Il diritto alla salute in ambito odontoiatrico: universalismo iper-selettivo, ineffettività della tutela, potenzialità della cooperazione con il Terzo settore. Considerazioni a partire da una legge regionale piemontese

Davide Servetti[1]

Sommario:

1. Premessa – 2. La disciplina piemontese della “odontoiatria solidale” – 3. L’assistenza odontoiatrica garantita dal Servizio sanitario nazionale – 4. La manifesta carenza di protezione del diritto alla salute in ambito odontoiatrico: la posizione del Consiglio superiore di sanità – 5. Una legge regionale simbolica? Alcune importanti perplessità e qualche potenzialità

1. Premessa

Sul finire del 2022, il Consiglio regionale del Piemonte ha approvato la legge intitolata “Disposizioni concernenti l’odontoiatria solidale”[2]. L’approssimarsi del primo anniversario della legge è occasione non solo (e non tanto) per tracciare un bilancio sull’attuazione, la quale si può considerare ancora modesta, ma anche (e soprattutto) per ragionare sulla tutela della salute in un ambito di bisogni e di cure storicamente ai margini del Servizio sanitario nazionale e tendenzialmente negletto se osservato nella prospettiva dell’universalismo egalitario cui il sistema italiano è stato e, non senza affanni e minacce, continua ad essere improntato.

La legge piemontese, intendendo promuovere sia le prestazioni attualmente incluse nei livelli essenziali di assistenza sanitaria (Lea) sia interventi terapeutici ulteriori, impone ai suoi destinatari istituzionali di definire i confini tra cure intra ed extra Lea e con ciò riporta alla luce alcuni problemi di scarsa determinatezza e di sostanziale ristrettezza delle condizioni di accesso alla (già di per sé limitata) assistenza odontoiatrica offerta dal SSN. Tali problemi, recentemente sottolineati anche dal Consiglio superiore di sanità[3], si traducono in una debole effettività della garanzia del diritto sociale alla salute dei cittadini in quest’ambito, come attestano i dati sulla spesa per consumi odontoiatrici, la cui quota a carico del SSN risulta limitata all’1% del totale[4], e quelli sulla c.d. povertà sanitaria[5] e sul c.d. impoverimento da consumi sanitari[6]. Tuttavia, il legislatore piemontese non interviene sui servizi odontoiatrici delle aziende sanitarie regionali né sulle condizioni di accesso ai medesimi, ma si limita a tracciare la via per una possibile collaborazione tra tali aziende, professionisti volontari ed enti del terzo settore, senza peraltro destinare alcuna risorsa finanziaria a supporto di tali iniziative. Il che porta a interrogarsi su quali siano le potenzialità della nuova disciplina nel dare risposta alla carenza di protezione che la salute delle persone registra in ambito odontoiatrico.

2. La disciplina piemontese della “odontoiatria solidale”

La legge stabilisce che la Regione «favorisce la realizzazione di progetti di odontoiatria solidale a favore delle fasce più deboli della popolazione» (art. 1, c. 2). Tale finalità viene perseguita senza attribuire benefici diretti ai destinatari finali delle prestazioni, né incidendo sull’organizzazione dei servizi sanitari deputati ad erogarli, né stanziando risorse perché soggetti terzi realizzino i progetti in questione. La logica della legge regionale, infatti, è meramente promozionale e le sue disposizioni si rivolgono, in prima battuta, a due categorie di destinatari istituzionali: le aziende sanitarie regionali e gli enti del terzo settore[7] con sede od operatività nel territorio piemontese. Essi, in base all’art. 1, c. 2, «attivano reti di collaborazione, attraverso il coinvolgimento dei soggetti di cui al comma 3, per la coprogettazione di azioni finalizzate a fornire prestazioni di odontoiatria solidale presso le strutture sanitarie e ospedaliere regionali». I soggetti coinvolti sono odontoiatri e igienisti dentali disponibili a partecipare a titolo volontario e gratuito[8] ai progetti di odontoiatria solidale, ovvero i professionisti che materialmente svolgeranno le attività presso le strutture regionali. Per tali soggetti, viene prevista l’attivazione, da parte di ogni azienda sanitaria, di un elenco al quale essi si iscrivono volontariamente (art. 3).

Quanto al contenuto dei progetti, ai sensi dell’art. 2, c. 1, «costituiscono prestazioni di odontoiatria solidale rivolte ai soggetti riconosciuti in condizioni di vulnerabilità sociale» due tipologie di prestazione: «a) le prestazioni di cui all’allegato 4C del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 12 gennaio 2017; b) gli ulteriori interventi individuati nei progetti di cui all’articolo 1, comma 3». Le prestazioni oggetto di questi “ulteriori interventi” – specifica l’art. 2, c. 2 – sono svolte «a titolo gratuito, senza fine di lucro né diretto, né indiretto».

Le tipologie e le modalità di erogazione delle prestazioni offerte sono definite all’interno di convenzioni che aziende ed enti del terzo settore stipulano al fine di realizzare i progetti di odontoiatria solidale, i cui costi restano a carico del privato sociale, fatta eccezione per «il materiale strumentale necessario all’attività ambulatoriale», che s’intende possa essere fornito dalle aziende nelle cui strutture si svolgano gli interventi (art. 5, commi 1 e 2). Peraltro, a proposito di tali strutture, se l’art. 1, comma 1, stabilisce che i progetti di odontoiatria solidale vengono realizzati «presso le strutture sanitarie e ospedaliere regionali», senza precisare espressamente se debbano intendersi in senso stretto (strutture del SSR: nozione che ordinariamente ricomprende anche quelle del privato accreditato e “convenzionato”[9]) o in senso lato (strutture presenti sul territorio regionale), l’art. 5, comma 3, rende chiaro che, anche se si optasse per la prima opzione interpretativa, non verrebbe meno il ruolo degli ambulatori privati: «La Regione favorisce il riconoscimento da parte delle aziende sanitarie regionali delle attività di odontoiatria solidale che si svolgono presso ambulatori di enti del terzo settore o presso ambulatori privati collegati agli stessi e incoraggia la definizione di accordi di collaborazione tra aziende sanitarie ed enti del terzo settore, che contemplano la possibilità di segnalare i bisogni di cure speciali dei pazienti».

