Il fondo “vita nascente” tra premialità al terzo settore e tutela della salute materna

Lucilla Conte[1]

(ABSTRACT)

The contribuition focuses on the recent establishment, in the regional welfare system, of the “Vita nascente” fund and highlights some critical issues in relation with the abortion law and the concept of women health, not attributable only to the freedom from want.

Sommario:

1. L’approvazione dell’emendamento al bilancio di previsione 2022-2024 – 2. L’articolo 19 della legge della Regione Piemonte n. 6 del 2022: struttura e finalità – 3. La tutela della salute riproduttiva nella legge n. 194, con particolare riferimento «all’incidenza delle condizioni economiche, o sociali, o familiari sulla salute della gestante». Alcuni nodi irrisolti – 4. Politiche regionali e welfare familiare: tra incentivi premiali e interventi strutturali

1. L’approvazione dell’emendamento al bilancio di previsione 2022-2024

Nel mese di aprile 2022 è stato approvato un emendamento al bilancio di previsione della Regione Piemonte per gli anni 2022-2024 (poi confluito nell’art. 19 della legge regionale Piemonte n. 6 del 2022) avente ad oggetto l’istituzione di un fondo – denominato in modo evocativo dall’Assessore regionale proponente come “Vita nascente”– del valore complessivo di 400.000 euro per l’anno 2022, volto «alla realizzazione di progetti mirati al superamento delle cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione della gravidanza»[2]. Questa misura si propone dichiaratamente come un incentivo concreto alla natalità, essendo stimato, sulla base di un giudizio prognostico formulato dallo stesso Assessore[3], un incremento di 100 nuove nascite in Piemonte, le quali andrebbero a costituire il risultato di tale misura di disincentivazione. Dal rapporto tra la somma appostata di 400.000 euro e la previsione dello stimato incremento demografico di 100 nuovi nati si andava quindi a dedurre la possibilità di uno stanziamento da parte delle associazioni beneficiarie di 4.000 euro per ciascuna (tra le prime cento) donne che avessero avuto accesso alla misura. Di qui i numerosi spunti polemici che hanno evidenziato, da un lato, come tale importo risultasse del tutto insufficiente a fare fronte alle spese familiari per il primo anno di vita del nuovo nato[4], costituendo in ogni caso una risorsa scarsa rispetto alla numerosità della platea delle donne ad essa potenzialmente interessate; dall’altro, come la misura si collocasse nell’alveo di una scelta politica di progressiva istituzionalizzazione delle associazioni cosiddette pro-life all’interno dei presidi sanitari.

Lo stanziamento in oggetto, secondo questa prospettiva, avrebbe conferito operatività alla previsione relativa all’inserimento, tra le associazioni operanti all’interno delle ASL, di quelle che avessero come dichiarato obiettivo statutario la tutela della vita fin dalla sua origine[5]. Ne è conseguita una accesa discussione (che ha travalicato i confini della discussione assembleare e attivato il dibattito presso l’opinione pubblica) sull’eventuale lesione del diritto all’autodeterminazione della donna nelle scelte procreative, dal momento che quest’ultima viene di fatto posta di fronte alla scelta di un accesso ad una misura premiale che, nell’intento di chi l’ha promossa, avrebbe l’obiettivo di liberarla dai condizionamenti di tipo economico che potrebbero portare ad optare per la scelta di interrompere la gravidanza.

D’altro canto, l’Assessore che ha promosso questa misura ha rivendicato come essa di collochi nell’alveo della legge n. 194 del 1978, risultando espressione del favor, in essa contenuto, nei confronti di azioni che possano «rimuovere le cause che la porterebbero all’interruzione della gravidanza specialmente quando la richiesta di interruzione della gravidanza sia motivata dall’incidenza delle condizioni economiche, o sociali, o familiari sulla salute della gestante»[6].

