatori di Piemonte nel secolo XVIII, Torino, 1983, pp. 52 ss.
  69. Sulla genesi e la evoluzione del concetto di sanzione, quale elemento essenziale del modello normativo, anche per profili storico-dogmatici: W. Cesarini Sforza, Norma e sanzione, in Riv. int. fil. dir., 1921, pp. 20 ss; F. Benvenuti, Sul concetto di sanzione, in Jus, 1956, pp.10 ss; A. Barbero, Polemiche sulle sanzioni, in Riv. dir. civ., 1956, pp. 30 ss; V. Allorio, Osservazioni critiche sulla sanzione, in Riv. dir. civ., 1956, I, pp. 2 ss; N. Bobbio, Sanzione, in Noviss. Dig. it., Torino, 1969, XVI, pp. 530 ss, ora in Contributi di un dizionario giuridico, Torino, 1994, pp. 309 ss; M. Foulcaut, Sorvegliare e punire, Torino, 1976; F. D’Agostino, Sanzione, in Enc. dir., Milano, 1989, XLI, pp. 303 ss; R. Marra, Sanzione, in Dig. (Disc. priv. Sez. civile), Torino, 1998, XVIII, pp. 153 ss; G. Gavazzi, Sanzione. I, Teoria generale, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1992, XXVIII, pp. 1 ss; segnatamente sul potere sanzionatorio delle amministrazioni pubbliche v. G. Corso, Preliminari ad uno studio sulla sanzione, Milano, 1969; da ultimo S. Cimini, Il potere sanzionatorio delle amministrazioni pubbliche. Uno studio critico, Napoli, 2017.
  70. Sul processo di depenalizzazione nel nostro recente ordinamento in dottrina v. C. E. Paliero, Depenalizzazione, in Digesto (disc. pen.), Torino, 1989, III, pp. 425 ss; A. Rossi Vannini, Illecito depenalizzato amministrativo, Milano, 1990; M. Siniscalco, Depenalizzazione, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1990, X ad vocem.
  71. Sulla genesi, funzioni e la natura delle sanzioni amministrative intese come strumenti di reazione alle violazioni degli obblighi imposti o dalla legge o dall’ordine amministrativo esecutorio, tra i molti, v. già G. Zanobini, Le sanzioni amministrative, Torino, 1924; A. Tesauro, Le sanzioni amministrative punitive, Napoli, 1925; F. Laschena, Le sanzioni amministrative, in Cons. Stato, 1954, II, pp. 944 ss; per la dottrina più recente: E. Cannada Bartoli, Illecito (Dir. amm.), in Enc. dir., Milano, 1970, XX, pp. 112 ss; E. Capaccioli, Principi in tema di sanzioni amministrative: considerazioni introduttive, Milano, 1970, pp. 125 ss; A. Travi, Sanzioni amministrative e pubblica amministrazione, Padova, 1983; G. Baratti, Contributo allo studio della sanzione amministrativa, Milano, 1984; C. E. Paliero, A. Travi, La sanzione amministrativa. Profili sistematici, Milano, 1988; Id., Sanzioni amministrative, in Enc. dir., Milano, 1990, XL, pp. 345 ss; M. A. Sandulli, La potestà sanzionatoria della pubblica amministrazione, Napoli, 1981; Id., Sanzioni amministrative, in En. giur. Treccani, Roma, 1989, X, ad vocem; Id., Sanzione. IV. Sanzione amministrativa, in Enc. dir., Milano, 1992, XXVIII, pp. 2 ss; E. Casetta, Sanzione amministrativa, in Dig. (disc. pubbl.), Torino, 1997, XIII, 508 ss; G. PAGLIARI, Profili teorici della sanzione amministrativa, Padova, 1999; D. Bezzi, Illeciti e sanzioni amministrative, Milano, 2000; G. Pagliari, Profili teorici della sanzione amministrativa, Padova, 1999; P. Cerbo, Le sanzioni amministrative, Milano, 1999; Id., Le sanzioni amministrative, in Trattato di diritto amministrativo. Diritto amministrativo speciale, (a cura di S. Cassese), Milano, 2003, t. I; Id., Sanzioni amministrative, in Dizionario di diritto pubblico, diretto da S. Cassese, Milano, 2006, VI, pp. 5429 ss; in particolare sulle sanzioni pecuniarie M. A. Sandulli, Le sanzioni amministrative pecuniarie, Napoli, 1983; da ultimi A. Cagnazzo, S. Toschei, F. F. Tuccari, La sanzione amministrativa. Principi generali, Torino, 2012.
  72. Per la funzione e le attribuzioni di pubblici ufficiali ai campari negli Stati sabaudi: v. le annotazioni di C. Cipolla, Documenti piemontesi del sec. XIV riguardanti i campari, in Atti R. Accademia Scienze Torino, Torino, 1899, vol. XXXIV, pp. 67 ss; Id., Notizie sulla camparia in Cuneo nel secolo XIV, ivi, 1899, pp. 249 ss.
  73. Confermando in tal modo l’afferenza fiscale ai beni demaniali sul punto v. Dizionario di dir amm. di Vigna e Aliberti cit., alla voce Demanio (III, p. 119). Sulla natura di tali entrate: A. Giorgetti, Entrate pubbliche, in Enc. dir., Milano, 1966, XV, 42 ss; v. anche G. Landi, Erario, ivi, Milano, 1966, XV, pp. 170 ss.
  74. Sulla figura ed il ruolo di Emanuele Filiberto, rientrato vittoriosamente nei suoi domini dopo il Trattato di Cateau-Cambresis (1559), quale “rifondatore” dello Stato sabaudo e relative riforme istituzionali, tra i molti, P. P. Merlin, Il Cinquecento, in P. Merlin-C.Rosso, G. Symcox-G.Recuperati, Il Piemonte sabaudo. Stato e territori in età moderna, Torino, 1994, 53 ss; Id., Emanuele Filiberto. Un Principe tra Piemonte e l’Europa, Torino, 1995; contributi più datati AA.VV., Emanuele Filiberto, Torino, 1928 e segnatamente F. Patetta, La legislazione, 225 ss; C. Patrucco (studi raccolti a cura di), Lo Stato sabaudo al tempo di Emanuele Filiberto, Casale M., 1928, 3 voll.; Studi pubblicati dalla Regia Università di Torino nel IV Centenario della nascita di Emanuele Filiberto,Torino, 1928; A. Segre, Emanuele Filiberto, I. 1528-1559, Torino, 1918; P. EGIDI, Emanuele Filiberto, II, 1559-1580, Torino, 1928; E. Stumpo, Emanuele Filiberto, duca di Savoia, in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, XLII, 1993, ad vocem; per i profili giuridici Astuti, op. cit., pp. 501 ss; Pene Vidari, Profili delle istituzioni sabaude, cit., pp. 42 ss; Soffietti-Montanari, Il diritto, cit., pp. 42 ss
  75. Sul valore innovativo di tale codificazione di Emanuele Filiberto puntualmente C. Pecorella; (a cura di), Il libro terzo degli “Ordini nuovi” di Emanuele Filiberto, Torino, 1989, XL ss e Id., Il libro quarto degli “Ordini Nuovi” di Emanuele Filiberto, Torino, 1994, XVII ss.
  76. Sul punto v., da ultimo, le puntuali osservazioni di M. Gay, Gli statuti comunali come manifestazione di autonomia locale controllata nel Piemonte sabaudo (sec. XIV-XV), in Tra Francia e Spagna. Reti diplomatiche, territorio e culture nei domini sabaudi fra Tre e Settecento, a cura di A. Celi, Roma, 2018, pp. 234 ss ed ivi ulteriori riferimenti bibliografici.