In prospettiva nuovamente promozionale, il legislatore piemontese auspica anche il coinvolgimento delle scuole, in particolare al fine di realizzare «campagne informative e di sensibilizzazione», in generale sull’igiene dentale e sulla prevenzione e cura delle malattie odontoiatriche, nonché, in particolare, sulle iniziative di odontoiatria solidale (art. 6). A questo scopo, la legge individua l’accordo con l’Ufficio scolastico regionale come lo strumento per via del quale trovare la collaborazione degli istituti scolastici; il che, peraltro, non esclude che, in coerenza con il favor emergente da questa disposizione per la partecipazione delle scuole e in forza dell’autonomia scolastica medesima, siffatte campagne possano coinvolgere direttamente i singoli istituti.

Infine, la legge (art. 4) istituisce, presso la direzione regionale della sanità, un «tavolo tecnico di coordinamento al fine di assicurare l’omogeneità di erogazione delle prestazioni solidali». Dopo la delibera di Giunta che ne ha determinato i criteri di costituzione e funzionamento, il tavolo è stato costituito con determinazione dirigenziale nel luglio del 2023[10].

3. L’assistenza odontoiatrica garantita dal Servizio sanitario nazionale

Fin dall’individuazione della finalità (art. 1, c. 1) e dell’oggetto (art. 2, c. 1), la legge piemontese si colloca in un quadro normativo le cui coordinate nazionali sono tracciate principalmente dalla disciplina dell’assistenza odontoiatrica garantita dal SSN in base al D.P.C.M. 12 gennaio 2017, recante la c.d. declaratoria dei Lea. Al fine di valutare la specificità e l’innovatività dell’intervento legislativo regionale, è dunque necessario muovere dalla ricostruzione di tale quadro normativo.

Al proposito, va ricordato che l’odontoiatria, nel nostro Paese, costituisce un ambito storicamente ai margini dell’assistenza sanitaria pubblica. È significativo che, nella legislazione sanitaria fondamentale, l’unica previsione che espressamente contempla prestazioni odontoiatriche erogate dal SSN sia quella dell’art. 9, comma 5, lett. c), del d.lgs. 502/1992 nel testo novellato dal d.lgs. 229/1999. Tale disposizione individua le aree di prestazioni aggiuntive extra Lea che possono essere coperte dai fondi integrativi e, tra queste, indica anche «l’assistenza odontoiatrica, limitatamente alle prestazioni non a carico del Servizio sanitario nazionale e comunque con l’esclusione dei programmi di tutela della salute odontoiatrica nell’età evolutiva e dell’assistenza odontoiatrica e protesica a determinate categorie di soggetti in condizioni di particolare vulnerabilità». Con questa peculiare tecnica redazionale, l’esistenza stessa di prestazioni odontoiatriche – e, tra queste, di programmi a favore dei minori in età evolutiva e delle persone vulnerabili – a carico del SSN veniva affermata dal legislatore nel momento in cui esso le escludeva dall’operatività dei fondi integrativi, ovvero della copertura aggiuntiva che esso ammette possa essere fornita dalla mutualità pubblica e privata esterna al Servizio medesimo[11].

Quali fossero – rectius: dovessero essere – tali prestazioni venne per la prima volta stabilito con la declaratoria dei Lea di cui al d.p.c.m. 29 novembre 2001, il cui allegato 1B includeva tutte le prestazioni specialistiche ambulatoriali erogate dal SSN individuate, insieme alle relative tariffe, dal d.m. 22 luglio 1996; l’allegato 1B aveva cura di precisare che «sono esclusi dal livello di assistenza i materiali degli apparecchi ortodontici e delle protesi dentarie, che rimangono a carico degli assistiti»: esclusione, questa concernente apparecchi e protesi, che, salvo rarissimi casi, vale a tutt’oggi anche sotto la vigenza dei nuovi Lea. Inoltre, l’allegato 2B, nell’individuare le prestazioni parzialmente escluse dai Lea in quanto erogabili solo secondo specifiche indicazioni cliniche, indicava tra queste le prestazioni di «assistenza odontoiatrica: limitatamente alle fasce di utenti e alle condizioni indicate al comma 5, art. 9, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 e successive modifiche ed integrazioni».

Alle, non certo limpide, regole appena richiamate, diedero attuazione soltanto alcune Regioni, le quali iniziarono ad integrare le (poche) prestazioni individuate dal decreto ministeriale del 1996 con altre, configurate come livelli aggiuntivi a carico dei bilanci regionali, e definirono contestualmente le situazioni di vulnerabilità che davano titolo ad accedervi.

In base a queste pionieristiche iniziative regionali[12], la nuova declaratoria dei Lea, adottata con il d.p.c.m. 12 gennaio 2017, ha ridisegnato l’ambito dell’assistenza odontoiatrica assicurata dal SSN, incrementando limitatamente la tipologia delle prestazioni erogabili e, soprattutto, riconfigurando i criteri di accesso alle medesime. Benché il d.p.c.m. del 2017 abbia obiettivamente compiuto alcuni passi avanti quanto alla definizione sia delle prestazioni erogabili (individuate nell’allegato 4[13]), sia delle categorie di soggetti ammesse ad accedervi (descritte nell’allegato 4C[14]), la disciplina in questione, per un verso, conserva l’impostazione estremamente selettiva della precedente, e, per un altro, lascia ampi margini di indeterminatezza nell’identificazione dei beneficiari, in particolare per quanto riguarda i soggetti socialmente vulnerabili.

L’allegato 4C, anzitutto, fa propria la summa divisio incidentalmente tracciata dal d.lgs. 502/1992, affermando che l’assistenza odontoiatrica garantita dal SSN si compone di due ambiti principali: i programmi di tutela della salute odontoiatrica nell’età evolutiva; l’assistenza odontoiatrica e protesica a determinate categorie di soggetti in condizioni di particolare vulnerabilità. Un terzo ambito di assistenza, il cui contenuto prestazionale è però ancor più limitato dei primi due, è quello accessibile dalla generalità della popolazione.