Di fronte a queste significative ed ineliminabili contrapposizioni nella lettura dell’istituzione di questo fondo, risulta essenziale porre l’accento sul concetto di salute della gestante – così come espresso nell’art. 5 della legge n. 194 – quale concetto multidimensionale[7], comprensivo del benessere psicofisico della donna e dunque non riconducibile ad una mera situazione di bisogno o indigenza che, da sola, potrebbe non essere sufficiente a determinare la scelta di ricorrere alla interruzione volontaria di gravidanza. Rispetto ad ogni ragionamento in tema di IVG e di politiche legislative (anche) regionali ad essa collegate, risulta necessario tenere conto di un concetto di salute che è altro e diverso dalla rimozione di una situazione di bisogno, e che chiama in causa una molteplicità di fattori che dovrebbero essere indagati dai servizi competenti in tutta la loro complessità. E questa, d’altro canto, sembra essere l’impostazione che governa il ruolo dei consultori all’interno della legge sull’interruzione di gravidanza: strutture che, come ha avuto modo di sottolineare in tempi recenti il Ministro della Salute all’interno della relazione sullo stato di attuazione della legge n. 194 per gli anni 2019-2020, costituiscono i servizi di prossimità a supporto della donna che decida di interrompere la gravidanza, e si caratterizzano per il valore aggiunto delle competenze multidisciplinari in essi presenti (ivi compresa quelle di mediazione culturale)[8]. Nell’economia generale della legge 194, i consultori si collocano come servizio che, tra le attività offerte, prevede un counselling pre-procedura avente ad oggetto anche la trasmissione delle informazioni relative alla modalità dell’intervento, nonché di counselling psicosociale (quest’ultimo elettivamente volto a valutare l’esistenza di situazioni di marginalità sociale o condizionamenti di tipo economico che abbiano un peso significativo nella individuazione della scelta che risulti più aderente alla realizzazione delle condizioni di benessere psico-fisico della donna). Il carattere tendenzialmente a-valutativo e intrinsecamente “neutro” dell’attività svolta dai consultori vede nello strumento del colloquio con la donna interessata un passaggio rilevante per le determinazioni che seguiranno, e che potranno condurre ad una scelta sufficientemente ponderata sulla opportunità di procedere all’IVG, nonché sulle attività prodromiche (ma anche successive) all’intervento che è possibile espletare presso tali strutture: dalla predisposizione della documentazione necessaria per procedere all’intervento alla prenotazione dello stesso presso le strutture ospedaliere; dai controlli medici post-intervento al counselling contraccettivo[9].

Risulta dunque del tutto evidente come il consultorio si caratterizzi per essere una struttura nodale all’interno della complessiva articolazione della legge n. 194, al punto che le prestazioni rese presso di esso costituiscono livelli essenziali di attività (LEA) da riconoscersi in modo omogeneo sul territorio nazionale[10].

Questa particolare rilevanza rivestita dalla struttura del consultorio[11] è emersa nel corso della discussione sull’approvazione dell’emendamento, successivamente modificato nel senso di prevedere una azione in sinergia tra le associazioni di volontariato pro-life e i consultori stessi, come da ultimo testimonia l’articolo 19 della legge della Regione Piemonte n. 6/2022.

2. L’articolo 19 della legge della Regione Piemonte n. 6 del 2022: struttura e finalità

L’articolo 19 del bilancio di previsione della Regione Piemonte è rubricato: Contributi a terzi finalizzati alla promozione e realizzazione di progetti mirati al superamento delle cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione della gravidanza.

Risulta necessario precisare in via preliminare quali siano i soggetti “terzi”: al comma 1 viene stabilito che la concessione dei contributi avvenga nei confronti di «organizzazioni di volontariato e associazioni del privato sociale, operanti nel settore della tutela materno infantile, accreditate presso le aziende sanitarie regionali» (e ad essi, come si avrà modo di vedere infra, si sono aggiunti gli enti gestori dei servizi socio-assistenziali, come meglio precisato dalla delibera attuativa oggetto di recente approvazione).

Il modello di tali associazioni ed organizzazioni appare, ad una prima lettura, quello delle associazioni pro-life, che abbiano ottenuto un accreditamento presso le ASL. I requisiti attualmente previsti, tuttavia, permettono di includere all’interno di questo perimetro anche associazioni non ideologicamente connotate in questo senso, purché abbiano nella loro mission la tutela materno-infantile (come ad esempio i centri antiviolenza)[12].