  77. Oltremodo significativo in tale direzione l’editto di Emanuele Filiberto già emanato da Nizza il 29 dicembre 1559 che giustificava per ragioni di ordine pubblico l’esclusione dell’applicazione degli statuti e privilegi locali che debbono ritenersi “nulli, di nessun valore, né si abbiano da osservare in modo alcuno perché “la sicurezza comune e pubblica…si deve anteporre ad ogni altro statuto et privilegio che sia stato per il passato concesso et confirmato, alli quali in questa parte deroghiamo”
  78. Per l’analisi di questo vasto processo riformistico fondamentali rimangono i contributi di G. Quazza, Le riforme in Piemonte nella prima metà del Settecento, Modena, 1957, 2 voll.; di F. Venturi, Settecento riformatore, Torino, 1969, 1976, 1979; G. Astuti, La formazione dello Stato moderno in Italia, Torino, 1957, pp. 20 ss; G. Petracchi, Le origini dell’ordinamento comunale e provinciale italiano, Venezia, 1962, I., pp. 29 ss
  79. Sulla figura e l’epoca di Vittorio Amedeo II, v. soprattutto D. Carutti, Storia del Regno di Vittorio Amedeo II, Firenze, 1863 II ediz.; quindi G. Symcox, Vittorio Amedeo II. L’assolutismo sabaudo 1675-1730, Torino, 1989; Id., L’età di Vittorio Amedeo II, in Merlin, Rosso, Symcox, Recuperati, op. cit., pp. 271 ss; G. Recuperati, Le avventure di uno Stato “ben amministrato”. Rappresentazioni e realtà nello spazio sabaudo tra Ancien Règime e Rivoluzione. Torino, 1994, in particolare il saggio Gli strumenti dell’assolutismo sabaudo. Segreterie di Stato e Consiglio delle finanze nel secolo XVIII, pp. 57 ss; Id., Lo Stato sabaudo nel Settecento. Dal trionfo delle burocrazie alla crisi dell’antico regime, Torino, 2001, per i profili giuridici e istituzionali Astuti, op. cit.; Pene Vidari, Profili, cit., pp. 36 ss.
  80. Per un quadro dei profili giuridico-istituzionali del periodo, durante il quale, secondo F. Cognasso (I Savoia, cit., 481) si può asserire che “lo Stato sabaudo abbia raggiunto la forma più piena dell’assolutismo monarchico, sviluppatosi da Emanuele Filiberto attraverso i due secoli XVII e XVIII” v. Astuti, op. cit., pp. 524 ss; Pene Vidari, Profili, cit., pp. 86 ss; in generale su Carlo Emanuele III e il suo regno: D. Carutti, Storia del regno di Carlo Emanuele III, Torino, 1859, 2 voll.; quindi V. Castronovo, Carlo Emanuele III re di Sardegna, in Dizionario biografico degli italiani, vol. XX, ad vocem; Recuperati, Lo Stato sabaudo nel Settecento, cit., pp. 441 ss.
  81. Come messo in evidenza, già nei citati studi di Bulferetti, da ultimo sull’assolutismo di Vittorio Amedeo II, con nuovi apporti, G. Symcox, Vittorio Amedeo II. L’assolutismo dello Stato sabaudo, 1675-1730, Torino, 1985 (trad. it.).
  82. Per la ricaduta ed i riflessi di questo ampio processo riformistico ad opera delle Regie Costituzioni, irrinunciabile è il rinvio agli studi di M. E Viora, Le Costituzioni piemontesi (leggi e costituzioni di S. M. il Re di Sardegna) 1723- 1729- 1770, Torino, 1928, pp. 24 ss; Id., Consolidazioni e codificazioni. Contributo alla storia della codificazione, (3 ediz.), Torino, 1967, pp. 30 ss; successivamente v. G. Tarello, Storia della cultura giuridica moderna, I, Assolutismo e codificazione del diritto, Bologna, 1976, pp. 197 ss; F. Micolo, Le Regie Costituzioni. Il cauto riformismo di una piccola Corte, Milano, 1984; I. Soffietti, Le fonti del diritto nella legislazione del Regno di Sardegna nel XVIII secolo, in Riv. storia dir. it., 1987, LX, pp. 255 ss; E. Mongiano, “Leggi e costituzioni di S.M.”, in Il tesoro del Principe. Titoli, carte, memorie per il governo dello Stato, Torino, 1989, pp. 88 ss; F. Venturi, Settecento riformatore, II, La chiesa e la repubblica dentro i loro limiti, Torino, 1976, pp. 74 ss: G. S. Pene Vidari, Giudici e processo nelle raccolte legislative sabaude settecentesche, Introduzione a Le Costituzioni sabaude 1723, Milano, 2002, IX ss.
  83. Così A. Cavanna, Storia del diritto moderno in Europa. Le fonti e il pensiero giuridico, Milano, 1982, pp. 278 ss ed evocato da GAY, op. cit. pp. 235.
  84. Così il testo in N. Picardi, A. Giuliani, (a cura di), Costituzioni sabaude 1723, in Id., Testi e documenti per la storia del processo, Milano, 2002, sez. II, vol. I, pp. 6 ss.
  85. Tale importante riforma della gerarchia delle fonti è ben messa in evidenza nei citati studi di Soffietti-Montanari, Il diritto negli Stati sabaudi, cit., pp. 62 ss e da Gay, Gli statuti comunali, cit., pp. 236.
  86. Per le conseguenze e l’impatto della codificazione carlo-albertina non solo nella restaurazione v. segnatamente G. S, Pene Vidari, L’attesa dei codici nello Stato sabaudo della restaurazione, in Riv. storia dir. it., 1995, pp. 107 ss; quindi Id., Studi sulla codificazione in Piemonte, Torino, 2007.
  87. Come noto lo Statuto, concesso da Carlo Alberto il 4 marzo 1848, rappresenta la fonte principale, costituzionale, dell’ordinamento non solo sabaudo ma dello Stato italiano, proclamato nel marzo del 1861. Esso, peraltro, era, a sua volta, l’esito di un processo politico piemontese da inquadrarsi in un più ampio movimento di introduzione di un regime costituzionale. Sulla rilevanza di tale concessione statutaria: F. Racioppi -L. Brunelli, Commento allo Statuto del Regno, Torino, 1909; G. Maranini, Le origini dello Statuto albertino, Firenze, 1926; E. Crosa, La concessione dello Statuto, Torino, 1936; G. Falco, Lo Statuto albertino e la sua preparazione, Roma, 1945; A. C. Jemolo- M. S. Giannini, Lo Statuto albertino, Firenze, 1946; nonché P. Biscaretti di Ruffia, Statuto albertino, in Enc. dir., Milano, 1990, XLIII, pp. 984 ss; da ultimo I. Soffietti, Statuto albertino, in Dig. (Disc. pubbl.), Torino, 1999, XV, pp. 107 ss; sui caratteri dell’ordinamento albertino: L. Raggi, Sul fondamento del governo parlamentare in Italia, in Riv. dir. pubbl., 1915, pp. 20 ss; E. Crosa, La monarchia nel diritto pubblico italiano, Torino, 1922; L. Rossi, L’elasticità dello Statuto, in Scritti in onore di S. Romano, Padova, 1940, I, pp. 70 ss; G. Perticone, Il regime parlamentare nella storia dello Statuto albertino, Roma, 1960; quindi U. Levra (a cura di), Il Piemonte alle soglie del 1848, Atti Convegno Torino Comitato Istituto Storia del Risorgimento, Roma, Carocci, 1999; a da ultimo i vari contributi raccolti da M. Ortolani, C. Roux e O. Vernier, 1848 dans les Etats de Savoie. Un pas vers la modernitè politique, Nice, PRIDAES, 2020.
  88. Il citato Dizionario di diritto amministrativo di Vigna-Aliberti (voce Regolamenti, vol. V, 1852, p. 243), espressamente evidenziava che “la legge 7 ottobre 1848 accorda alle amministrazioni comunali la facoltà di fare regolamenti che essa chiama di polizia, la quale essendo divisa in urbana ed in rurale, ne segue che due esser denno le parti sulle quali l’amministrazione municipale deve fissare le sue deliberazioni e le relative disposizioni”. Per l’impianto della legge comunale e provinciale del 1848 entrata in vigore dopo diversi tentativi di riforma dell’amministrazione locale v. Petracchi, Le origini dell’ordinamento comunale, cit., spec. p. 125 ss.
  89. Così Regolamenti in Dizionario di dir. amm. di Vigna-Aliberti, cit., V, p. 241. Tale precisazione sta a significare che, in quel quadro normativo, i regolamenti sono concepiti essenzialmente quali strumenti esecutivi ed attuativi della legge.
  90. Così ancora la voce Regolamenti nel citato Dizionario dir. amm. nel quale si precisa che “ E’ necessario che a siffatto principio si attengano i Comuni per conservare nei rispettivi loro regolamenti tanto per la forma estrinseca. Quanto per quella intrinseca, quella maggiore uniformità che sia conciliabile colla svariata natura dell’oggetto cui si provvede: ma è poi tanto più indispensabile l’osservanza di quei principi sulla considerazione che scostandosene i Comuni, si erigerebbero essi medesimi in potere legislativo, il quale è un solo per tutto lo Stato, e che non può scindersi in tante particelle senza sfasciare lo Stato stesso ed aprire il campo all’anarchia. Ond’è che quei regolamenti che da queste norme si allontanano non incontrerebbero la sovrana sanzione”!!