Quanto al primo ambito, il decreto adotta quale condizione di accesso primaria l’età degli assistiti, che deve essere compresa tra gli 0 e i 14 anni. In secondo luogo, viene stabilito che a tutti i minori di questa fascia d’età vengono garantiti: la visita odontoiatrica[15]; una serie di prestazioni individuate nell’allegato 4 alle quali venga associata la condizione di erogabilità “0-14”; il trattamento delle patologie ortognatodontiche soltanto nei casi di maggior gravità[16] e di vulnerabilità sanitaria e/o sociale[17]. In generale, la prestazione non comprende mai il costo dell’apparecchio o della protesi. Inoltre, si prevede che il SSN offra attivamente tali prestazioni dando priorità ai minori che versano in condizioni di vulnerabilità sociale.

Fuori dai programmi riservati all’età evolutiva, l’assistenza odontoiatrica (ivi compresa la correlata assistenza protesica) è garantita a determinate categorie di soggetti, individuabili in base a due tipologie di vulnerabilità: sanitaria e sociale. La popolazione “adulta” (rectius: di età superiore ai 14 anni), dunque, può accedere soltanto a quest’ambito di prestazioni (oltre che a quelle accordate alla popolazione generale: sulle quali v. infra).

La condizione di vulnerabilità sanitaria viene riconosciuta in base a due criteri che spetta alle Regioni attuare. Il primo (c.d. criterio discendente) fa sì che siano considerate sanitariamente vulnerabili le persone affette «da gravi patologie, le cui condizioni di salute possano essere gravemente pregiudicate da una patologia odontoiatrica concomitante, al punto che il mancato accesso alle cure odontoiatriche possa mettere a repentaglio la prognosi “quoad vitam” del soggetto». Al proposito l’allegato 4C precisa alcune categorie di pazienti (con gravi patologie ad uno stadio particolarmente critico) le quali corrispondono senz’altro al criterio “discendente”. In applicazione di tale criterio, il riconoscimento della condizione di vulnerabilità sanitaria è di per sé sufficiente per l’accesso alle prestazioni individuate dall’allegato 4 alle quali sia associata tale condizione di erogabilità. Diversamente, è possibile riconoscere in stato di vulnerabilità sanitaria altresì i pazienti affetti da «malattie e condizioni alle quali sono frequentemente o sempre associate complicanze di natura odontoiatrica»: in tal caso, il decreto ne esemplifica alcune e parla di criterio “ascendente”. Quando la condizione di vulnerabilità sanitaria è riconosciuta in applicazione del criterio “ascendente”, per accedere alle prestazioni di cui all’allegato 4 associate a tale condizione, è necessario altresì il contestuale riconoscimento della condizione di vulnerabilità sociale.

Quest’ultima viene descritta dall’allegato 4C come «quella condizione di svantaggio sociale ed economico, correlata di norma a condizioni di marginalità e/o esclusione sociale, che impedisce di fatto l’accesso alle cure odontoiatriche oltre che per una scarsa sensibilità ai problemi di prevenzione e cura, anche e soprattutto per gli elevati costi da sostenere presso le strutture odontoiatriche private». Entro tale condizione, viene suggerito alle Regioni di distinguere tre situazioni di vulnerabilità: l’esclusione sociale (definita anche come “indigenza”); la povertà; la percezione di un reddito medio/basso.

Il punto, tuttavia, è che la definizione dei criteri di riconoscimento della condizione di vulnerabilità sociale è integralmente demandata alle Regioni. L’allegato 4C, oltre alle coordinate assai generiche poc’anzi ricordate, propone alcuni orientamenti, in base ai quali si comprende che le Regioni, oltre a individuare siffatti criteri, possono altresì distinguere diversi gruppi di “socialmente vulnerabili” e graduarne l’accesso alle prestazioni (insomma: selezionare ulteriormente i beneficiari, in direzione tanto estensiva, quanto restrittiva).

Infine, quasi a compensazione dell’impostazione fortemente selettiva di questa disciplina, l’allegato 4C si chiude con l’indicazione delle prestazioni alle quali deve avere accesso la popolazione generale, al di là dell’età evolutiva e delle condizioni di vulnerabilità. Si tratta di due tipologie, qualitativamente molto importanti ma quantitativamente assai limitate, di prestazioni: da un lato, la visita odontoiatrica, unico presidio “universalistico” di prevenzione garantito dai Lea; dall’altro, il trattamento immediato delle urgenze odontostomatologiche[18].

4. La manifesta carenza di protezione del diritto alla salute in ambito odontoiatrico: la posizione del Consiglio superiore di sanità

In presenza di una disciplina così congegnata, le conseguenze sull’accesso alle cure odontoiatriche da parte della popolazione italiana sono state recentemente (e impietosamente) fotografate dal Consiglio superiore di sanità[19]. Il rapporto, che contiene una documentata analisi sulla struttura dell’offerta (pubblica e privata) di servizi e sulla spesa sostenuta dai pazienti per tali prestazioni, certifica il carattere assolutamente residuale dell’assistenza pubblica in questo ambito di cure, attestato dall’entità del costo che il SSN sostiene per esse. Stimato in 85 milioni di euro[20], tale esborso rappresenta lo 0,07% della spesa sanitaria pubblica totale e l’1% della spesa sostenuta dalle famiglie per le cure odontoiatriche. Si tratta dunque di un ambito di assistenza doppiamente marginale: all’interno del SSN, il quale gli destina un importo quasi insignificante delle proprie risorse; all’interno dell’offerta di cure, la quale è sostanzialmente erogata dal settore privato in regime di libero mercato. A ciò si aggiunga che l’incidenza dei fondi integrativi nell’intermediare la spesa privata delle famiglie si presenta molto limitata: soltanto il 5,8% della popolazione che usufruisce di cure odontoiatriche ha rimborsate le relative spese da un fondo assicurativo, contro l’86,1% che sopporta integralmente il costo[21].