La concessione dei contributi – viene precisato – avviene «nell’ambito delle funzioni e competenze della Regione», con evidente riferimento al riparto di competenze tracciato dall’art. 117 della Costituzione e sulla base dell’obiettivo dichiarato del riconoscimento del valore sociale della maternità già sancito a livello nazionale dalla legge n. 194.

Come più sopra accennato, viene esplicitata la necessità di un coordinamento con consultori e, in via più generale, con enti socio assistenziali.

Quanto al contenuto dei progetti che possono aspirare al contributo, essi devono essere finalizzati al superamento delle cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione della gravidanza ai sensi dell’articolo 2, comma 1, lettera d), della legge 22 maggio 1978, n. 194 (Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza).

La definizione dei criteri e delle modalità per l’erogazione dei contributi è rinviata ad una successiva deliberazione della Giunta regionale, previo parere della commissione consiliare competente (su cui infra). L’art. 19 stabilisce inoltre che gli enti beneficiari siano assoggettati a due adempimenti: il primo riguarda la predisposizione di un programma dettagliato delle attività progettuali; il secondo attiene alla rendicontazione delle spese sostenute. In seguito alle modifiche successivamente intervenute in corso di approvazione del fondo, si è configurato dunque un percorso che appare fornire adeguate garanzie sia ex ante per accedere all’erogazione dei contributi del fondo, di cui sono predeterminati (dall’esecutivo regionale, previa acquisizione del parere della commissione consiliare competente) criteri e modalità di erogazione, sia ex post mediante successiva rendicontazione.

Il 1° ottobre scorso la IV Commissione Salute del Consiglio regionale ha dato parere favorevole alla bozza di delibera in cui sono stati individuati dalla Giunta regionale le modalità di accesso e i criteri per l’assegnazione dei finanziamenti regionali collegati all’istituzione del fondo vita nascente. Tale deliberazione prevede all’Allegato A (che ne forma parte integrante e sostanziale) una più compiuta definizione delle modalità di accesso e criteri di assegnazione ai finanziamenti «per la promozione e realizzazione di progetti di accompagnamento individualizzati finalizzati alla promozione del valore sociale della maternità e alla tutela della vita nascente da parte di organizzazioni ed associazioni operanti nel settore della tutela materno infantile ed iscritti negli elenchi approvati dalle ASL ai sensi della DGR n. 21-807 del 15.10.2010, e degli Enti gestori delle funzioni socio assistenziali competenti individuati dalla DGR n. 22-4914 del 18 dicembre 2006».

Risulta di particolare interesse, all’interno di tale documento, da un lato l’individuazione delle attività oggetto di finanziamento, dall’altro l’identificazione dei soggetti che possono presentare istanza di contributo. Sono infatti previste due tipologie di intervento, che si incentrano sulla messa in atto di “progetti di accompagnamento individualizzati finalizzati alla promozione del valore sociale della maternità e alla tutela della vita nascente”: la prima riguarda le donne gestanti e/o neomamme ed i loro nati, e si identifica (a titolo esemplificativo) in una serie di attività di ascolto e consulenza “a sportello programmato” presso i presidi sanitari; di attività di supporto alle donne in attesa al fine di “accompagnarle in una scelta individuale consapevole”; in progetti di sostegno (anche economico relativo alle esigenze di prima necessità) alle mamme per almeno i primi mille giorni dei neonati; in percorsi di sostegno psicologico sia individuali che di gruppo (attraverso figure professionali, oppure nella forma di gruppi di mutuo aiuto tra gestanti e neomamme)[13]. La seconda tipologia di intervento riguarda esclusivamente le donne gestanti e si incentra su percorsi di sostegno per la donna nel riconoscere o meno il nascituro e sull’esigenza di fornire in entrambi i casi una adeguata informativa in merito alla segretezza del parto.