  91. Così puntualmente G. S. Pene Vidari, Prospettive sulle autonomie locali nello Stato sabaudo del secolo scorso, in Piemonte risorgimentale. Studi in onore di Carlo Pischedda nel suo settantesimo compleanno, Torino, 1987, pp. 53 ss; v. comunque sul complesso processo di unificazione amministrativa gli Atti del Congresso celebrativo del centenario delle leggi amministrative di unificazione, Vicenza, 1967, 3 voll.; AA. VV., Cento anni di diritto in Italia 1865-1965, Centro Studi Giuridici, Lecce, 1966; nonché G. Landi, Le leggi di unificazione amministrativa del 1865, in Scritti in memoria di A. Giuffrè, Milano, 1963, III, pp. 549 ss; C. Ghisalberti, Stato e Costituzione nel Risorgimento, Milano, 1973, pp. 42 ss; E. Passerin D’Entreves, La formazione dello Stato unitario, Roma, 1993; da ultimo, con ampia ricostruzione, A. Sandulli, Costruire lo Stato. La scienza del diritto amministrativo in Italia (1800-1945), Roma-Bari, 2001.
  92. Per l’affermarsi di tale configurazione di Stato moderno anche negli ordinamenti sabaudi v., soprattutto le pagine di R. Quazza, La formazione progressiva dello Stato sabaudo, Torino, 1936, pp. 46 ss.; quindi G. Astuti, La formazione dello Stato moderno in Italia, Torino, 1967.
  93. Per utili contributi sulla formazione dell’ordinamento delle amministrazioni locali in Italia, con più immediato riflesso ai problemi storici, nell’ampia letteratura, v. E. Ragionieri, Politica e amministrazione nello Stato unitario, in Problemi dell’unità d’Italia, Roma, 1962, pp. 335 ss; Id., Accentramento e autonomia nella storia dell’Italia unita, ibidem; A. Caracciolo, Stato e società civile. Problemi dell’unificazione italiana, Torino, 1960; A. Ghisalberti, Contributo alla storia delle amministrazioni preunitarie, Milano, 1963; G. Astuti, L’unificazione amministrativa del Regno d’Italia, in Atti del XL Congresso di storia del risorgimento italiano, Roma, 1963, pp. 93 ss; C. Salvatorelli, Pensiero ed azione nel Risorgimento, Torino, 1963, pp. 175 ss; C. Pischedda, Problemi dell’unificazione italiana, Modena, 1963; con più diretto riferimento alla legislazione comunale e provinciale: E. Gizzi, Lo svolgimento della legislazione comunale e provinciale in Amministrazione civile, 1961, pp. 10 ss; C. Pavone, Amministrazione centrale e amministrazione periferica da Rattazzi a Ricasoli (1859-1866), Milano, 1964; G. De Cesare, L’ordinamento comunale e provinciale in Italia dal 1862 al 1942, Milano, 1967; per un esame più generale, ricco anche di riferimenti storici, G. Berti, Caratteri dell’amministrazione comunale e provinciale, Padova, 1969, Introduzione e Cap. I; R. Romanelli, Centralismo e autonomie, in Storia d’Italia dall’Unità ad oggi, a cura di R. Romanelli; P. Aimo, Stato e poteri locali in Italia 1848-1995, Roma, 1997 da ultimo, con molta puntualità ricostruttiva, ancora Aimo, Il centro e la circonferenza: profili di storia dell’amministrazione locale, Milano, 2005.
  94. Per giungere ad un concetto più moderno della funzione di polizia amministrativa occorre attendere la fine del secolo XVIII e la prima metà del XIX. La dottrina e la legislazione iniziano allora a separare l’attività di polizia, come la parte del potere pubblico con cui viene assicurata la difesa della generalità dai pericoli di minaccia per la cura ed il benessere dei (sudditi) cittadini, inteso come conservazione dell’ordine e della pace nella società, dalla attività di polizia amministrativa. La dottrina italiana sul tema non è ricca. Oltre le citate opere di Ranelletti, La polizia di sicurezza, e di Presutti, Polizia di pubblica sicurezza e polizia amministrativa, si possono ricordare opere esclusivamente pratiche, quali quelle di A. Saccone, Le legge di pubblica sicurezza annotata, Milano, 1930; F. Ruocco, Codice di polizia, Torino, 1931; G. Tamburino, Il diritto di polizia, Roma, 1940 che hanno, purtroppo, contribuito a far assumere alle norme di polizia il triste connotato di norme repressive; qualche utile indicazioni anche in G. Sabatini, Polizia, in Nuovo Dig. it., Torino, 1939, IX, pp. 1184 ss; G. Tufanelli, Polizia amministrativa, in Noviss. Dig. it., Torino, 1966, XIII, pp. 185 ss.
  95. Così Ranelletti, Polizia di sicurezza, cit., p. 265, p. 278.; in effetti la dottrina ha sottolineato che, nei regolamenti, si tratta di attività interna della pubblica amministrazione tramite la produzione di norme che tuttavia non si esauriscono sempre all’interno dell’amministrazione ma che hanno talora anche una rilevanza esterna, questo è proprio il caso dei bandi pubblici. Sull’attività e le norme c.d. interne v. F. Bassi, La norma interna. Lineamenti di una teoria, Milano, 1963; E. Silvestri, L’attività interna della pubblica amministrazione, Milano, 1950; G. Barone, Aspetti dell’attività interna della pubblica amministrazione, Milano,1980.
  96. Così S. Romano, Principi di diritto amministrativo, 3 ediz., Milano, 1912, pp. 244; v. pure Presutti, Istituzioni di diritto amministrativo, vol. I, p. 248.
  97. Dizionario di diritto amministrativo, di Vigna-Aliberti, cit., V, pp. 105 ss, gli Autori nel Dizionario dedicano poi specifica attenzione alla Polizia municipale, pp. 110 ss e, in particolare, alla disciplina della polizia urbana, pp. 111 ss (edilizia, viaria, fiere e mercati, attività economiche) e della polizia rurale pp. 129 ss.
  98. La legge comunale e provinciale del 1859 confermava ed irrobustiva il modello centralista ed autoritario nelle amministrazioni locali a seguito delle annessioni degli Stati lombardo-veneti. Per ulteriori riferimenti ai contenuti di tale normativa v. gli autori citati alla nota 70. Il primo commentario fu quello di P. C. Boggio, Legge comunale e provinciale. Commento, Torino, 1860; v. inoltre Petracchi, Le origini dell’ordinamento comunale e provinciale, cit., I, spec. p. 284.
  99. Come noto, dopo la proclamazione del Regno d’Italia, per effetto della l. 17 marzo 1861 n. 4671, uno dei primi compiti del potere legislativo fu l’unificazione delle varie normative già presenti nei vari Stati preunitari. Una posizione fondamentale, come ben noto, ha avuto la legge 20 marzo 1865 n. 2248, intitolata appunto “sull’unificazione amministrativa del Regno”. Tale legge, con i suoi allegati, è considerata la principale opera di codificazione del diritto amministrativo e delle istituzioni amministrative. In effetti, il disegno normativo era stato quello di dotare il nuovo Regno di un sistema istituzionale sul modello ordinamentale vigente negli antichi Stati europei dai primi del secolo XIX. L’importante ruolo di tale legge è stato messo in luce fin dalla pubblicazione celebrativa degli Atti del Congresso celebrativo del centenario delle leggi amministrative di unificazione, Vicenza, 1967 con autorevoli contributi di vari studiosi. La tesi di F. Benvenuti, Mito e realtà nell’ordinamento amministrativo italiano, ivi, I, secondo cui il legislatore del 1865 avrebbe introdotto un sistema di legislazione estraneo alla tradizione nazionale deve ritenersi storicamente superata. V. altresì il volume collettaneo degli Atti del Centro Studi giuridici di Lecce, Cento anni di diritto in Italia, 1865-1965, Galatina, 1966, 53 ss; G. Landi, Le leggi di unificazione del 1865, in Scritti per A. Giuffrè, Milano, 1965, III, pp. 549 ss; A. Miglio, Aspetti amministrativi dell’unificazione amministrativa, in Archivio ISAP, 1962, II, pp. 1215 ss; C. Ghisalberti, Stato e Costituzione nel Risorgimento, Milano, 1973, pp. 42 ss; P. Calandra, Storia dell’amministrazione pubblica in Italia, Bologna, 1978; R. Ruffilli-M.S. Piretti, L’Unità d’Italia e lo Stato liberale, Firenze, 1981; nonché S. Cassese, Storia dell’amministrazione italiana. I caratteri originali della storia amministrativa italiana, in Le Corti e la Storia, Rivista di storia delle istituzioni, 1999, n. 1, pp. 7 ss; più recentemente la pregevole sintesi di L. Mannori- B. Sordi, Storia del diritto amministrativo, Bari, 2001; nonché G. S. Pene Vidari (a cura di), Verso l’Unità italiana. Contributi storico-giuridici, Torino, 2010; da ultimo AA. VV., Storia. Amministrazione. Costituzione. 150° dell’unificazione amministrativa italiana (legge 20 marzo 1865 n. 2248), Annale 23/2015, Milano, ISAP, 2015; G. Pene Vidari, Note e considerazioni su unità e unificazione italiana. A 150 dall’unificazione legislativa ed amministrativa, in Boll. stor. bibl. sub., 2015, II, pp. 519 ss.