Un altro aspetto evidenziato dal Consiglio superiore attiene alla forte variabilità dell’offerta di assistenza pubblica su base regionale, dovuta anche al fatto che la determinazione dei criteri di riconoscimento della vulnerabilità sociale è stata effettuata soltanto da alcune Regioni e secondo modalità differenti.

Complessivamente, questa situazione si traduce in una forte iniquità socio-economica. Nel rapporto in considerazione si legge, infatti, che la disponibilità a pagare e il livello di reddito rappresentano i due fattori abilitanti od ostacolanti l’accesso alle cure, incidendo altresì sull’ampiezza e l’intensità – e quindi sulla qualità e l’appropriatezza rispetto al bisogno – delle cure medesime. Nel 2019, sul totale delle famiglie italiane, soltanto il 16% di esse ha sostenuto almeno una spesa per servizi dentistici. Se rapportato alla popolazione stratificata per livelli di reddito, l’iniquità in parola appare ancor più evidente: all’interno del primo decile delle famiglie italiane (il 10% “più povero”, ovvero a più basso reddito, del totale) soltanto il 9,6% ha riportato una spesa; all’interno del decile “più ricco”, la quota di famiglie che si è rivolta a servizi dentistici sale al 24%.

Da questo punto di vista, della situazione documentata dal rapporto del Consiglio superiore possiamo trovare ulteriori riscontri nelle periodiche indagini riguardanti sia la c.d. povertà sanitaria, sia il c.d. impoverimento da consumi sanitari.

Il decimo rapporto sulla povertà sanitaria[22], elaborato dall’Osservatorio nazionale promosso dalla Fondazione Banco Farmaceutico, attesta un dato da tempo consolidato, ovvero che, dopo l’acquisto di farmaci, la prima voce che incide sulla spesa privata delle famiglie italiane è costituita dalle cure odontoiatriche. Poiché le famiglie in povertà assoluta possono permettersi una spesa privata in consumi sanitari pari ad un sesto circa di quanto speso mediamente di tasca propria da tutte le famiglie italiane, quando al loro interno insorga un bisogno di cure odontoiatriche, le scelte largamente più probabili sono il rinvio o la rinuncia. Gli economisti parlano in questi casi di effetto “drop-out”: poiché, dovendo scegliere, è più facile per le famiglie più povere procurarsi farmaci da banco che cure odontoiatriche (essendo il costo unitario medio dei primi più ridotto di quello delle seconde ed essendo considerati i primi più rilevanti per la salute individuale delle seconde), se ne ricava che una larga parte della popolazione in condizioni di povertà è esclusa dall’assistenza odontoiatrica.

Il fenomeno c.d. dell’impoverimento da consumi sanitari è l’altra faccia della medaglia. Esaminando l’ultimo rapporto del CREA Sanità[23], risulta che le cure odontoiatriche costituiscono la seconda voce dei consumi sanitari delle famiglie impoverite a causa della necessità di accedere a prestazioni sanitarie sostenendone privatamente il relativo costo. Non solo, dunque, il reddito condiziona drasticamente l’accesso alle cure dentistiche, ma quando insorge un bisogno di tali cure l’accesso alle stesse rischia di essere una causa di impoverimento per le fasce meno abbienti della popolazione, secondo un circolo vizioso che tipicamente i sistemi di welfare state sarebbero chiamati ad impedire.

Come viene efficacemente sintetizzato al termine del rapporto del Consiglio superiore di sanità «le già deboli condizioni per l’erogabilità delle prestazioni odontoiatriche a carico del SSN vengono esasperate dalla spesa privata delle famiglie, che garantisce l’accesso e la cura prevalentemente alle famiglie più ricche, sia per frequenza di utilizzo del servizio, sia per importo medio consumato, generando grande iniquità e allontanando il SSN da qualsiasi prospettiva di universalismo, anche considerando approcci di universalismo selettivo».

In effetti, è difficile smentire tale conclusione. Di fronte al bisogno di cure odontoiatriche, infatti, la persona trova nel SSN una tutela non corrispondente ai principi di cui all’art. 1 della legge n. 833/1978[24]. L’assistenza odontoiatrica, alla luce del d.p.c.m. 12 gennaio 2017, si rivolge a tutta la popolazione soltanto con riferimento alla “prima visita” e alle urgenze odontostomatologiche. Fuori da questo limitato ambito nel quale il SSN opera secondo l’approccio c.d. dell’universalismo egalitario, le altre prestazioni erogate dal SSN sono assoggettate a criteri di accesso notevolmente selettivi, tanto da portare alla riferita conclusione del Consiglio superiore di sanità, in quanto tali criteri non solo non riconoscono a tutti l’accesso, secondo l’idea che ad eguale bisogno sanitario corrisponda eguale diritto d’accesso alla relativa prestazione, ma neppure permettono ai più bisognosi di superare gli ostacoli economici di accesso a prestazioni appropriate[25].

Per queste ragioni, il Consiglio superiore formula in chiusura del rapporto alcune proposte per l’estensione dell’assistenza odontoiatrica erogata dal SSN, quantificandone il relativo costo, la cui entità appare davvero non proibitiva nelle maglie della finanza pubblica[26].

5. Una legge regionale simbolica? Alcune importanti perplessità e qualche potenzialità

Il quadro nel quale è intervenuto il legislatore piemontese, dunque, si presenta piuttosto problematico, sicché una prima valutazione di questa legge regionale sull’odontoiatria solidale deve muovere dalla considerazione di quanto e di come essa intenda rispondere alla carenza di tutela della salute in questo ambito di bisogni e di cure.