Un elemento di interesse è dato dalla previsione per cui le organizzazioni ed associazioni iscritte negli elenchi 2022 approvati dalle ASL regionali di riferimento, in attuazione della DGR n. 21-807 del 15.10.2010[14] (vale a dire, le organizzazioni e le associazioni operanti nel settore della tutela materno infantile) possano presentare istanza di contributo soltanto per la prima tipologia di intervento, mentre la seconda tipologia di intervento, maggiormente complessa in quanto implicante l’eventualità della presa in carico del minore eventualmente non riconosciuto dopo il parto (è infatti previsto che nel caso di non riconoscimento del minore, il soggetto gestore ne garantisca il sostegno fino alla sua adozione definitiva, assicurando altresì sostegno alla donna fino ai 60 giorni successivi al parto) risulta riservata esclusivamente ai soggetti gestori delle funzioni socio assistenziali individuati ai sensi della DGR n. 22-4914 del 18 dicembre 2006 (Comune di Torino, Comune di Novara, Consorzio CISSACA di Alessandria e Consorzio CSAC di Cuneo).

Alla rigida distinzione con riferimento alla titolarità a presentare istanza di contributo, non corrisponde tuttavia una rigida incomunicabilità tra i soggetti coinvolti: è infatti previsto che i quattro enti gestori delle funzioni socio-assistenziali sviluppino gli interventi a supporto delle donne che chiedono sostegno in merito alla scelta di riconoscere o meno il proprio nato “anche in raccordo con le attività programmate e realizzate dagli Enti di terzo settore operanti nel settore della tutela materno infantile” e, dall’altro lato, che i progetti presentati dalle associazioni ed organizzazioni operanti nel settore della tutela materno infantile prevedano espressamente modalità di coordinamento “sistematiche e concrete” rispetto alle attività degli enti gestori delle funzioni socio-assistenziali e dei Consultori Familiari e Pediatrici operanti sul territorio regionale.

Ritorna dunque l’esigenza di un collegamento con l’attività istituzionalmente svolta dai consultori nell’ambito della legge 194, anche attraverso “attività di comunicazione e diffusione dei programmi di intervento nel territorio di riferimento”, ivi comprese le sedi dei Consultori familiari, dei Consultori pediatrici nonché dei Centri per le Famiglie aderenti al Coordinamento Regionale localmente presenti.

3. La tutela della salute riproduttiva nella legge n. 194, con particolare riferimento «all’incidenza delle condizioni economiche, o sociali, o familiari sulla salute della gestante». Alcuni nodi irrisolti

A questo proposito può essere utile tracciare un profilo della donna che si determini ad intraprendere il percorso abortivo, per individuare se la misura regionale si possa coerentemente inquadrare nel perimetro delineato dalla legge n. 194 del 1978.

Come è stato notato, con accenti critici, la legge n. 194 stabilisce «una serie di vincoli e procedure, che fungono da dispositivi di controllo sociale atti, non tanto a evitare il ricorso alla pratica abortiva, quanto a impedire che su tale pratica possa decidere discrezionalmente la singola donna. In effetti, sul piano formale, la legittimità (giuridica) della IVG trova fondamento non sul diritto all’autodeterminazione della gestante, bensì sul suo diritto alla salute»[15]. Il particolare impianto di tale legge risulta dunque fortemente condizionato dal peso che il concetto di salute (nel significato “multidimensionale” cui prima si è fatto cenno) assume: benessere psicologico, salute riproduttiva, rimozione dei condizionamenti socio-economici che pesano sulla scelta di interrompere la gravidanza.