  100. Va solo avvertito che la funzioni di polizia amministrativa, attraverso strumenti regolamentari, ha caratterizzato e contrassegnato il succedersi delle varie leggi e testi unici sulle amministrazioni comunali e provinciali nello Stato italiano unitario. Così già dalla legge comunale e provinciale del 1908 (su cui v. A. Magnani, La legge comunale e provinciale (T.U. 21 maggio 1908 n. 269), Firenze, 1909) e quindi nel T.U. del 1889 (su cui C. Astengo, Guida amministrativa ossia Commento della legge comunale e provinciale (Testo unico 10 febbraio 1889 n. 5921) e del Regolamento di esecuzione, Roma, 1889, 3 voll.; sino al T.U. del 1915 (su cui P. Piccioni, Commento alla legge comunale e provinciale. Testo unico 4 febbraio 1915 n. 148, Torino, Utet, 1917) e successiva riforma del 1934 (su cui v. F. D’Alessio, Commento al Testo unico della legge comunale e provinciale 3 marzo 1934 n. 383, Torino, Utet, 1936; per ulteriori dati Petracchi, Le origini dell’ordimanto comunale e provinciale, I, cit.
  101. Si tratta delle note distinzioni dei fini dello Stato nelle due grandi categorie della conservazione e del benessere che trovano nell’attività amministrativa la più rilevante applicazione ed espressione. Su di essa si fonda la tradizionale distinzione tra l’attività giuridica e l’attività sociale dell’amministrazione: l’attività giuridica è stata tradizionalmente ascritta ai compiti di conservazione, quella sociale ai fini di benessere e di progresso sociale. La distinzione risale specialmente a V. E. Orlando nella Introduzione al citato Trattato di dir. amm., da lui diretto, vol. I, pp. 100 ss e nei Principi di diritto amministrativo, Milano, 1952, pp. 20 ss; v. pure Ranelletti, Principi dir. amm., cit., pp. 51 ss e successivamente accolta nella dottrina amministrativistica v. Zanobini, Corso di dir. amm., cit. I, pp. 16 ss; Sandulli, Manuale dir. amm., cit., pp. 675 ss; sui compiti in funzione dei quali si svolge l’azione amministrativa v. altresì G. Cataldi, I singoli obiettivi della pubblica amministrazione e il loro metodo di studio, in Riv. dir. pubbl., 1947, pp. 60 ss
  102. Su tali funzioni di polizia del Comune nell’ordinamento unitario: v. già E. Bonamico, Della polizia municipale, Casale, 1879; G. Vacchelli, Il Comune nel diritto pubblico moderno, Milano, 1890; quindi S. Romano, Il comune, in Trattato di diritto amministrativo di V. E. Orlando, Milano, 1905, I, pt. II, pp. 1 ss; U. Borsi, Le funzioni del Comune italiano, cit., pp. 280 ss; C. M. Jaccarino, Comune, in Enc. dir., Milano, 1961, VIII, pp. 178 ss; nonché M.S. Giannini, I Comuni, in Atti Congresso celebrativo del centenario delle leggi amministrative di unificazione Vicenza, 1967, pp. 197 ss; L. Giovenco, L’ordinamento comunale, Milano, 1974, VII ediz.; Id., Comune, in Noviss. Dig. it., Torino, 1959, III, pp. 823 ss; quindi N. Marzona, Comune, in Noviss. Dig. it. Appendice II, Torino,1981, pp. 132 ss; G. Pastori, Comune, in Dig. (Disc. pubbl.), Torino, III, 1989, pp. 225 e dottrina ivi citata.
  103. Per utili indicazioni su queste funzioni ed usi dei beni forestali sotto il profilo storico: G. Cherubini, Il bosco in Italia tra XIII e XVI secolo, in L’uomo e la foresta. Secc. XIII-XVIII, Atti della ventisettesima settimana di studi, Prato, 8-13 maggio 1995, a cura di S. Cavaciocchi, Firenze, 1996, pp. 357-374
  104. Una puntuale ed accurata analisi delle linee di politica legislativa espresse da tali Patenti è stata fatta da G. S. Pene Vidari, La normativa forestale da Carlo Felice a Carlo Alberto, in Per un Museo dell’agricoltura in Piemonte: Il bosco e il legno, Associazione Museo dell’Agricoltura del Piemonte, Torino, 1987, pp. 211 ss; Id., Il bosco dall’ambito territoriale locale alla disciplina sabauda, in Pouvoirs et territoires dans le Etats de la Maison de Savoie. Actes du colloque International, (Nice, 2002), a cura di M. Ortolani, O. Vernier, M. Bottin, Nice, 2010, pp. 333 ss .
  105. Per una valutazione di tale assetto normativo si può rinviare a quanto rilevato dalla dottrina del tempo, fra gli altri: C. Pallavicino, Cenni sulla legislazione forestale, in Antologia italiana, S. II, Tomo. III, 1847, pp. 295 ss; A. Messea, Osservazioni relative al riordinamento dell’amministrazione dei boschi negli Stati di terraferma del Re di Sardegna, Torino, Botta, 1854, pp. 105 ss; Vigna- Aliberti, Selve ( boschi e), in Dizionario di diritto amministrativo, cit., 1852, V, pp. 885 ss; e recentemente G. Pene Vidari, Aspetti del regolamento forestale albertino, in L’alpicoltura nel Piemonte del’800, Atti del Seminario in memoria di A. Bogge, (Torino, 2 dicembre 1989), a cura di P. Caroli, P. Corti, C. Pischedda, Torino, 1991, 1 ss.
  106. Per una ricostruzione storica complessiva della normativa forestale in Italia, occorre fare rinvio a trattazioni specifiche: V. OSTI, Appunti per uno studio sistematico della legislazione forestale, Bologna, 1913; L. Ollivero, La proprietà forestale, Milano, 1939, pp. 10 ss; G. P. Bognetti, Boschi e foreste (storia), in Enciclopedia del diritto, Milano, 1959, V, pp. 609 ss; C. Frassoldati, L’ordinamento giuridico forestale e montano in Italia, Firenze, 1960, pp. 20 ss; F. Milani, La proprietà forestale, Milano, 1964, 15 ss; R. Trifone, Storia del diritto forestale in Italia, Firenze, 1957, pp. 112 ss cui adde con puntuale ricostruzione: A. Mura, Profilo storico della legislazione sulle foreste e sui territori montani, in Riv. trim. dir. pubbl., 1971, pp. 118 ss; più recentemente L. Andreani, Selvicoltura, in Enc. dir., Milano, 1990, XLII, pp. 581 ss; A. Crosetti, Boschi e foreste, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1988, ad vocem; da ultimo A. Fioritto, Foreste e boschi, in Dizionario di diritto pubblico diretto da S. Cassese, Milano, 2006, III, pp. 2585 ss; per una ricostruzione della politica legislativa forestale tra ‘800 e ‘900: A. Crosetti, Note sulla politica legislativa forestale italiana tra ‘800 e ‘900: luci e ombre, in Riv. storia dir. it., 2012, LXXXV, pp. 159 ss.
  107. V. ad esempio Regione Lombardia Regolamento forestale n. 5 del 15 settembre 2007; Regione Piemonte Regolamento forestale di attuazione dell’art. 12 L. R. 10 febbraio 2009 n. 4 (Gestione promozione delle foreste); Regione Emilia Romagna Regolamento forestale n. 3 del 1 agosto 2018; Regione Veneto Regolamento di polizia forestale n. 2 del 7 febbraio 2020.