In primo luogo, va constatato che la legge non contiene alcuna norma che definisca le condizioni di vulnerabilità sanitaria e, soprattutto, sociale in presenza delle quali il singolo possa accedere ai livelli di assistenza garantiti dal SSN, che pure rientrano tra gli oggetti dei progetti di odontoiatria solidale di cui all’art. 2 della legge medesima. Nell’ottica di rendere di più agevole applicazione i meccanismi di solidarietà previsti dalla legge – tra i quali ha un rilievo non secondario il reperimento da parte del terzo settore di risorse per integrare quanto non rimborsato da SSR –, oltre che di migliorare l’assistenza odontoiatrica resa istituzionalmente dalle aziende sanitarie, un tale intervento definitorio sarebbe stato senz’altro utile. Infatti, diversamente da altre Regioni, il Piemonte non risulta abbia finora adottato una specifica disciplina attuativa dei criteri stabiliti nel decreto sui Lea. Se con riferimento alla vulnerabilità sanitaria, la disciplina nazionale, almeno rispetto al c.d. criterio discendente – quello in forza del quale il solo riconoscimento di tale condizione è sufficiente a far accedere alle prestazioni –, identifica un gruppo di patologie che necessariamente debbono rientrarvi, sicché, anche in assenza di ulteriori determinazioni regionali, i beneficiari delle prestazioni sono identificabili dalle aziende sanitarie, per coloro che presentano una vulnerabilità sanitaria riconosciuta in forza del c.d. criterio ascendente, l’accesso alla tutela è consentito nei soli casi in cui coesista una condizione di vulnerabilità sociale, la cui definizione è rimessa alle Regioni. Attualmente, in base alle informazioni disponibili presso le aziende sanitarie regionali, risulta che in Piemonte la condizione di vulnerabilità sociale venga riconosciuta in applicazione dei medesimi requisiti di esenzione dal pagamento dei ticket, ivi compreso il possesso della dichiarazione di indigenza rilasciata dai servizi comunali. Di contro, la definizione generale di vulnerabilità sociale contenuta nell’allegato 4C del decreto sui Lea viene formulata in relazione al bisogno allo specifico ambito delle cure odontoiatriche, ponendo l’accento sugli elevati costi di accesso alle medesime presso strutture private.

In secondo luogo, come già notato, la legge non interviene sull’organizzazione dei servizi delle aziende sanitarie competenti, ad iniziare dalle strutture di odontostomatologia, né introduce livelli di assistenza aggiuntivi con corrispondenti ulteriori risorse finanziarie. Senza che appaia paradossale, va notato che, in altre Regioni, la via praticata per garantire effettività alla tutela infra Lea sia stato proprio l’intervento sulle prestazioni extra Lea. Poiché una criticità strutturale è rappresentata dall’imputazione al paziente del costo di protesi e apparecchi, alcune Regioni sono intervenute su questo fronte, disegnando una disciplina organica dell’assistenza odontoiatrica erogata dalle proprie aziende, con riferimento sia alle prestazioni infra Lea, sia alle prestazioni extra Lea strettamente connesse alle prime (come la fornitura gratuita o a tariffa agevolata dei manufatti), sia ulteriori prestazioni extra più o meno riconnesse alle prime, per le quali stabilire esenzioni totali o parziali[27]. Queste iniziative regionali sono state in genere qualificate come progetti o programmi di “odontoiatria sociale”.

Sotto questa denominazione, invero, sono attivi, sul territorio nazionale, anche programmi di portata locale, promossi sia da aziende sanitarie pubbliche sia da soggetti privati, a carattere lucrativo e non lucrativo. Il minimo comun denominatore di queste eterogenee iniziative è l’offerta di prestazioni odontoiatriche, spesso comprensive della fornitura di apparecchi e protesi, a titolo gratuito o a tariffe agevolate.

Alla luce dei lavori preparatori della legge regionale, sono queste esperienze ad aver ispirato il legislatore piemontese, il quale pare voler valorizzare soprattutto quelle facenti capo a reti del terzo settore[28]. Un modello diverso, invero, sarebbe stato (ed è) disponibile nel panorama piemontese, rappresentato dal programma di odontoiatria sociale, avviato dall’azienda ospedaliero universitaria “Città della salute e della scienza” di Torino nel 2015, sulla scorta di iniziative più risalenti nel tempo, che prevede un tariffario calmierato e, soprattutto, organizza un servizio di odontoiatria interno alle proprie strutture che valorizza anche le attività formative[29]. Inoltre, merita una menzione particolare il modello, ormai consolidato, proposto dall’Istituto nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti e il contrasto delle malattie della povertà (INMP) di Roma, il quale si differenzia da altri programmi e progetti di odontoiatria sociale per il sistema di autofinanziamento delle prestazioni a favore delle persone vulnerabili, reso possibile grazie all’offerta, a tariffe di mercato ribassate, di prestazioni odontoiatriche alla popolazione generale[30]; il modello è particolarmente interessante non solo perché costituisce il frutto di una sperimentazione monitorata e validata, ma altresì perché dimostra la praticabilità di margini di sostenibilità per l’organizzazione dell’assistenza pubblica non in chiave residuale, ma proattiva rispetto al “mercato delle cure odontoiatriche” e coerente con i principi fondanti del SSN.

La legge regionale, che opta significativamente sul carattere solidale, piuttosto che sociale del modello promosso, punta invece, da un lato, sul lavoro volontario dei professionisti e, dall’altro, sulla collaborazione tra aziende sanitarie ed enti del terzo settore, ai quali ultimi lascia anche il decisivo compito di trovare le risorse finanziarie necessarie a sostenere i progetti: tanto quando si tratti di prestazioni infra Lea, poiché in tal caso resta la necessità di fornire gratuitamente protesi e apparecchi, quanto quando si mettano in campo ulteriori prestazioni, le quali, se non generano costi relativi ai professionisti impiegati, li hanno sempre sul versante dei presidi sanitari. Va al proposito notato che gli unici costi che restano in capo alle strutture regionali presso le quali si realizzano i progetti sono relativi al «materiale strumentale necessario all’attività ambulatoriale», nozione nella quale far rientrare il costo dei manufatti sarebbe, oltre che una forzatura della lettera della disposizione, anche una violazione della clausola d’invarianza finanziaria[31].

