Il contributo delle aree montane alla transizione ecologica ed il nuovo modello delle Green Communities

Fulvio Leonzio [1]

(ABSTRACT)

L’obiettivo della transizione ecologica ha risollevato l’attenzione politica nei confronti dei territori montani. In particolare, l’investimento dedicato alle Green Communities nel PNRR presenta significativi elementi di novità, ricercando un immediato contributo dei territori rurali e montani, nella consapevolezza della necessità di sviluppare strumenti sperimentali di gestione delle loro risorse ecosistemiche. L’elaborato, dopo aver sinteticamente ricostruito la parabola delle Comunità montane nell’ordinamento, si concentra sulla concretizzazione della Strategia delle Green Communities e sul potenziale di questo nuovo modello organizzativo in termini di stimolo alle capacità di governance e di sviluppo di politiche integrate nelle aree montane.

Sommario:

1. Cenni introduttivi: una nuova attenzione verso i territori montani nel quadro della transizione verde – 2. Il governo delle aree montane: la parabola discendente delle Comunità montane – 3. Una nuova fase: la definizione di Strategie per il rafforzamento delle aree interne e montane – 4. La concretizzazione delle Green Communities nel PNRR – 5. Spunti conclusivi: verso un rafforzamento della capacità di governance nei territori montani

1. Cenni introduttivi: una nuova attenzione verso i territori montani nel quadro della transizione verde

Negli ultimi anni si sta assistendo ad un rinnovato interesse nei confronti dei territori montani all’interno dell’ordinamento italiano. In primo luogo, il fenomeno dello spopolamento nei territori periferici ha portato gli studiosi e la politica a ricercare nuove soluzioni che permettessero di arginare la lenta ed apparentemente inesorabile crisi demografica di tali aree, a vantaggio di quelle urbane[2]. In secondo luogo, e in parallelo, i recenti sforzi pubblici in favore della transizione ecologica, sulla spinta degli ambiziosi obiettivi posti a livello internazionale[3] ed europeo[4] per uno sviluppo socio-economico maggiormente sostenibile ed attento alla tematica ambientale[5], stanno coinvolgendo anche la dimensione rurale e montana del territorio italiano. È infatti evidente che la volontà di tutela dell’ambiente non può prescindere dal contributo dei territori periferici, fisiologicamente dotati di risorse ecosistemiche maggiori rispetto alle aree urbane, e in grado pertanto di svolgere un ruolo importante verso l’obiettivo della decarbonizzazione. In questa prospettiva, non sorprende che il PNRR, tra le misure in favore dei territori rurali e montani[6], abbia disposto uno specifico finanziamento espressamente deputato alla realizzazione delle cd. Green Communities, il cui compito è precisamente quello di favorire «lo sviluppo sostenibile e resiliente dei territori rurali e di montagna che intendano sfruttare in modo equilibrato le risorse principali di cui dispongono tra cui, in primo luogo, acqua, boschi e paesaggio, avviando un nuovo rapporto sussidiario e di scambio con le comunità urbane e metropolitane»[7]. Il modello organizzativo delle Green Communities compare così sulla scena dopo il noto ridimensionamento delle Comunità montane e le parziali contromisure politiche adottate dal legislatore negli anni successivi alla crisi finanziaria ed incidenti sulle aree montane. In questo senso, i tratti distintivi del nuovo modello possono essere meglio apprezzati tramite una sintetica ricostruzione di questi passaggi.

2. Il governo delle aree montane: la parabola discendente delle Comunità montane

Punto di partenza fondamentale per una rapida disamina dei mutamenti intervenuti nell’organizzazione dei territori montani è la legge n. 1102/1971, istitutiva delle Comunità montane quali enti di diritto pubblico, intermedi tra il livello comunale e quello provinciale, destinati a guidare lo sviluppo dell’area montana[8]. L’obiettivo del legislatore era quello di dar vita ad un nuovo ente che si affiancasse ai Comuni montani, fisiologicamente localizzati in zone periferiche, lontane dai principali centri urbani del Paese e nelle quali tendenzialmente si accentua il ben noto fenomeno della frammentazione comunale italiana[9]. Ad esso venivano attribuiti in prima battuta compiti di pianificazione dello sviluppo economico del territorio, all’interno di una più generale finalità di riduzione degli squilibri territoriali tra zone montane e parte restante del territorio, in attuazione dell’art. 44, comma 2 Cost. Ferma la destinazione spiccatamente programmatoria dell’ente, la legge rimetteva alle Regioni il compito di disciplinare in maniera più organica la struttura istituzionale del nuovo ente e di individuare le zone omogenee nelle quali costituire una Comunità montana, originando così significative differenziazioni regionali in punto di governance e di ampiezza della circoscrizione delle singole Comunità montane[10].