  108. Sui contenuti dei regolamenti edilizi e sulla loro funzione storica v. già B.A. Genco, La potestà regolamentare dei comuni in materia di polizia edilizia, Padova, 1935; D’Avanzo, Regolamento comunale di edilizia, Empoli, 1951; V. Testa, Regolamenti edilizi, Roma, 1955; S. Romano, I regolamenti comunali (in particolare in materia edilizia), in Amm. it., , 1962, pp. 372 ss; G. Pifferi, I regolamenti edilizi comunali, in Corr. amm., 1963, pp. 610 ss; T. Zago, Regolamento edilizio, Empoli, 1964; G. De Cesare, Note storiche sui regolamenti edilizi, in Riv. giur. ed., 1967, II, pp. 129 ss; L. Mazzarolli, Regolamento edilizio, in Noviss. Dig. It., Torino, 1968, XV, pp. 261 ss; N. Assini-P. Mantini, Il regolamento edilizio comunale. Profili giuridici e amministrativi, Rimini, 1992; G. Vignocchi, Regolamenti edilizi, in Dig. (Disc. pubbl.), Torino, 1997, XIII, pp. 62 ss; C. Belloli, Il regolamento edilizio comunale, Milano, 1998, per i profili evolutivi T. Bonetti, Dal regolamento edilizio al regolamento urbanistico ed edilizio, in Riv. giur. urb., 2006, pp. 75 ss.
  109. Per il dibattito, oramai superato, v. G. Fragola, Teoria delle limitazioni alla proprietà privata con speciale riferimento ai regolamenti comunali, Milano, 1910, pp. 341 ss; F. Vassalli, Norme a tutela di pubblici interessi e diritti civili, in Corte di Cassazione, 1942, I, pp. 1246 ss; L. Raggi, Regolamenti comunali di edilizia e d’igiene e il diritto dei privati, ivi, IV, 1927, pp. 1231 ss; M. De Barbieri, Le norme dei regolamenti edilizi e il diritto dei privati, in Riv. di dir. pubbl., XXIII, 1930, pp. 82 ss; F. Panicotti, I regolamenti edilizi dei comuni e i diritti dei privati, in Giur. it., 1930, pp. 167 ss; P. Bodda, Regolamento comunale e diritto subbiettivo, in Annali dell’Istituto superiore di magistero del Piemonte, 1930; E. Rovelli, Efficacia dei regolamenti comunali edilizi nei rapporti tra i privati, in Riv. dir. priv., 1934, pp. 111 ss; G. Azzariti, Norme sui regolamenti comunali edilizi sulle altezze e sulle distanze tra edifici e diritti dei privati, in Riv. dir. civ., 1940, pp. 310 ss; Id., I regolamenti comunali e il diritto di vicinato, in Riv. di dir. pubbl., 1940, I, pp. 633 ss; M. Carabba, Regolamenti edilizi e limitazioni alle posizioni giuridiche soggettive dei privati, in Foro amm., 1962, I, pp. 1184 ss.
  110. Per cenni sulla esigenza di un servizio sanitario negli Stati sabaudu preunitari: G. Rizzetti, Trattato popolare d’igiene privata e pubblica specialmente rivolto a migliorare la condizione delle popolazioni agricole ed indutriali, Torino, Franco, 1854, 2 voll.; P. Castiglioni, Dell’ordinamento del servizio sanitario in Piemonte. Cenni storici e statistici, Torino, 1857 e il già citato Freschi, Dizionario d’igiene pubblica e di polizia sanitaria, Torino, 1857. Sull’evoluzione storico-giuridica delle funzioni pubbliche a tutela della salute dei cittadini e segnatamente sulle funzioni di vigilanza igienico sanitaria e per la prevenzione delle infermità, a mero titolo indicativo: già C. Vitta, Sanità pubblica, in Trattato di diritto amministrativo di V.E. Orlando, Milano, 1904, IV, parte II, pp. 395 ss; A. Labranca, Sanità pubblica, in Nuovo. dig. it., Torino, 1939, XI, pp. 1044 ss; sulla successiva affermazione del principio costituzionale: M. Santilli, Salute del cittadino e responsabilità della pubblica amministrazione. Vicende e problemi, Roma, 1986; G. De Cesare, Sanità (dir. amm.), in Enc. dir., Milano, 1989, XLI, pp. 245 ss; R. Iannotta, Sanità pubblica, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1990, XXVII, ad vocem; per contributi più recenti N. Aicardi, La sanità, in Trattato di diritto amministrativo. Diritto amministrativo speciale a cura di S. Cassese, Milano, 2003, I, pp. 625 ss; C. Corbetta, Sanità, in Dizionario di diritto pubblico, diretto da S. Cassese, Milano, 2006, VI, pp. 5412 ss
  111. In tale nozione vengono ricompresi, in una accezione ampia e comprensiva, sia le istituzioni che gli apparati pubblici ai quali è affidato il compito di controllare i comportamenti dei singoli onde, anche in via preventiva, evitare epidemie e comunque salvaguardare la salute e l’igiene pubblica. A tale proposito è interessante evidenziare che nell’art. 91 del T.U. della legge comunale e provinciale del 1934 tra i compiti comunali in questo settore vi erano fatti rientrare, tra l’altro, “la nettezza urbana e lo sgombero delle nevi, l’illuminazione pubblica, i trasporti funebri, la provvista dell’acqua potabile, i servizi di vaccinazione obbligatoria, la costruzione e la manutenzione delle fognature e dei cimiteri, la costruzione, la manutenzione e l’esercizio dei macelli pubblici e dei mercati ittici, la vigilanza sui cani randagi, le fiere e i mercati”. Per tali profili: R. Iannotta, Igiene. Igiene pubblica, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1989, XV, ad vocem; Id., Malattie infettive e sociali, ivi, 1990, XIX, ad vocem ; A. Nocerino Grisotti, Macello e macellazione, ivi, 1990, XIX, ad vocem ; A. Pubusa, Suolo ed abitato (igiene del), in Enc. dir. Milano, 1990, XLIII, pp. 1044 ss; più recentemente F. Fonderico, L’igiene pubblica, in Trattato di diritto amministrativo. Diritto amministrativo speciale, a cura di S. Cassese, Milano, 2003, I, pp. 711 ss; anche per dati storici, La polizia sanitaria: dall’emergenza alla gestione della quotidianità, (a cura di L. Antonelli), Roma, 2015.
  112. Negli Stati sabaudi l’importanza di una disciplina veterinaria fu autorevolmente sostenuta da D. Vallada che introdusse una apposita scuola, D. Vallada, La scuola veterinaria in Piemonte: saggi storici, Torino, 1872 con particolare attenzione sia alla Polizia sanitaria, vol. I, Torino, Speirani, 1865, che alla Polizia veterinaria, Torino, 1869. Sulla funzione della polizia veterinaria, anche per i profili storici, a mero titolo indicativo: D. Pastina, Animali, in Enc. dir., Milano, 1958, II, pp. 433 ss; R. Liccione, Veterinario, in Enc. forense, 1962, VII, pp. 953 ss; R. Iannotta, Assistenza e vigilanza zooiatrica, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1990, III, ad vocem; L. Rizzati, Servizi di sanità pubblica veterinaria, Milano, 1991; in generale, v. anche R. Liccione, Veterinario, in Enc. forense, 1962, VII, pp.953 ss; R. Iannotta, Veterinario, in Noviss. Dig. it., Torino, 1975, XX, pp. 678 ss; M. Procaccini, Veterinario, in Enc. dir., Milano, 1993, XLVI, pp. 661 ss.
  113. Sui contenuti e le finalità della polizia mortuaria, a mero titolo indicativo V. Puntoni, Polizia mortuaria e cimiteri, Roma, 1948; M. Biggio, Problemi attuali di polizia mortuaria, in Nuova Rass., 1955, fasc. 10; P. G. Repetti, Polizia mortuaria, in Enc. dei Comuni, Firenze, 1955, pp. 40 ss, R. Iannotta, Polizia mortuaria, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1990, XXIII, ad vocem; per le norme ciniteriali: S. Rosa, Cimitero, in Enc. dir., Milano, 1968, VI, pp. 990 ss; G. C. Di San Luca, Cimitero, in Enc. Giur. Treccani, Roma, 2988, VI, ad vocem.