La Relazione sullo stato di attuazione della legge n. 194/1978 costituisce una risorsa preziosa per fotografare, attraverso la molteplicità dei dati disponibili, un’istantanea delle condizioni che possano attualmente determinare una donna ad interrompere la gravidanza. Viene evidenziato con forza come la tendenza al ricorso all’IVG sia in costante e progressiva diminuzione già a partire dall’inizio degli anni ottanta, con 1/3 della IVG eseguite da donne straniere (che per fattori culturali, sociali ed economici risultano maggiormente esposte al rischio di gravidanze indesiderate[16]), in un quadro di crescente utilizzo della contraccezione di emergenza. Si sottolinea, in particolare, un fattore di estrema rilevanza, e cioè il ruolo dell’istruzione e la sua incidenza sul tasso di abortività: le donne con un’istruzione più elevata risultano, infatti, quelle che maggiormente hanno migliorato le loro conoscenze e modificato i loro comportamenti relativi al controllo di fecondità[17]. Se dunque il cuore della disciplina sancita con la legge statale è quello di una piena tutela della salute materna (da intendersi anche, in un’ottica che guarda ai comportamenti futuri, come salute riproduttiva) e di un favor verso la tutela della vita umana fin dall’inizio, risulta evidente come essa difficilmente possa risultare espressione dell’aborto come (solo) problema di coscienza individuale[18]. All’interno di questo quadro sembra possibile che, in linea di principio, possano trovare spazio anche iniziative come quella in commento, intese a valorizzare i profili di presa in carico sociale della maternità difficile. Parimenti, tuttavia, appare utile riscontrare come vi siano, con riferimento alla legge 194, irrisolti profili applicativi in relazione all’accesso e alla gestione della interruzione di gravidanza come servizio pubblico, derivanti in primis dalla obiezione di coscienza massiva[19], che potrebbe pregiudicare lo stesso acceso all’IVG, in contrasto «con il “carattere personalistico” delle cure sanitarie», per cui al medico non deve essere preclusa «la possibilità di valutare, sulla base delle più aggiornate e accreditate conoscenze tecnico-scientifiche, il singolo caso sottoposto alle sue cure, individuando di volta in volta la terapia ritenuta più idonea ad assicurare la tutela della salute del paziente»[20].

Risultano tuttavia alcuni aspetti critici: in primo luogo, il fondo costituisce una risorsa strutturalmente scarsa rispetto alla platea delle beneficiarie (potenzialmente superiore a cento donne l’anno); in secondo luogo, proprio in relazione a tale scarsità, risulta particolarmente delicato il tema della predeterminazione dei requisiti per l’accesso a tale misura di sostegno (che, a titolo meramente esemplificativo, dovranno verosimilmente tenere conto dello stato di fragilità economica della donna, dell’età, della sussistenza o insussistenza di altri fattori nella determinazione ad abortire, e che dovranno altresì applicarsi indipendentemente dal possesso della cittadinanza)[21].

Un altro aspetto problematico riguarda il profilo potenzialmente discriminatorio collegato alla netta prevalenza di organizzazioni ideologicamente orientate alla tutela della vita nascente tra quelle destinatarie del fondo: assetto che potrebbe tradursi in uno sfavore nei confronti delle donne potenzialmente interessate a beneficiare della misura, che dovrebbero in questo modo “subire” una intermediazione da parte di associazioni di volontariato che perseguono il dichiarato fine dell’aiuto alla vita come prioritario rispetto a qualunque considerazione sul benessere psico-fisico della donna posta di fronte alla complessità della scelta di interrompere la propria gravidanza[22].

Si tratta tuttavia di un profilo problematico che sembrerebbe avere trovato un elemento di equilibrio nell’affiancamento dei consultori quali soggetti istituzionalmente preposti ad attività di assistenza ed informazione nei confronti della donna in stato di gravidanza e che, anche sotto il profilo organizzativo, potrebbero supportare l’attività di tali associazioni[23].

4. Politiche regionali e welfare familiare: tra incentivi premiali e interventi strutturali

In dottrina si è avuto modo di sottolineare come la regolazione regionale in materia di tutela della salute sia stata riconosciuta in via sempre crescente a partire dagli anni ’90 del secolo scorso[24], per poi assumere i tratti della potestà legislativa concorrente[25].

Di fronte a questa dinamica, appare utile sottolineare il crescente ruolo del terzo settore[26] in attività di supporto ed integrazione delle politiche sanitarie regionali[27], in un’ottica di sussidiarietà[28].