Poiché nulla, anche prima della legge, impediva ad aziende sanitarie ed enti del terzo settore di co-progettare interventi di odontoiatria solidale, poiché tale collaborazione trovava già la sua disciplina procedimentale nel diritto del terzo settore e poiché il legislatore regionale ha scartato le opzioni di politica sanitaria osservabili presso altre Regioni (nonché l’elevazione a modello dell’iniziativa sperimentale torinese menzionata), le uniche, modeste, innovazioni effettivamente tali introdotte paiono riconducibili all’istituzione dell’elenco dei professionisti volontari di cui all’art. 3 e del tavolo di coordinamento di cui all’art. 4.

Le perplessità che desta quanto si è finora osservato, se portano a considerare che l’intervento legislativo regionale rappresenta una risposta assai parziale alle generali carenze di protezione della salute in ambito odontoiatrico, possono anche costituire uno stimolo ad un’attuazione coraggiosa della legge. Le potenzialità a questo riguardo, infatti, non mancano e, a nostro avviso, si concentrano sulla capacità che la disciplina in commento ha di legittimare sul piano dell’indirizzo politico-amministrativo l’avvio di nuovi progetti di odontoiatria solidale o il potenziamento di quelli esistenti. Tale legittimazione opera nei confronti di entrambi i soggetti “necessari” all’attuazione della legge: le aziende sanitarie e gli enti del terzo settore. Infatti, le prime sono sollecitate dal legislatore regionale a prestarsi alla collaborazione con i secondi, assolvendo almeno all’unico adempimento per cui è configurata come necessario il loro intervento, ovvero l’attivazione dell’elenco dei professionisti volontari, ma auspicabilmente anche nella direzione di una maggiore valorizzazione delle proprie strutture e strumentazioni, spesso sotto-utilizzate rispetto al loro potenziale. Gli enti del terzo settore, dal canto loro, vengono esplicitamente sostenuti nella proposta dei progetti alle aziende sanitarie e alle altre amministrazioni coinvolgibili (a partire dagli istituti scolastici, espressamente considerati nell’art. 6), trovando nella legge un supporto tutt’altro che scontato, dal momento che essa indica per loro un ruolo istituzionalmente riconosciuto e un interesse pubblico da perseguire per mezzo della cooperazione con la p.a.

Queste potenzialità non vanno sottovalutate, ma per esprimersi appieno occorre che, da un lato, il tavolo di coordinamento regionale eserciti il proprio ruolo (anche di stimolo) nei confronti delle aziende sanitarie, e che, dall’altro, l’applicazione della legge sia coerente con la finalità di promuovere l’autonomia e l’operosità del terzo settore, anziché inquadrarle o frenarle entro convenzioni stringenti e procedure rigide. Ad esempio, sarebbe rischioso interpretare in senso escludente e non invece meramente garantistico la funzione dell’elenco dei professionisti volontari di cui all’art. 3: esso costituisce uno strumento che può agevolare il reclutamento di personale volontario la cui qualificazione viene garantita dall’iscrizione al medesimo – che, naturalmente, presuppone il possesso dei requisiti per l’esercizio delle relative professioni e, come un po’ pleonasticamente precisa la lettera della legge, «non costituisce requisito per l’esercizio dell’attività di odontoiatra o di igienista dentale» … –, ma sarebbe inopportuno, oltre che illegittimo, considerare l’iscrizione all’elenco come requisito sempre e comunque necessario alla prestazione di attività volontaria da parte di odontoiatri e igienisti dentali nell’ambito dei progetti di odontoiatria solidale. Così come sarebbe problematico ritenere che gli unici professionisti coinvolgibili siano questi e non anche, ad esempio, gli odontotecnici, vista la rilevanza che il reperimento di protesi e apparecchi ha in quest’ambito.

Un altro aspetto da tenere sotto controllo attiene al ruolo del privato lucrativo consentito dall’art. 5, comma 3: ferma la possibilità (e l’opportunità) che gli enti del terzo settore si colleghino a studi privati al fine di reperire spazi e attrezzature idonei alla realizzazione dei progetti di odontoiatria solidale – come del resto già avviene in alcune delle iniziative esistenti sul territorio regionale documentate nei lavori preparatori –, va sottolineato che l’attuazione della legge non potrebbe considerarsi piena e soddisfacente se non mettesse in moto una revisione dell’utilizzazione, da parte delle aziende sanitarie, delle proprie strutture e delle proprie attrezzature; il che, peraltro, aprirebbe la via a future iniziative incentrate sull’offerta pubblica di servizi odontoiatrici.

Un’ultima considerazione è da dedicare proprio al ruolo del terzo settore. Appartiene alla storia della sanità italiana la scelta di valorizzare tale ruolo specialmente in ambiti “di confine” dell’assistenza pubblica. Lasciata a parte l’esperienza della spedalità privata gestita da enti non lucrativi, che rappresenta ovviamente una componente tutt’altro che secondaria del nostro sistema sanitario, il riferimento va qui al ruolo, che nell’esperienza viene spesso attribuito al terzo settore, di collegamento tra l’assistenza sanitaria e l’assistenza sociale, provvedendo ad una serie di funzioni (dai trasporti alla mediazione culturale, fino al supporto alle famiglie con malati cronici o alle persone con disabilità) che i servizi sanitari, sociosanitari e sociali non riescono ad assolvere appieno. Questa collaborazione integrativa – che la realtà dei fatti rende talora sostitutiva – dell’assistenza pubblica, come noto, ha trovato nel nostro ordinamento una crescente valorizzazione, da ultimo anche sotto il profilo legislativo con il nuovo codice del terzo settore, nonché finanche da un punto di vista costituzionale, atteso l’inquadramento che ne ha fatto la Corte nella propria giurisprudenza, in particolare nella più recente[32]. Si ricorda con minore frequenza che anche la legislazione sanitaria nazionale (art. 1, c. 18, d.lgs. 502/1992 come novellato nel 1999) contiene un principio fondamentale che si pone sulla stessa linea di politica – in senso ampio – sociale e apre, tra l’altro, ad una preferenza del terzo settore non lucrativo anche nell’ambito dei rapporti con le strutture private di cui agli artt. 8.bis e ss. del medesimo d.lgs. 502/1992.