  114. Inteso come potere di prescrivere ad altri talune serie di azioni in una serie indeterminata i rapporti, che a loro volta, vanno distinte, secondo che siano esercitabili nei confronti di soggetti singoli, ovvero di categorie di soggetti. I bandi sono certamente ascrivibili alla varia categoria delle c.d. potestà pubbliche, che si caratterizzano per il fatto di essere poteri a contenuto generale, sia sotto il profilo delle azioni, sia sotto quello dei soggetti destinatari condizionati. Per tali nozioni occorre rinviare a specifici contributi: v. già F. Invrea, Diritti e potestà, in Riv. dir. comm., 1932, pp. 36 ss; E. Garbagnati, Diritto subiettivo e potere giuridico, in Jus, 1941 e 1942; G. Miele, Potere, diritto soggettivo e interesse, in Riv. dir. comm., 1944, pp. 11 ss; S. Romano, Poteri e potestà, in Frammenti di un dizionario giuridico, Milano, 1947, pp. 192 ss; G. Guarino, Potere giuridico e diritto soggettivo, in Rass. dir. pubbl., 1949, pp. 264 ss; per contributi più recenti: V. Frosini, Potere, in Noviss. Dig. It., Torino, 1966, XIII, pp. 436 ss; quindi A. Romano Tassone, Note sul concetto di potere giuridico, in Annali della Facoltà di Economia e Commercio dell’Università di Messina, 1981, pp. 405 ss; G. Sala, Potere amministrativo e principi dell’ordinamento, Milano, 1983; G. Piva, Potere, poteri emergenti e loro vicissitudini nell’esperienza giuridica italiana, Padova, 1986 e soprattutto M. S. Giannini, Il pubblico potere. Stati e amministrazioni pubbliche, Bologna, 1980, pp. 30 ss; A. Cerri, Potere e potestà, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1990, ad vocem; G. Gaspare, Il potere nel diritto pubblico, Padova, 1992; da ultimo B. G. Mattarella, Potere amministrativo, in Dizionario di diritto pubblico, diretto da S. Cassese, Milano, 2006, V, pp. 4393 ss.
  115. Sull’espansione del concetto di sovranità come potestà di impero nei rapporti con gli ordinamenti giuridici, i contributi sono innumerevoli e risalenti, tra i molti, V. Miceli, Saggio di una nuova teoria della sovranità, Firenze, 1884; Le Four, La souverainitè et le droit, Paris, 1908; L. Raggi, La teoria della sovranità, Genova, 1908; H. Lasky, Studies on the problem of sovereignty, London, 1917; H. Kelsen, Das Problem der Souveranitat un die Theorie des Volkerrechts, Tubingen, 1928 (trad. Milano, 1989); E. Crosa, Il principio di sovranità dello Stato nel diritto italiano, in Arch. Giur., 1933, pp. 15 ss; V. Gueli, Sulla teoria della sovranità, Tivoli, 1939; F. Battaglia, La sovranità e i suoi limiti, Firenze, 1939; F. Calasso, I Glossatori e la teoria della sovranità, Milano, 1951; M. Galizia, La teoria della sovranità dal Medio Evo alla Rivoluzione francese, Milano, 1951; E. Cortese, Il problema della sovranità nel pensiero giuridico medievale, Roma, 1966; Id., Sovranità (Storia), in Enc. dir., Milano, 1990, XLIII, pp. 205 ss; M. S. Giannini, Sovranità (diritto vigente), ivi, 1990, XLIII, pp. 224 ss; M. Capurso, I limiti della sovranità negli ordinamenti democratici, in Studi per G. Rossi, Milano, 1967; D. Pasini, Riflessioni in tema di sovranità, Milano, 1966; G. Chiarelli, Sovranità, in Noviss. Dig. it., Torino, 1970, XVII, pp. 1043 ss; B. De Jouvenel, La sovranità, Milano, 1971; più recentemente per i profili evolutivi del concetto: H. Heller, La sovranità ed altri scritti sulla dottrina del diritto e dello Stato, a cura di P. Pasquino, Milano, 1987; A. S. Tarantino, La sovranità, Milano, 1990; L. Ferrajoli, La sovranità nel mondo moderno, Bari, 1997; O. Beaud, La potenza dello Stato, Napoli , 2002; da ultimi P. Passaglia, Sovranità, in Dizionario di diritto pubblico diretto da S. Cassese, Milano, 2006, V, pp. 5643 ss; A. Mattioni, Sovranità, in Dig. (Disc. pubbl.) Aggiornamento, Torino, 2012, pp. 655 ss.
  116. Sullo Stato moderno inteso quale ente finalizzato al perseguimento e alla soddisfazione di interessi generali, sono impossibili citazioni con pretesa di completezza, tra i contributi più noti, v. E. Presutti, Lo Stato moderno, Milano, 1901; G. Jellinek, L’Etat moderne et son droit, Paris, 1913; G. Solari, La formazione storica e ideologica dello Stato moderno, Torino, 1931; E. Crosa, Teoria generale dello stato moderno, Torino, 1947; G. Astuti, La formazione dello Stato moderno in Italia, Torino, 1957; G. Del Vecchio, Lo Stato moderno e i suoi problemi, Torino, 1967; M. Boneschi (a cura di), Lo stato moderno. Antologia di una rivista, Milano, 1967; per la genesi e l’evoluzione: P. Ungari, Lo Stato moderno. Per la storia di una ipotesi di democrazia, in Studi per il XX Costituente, I, Firenze, 1969; A. Caracciolo, La formazione dello Stato moderno, Bologna, 1970; E. Rotelli e P. Schiera (a cura di), Lo Stato moderno, vol. I, Bologna, 1971; vol. II, 1972; vol. III, 1974; A. Marongiu, Lo Stato moderno. Lineamenti storico-istituzionali, Roma, 1971 (ried. Roma, 2006); v. inoltre J. R. Strayer, Le origini dello Stato moderno, Milano, 1975; J. H. Skenna, Le origini dello Stato moderno in Europa, Bologna, 1976; G. Poggi, La vicenda dello Stato moderno, Bologna, 1978; Id., Stato moderno, in Enc. sc. soc., 1998, VIII, 356 ss; P. Schiera, Stato moderno, in N. Bobbio (a cura di), Dizionario di politica, Torino, 1983, 1150 ss; G. Capano, Linee evolutive della forma di Stato nell’età contemporanea, Padova, 1986; G. Chittolini, A. Molho, P. Schiera, (a cura di), Origini dello Stato. Processi di formazione statale in Italia tra medioevo ed età moderna, Bologna, 1994; A. Catania, Lo Stato moderno, Torino, 1996; sull’espansione degli ambiti delle attività di amministrazione al punto che dette attività attualmente costituiscono la parte di gran lunga prevalente dei pubblici poteri v., segnatamente, M. S. Giannini, I pubblici poteri negli Stati pluriclasse, in Riv. trim. dir. pubbl., 1979, pp. 390 ss.
  117. Il termine funzione è, in questa accezione, inteso come l’attività che l’amministrazione pubblica pone in essere per la cura di interessi pubblici e che, in quanto tale, deve essere, nella sua globalità, in un rapporto di presidio dei fini pubblici. Per queste connotazioni e sul rapporto tra potere e funzione v. già G. Burdeau, Remarques sur la classification des fonctions publiques, in Rev. droit publ. 1945, pp. 20 ss; A. Codacci Pisanelli, Analisi delle funzioni sovrane, Milano, 1946; F. Bassi, Contributo allo studio delle funzioni dello Stato, Milano, 1969; M. A. Carnevale Venchi, Contributo allo studio della nozione di funzione pubblica, Padova, 1969 (I) e 1974 (II); G. Miele, Funzione pubblica, in Noviss. dig. it., Torino, 1961, VII, pp. 686 ss; F. Benvenuti, Semantica di funzione, in Jus, 1985, pp. 3 ss; Giannini, Il pubblico potere, cit.; G. Marongiu, Funzione amministrativa, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1989, ad vocem; F. Benvenuti, Funzione. 1 Teoria generale, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1989, XIV, ad vocem; G. Guarino, Atti e poteri amministrativi, Milano, 1997, pp. 20 ss; F. Severi, Funzione pubblica, in Dig. (Disc. pubbl.), Torino, 1991, VII, pp. 69 ss; R. Marrama, L’esercizio della funzione dell’organizzazione pubblica, in AA.VV., Diritto amministrativo, Bologna, 1993, pp. 391 ss; da ultimo G. Napolitano, Funzioni amministrative, in Dizionario di diritto pubblico, diretto da S. Cassese, Milano, 2006, III, pp. 2631 ss.