Ad ogni modo, in evidente contrasto con l’iniziale definizione quale ente leggero e di supporto per le municipalità, la successiva evoluzione legislativa ha attribuito alle Comunità montane funzioni maggiormente gestorie ed intercomunali[11], dando luogo progressivamente ad un avvicinamento delle Comunità montane alla forma associativa delle Unioni di Comuni, poi culminata nella qualificazione delle Comunità quali «unioni di comuni»[12] destinate alla valorizzazione dei territori montani. Il tendenziale assorbimento delle Comunità montane entro il modello delle Unioni di Comuni è stato infine portato a compimento dalla cd. legislazione crisi, che ha sostanzialmente azzerato le risorse statali destinate alle Comunità montane[13], spingendo così la quasi totalità delle Regioni[14] verso la loro soppressione o la loro trasformazione coattiva in Unioni di Comuni montani, il cui finanziamento è rimesso ai Comuni membri. Il tentativo di superamento dell’ente montano da parte del legislatore statale risulta peraltro evidente anche analizzando la normativa che ha introdotto il noto quanto travagliato esercizio obbligatorio in forma associata delle funzioni fondamentali per i piccoli Comuni (art. 14, comma 27, d.l. n. 78/2010). Non è infatti un caso che, tra le forme riconosciute ammissibili per il predetto esercizio, siano state individuate soltanto le Unioni di Comuni e le convenzioni, escludendo che lo svolgimento delle funzioni fondamentali comunali all’interno di una Comunità montana potesse soddisfare l’obbligo[15].

In definitiva, un quadro piuttosto preoccupante, se si pensa che, contestualmente al declino delle Comunità montane, anche il livello provinciale si è visto fortemente indebolito negli anni della crisi. Le municipalità montane sono state così chiamate a gestire territori spesso molto vasti, in un quadro di crescente isolamento e con dotazioni finanziarie esigue, peraltro dinanzi ad una crisi demografica apparentemente incontrastabile che ne ha acuito le fragilità[16].

3. Una nuova fase: la definizione di Strategie per il rafforzamento delle aree interne e montane

Ferme le difficoltà delle istituzioni di governo del fenomeno montano, è però necessario sottolineare come, trascorso il periodo di maggiore difficoltà per il bilancio dello Stato, il legislatore abbia cercato di destinare nuovi strumenti di finanziamento in favore dei territori periferici. In particolare, nel tentativo di potenziare l’attrattività delle aree più fragili del Paese da un punto di vista economico-sociale, sono state lanciate alcune strategie volte a finanziare progetti specifici di sviluppo, con l’obiettivo di potenziare l’offerta infrastrutturale, turistica e dei servizi socio-sanitari delle aree periferiche. Tra queste, la Strategia Nazionale per le Aree Interne (cd. SNAI) è senza dubbio la più nota, non soltanto per i suoi risultati pacificamente ritenuti positivi, ma anche per il suo approccio place-based, tipico dei programmi finanziati attraverso risorse dell’Unione europea, e per la sua capacità di contrastare la decadenza delle aree interne, tanto demografica, quanto dei servizi di welfare da esse offerte[17]. Se pertanto non sorprende il rinnovo della Strategia anche per il settennato di bilancio UE 2021-2027, con ulteriori risorse provenienti anche dal PNRR[18], è però opportuno precisare, per quanto di interesse in questa sede, che il criterio di individuazione delle aree destinatarie degli interventi non è mai stato ancorato all’altimetria dei territori[19]. Meno conosciuta, quantomeno al momento della sua introduzione nell’ordinamento, che risale all’art. 72 della l. n. 221/2015 cd. «collegato ambientale», era invece la Strategia Nazionale delle Green Communities. Quest’ultima mirava alla valorizzazione delle risorse ambientali dei territori rurali e montani per uno sviluppo ambientale, sociale, ed economico maggiormente sostenibile, che permettesse di generare benefici anche in favore delle aree urbane, originando così nuove interconnessioni ecosistemiche a beneficio di tutta la collettività[20]. La norma individuava una serie di campi all’interno dei quali «impostare, nella fase della green economy, un piano di sviluppo sostenibile»[21] e chiamava le Regioni ad «individuare le modalità, i tempi e le risorse finanziarie sulla base dei quali le unioni di comuni e le unioni di comuni montani promuovono l’attuazione della strategia nazionale»[22], in conformità con quanto definito a livello ministeriale. La Strategia Nazionale delle Green Communities si poneva così in una dimensione di complementarità rispetto alla Strategia Nazionale Aree interne: da un lato emergevano alcuni significativi punti di contatto tra le due strategie, tra cui i territori periferici destinatari delle politiche ed un’evidente attenzione comune per la dimensione intercomunale; dall’altro lato, la Strategia delle Green Communities sembrava acquisire una propria natura nella valorizzazione delle risorse naturali, dello sviluppo sostenibile e della integrazione tra i territori periferici ed urbani[23]. Ad ogni modo, il progetto Green Communities non è stato in grado, almeno in origine, di affermarsi nel panorama politico, sia a causa della mancanza di una definizione chiara del concetto di Green Communities[24], sia in considerazione della farraginosità del percorso attuativo della Strategia, chiamata a coinvolgere plurimi livelli territoriali, peraltro senza individuare in maniera chiara le risorse finanziarie su cui fare perno.