Ci si può chiedere in quale rapporto possa collocarsi l’istituzione del fondo di cui all’art. 19 della l.r. Piemonte n. 6/2022, integrante un obiettivo di dichiarato incentivo premiale rispetto al quale fungono da tramite determinate categorie di associazioni, rispetto all’art. 56 del Codice del Terzo Settore. Tale articolo prevede, nella prospettiva della stipulazione dello strumento della convenzione con le amministrazioni pubbliche finalizzate allo svolgimento in favore di terzi di attività o servizi sociali di interesse generale, il possesso da parte da parte delle organizzazioni di volontariato e degli enti di promozione sociale dei requisiti di moralità professionale e la dimostrazione di una «adeguata attitudine da valutarsi in riferimento alla struttura, all’attività concretamente svolta, alle finalità perseguite, al numero degli aderenti, alle risorse a disposizione e alla capacità tecnica e professionale, intesa come concreta capacità di operare e realizzare l’attività oggetto di convenzione, da valutarsi anche con riferimento all’esperienza maturata, all’organizzazione, alla formazione e all’aggiornamento dei volontari». Nella stessa direzione, inoltre, appare andare la previsione per tali organizzazioni ed associazioni, della possibilità di presentare istanza di contributo soltanto per il profilo b.1) di cui all’allegato A alla delibera attuativa (relativo ad azioni di consulenza e sostegno psicologico funzionale ad una scelta individuale consapevole, nonché di sostegno economico per i primi mille giorni di vita del neonato).

E, in seconda battuta – e qualora una tale tipologia di intervento assumesse, in prospettiva, le caratteristiche di una politica strutturale – ci può ugualmente chiedere se ad essa corrisponda, anche a livello regionale, un pari livello di attenzione a tutti i profili attuativi della l. n. 194/78 secondo il principio della neutralità, nonché della a-valutatività rispetto alla scelta della donna (previa raccolta di tutti gli elementi utili all’istruttoria del singolo caso).