L’odontoiatria sociale, anche nella declinazione solidale che ha voluto darle il legislatore piemontese, sarebbe in tutt’evidenza tra gli ambiti nei quali ricercare una più coraggiosa collaborazione tra SSN e terzo settore, la quale, tuttavia, presuppone che, da parte di Stato e Regioni, esista la volontà di fornire qualche risposta efficace ed effettiva alle esigenze, in parte drammatiche, emergenti da quel rapporto del Consiglio superiore di sanità.

  1. Ricercatore (t.d.B) di Diritto costituzionale nell’Università del Piemonte Orientale.
  2. L.r. 20 dicembre 2022, n. 25.
  3. Consiglio superiore di sanità, sez. I, Revisione dell’accesso alle cure odontoiatriche nel SSN, coord. E.F. Gherlone, Roma, 12 ottobre 2022 (pubblicato dal Ministero della Salute il 6 aprile 2023).
  4. Ibidem, p. 34.
  5. Osservatorio Povertà Sanitaria – Banco Farmaceutico, 10° rapporto “Donare per curare” – Povertà sanitaria e donazione di farmaci, Roma, 2022, passim.
  6. CREA Sanità, 18° Rapporto Sanità, a cura di F. Spandonaro, D. d’Angela e B. Polistena, Roma, 2022, pp. 177 ss.
  7. Ovvero quelli iscritti al Registro unico nazionale del terzo settore istituito con il d.lgs. 117/2017 (Codice del terzo settore).
  8. Il legislatore mostra un’inusuale acribia nel qualificare l’opera volontaria e solidale di questi professionisti: «Gli odontoiatri e gli igienisti dentali che intendono mettere a disposizione della collettività, con esclusivo spirito di solidarietà sociale e senza fine di lucro né diretto né indiretto, le proprie competenze professionali, nonché il proprio tempo a favore delle persone in condizioni di vulnerabilità sociale, partecipano, su base volontaria e su propria iniziativa, alla realizzazione dei progetti di odontoiatria solidale di cui al comma 2».
  9. Ovvero le strutture private accreditate con le quali il SSR abbia definito appositi rapporti mediante gli accordi contrattuali di cui all’art. 8-quinquies, d.lgs. 502/1992.
  10. Rispettivamente, si tratta della D.G.R. 12 giugno 2023, n. 17-7020 e della D.D. 6 luglio 2023, n. 1453.
  11. Per un inquadramento giuridico dei fondi integrativi di cui all’art. 9, d.lgs. 502/1992, v. M. Paneri, I fondi sanitari integrativi, in R. Balduzzi, G. Carpani (a cura di), Manuale di diritto sanitario, Bologna, Il Mulino, 2013. Per ricostruire gli elementi più significativi della discussione sul ruolo di tale istituto all’interno dell’evoluzione del SSN, cfr. F. Toth R. Lizzi, Le trasformazioni silenziose delle politiche sanitarie in Italia e l’effetto catalizzatore della grande crisi finanziaria, in Stato e mercato, 2019, n. 2, pp. 297 ss.; M. Campedelli, Riconfigurare l’universalismo? Sanità integrativa e Servizio sanitario nazionale per nuove tutele del diritto alla salute, in Politiche sanitarie, 2015, n. 1, pp. 1 ss.
  12. Si vedano, ad esempio, i programmi avviati dalle Regioni Toscana (D.C.R. 163/2003 e, poi, DGRT 426/2014), Emilia-Romagna (D.G.R. 2678/2004 e, poi, D.G.R. 374/2008) e Lazio (D.G.R. 896/2008 e, poi, D.C.A. U00586/2013).
  13. L’allegato 4 individua tutte le prestazioni specialistiche ambulatoriali garantite dal SSN ed erogate a suo carico; per alcune di queste vengono stabilite delle condizioni di erogabilità. È utile precisare che l’allegato 4 indica tali condizioni mediante codici numerici, la cui “legenda” si trova nell’allegato 4D.
  14. L’allegato 4C è intitolato “Criteri per la definizione delle condizioni di erogabilità delle prestazioni odontoiatriche”.
  15. Con la specificazione che nella visita sono comprese la radiografia endorale e l’eventuale rimozione di corpo estraneo.
  16. Tali casi corrispondono ai livelli 4 e 5 della scala internazionale IONT (Index of Orthodontic Treatment Need).
  17. Per i trattamenti ortodontici, dunque, alla necessità del trattamento si aggiunge anche la condizione di vulnerabilità, che, come vedremo, costituisce, nelle sue due dimensioni (sanitaria e sociale) il criterio di individuazione dei beneficiari all’interno della popolazione “adulta”.
  18. Per la cui più puntuale definizione occorre rifarsi comunque all’allegato 4 e alle prestazioni corredate della condizione di erogabilità (sic …) “popolazione generale”.
  19. V. retro nota 2.
  20. Il rapporto si basa sui dati dell’anno 2019.
  21. Nel 2019, la restante percentuale ha beneficiato di cure la cui spesa è stata sostenuta integralmente (4,7%) o parzialmente (con pagamento del ticket: 3,3%) da parte del SSN (v. spec. pp. 30 e 31 del rapporto). Questi dati statistici basati sulla popolazione, se rapportati a quelli basati sul volume di spesa, ci dicono che le prestazioni erogate dal SSN generano un costo assai inferiore a quelle reperite sul mercato privato; il che si può spiegare sia ipotizzando che il costo delle prestazioni erogate dal servizio pubblico sia tenuto più basso rispetto alle tariffe di mercato, non essendovi margini di profitto, sia tenendo conto che le prestazioni reperite presso il mercato privato sono generalmente più costose anche in ragione del fatto che il costo dei manufatti (apparecchi e protesi) nella sostanziale totalità dei casi è a carico dell’assistito.
  22. V. retro nota 4. Per “povertà sanitaria” si intende l’insieme delle «conseguenze della scarsità di reddito sull’accesso a quella parte delle cure sanitarie che restano a carico degli indigenti a causa del mancato intervento del SSN».
  23. V. retro nota 5.