4. La concretizzazione delle Green Communities nel PNRR

Come anticipato però, il PNRR è intervenuto a dare una nuova veste alle Green Communities, trasformandole da semplice suggestione a reale politica di sviluppo. Infatti, all’interno della Missione 2, la Componente 1, Investimento 3.2 destina 135 milioni di Euro alle Green Communities, richiamando nella sostanza la Strategia del 2015[25] e portandola così a compimento con una dotazione finanziaria consistente ed una definizione chiara dei tempi di attuazione della misura, nel rispetto dello spirito del PNRR[26]. Nel dettaglio, la misura prevede il finanziamento di progetti di sviluppo sostenibile, nella sua triplice accezione ambientale, economica e sociale, predisposti da comunità locali facenti parte di territori rurali e montani, da individuare tramite una procedura competitiva. Alla luce della natura sperimentale del finanziamento, soprattutto a causa della perdurante scarsa chiarezza definitoria del concetto di Green Communities, il Dipartimento affari regionali ed autonomie, soggetto ministeriale responsabile dell’attuazione della misura, ha scelto di scomputare 6 milioni di Euro dal totale delle risorse per finanziare direttamente 3 progetti pilota. Con d.m. del 30 marzo 2022 sono state così individuate la Green Community “Terre del Monviso”, per la Regione Piemonte, l’Unione montana dell’Appennino Montano “La montagna del latte”, per la Regione Emilia-Romagna, e la Green Community “Parco regionale Sirente-Velino”, per la Regione Abruzzo, ciascuna destinataria di una dotazione pari a 2 milioni di Euro, con l’obiettivo di fornire linee guida utili alle comunità locali sui progetti finanziabili e le misure concrete che le Green Communities saranno chiamate ad adottare[27]. Successivamente, il Dipartimento predetto ha pubblicato l’avviso per la promozione delle Green Communities, definite come «comunità locali, tra loro coordinate e/o associate, che intendono sfruttare in modo equilibrato le risorse principali di cui dispongono e che saranno finanziate nella realizzazione di piani di sviluppo sostenibili dal punto di vista energetico, ambientale, economico e sociale»[28], disponendo il finanziamento di almeno 30 piani di sviluppo di Green Communities, per una somma totale di 129 milioni di Euro e con la possibilità da parte di ciascun soggetto vincitore di ottenere risorse comprese tra 2 e 4,3 milioni di Euro. Tra gli aspetti salienti del bando, è opportuno sottolineare in primo luogo che la ripartizione delle risorse è avvenuta su base regionale, e che tra i criteri di riparto sono state considerate le quote di superficie rurale e montana nei territori regionali, con l’inserimento di due correttivi volti a garantire il raggiungimento del 40% del finanziamento per le regioni del Mezzogiorno (cd. quota Mezzogiorno del PNRR) e un finanziamento minimo di 2 milioni di euro per la Regione Valle D’Aosta[29]. Inoltre, con una scelta fortemente orientata alla promozione della collaborazione intercomunale in tutte le sue forme, sono stati individuati quali soggetti ammessi a concorrere ai finanziamenti le Unioni di Comuni ex. art. 32, le Comunità montane ex. art. 27, i Consorzi ex. art. 31 e gli enti convenzionati ex. art. 30 Tuel. La volontà di garantire un respiro intercomunale ai progetti emerge anche analizzando i criteri di valutazione delle proposte progettuali presentate, tra cui spiccano la partecipazione alla Green Community di 5 Comuni o più e la costituzione della forma associativa partecipante al bando in un momento antecedente alla sua pubblicazione. Infine, l’avviso favorisce la possibilità che le Regioni cofinanzino i progetti con risorse proprie complementari, utili a potenziare il piano di sviluppo sostenibile della Green Community.

Infine, gli esiti del bando sono stati resi pubblici tramite d.m. il 28 settembre 2022, con l’ammissione al finanziamento di 36 progetti su più di 180 candidature presentate. Il successo registrato, dovuto senz’altro anche all’opera di promozione svolta dall’UNCEM, testimonia la perdurante vitalità dei territori montani e la loro crescente consapevolezza della necessità di puntare sull’innovazione per valorizzare al meglio i servizi ecosistemici della montagna[30].