  1. Ricercatrice in Istituzioni di Diritto pubblico, Università del Piemonte Orientale.
  2. L’emendamento è stato approvato nel corso della seduta del Consiglio regionale del 26 aprile 2022, con 33 voti favorevoli, 14 contrari ed un astenuto. Ai sensi del comma 4 dell’art. 19 della legge r. Piemonte, n. 6/2022, è stabilito che per l’attuazione di tale articolo «è prevista una spesa pari ad euro 400.000,00 per l’anno 2022, in termini di competenza e di cassa, da iscriversi su apposito capitolo di spesa corrente, di nuova istituzione, all’interno della missione 12 (Diritti sociali, politiche sociali e famiglia), programma 12.10 (Politica regionale unitaria per i diritti sociali e la famiglia – solo per le Regioni), titolo 1 (Spese correnti) del bilancio di previsione finanziario 2022-2024». La copertura è individuata «mediante pari riduzione delle somme previste all’interno della missione 14 (Sviluppo economico e competitività), programma 14.02 (Commercio-reti distributive-tutela dei consumatori) e della missione 19 (Relazioni internazionali), programma 19.01 (Relazioni internazionali e Cooperazione allo sviluppo)».
  3. L’effetto “+ 100 nuovi nati” viene evidenziato, anche sui social network, come diretta conseguenza dell’istituzione del Fondo, come risulta anche da post dedicati a questo argomento sulla pagina pubblica Facebook dell’Assessore alle Politiche sociali e dell’integrazione socio-sanitaria (www.facebook.com/maurizioraffaellomarrone/).
  4. Per un’indagine proiettiva sui costi di mantenimento di un figlio da 0 a 18 anni, si veda il Quinto rapporto nazionale dell’Osservatorio Nazionale Federconsumatori (2020), consultabile al seguente url: www.federconsumatori.it/i-costi-per-crescere-un-figlio_2020.pdf.
  5. DD n. 1489 del 1.12.2020, con la quale sono state individuate le nuove “Modalità per la formazione e l’aggiornamento degli elenchi presso le ASL delle organizzazioni di volontariato e delle associazioni operanti nel settore della tutela materno infantile”.
  6. Art. 5, legge n. 194 del 1978.
  7. Su questo profilo, v. A. Pioggia (2017), Di cosa parliamo quando parliamo di salute?, in Istituzioni del Federalismo, n. 2, p. 293 ma passim, che rileva come il diritto alla salute si configura come un diritto che «risente più di altri delle trasformazioni sociali culturali e giuridiche e che stimola un continuo confronto sulla sua natura e sul suo contenuto, che evolve non solo insieme alla scienza che se ne occupa, ma soprattutto insieme alla società in cui si ambienta» e che «l’allargamento dei profili di benessere in cui si sostanzia l’idea di salute apre la strada all’inclusione in essa della dimensione identitaria e individuale del soggetto», come peraltro evocato dalla Corte costituzionale a partire dalla legge in materia di transessualismo (l. n. 164 del 1982, prospettiva peraltro confermata dalla successiva pronuncia della Corte costituzionale n. 161 del 1985). Sull’«allargamento dei profili in cui si sostanzia l’idea di salute», v. altresì M.P. Iadicicco (2021), Frontiere e confini del diritto alla salute, in Scritti in onore di Antonio Ruggeri, Napoli, Editoriale Scientifica, Vol III, p. 2155.
  8. Ministero della Salute, Relazione del Ministro della Salute sulla attuazione della legge contenente norme per la tutela sociale della maternità e per l’interruzione volontaria della gravidanza (legge 194/78) – Dati definitivi 2019 e dati preliminari 2020, p. 42. Il testo della Relazione è consultabile al seguente url: https://www.salute.gov.it/portale/donna
  9. Su questo profilo, si veda la altresì la Relazione del Ministro della Salute sulla attuazione della legge contenente norme per la tutela sociale della maternità e per l’interruzione volontaria della gravidanza (legge 194/78) – Dati definitivi 2020, p.10, nella quale viene sottolineato come il consultorio familiare rappresenti «un servizio di riferimento per molte donne e coppie anche per quanto riguarda il percorso IVG, come negli auspici della legge n. 194/78. Grazie alle competenze multidisciplinari dell’équipe professionale e sua capacità di identificare i determinanti di natura sociale oltre che sanitaria dei bisogni di salute della popolazione, i consultori offrono alla donna un sostegno nell’intero percorso IVG, promuovendo scelte consapevoli e facilitando la prevenzione di future gravidanze indesiderate». In senso critico, riconoscendo, al contrario, uno specifico ruolo di prevenzione-dissuasione assegnato ai consultori familiari dalla legge n. 194, v. I. Fanlo Cortés (2017), A quarant’anni dalla legge sull’aborto in Italia. Breve storia di un dibattito, in Politica del diritto, n. 4, pp. 651-652.
  10. Le risorse necessarie per l’aggiornamento dei LEA sono state stanziate soltanto dalla legge di bilancio 2022 (art. 1, comma 288, della legge n. 234 del 2021), che, a decorrere dal 2022, finalizza a tale scopo uno stanziamento annuale pari a 200 milioni di euro a valere sulla quota indistinta del fabbisogno sanitario nazionale. Le prestazioni e i servizi inclusi nei LEA rappresentano il livello essenziale garantito a tutti i cittadini, ma le Regioni possono utilizzare risorse proprie per garantire servizi e prestazioni ulteriori rispetto a quelle incluse nei livelli essenziali di assistenza. L’area di assistenza distrettuale, che si svolge nell’ambito e sotto la responsabilità dei distretti che fanno capo all’erogazione di servizi in aree di dimensioni territoriali limitate (definita a partire dal Capo III – artt. 3-20 del DPCM 12 gennaio 2017 di definizione dei nuovi LEA e di sostituzione integrale del DPCM 29 novembre 2001), si caratterizza per il fatto di operare direttamente sul territorio, prescindendo dal regime di ricovero ospedaliero. All’interno dell’assistenza distrettuale si colloca il ruolo dei consultori, che afferiscono all’area della assistenza alle donne, alle coppie, alle famiglie e ai minori, per la tutela della gravidanza e della maternità, la procreazione responsabile, il supporto all’affidamento e all’adozione, la prevenzione degli abusi e della violenza nell’ambito familiare.