  24. Ciò anche tenuto conto dell’interpretazione che di essi occorre dare alla luce dell’art. 1, comma 2, del d.lgs. 502/1992, il quale, introducendo l’istituto dei livelli essenziali di assistenza, ha razionalizzato il rapporto tra i principi di universalità dei destinatari, globalità dell’assistenza ed equità dell’accesso, da un lato, e i vincoli della finanza pubblica. Su tali questioni v. R. Balduzzi, D. Servetti, La garanzia costituzionale del diritto alla salute e la sua attuazione nel Servizio sanitario nazionale, in R. Balduzzi, G. Carpani (a cura di), Manuale di diritto sanitario, cit.; R. Balduzzi, Livelli essenziali di assistenza versus livelli minimi, in La politica economica tra mercati e regole. Scritti in ricordo di Luciano Stella, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2005, pp. 49 ss.; Id., Livelli essenziali e risorse disponibili: un nodo costituzionale?, in Studi in onore di Angelo Mattioni, Milano, Vita e Pensiero, 2011, pp. 57 ss.; Id., Un inusitato intreccio di competenze. Livelli essenziali e non essenziali, in L. Violini (a cura di), Verso un decentramento delle politiche di welfare. Incontri di studio “Gianfranco Mor” sul diritto regionale, Milano, Giuffrè, 2011, pp. 79 ss.; F. Taroni, Politiche sanitarie in Italia. Il futuro del SSN in una prospettiva storica, Roma, Il pensiero scientifico editore, 2011.
  25. Sui concetti di universalismo egalitario e selettivo cfr., per punti di vista differenziati sull’uno e sull’altro, F. Taroni, op.ult.cit.; E. Rossi, Universalismo selettivo e principio di uguaglianza sostanziale, in Fondazione E. Zancan, Ripartire dai poveri. Rapporto 2008 su povertà ed esclusione sociale in Italia, Bologna, Il Mulino, 2008; P. Carrozza, Riforme istituzionali e sistema di welfare, in M. Campedelli, P. Carrozza, L. Pepino (a cura di), Diritto di welfare. Manuale di cittadinanza e istituzioni sociali, Bologna, Il Mulino, 2010; C. Colapietro, Alla ricerca di un Welfare State “sostenibile”: il Welfare “generativo”, in Diritto e società, 2014; A. Bonomi, Brevi osservazioni sugli aspetti più problematici del delicato bilanciamento fra universalismo selettivo, diritti fondamentali e vincoli di bilancio: alla ricerca dell’universalismo selettivo temperato, in Federalismi, 2018, n. 7.
  26. V. spec. pp. 35-38 del rapporto.
  27. Si vedano gli atti delle Regioni Emilia-Romagna e Toscana citate supra in nota 11. La Regione Lazio (le cui deliberazioni sono menzionate nella medesima nota) ha invece puntato sull’introduzione di un sistema di esenzione/compartecipazione progressiva basato sull’ISEE, lasciando il costo del manufatto a carico del paziente. Diversa la scelta della Regione Liguria (D.G.R. 1551/2005 e 164/2006), la quale ha agito sul versante socio-assistenziale, prevedendo la rimborsabilità totale del costo delle protesi per i pazienti ultrasessantacinquenni sotto una certa soglia di ISEE.
  28. Circa le esperienze emerse nel corso dell’istruttoria, nonché alla base della stessa iniziativa legislativa, si veda la documentazione disponibile all’interno del dossier virtuale accessibile al seguente link: http://arianna.cr.piemonte.it/iterlegfo/dossierPagina.do?numLegge=25&annoLegge=2022.
  29. Si veda in particolare la deliberazione del direttore generale 18 novembre 2015, n. 1113, la quale interviene espressamente nell’attesa dell’adozione, da parte della Regione, di una definizione delle condizioni di vulnerabilità.
  30. Il modello va sostanzialmente a praticare un meccanismo di redistribuzione delle risorse autogestito, che copre i costi non sostenibili mediante i fondi istituzionali della struttura complessa di odontoiatria attraverso un’offerta pubblica di servizi a prezzi competitivi, sfruttando altresì le regole della libera professione intramuraria al fine di garantire il necessario apporto di personale. Al riguardo cfr. in particolare il Bilancio sociale INMP 2022, disponibile sul sito istituzionale dell’ente. È utile segnalare che, in qualità di ente attuatore del Programma nazionale Equità nella salute 2021-2027, finanziato dal Fondo sociale europeo e dal Fondo europeo di sviluppo regionale, l’INMP ha avviato interventi di odontoiatria sociale nelle sette Regioni meridionali oggetto del Programma, sulla scorta peraltro di singole sperimentazioni condotte in alcuni territori particolarmente complessi sotto il profilo della vulnerabilità sociale (tra questi è interessante l’esperienza del poliambulatorio di Rosarno, considerato dal Bilancio sociale sopra citato).
  31. Il che non vieta affatto alle aziende sanitarie, nell’esercizio della propria autonomia, di reperire risorse aggiuntive, ad esempio mediante iniziative sul modello dell’INMP.
  32. Sul tema esiste ora l’approfondito studio monografico di L. Gori, Terzo settore e Costituzione, Torino, Giappichelli, 2022. Nella giurisprudenza costituzionale sono particolarmente significative, da ultimo, le sentenze nn. 131/2020 e 72/2022. Sulla prima di tali decisioni v. i commenti di G. Arena, L’amministrazione condivisa ed i suoi sviluppi nel rapporto con cittadini ed enti del Terzo Settore, in Giurisprudenza costituzionale, 2020, n. 3, e di E. Rossi, Il fondamento del Terzo settore è nella Costituzione. Prime osservazioni sulla sentenza n. 131 del 2020 della Corte costituzionale, in Forum di Quaderni Costituzionali, 2020, n. 3. Sulla seconda, v. L. Gori, L’organizzazione delle libertà sociali e la sua peculiare natura di controlimite, in Giurisprudenza costituzionale, 2022, n. 2.