5. Spunti conclusivi: verso un rafforzamento della capacità di governance nei territori montani

Nel quadro della transizione verde, un investimento quale quello disposto in favore delle Green Communities è da salutare positivamente. È infatti oltremodo evidente come, alla luce dell’ambiziosa volontà, di trasformare il nostro intero sistema produttivo, verso una nuova sua compatibilità con le risorse ecosistemiche, tutto il territorio debba essere coinvolto attivamente nel perseguimento dello sviluppo sostenibile. In quest’ottica, lo strumento dei piani di sviluppo presenta caratteri sperimentali molto significativi nella misura in cui gli stessi sono chiamati ad ideare «un nuovo rapporto sussidiario e di scambio con le comunità urbane e metropolitane». I progetti presentati dalle singole Green Communities, inserendosi appieno nell’alveo del nuovo approccio di integrazione tra territori del PNRR, potranno così fornire elementi utili per immaginare nuovi metodi di gestione delle risorse ambientali maggiormente efficienti e condivisi tra le comunità metropolitane e montane[31]. Inoltre, per quanto l’investimento sia esiguo rispetto alle dimensioni complessive del PNRR, la sua destinazione in favore dei territori montani certifica la rinnovata attenzione politica nei confronti di queste aree, dopo più di un decennio di sostanziale disinteresse, se non di vera e propria inattuazione dell’art. 44, comma 2 Cost. Peraltro, a riprova di una nuova centralità della montagna nelle politiche di bilancio, il legislatore ha scelto di rifinanziare in maniera importante il Fondo per lo Sviluppo della Montagna Italiana nella legge di bilancio 2022, con una dotazione di 100 milioni di Euro per l’anno 2022 e di 200 milioni di Euro per l’anno 2023[32], ripartita gestionalmente tra Ministero per gli affari regionali e le autonomie, per gli interventi di competenza statale e il finanziamento di campagne istituzionali sui temi della montagna, e Regioni, per gli interventi di competenza delle Regioni e degli enti locali. Significativa, al riguardo, è stata la scelta della Regione Piemonte di destinare l’intera quota regionale del Fondo per il 2022 (poco più di 9 milioni di Euro) in favore delle Green Communities del territorio. Nel dettaglio, essa ha individuato, rispetto all’ampio spettro di forme di collaborazione previste nel bando statale, le Unioni montane quali necessari soggetti capofila destinatari del finanziamento, per un importo compreso tra un minimo di 1 milione e un massimo di 2 milioni di Euro[33]. Infine, il disegno strategico delle Green Communities si inserisce nel solco del recupero dell’intercomunalità all’interno dei territori montani e periferici, già precedentemente tracciato con la Strategia Nazionale Aree Interne. In questo senso, dopo la parentesi coincidente con la crisi finanziaria e il conseguente declino delle Comunità montane, il legislatore sembra ritornare sui suoi passi in maniera sempre più decisa, nella consapevolezza delle necessità di rafforzare il coordinamento tra le istituzioni municipali, a maggior ragione in territori fisiologicamente caratterizzati da frammentazione ed isolamento[34]. Peraltro, il bando Green Communities, nel tentativo di aprire le maglie del finanziamento in favore del maggior numero di esperienze di collaborazione intercomunale, sembra voler rivitalizzare forme associative finite in apparenza nel dimenticatoio, quali non soltanto le Comunità montane ma persino i consorzi, a testimoniare la difficoltà attuativa del disegno di reductio ad unum dei modelli associativi immaginato dal legislatore negli anni della crisi.

In conclusione, la speranza è che il supporto finanziario in favore delle Green Communities possa incentivare nuove politiche di collaborazione intercomunale nei territori montani, anche valorizzando una maggiore flessibilità nell’individuazione dello strumento di coordinamento più efficace e coerente con le specificità territoriali, nell’ottica di realizzare nuovi progetti di sviluppo integrati e condivisi nella direzione della sostenibilità e della transizione ecologica.