  118. Il diritto è chiamato ad un processo di adeguamento evolutivo soggetto ad un meccanismo analogo alla selezione naturale in base al quale la norma giuridica più adattiva sopravviene a spese di quella meno adattiva. Su tale processo adattivo: A. Gianola, Evoluzione del diritto, in Riv. dir. civ., 1997, II, pp. 413 ss; L. M. Friedmann, Il sistema giuridico nella prospettiva delle scienze sociali, (trad. G. Tarello), Bologna, 1983; A. Catelani, Norma giuridica ed evoluzione sociale, in Pensare il diritto, 2018, on line-
  119. Per queste concezioni del diritto, tra i molti: già G. Capograssi, La scienza del diritto, Roma, 1937, quindi N. Bobbio, Diritto, in Nov. Dig. it., Torino, 1960, VI, pp. 769 ss; H. L. Hart, Il concetto di diritto, Torino, 1965, pp. 20 ss; E. Paresce, La dinamica del diritto. Contributo ad una scienza del diritto, Milano, 1975; V. Knapp, La scienza del diritto, Roma-Bari, 1978; Losano, Sistema e strutture del diritto. I. Dalle origini alla scuola storica, cit.; A. Falzea, Introduzione alle scienze giuridiche, I, Il concetto di diritto, Milano, 1975; E. Opocher, Diritto e tempo, in Riv. int. fil. dir., 1981, pp. 30 ss; M. Jori, Diritto e scienze umane in Enc. Europea, Milano, 1984; G. Piva, Il giuridico come oggetto scientifico, Roma, 1984; da ultimo L. D’Avack, Diritto, in Il Diritto. Enciclopedia giuridica del Sole 24 Ore, Milano, 2007, 5, pp. 191 ss.
  120. La dottrina, da tempo, ha profuso attenzione ai contenuti ed ai limiti della potestà regolamentare della Amministrazione pubblica, in relazione alle fonti normative v. già A. Codacci Pisanelli, Legge e regolamento, in Scritti di diritto pubblico, Città di Castello, 1900, pp. 4 ss; G. Zanobini, Sul fondamento giuridico della potestà regolamentare, in Arch. giur., 1922, pp. 17 ss ora in Scritti vari di diritto pubblico, Milano, 1955, pp. 150 ss; L. Raggi, Il potere discrezionale e la facoltà regolamentare, Milano, 1923; G. Betti, Sulla base giuridica del potere regolamentare, in Riv. dir. pubbl., XIX, 1927, pp. 7 ss; C. Saltelli, Potere esecutivo e norme giuridiche, Roma, 1926; A. De Valles, Il fondamento del potere regolamentare, in Riv. dir. pubbl., 1930, pp. 40 ss; nonché G. Zanobini, Regolamento, in Nuovo. Dig. It., Torino, 1937, XI; Id., ivi, 1968, pp. 239 ss; tra i trattati U. Forti, Diritto amministrativo, Napoli, 1931, II ediz., pp. 62 ss; C. Vitta, Diritto amministrativo, Torino, 1933, I, pp. 45 ss; O. Ranelletti, Istituzioni di diritto pubblico, Padova, 1935, V ediz., pp. 50 ss; per la dottrina più recente rimane fondamentale lo studio di A.M. Sandulli, L’attività normativa della pubblica amministrazione, Napoli, 1970; da ultimo con puntuale ricostruzione G. Greco, I regolamenti amministrativi, Torino, 2001.
  121. Il citato art. 6 attribuiva la potestà regolamentare al Re, investito esplicitamente del potere di emanare regolamenti di esecuzione, ai quali faceva riferimento la disposizione con la formula “Il Re …fa i decreti e regolamenti necessari per la esecuzione delle leggi, senza sospenderne l’osservanza o dispensarne”, ma competente anche all’emanazione di regolamenti indipendenti, in vista dell’attribuzione ad esso fatta, in via esclusiva, di determinate materie. Sul punto v. le pagine di F. Cammeo, Della manifestazione di volontà dello Stato nel campo del diritto amministrativo, in rattato di diritto amministrativo, diretto da V.E. Orlando, Milano, 1901, III, pp. 174 ss; O. Ranelletti, La potestà legislativa del governo, in Riv. dir. pubbl.,1926, pp. 165 ss; P. Bodda, La potestà normativa del capo del governo, in Scritti di diritto pubblico in onore di G. Vacchelli, Milano, 1938, pp. 43 ss.
  122. I regolamenti di prerogativa regia erano una categoria normativa caratteristica della monarchia limitata, quale è stata quella del Regno sardo e del Regno d’Italia poi, sopravvissuta fino all’epoca dello Statuto albertino. Tale prerogativa risale alle lotte combattute fra gli Stati e la chiesa cattolica nel secolo XVIII ed è stata superata con l’avvento dello Stato costituzionale. Sul punto v. G. Mosca, Appunti di diritto costituzionale, Milano, 1921, pp. 189 ss.
  123. Per l’affermazione di tali principi sulla giustificazione della potestà regolamentare del potere esecutivo nella dottrina del diritto costituzionale e amministrativo di fine ottocento e primi novecento v. L. Casanova, Del diritto costituzionale, Firenze, 1875, 1, III ediz., pp. 120 ss; L. Palma, Questioni costituzionali, Firenze, 1885, pp. 50 ss; F. P. Contuzzi, Trattato di diritto costituzionale, Milano, 1895, 60 ss; A. Morelli, Il Re, Bologna, 1899, passim; quindi A. Codacci Pisanelli, Legge e regolamento, in Scritti di diritto pubblico, cit.; V. Miceli, Principi di diritto costituzionale, Milano, 1913, II ediz., pp. 170 ss; E. Crosa, La competenza regia nel diritto italiano, Torino, 1916, pp. 70 ss; P. Chimenti, Manuale di diritto costituzionale, Roma, 1920, pp. 90 ss; G. Mosca, Appunti di diritto costituzionale, Milano, 1921, pp. 140 ss; G. Vacchelli, Sulla facoltà del potere esecutivo di emanare norme giuridiche, in Riv. dir. pubbl. , 1926, I, pp. 49 ss; E. Betti, Sulla base giuridica del potere regolamentare, op.e loc.cit.; E. Crosa, Sulla natura giuridica dei regolamenti indipendenti, Pavia, 1928; V. Sinagra, La potestà normativa del potere esecutivo, Roma, 1931.
  124. Si osservò, da un lato, che il potere di auto-organizzazione, certamente non disconoscibile, non era tuttavia sufficiente a giustificare gli effetti esterni delle norme emanate in base ad esso; dall’altro lato, si rivelò l’inesistenza della asserita simmetria fra potestà regolamentare e discrezionalità, sottolineando la presenza di casi in cui c’è l’una senza l’altra e viceversa. Per utili riferimenti a questo dibattito critico e ai relativi sbocchi, per limitarci ai manuali, v. una chiara sintesi in Zanobini, Corso di diritto amministrativo, cit., I, pp. 69 ss; quindi Lavagna, Istituzioni di diritto pubblico, cit., pp. 352 ss; F. Bassi, Lineamenti di diritto amministrativo, Milano, 1995, pp. 49 ss; S. Lariccia, Diritto amministrativo, Padova, 2000, pp. 132 ss.
  125. Regola già fissata nell’art. 4 delle Disposizioni della legge in generale (c.d. Preleggi) anteposte all’approvazione del Codice civile di cui al R.D. 16 marzo 1942 n. 262 secondo il quale il potere regolamentare del Governo è disciplinato da leggi di carattere costituzionale. Per l’affermazione di tale principio nell’ordinamento costituzionale italiano: G. Guarino, Osservazioni sulla potestà regolamentare, in Rass. dir. pubbl. 1948, III, pp. 81 ss; G. Zanobini, La potestà regolamentare e la Costituzione, in Riv. trim. dir. pubbl., 1951, pp. 553 ss; A.M. Sandulli, La potestà regolamentare nell’ordinamento vigente, in Scritti per il decennale della Costituzione, Milano, 1958, II; L. Carlassare, Regolamenti dell’esecutivo e principio di legalità, Padova, 1966; E. Cheli, Potere regolamentare e struttura costituzionale, Milano, 1967; G. Gemma, Qualche osservazione in tema di regolamenti, in Arch. giur., 1968; S. Labriola, Legge e regolamento nel sistema costituzionale delle fonti normative in Nomos, 1990, III, n. 2, pp. 81 ss;P. Caretti, U De Siervo (a cura di), Potere regolamentare e strumenti di direzione dell’amministrazione, Bologna, 1991; nonchè l’importante studio di A.M. Sandulli, L’attività normativa della pubblica amministrazione, Napoli, 1970; quindi G. Marchianò, La funzione regolamentare, in Arch. giur., 1985, CCV, pp. 251 ss; A. Cerri, Regolamenti, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1991, XXVI, ad vocem; in particolare sulla potestà regolamentare degli enti locali: U. De Siervo, Statuti, regolamenti, nuove fonti normative di Comuni e Province, in Le Regioni, 1991, pp. 387 ss; O. Sepe, In tema di potere regolamentare dei Comuni nel nuovo ordinamento, in Riv. amm., 1991, pp. 1928 ss; T. Groppi, Autonomia costituzionale e potestà regolamentare degli enti locali, Milano, 1994; A. Lucarelli, Il potere regolamentare, Padova, 1995; Id., Il fondamento del potere regolamentare dei Comuni, in Quad. cost., 2003, 23, pp. 357 ss; sugli effetti delegificanti: A. Pizzorusso, Delegificazione, in Enc. dir. Aggiorn., Milano, 1999, III, pp. 492 ss; da ultimo N. Lupo, Dalla legge al regolamento. Lo sviluppo della potestà normativa del governo nella disciplina delle pubbliche amministrazioni, Bologna, 2003.