  1. Dottorando di ricerca in Diritto europeo presso l’Alma Mater Studiorum – Università di Bologna.
  2. Ex multis, L. Corazza, R. Dipace, La disciplina giuridica delle aree interne. Tra coesione territoriale e sviluppo sostenibile, in M. Marchetti, S. Panunzi, R. Passagli (a cura di), Aree interne. Per una rinascita dei territori rurali e montani, Catanzaro, Rubettino Editore, 2017, pp. 81 ss.; D. Cerosimo, A. R. Ferrara, R. Nisticò, L’Italia dei pieni e dei vuoti, in A. De Rossi (a cura di), Riabitare l’Italia. Le aree interne tra abbandoni e riconquiste, Roma, Donzelli Editore, 2018, pp. 21 ss.; J. G. Macchi, A. Palumbo, Territori spezzati: Spopolamento e abbandono nelle aree interne dell’Italia contemporanea, CISGE – Centro Italiano per gli Studi Storico-Geografici, Roma, 2019; M. De Donno, C. Tubertini, Frammentazione comunale e contrasto allo spopolamento: la prospettiva italiana, in Ist. del Fed., 2020, n. 2, pp. 297 ss.; C. Cipolloni, Le politiche di contrasto al fenomeno dello spopolamento nelle Aree interne, in Italian Papers on Federalism, 2021, n. 3, pp. 52 ss.; G. Carrosio, La strategia nazionale per le Aree Interne: ragioni, teoria e metodo di una politica emancipativa per i luoghi lasciati indietro, in M. Degni (a cura di), V Rapporto Ca’ Foscari sui comuni 2022. I comuni davanti alla sfida del PNRR, Roma, Castelvecchi, 2022, pp. 379 ss.
  3. Basti ricordare in questa sede la Dichiarazione di Rio sull’ambiente e lo sviluppo, adottata dalla Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente e lo sviluppo nel 1992, e la risoluzione dell’Assemblea generale ONU del 25 settembre 2015 «Trasformare il nostro mondo: l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile», istitutiva, come noto, dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile.
  4. Si pensi agli sforzi compiuti dall’Unione europea per guidare gli Stati membri UE verso un’Europa ad impatto ambientale zero, cristallizzati nel Green Deal europeo, COM (2019) 640 final, nella «Normativa europea sul clima», REG (UE) 2021/1119, e nel pilastro della transizione verde previsto all’interno del Regolamento istitutivo del dispositivo per la ripresa e la resilienza, REG (UE) 2021/241.
  5. Sulla transizione ecologica quale nuovo modello di sviluppo socio-economico che permetta di riconciliare la produttività e l’utilizzo delle risorse naturali, nella prospettiva della lotta al cambiamento climatico e dell’equità intergenerazionale, ex multis A. Moliterni, La sfida ambientale e il ruolo dei pubblici poteri in campo economico, in Riv. Quad. Dir. Amb., 2020, n. 2, pp. 32-43; F. Scalia, Energia sostenibile e cambiamento climatico: profili giuridici della transizione energetica, Torino, Giappichelli, 2020, pp. 1-41; F. De Leonardis, La transizione ecologica come modello di sviluppo di sistema: spunti sul ruolo delle amministrazioni, in Dir. ammin., 2021, n. 4, 779-794, F. Fracchia, P. Pantalone, Decider(ci) per la morte: crisi, sostenibilità, energie rinnovabili e semplificazioni procedimentali: interpretare il presente con il paradigma delle relazioni intergenerazionali nutrite di solidarietà, Napoli, Editoriale scientifica, 2022, pp. 17-31.
  6. Tra le altre, si pensi alla Missione n. 5 del PNRR «Inclusione e coesione», la cui Componente n. 3 è interamente dedicata ad «Interventi speciali per la coesione territoriale», all’interno del quale spicca l’Investimento 1, pari a 830 milioni di Euro, per il rafforzamento della Strategia Nazionale Aree Interne, attraverso misure a supporto del miglioramento dei livelli e della qualità dei servizi scolastici, sanitari e sociali. Anche la Missione n. 1 del PNRR «Digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo» ha immediati effetti nei confronti dei territori rurali e montani, prevedendo la destinazione di risorse in favore delle piccole realtà in particolare all’interno della Componente n. 3 «Turismo e cultura», Sottocomponente n. 2 «Rigenerazione di piccoli siti culturali, patrimonio culturale religioso e rurale», con finanziamenti complessivi pari a 2,72 miliardi di Euro. Si veda diffusamente il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Per approfondire, si vedano inoltre C. Cipolloni, Le politiche di contrasto cit., pp. 71-73; R. Astolfo, N. I. Buonsante, Aree interne: stato dell’arte e intersezioni con il PNRR, in M. Degni (a cura di), V Rapporto Ca’ Foscari cit., pp. 335-339. Sulla Strategia Nazionale Aree Interne, si veda anche infra.
  7. Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, p. 127. Il finanziamento per le Green Communities è stato disposto all’interno della Missione n. 2 del PNRR «Rivoluzione verde e transizione ecologica», Componente n. 1 «Agricoltura sostenibile e economia circolare», Investimento 3.2, per un importo pari a 135 milioni di Euro. Sul complessivo rapporto tra PNRR, sviluppo sostenibile e transizione verde, si vedano S. Lazzari, La transizione verde nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza «Italia Domani», in Riv. Quad. Dir. Amb., 2021, n. 1, pp. 207-218 e L. Pergolizzi, PNRR e transizione ecologica: un duplice percorso, in Ist. Del Fed., 2022, n. 2, pp. 449-472.
  8. Le aree montane, all’interno delle quali era possibile istituire una Comunità montana, venivano individuate attraverso criteri omogenei, definiti dalla legge n. 9911/1952, alla quale si deve la creazione di un concetto unitario di montagna, la cd. montagna legale. Per approfondire, si veda C. Desideri, La montagna nella legislazione italiana: dagli interventi di settore alla tutela del paesaggio, in Agr. Mer. Ist., 2014, n. 1, p. 12; G. P. Boscariol, La strategia per le aree interne quale strumento di sviluppo dei territori montani, in Riv. Giur. Mezz., 2017, n. 3, pp. 675-677; G. Marchetti, A favore delle zone montane: dalla legislazione organica statale a legislazioni organiche regionali (e oltre), in Le Reg., 2020, n. 5, p. 1084.
  9. È sufficiente in questa sede richiamare come siano ben 5.534 i Comuni italiani sotto i 5.000 abitanti, il 70,04 del numero totale, nei quali si contano 9.731. 307 residenti, pari al 16,54% della popolazione nazionale. Dati Istat aggiornati al 01/01/2023 e reperibili al sito https://www.tuttitalia.it/comuni-minori-5000-abitanti.
  10. A.M. Baroni, L’associazionismo comunale in Italia, in G.C. De Martin (a cura di), L’intercomunalità in Italia e in Europa, Padova, Cedam, 2014, pp. 256-257; I. Piazza, Le unioni di comuni e i processi di riforma del governo locale nell’ordinamento italiano, in W. Gasparri (a cura di), L’associazionismo municipale. Esperienze nazionali ed europee a confronto, Torino, Giappichelli, 2017, p. 41; G. Marchetti, A favore delle zone montane cit., pp. 1085-1086; L. Vandelli, Il sistema delle autonomie locali – (a cura di C. Tubertini) ottava edizione, Bologna, Il Mulino, 2021, p. 92.
  11. L. Vandelli, Il sistema delle autonomie locali cit., p. 92; A. Gentilini, Comunità montane o Unioni di comuni montani?, in Italian Papers on Federalism, 2021, n. 2, pp. 23-29.
  12. Art. 27 Tuel, il quale più precisamente dispone «Le comunità montane sono unioni di comuni, enti locali costituiti fra comuni montani e parzialmente montani, anche appartenenti a province diverse, per la valorizzazione delle zone montane per l’esercizio di funzioni proprie, di funzioni conferite e per l’esercizio associato delle funzioni comunali».
  13. Pur essendo le Comunità montane pacificamente riconducibili alla competenza legislativa residuale regionale secondo quanto ripetutamente affermato dalla Corte Costituzionale (tra cui, su tutte, sentt. 244/2005, 456/2005, 397/2006), buona parte dei provvedimenti normativi statali degli anni 2007-2010 che hanno progressivamente eliminato i contributi statali alle Comunità montane sono stati ritenuti legittimi attraverso la loro riconduzione all’interno dell’alveo della materia concorrente dei principi di coordinamento della finanza pubblica. Sul punto, si vedano C. Tubertini, Riflessioni sullo stato attuale e futuro delle Comunità montane nel quadro delle forme associative tra enti locali, in Giur. Cost., 2010, n. 6, pp. 4696-4700; G. Di Cosimo, La razionalizzazione alla prova: il caso delle Comunità montane, in Le Reg., 2012, n. 5-6, pp. 914-916; A. M. Baroni, L’associazionismo comunale in Italia cit., p. 270-272; I. Piazza, Le unioni di comuni cit., pp. 42-43; G. Marchetti, A favore delle zone montane cit., pp. 1091-1095.
  14. Sono infatti le Regioni, ferma la loro competenza legislativa in materia di Comunità montane, a poterne decidere le sorti. La scelta preferita dagli enti regionali è stata in favore della trasformazione delle Comunità montane in Unioni di Comuni montani (in questo senso, ad esempio, l’Abruzzo, l’Emilia-Romagna, il Piemonte); meno frequenti sono invece i casi di soppressione tout court della Comunità (Molise, Umbria) o di mantenimento delle Comunità con finanziamenti regionali (Lombardia). I processi di trasformazione hanno peraltro avuto una gestazione piuttosto travagliata. Sul punto, si vedano M. De Donno, Le politiche regionali di riordino territoriale locale: Unioni, fusioni e altre forme associative tra Comuni, in F. Bassanini, A. Q. Curzio, L. Vandelli (a cura di), Territori e autonomie. Un’analisi economico-giuridica, Bologna, Il Mulino, 2016, pp. 104-108; G. P. Boscariol, La strategia per le aree interne cit, p. 682; C. Tubertini, L’organizzazione dei poteri locali nei sistemi regionali, in E. Carloni, F. Cortese (a cura di), Diritto delle autonomie territoriali, Milano, Cedam-Wolters Kluwer, 2020, pp. 295-298; A. Gentilini, Comunità montane cit., pp. 34-36.
  15. C. Tubertini, Riflessioni sullo stato attuale e futuro delle Comunità montane cit., pp. 4701-4703; A. Gentilini, Comunità montane cit. pp. 33-34. Sia inoltre consentito rinviare a F. Leonzio, Le Unioni di Comuni tra vincolo associativo e autonomia comunale, in Ist. del Fed., 2022, n. 3, pp. 734-738.
  16. E. Carloni, Ripensare le istituzioni ai margini. I limiti della governance territoriale, tra specialità urbana e aree interne, in Ist. del Fed., 2020, n. 2, pp. 332-341.
  17. Dopo un iniziale accordo politico interministeriale tra il 2012 e il 2013, l’effettivo avvio della Strategia è riconducibile all’Accordo di Partenariato Italia-Commissione Europea 2014-2020, relativo al ciclo di programmazione europea medesimo, adottato con decisione di esecuzione della Commissione europea del 29 ottobre 2014 (C(2014) 8021 final). Sulla Strategia, si vedano G. P. Boscariol, La strategia per le aree interne cit, p. 686 ss.; S. Lucatelli, F. Tantillo, La strategia nazionale per le aree interne, in A. De Rossi (a cura di), Riabitare l’Italia cit., pp. 403 ss.; M. Falcone, Le politiche europee per le città: agenda urbana e “aree interne”, in E. Carloni, F. Cortese, Diritto delle autonomie territoriali cit., pp. C. Cipolloni, Le politiche di contrasto cit., pp. 52-59; M. De Donno, C. Tubertini, Frammentazione comunale cit., pp. 310 ss.