  126. Per questa configurazione e connotazione e sul ruolo funzionale dell’amministrazione pubblica e relativa evoluzione, anche solo per rimanere nell’ordinamento italiano, tra i vari contributi: v. già A. Bonassi, Amministrazione pubblica, in Dig. it., Torino, 1895, III, 1, pp. 6 ss; quindi G. Zanobini, Amministrazione pubblica. Nozione e caratteri generali, in Enc. dir., Milano, 1958, II, pp. 231 ss; M. S. Giannini, Amministrazione pubblica. a) Premessa storica, in ivi, 1958, II, pp. 231 ss; P. Gasparri, Teoria giuridica della pubblica amministrazione, Padova, 1964; S. Cassese, La formazione dello Stato amministrativo, Milano, 1974; Id., L’amministrazione pubblica in Italia, Bologna, 1974; L. Carlassare, Amministrazione e potere politico, Padova, 1974; P. Calandra, Il dibattito sull’Amministrazione pubblica nel secondo dopoguerra, in Riv. trim. dir. pubbl., 1975, 5, pp. 1728 ss; Id., Storia dell’amministrazione pubblica in Italia, Bologna, 1978; G. Stammati, Amministrazione pubblica, in Enc. del Novecento, Roma, 1976, I, pp. 140 ss; V. Bachelet, Evoluzione del ruolo e delle strutture della pubblica amministrazione, in Scritti per C. Mortati, Milano, 1977, II, pp.1 ss; S. Cassese, L’amministrazione pubblica in Italia, in Riv. trim. scienze amm., 1985, XXXII, pp. 3 ss; Giannini, Il pubblico potere. Stati e amministrazioni pubbliche, cit., 1986; G. Berti, Diritto e Stato: riflessioni sul cambiamento, Padova, 1986; F. S. Severi, Amministrazione dello Stato, in Digesto IV (Disc. pubbl.), Torino, 1987, I, pp. 227 ss; M. S. Giannini, L’amministrazione pubblica nello Stato contemporaneo, in Trattato di diritto amministrativo diretto da G. Santaniello, Padova, 1988; M. Nigro, Amministrazione pubblica (organizzazione giuridica dell’), in Enc. giur. Treccani, Roma, 1988, II, pp. 1 ss; S. Cassese (a cura di), Organizzazione e funzionamento della pubblica amministrazione, Bologna, 1989; G. Santaniello, Amministrazione pubblica, in Enc. it. Treccani, Roma, 1991, ad vocem; E. Picozza, Della pubblica amministrazione, Padova, 1993; F. Benvenuti, Disegno dell’amministrazione italiana. Linee positive e prospettive, Padova, 1996; E. Casetta, Pubblica amministrazione, in Dig. (Disc. pubbl.), Torino, 1997, XII, pp. 27 ss; E. Casetta e S. Foà, Pubblica amministrazione, in Dig. (Disc. pubbl.) Aggiorn., Torino, 2000, pp. 436 ss; quindi M. Cammelli, La pubblica amministrazione, Bologna, 2004; G. Napolitano, Pubblica amministrazione, in Dizionario di diritto pubblico, diretto da S. Cassese, Milano, 2006, V, pp. 4741 ss.
  127. Per l’ascrizione dei regolamenti alle fonti secondarie del diritto amministrativo, oltre agli Autori già citati:G. Galateria, Osservazioni sulla classificazione delle leggi amministrative, in Riv. amm., 1952, I, pp. 505 ss; A. Marigliano, Fonti del diritto amministrativo, in Burocrazia, 1981, pp. 341 ss; G.U. Rescigno, L’atto normativo, Bologna-Roma, 1999; da ultimo F. Sorrentino, Le fonti del diritto amministrativo, in Trattato di diritto amministrativo diretto da G. Santaniello, Padova, 2004, vol. XXXV, pp. 62 ss; A. Romano Tassone, La normazione secondaria, in AA. VV., Diritto amministrativo, Bologna, 2005, I, pp. 138 ss; M. Mazzamuto, L’atipicità delle fonti del diritto amministrativo, in Dir. amm. 2015, pp. 683 ss.
  128. Per il fondamento costituzionale della funzione regolamentare degli enti locali, anche dopo la riforma costituzione del Titolo V nel 2001, v. L. Pecoraro-T.F. Giupponi, Le fonti locali tra legislazione di principio e disposizioni di dettaglio, in AA. VV., Osservatorio sulle fonti 2000, a cura di U. De Siervo, Torino, 2001, pp. 243 ss; A. Paradiso, Produzione normativa autonoma: problematiche e tecniche di redazione e applicazione, in Nuova Rass. lgs, 2001, pp. 479 ss; G. Di Cosimo, I regolamenti nel sistema delle fonti (Vecchi nodi teorici e nuovo assetto costituzionale), Milano, 2005; M. Di Folco, La garanzia costituzionale del potere normativo locale (Statuti e regolamenti locali nel sistema delle fonti, fra tradizione e innovazione costituzionale, Padova, 2007; A. Lucarelli, Il fondamento del potere regolamentare dei comuni, in Quad. cost., 2003, 2, pp. 357 ss; A. Piraino (a cura di), La funzione normativa di comuni, province e città metropolitane, Palermo, 2002; G. U. Rescigno, Note per la costruzione di un nuovo sistema delle fonti, in Dir. pubbl. 2002, 2, pp. 767 ss.
  129. Sul punto la dottrina è pacifica, sull’origine storica e la ratio dell’istituto: v. S. FOIS, La “riserva di legge”. Lineamenti storici e problemi, Milano, 1963; R. G. De Franco, Riserva di legge, in Noviss. Dig. it., Torino, 1969, XVI, pp. 104 ss; A. Di Giovine, Introduzione allo studio della riserva di legge nell’ordinamento costituzionale italiano, Torino, 1970; R. Balduzzi e F. Sorrentino, Riserva di legge, in Enc. dir., Milano, 1989, XL, pp. 1207 ss; L. Carlassare, Riserva di legge, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1990, XVIII; ad vocem; R. Guastini, Riserva di legge, in Dig. (Disc. pubbl.), Torino, 1997, IX, pp. 163 ss; da ultimo P. G. Casalena, Riserva di legge, in Il Diritto. Enciclopedia giuridica del Sole 24, Milano, 2007, 13, pp. 605 ss.
  130. Su tale potestà regolamentare, prevalente di tipo esecutivo e/o attuativo: E. Balboni, La potestà regolamentare nel quadro dell’autonomia statutaria, in Le Regioni, 2004, pp. 648 ss; P. Giangaspero, Statuti regionali ordinari e potere regolamentare regionale, in Le Regioni, 2004, pp. 658 ss; D. Galliani, I regolamenti regionali tra riforma costituzionale e statuti. Titolarità e ambiti di intervento, Milano, 2005; D. Bessi, La titolarità del potere regolamentare regionale: la scelta spetta agli statuti, in Quaderni regionali, 2005, pp. 129 ss; G. Di Cosimo, La potestà regolamentare negli Statuti, in P. Caretti (a cura di), Osservatorio sulle fonti 2005. I nuovi statuti regionali, Torino, 2006, pp. 206 ss; nonché F. Marzano, I regolamenti regionali nei nuovi statuti delle regioni ordinarie, in Assemblea Reg. Emilia Romagna, 2009, on line. All’interno di tale potere regolamentare anno trovato legittimazione, ad esempio, i Regolamenti regionali tipo edilizi e urbanistici nel rispetto della normativa statale sull’assetto e governo del territorio, come pure i già evocati Regolamenti regionali forestali e di polizia forestale.