  18. Come osservato supra, nota 4, è la Missione n. 5 del PNRR «Inclusione e coesione», a dedicare uno specifico investimento, pari a 830 milioni di Euro, in favore del rafforzamento della SNAI.
  19. Sin dalla Strategia riconducibile al ciclo di programmazione UE 2014-2020, le aree interne venivano individuate sulla base della distanza da servizi scolastici, servizi ferroviari e servizi ospedalieri. Se nella SNAI le aree interne venivano classificate in Comuni intermedi, Comuni periferici e Comuni ultraperiferici, la Strategia della nuova programmazione 2021-2027 ha modificato i parametri per l’inserimento all’interno delle tre categorie, dando luogo ad un significativo aggiornamento della mappa delle aree interne italiane, utilizzando tecniche di calcolo delle distanze maggiormente evolute ed analizzando in maniera più compiuta i servizi effettivamente presenti sul territorio. Sui nuovi criteri di calcolo, vd. R. Astolfo, N. I. Buonsante, Aree interne cit., pp. 318-325. Ciononostante, è evidente che i territori montani abbiano intercettato una fetta molto significativa delle risorse derivanti dalla Strategia. Secondo G. Ferraina, G. Marinuzzi, W. Tortorella, Le aree SNAI: principali caratteristiche demografiche, finanziarie ed economico-produttive, in Dossier IFEL-ANCI, L’associazionismo intercomunale nelle aree interne, 2019, pp. 29-35, circa l’84% dei Comuni ricondotti nell’alveo delle aree interne sono Comuni montani. Si vedano anche le mappe in G. Carrosio, A. Faccini, Le mappe della cittadinanza nelle aree interne, in A. De Rossi (a cura di), Riabitare l’Italia cit., pp. 59-61.
  20. L. n. 221/2015, art. 72, comma 1. La definizione della Strategia era rimessa alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento affari regionali ed autonomie, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze e sentiti il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, nonché la Conferenza unificata Stato-Regioni-autonomie locali.
  21. In particolare «a) gestione integrata e certificata del patrimonio agro-forestale, anche tramite lo scambio dei crediti derivanti dalla cattura dell’anidride carbonica, la gestione della biodiversità e la certificazione della filiera del legno; b) gestione integrata e certificata delle risorse idriche; c) produzione di energia da fonti rinnovabili locali, quali i microimpianti idroelettrici, le biomasse, il biogas, l’eolico, la cogenerazione e il biometano; d) sviluppo di un turismo sostenibile, capace di valorizzare le produzioni locali; e) costruzione e gestione sostenibile del patrimonio edilizio e delle infrastrutture di una montagna moderna; f) efficienza energetica e integrazione intelligente degli impianti e delle reti; g) sviluppo sostenibile delle attività produttive (zero waste production); h) integrazione dei servizi di mobilità; i) sviluppo di un modello di azienda agricola sostenibile che sia anche energeticamente indipendente attraverso la produzione e l’uso di energia da fonti rinnovabili nei settori elettrico, termico e dei trasporti», art. 72, comma 2.
  22. Art. 72, comma 3.
  23. Sul rapporto triangolare esistente tra le due Strategie, nel quadro della più generale Strategia Nazionale per lo Sviluppo Sostenibile 2017, si veda il focus tematico «Verso un modello di Green Community: esperienze, strategie e studi di caso», 13 aprile 2021, predisposto dall’Osservatorio Italiae.
  24. Sottolineano la perdurante mancanza di una definizione del concetto di Green Communities F. Tufarelli, voce «Green Communities», Atlante Treccani, sezione Cultura, 14 aprile 2020, reperibile al link https://www.treccani.it/magazine/atlante/cultura/Green_Community.html; A. Di Cagno, Le Green Communities: spunti per una ricostruzione giuridica e prospettive di attuazione tra pubblico e privato, in Ambientediritto.it, 2022, n. 1, pp. 6-15;
  25. Il PNRR individua, quali soggetti destinatari della misura, le stesse comunità locali, anche tra loro coordinate e/o associate, che erano state individuate dalla Strategia Nazionale delle Green Communities quali soggetti di riferimento per la realizzazione della stessa. Inoltre, il PNRR definisce, quale compito centrale della Green Community, la predisposizione ed attuazione di un piano di sviluppo sostenibile, riprendendo, quali ambiti integrati al cui interno definire misure concrete di attuazione, gli stessi campi individuati dalla l. n. 221/2015.
  26. In particolare, il completamento di almeno il 90 % degli interventi previsti nei piani presentati dalle Green community è previsto per giugno 2026.
  27. I tre soggetti pilota sono stati individuati a seguito di un’attività istruttoria che ha significativamente tenuto conto, in particolare, dell’estensione su di un ambito territoriale intermedio nel quale siano già radicate esperienze istituzionali di associazionismo; della realizzazione pregressa di dotazioni infrastrutturale riconducibili agli ambiti di intervento delle Green Community; della presenza nella circoscrizione di territori montani e di Comuni situati in aree interne. Peraltro, è significativo sottolineare come le tre esperienze scelte si inseriscano con tutta evidenza in contesti montani alpini e appenninici. Vd. Rapporto Asvis, I territori e lo sviluppo sostenibile, 2022, p. 61.
  28. Avviso pubblico per la presentazione di Proposte di intervento per la realizzazione di piani di sviluppo di Green Communities da finanziare nell’ambito del PNRR, Missione 2 – Rivoluzione verde e Transizione ecologica, Componente 1 – Economia circolare e agricoltura sostenibile (M2C1), Investimento 3.2 Green Communities, finanziato dall’Unione europea – Next Generation EU, d.m. del 30 giugno 2022, art. 1.
  29. Sull’effettivo rispetto della quota per il Mezzogiorno a seguito dell’analisi dei soggetti ammessi al finanziamento, si veda lo studio della Fondazione Openpolis, reperibile al link https://www.openpolis.it/chi-beneficera-dei-fondi-pnrr-per-le-green-communities.
  30. Non sorprende pertanto che a partecipare alla selezione siano stati principalmente aggregazioni di Comuni montani, anche tenendo in considerazione l’indiretto indirizzo ministeriale conseguente all’individuazione, quali Green Community, di tre soggetti a forti tinte montane. La mappa delle aggregazioni comunali ammesse al finanziamento è reperibile al link supra, nota 27. In data 21 febbraio 2023 è stata inoltre pubblicata a fini meramente ricognitivi la graduatoria consolidata dell’avviso, quale risultante dallo scorrimento delle diverse graduatorie regionali, reperibile al link https://www.affariregionali.it/attivita/aree-tematiche/pnrr/attuazione-misure-pnrr/avviso-pubblico-green-communities.
  31. Sulle interconnessioni tra aree montane e aree urbane, si vedano gli interessanti spunti forniti da G. Dematteis, Montagna e città: verso nuovi equilibri?, in A. De Rossi (a cura di), Riabitare l’Italia cit., pp. 285-295.
  32. L’art. 1, comma 593, l. n. 234/2021 prevede che «Al fine di promuovere e realizzare interventi per la salvaguardia e la valorizzazione della montagna, nonché misure di sostegno in favore dei comuni totalmente e parzialmente montani delle regioni e delle province autonome, nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze è istituito un fondo, da trasferire al bilancio autonomo della Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per gli affari regionali e le autonomie, denominato “Fondo per lo sviluppo delle montagne italiane”, con una dotazione di 100 milioni di euro per l’anno 2022 e 200 milioni di euro a decorrere dall’anno 2023. In particolare, il Fondo è utilizzato per finanziare: a) interventi per la tutela e la promozione delle risorse ambientali dei territori montani; b) interventi che diffondano e valorizzino, anche attraverso opportune sinergie, le migliori iniziative in materia di tutela e valorizzazione delle qualità ambientali e delle potenzialità endogene proprie dell’habitat montano; c) attività di informazione e di comunicazione sui temi della montagna; d) interventi di carattere socio-economico a favore delle popolazioni residenti nelle aree montane; e) progetti finalizzati alla salvaguardia dell’ambiente e allo sviluppo delle attività agro-silvo-pastorali; f) iniziative volte a ridurre i fenomeni di spopolamento». Si veda inoltre il Rapporto Asvis cit., pp. 61-62.
  33. Si veda la d.g.r. dell’8 maggio 2023. È presumibile che la scelta sia dovuta alla volontà di garantire che il finanziamento venga intercettato dalla forma associativa strutturale, nella ricerca di una maggiore stabilità nella gestione delle risorse. La d.g.r. prevede inoltre che la Green Community debba necessariamente a) includere nel progetto almeno 10 Comuni territorialmente contigui e b) essere costituita per almeno l’80% da Comuni classificati montani o parzialmente montani, precisando che gli eventuali interventi del progetto ricadenti nei Comuni non montani aderenti all’aggregazione dovranno essere finanziati con risorse proprie dell’ente o dell’aggregazione di enti o comunque provenienti da altra fonte.
  34. Sull’opportunità delle forme di collaborazione intercomunale, ex multis. G. Meloni, Autonomia costituzionalmente garantita ed esercizio associato delle funzioni comunali, in G.C. De Martin (a cura di), L’intercomunalità in Italia e in Europa cit., 417 ss.; M. De Donno, Tra coordinamento e collaborazione: enti di area vasta ed unioni di comuni, in L. Vandelli, G. Gardini, C. Tubertini (a cura di), Le autonomie territoriali: trasformazioni e innovazioni dopo la crisi, Santarcangelo di Romagna, Maggioli, 2017, pp. 115 ss.; S. Bolgherini, M. Casula, M. Marotta, Il dilemma del riordino. Unioni e fusioni dei comuni italiani, Bologna, Il Mulino, 2018, pp. 62 ss.; V. Casamassima, Il principio autonomistico e la questione dell’adeguatezza dimensionale. Riflessioni sull’associazionismo comunale nei suoi sviluppi normativi e giurisprudenziali, in Federalismi.it, 2022, n. 19, pp. 1-8; C. Tubertini, Il percorso di (in)attuazione dell’art. 118, comma 1 Cost.. Proposte per una ripartenza, in Federalismi.it, 2022, n. 20, pp. 262 ss.; S. Iommi, La lunga questione dell’iperframmentazione comunale: costi e soluzioni, in Federalismi.it, 2022, n. 20, pp. 346 ss.