  11. Da ultimo rivendicata anche nelle linee guida ministeriali del 12 agosto 2020 in tema di aborto farmacologico, le quali prevedono la somministrazione di mifoprestone e prostaglandine non solo in regime di day-hospital presso strutture ospedaliere, ma anche all’interno degli stessi consultori, rendendo quindi in via generale non necessario il ricovero ospedaliero. Va sottolineato tuttavia come, rispetto a tali linee guida, la Regione Piemonte abbia assunto una linea di sfavore rispetto alla somministrazione dei farmaci abortivi in sede di consultorio, come risulta dalla circolare di indirizzi sull’aborto farmacologico elaborata nell’ottobre 2020 dalla Regione in condivisione con Federvi.PA (federazione dei Movimenti per la Vita e dei Centri di Aiuto alla Vita, delle Case di Accoglienza, delle Associazioni locali aderenti al Movimento per la Vita Italiano operanti nelle Regioni Piemonte e Valle d’Aosta) e con il Dott. Silvio Viale, responsabile del servizio unificato IVG presso l’Ospedale Sant’Anna di Torino e destinata ad ASO e ASL piemontesi, la quale prevede il divieto di aborto farmacologico direttamente nei consultori piemontesi, riservando l’attuazione dell’interruzione di gravidanza anche farmacologica alle strutture tassativamente elencate nell’art. 8 della legge 194, ovvero in ambito ospedaliero. Sul quadro particolarmente disomogeneo che caratterizza a livello regionale la pratica dell’aborto farmacologico, v. M.P. Iadicicco (2020), Aborto farmacologico ed emergenza sanitaria da Covid-19, in Quaderni Costituzionali, n. 4, p. 824 e passim, laddove peraltro si sottolineano possibili difficoltà organizzative nell’applicazione delle linee guida ministeriali con riferimento alla somministrazione all’interno dei consultori.
  12. Rispetto alla determinazione di tali requisiti, va ricordato come inizialmente questi fossero più stringenti, integrandosi nella formulazione “tutela della vita fin dal suo concepimento”, mentre in seguito all’accoglimento del ricorso promosso dalle Associazioni Casa delle Donne e ACTIVA DONNA da parte del TAR Piemonte, con conseguente annullamento con sentenza n. 793 del 15.7.2011 della DGR n. 21-807 del 15.10.2010 (che conteneva approvazione del “Protocollo per il miglioramento del percorso assistenziale per la donna che richiede l’interruzione volontaria di gravidanza”) nella parte in cui prevedeva tra i «requisiti soggettivi minimi che devono essere posseduti dagli enti no profit per essere iscritti negli elenchi dell’Asl la presenza nello statuto della finalità di tutela della vita fin dal concepimento», essi siano successivamente stati indicati come segue: «presenza nello statuto della finalità di tutela della vita fin dal concepimento e/o di attività specifiche che riguardino il sostegno alla maternità e alla tutela del neonato» e che in assenza di tale requisito soggettivo sia «sufficiente il possesso di un’esperienza almeno biennale nell’ambito del sostegno alle donne e/o alla famiglia come documentata da sintetica relazione». Su questo punto, v. DD n. 1489 del 1.12.2020, in particolare l’Allegato A che contiene la definizione delle modalità per la formazione e l’aggiornamento degli elenchi presso le ASL delle organizzazioni di volontariato e delle associazioni operanti nel settore della tutela materno infantile, consultabile al seguente url: www.regione.piemonte.it/governo/.pdf 
  13. Si tratta di progetti di accompagnamento “individualizzato”, della durata di 18 mesi, rispetto ai quali sono previsti meccanismi di monitoraggio sia in itinere sia ex post, con follow up periodici trascorso il primo anno di vita del bambino e nei successivi due.
  14. “Protocollo per il miglioramento del percorso assistenziale per la donna che richiede l’interruzione volontaria di gravidanza e s.m.i.”. All’interno della delibera si prende atto della peculiare situazione in cui versa l’ASL di Novara, nel cui ambito non sono presenti organizzazioni ed associazioni iscritte in elenco, con la conseguente previsione della possibilità di presentare istanze di contributo in seguito ad istanza di iscrizione avvenuta entro il 31 ottobre 2022 e a condizione che l’ASL competente ne abbia confermato i requisiti disponendo l’iscrizione all’elenco entro il 30 novembre 2022.
  15. Così I. Fanlo Cortés (2017), A quarant’anni dalla legge sull’aborto in Italia. Breve storia di un dibattito, cit., pp. 650-651.
  16. Si tratta, tuttavia, in questo caso, di riscontrare recenti decrementi nei tassi di abortività anche delle donne straniere, come evidenziato nella Relazione del Ministro della Salute sulla attuazione della legge contenente norme per la tutela sociale della maternità e per l’interruzione volontaria della gravidanza (legge 194/78) – Dati definitivi 2019 e dati preliminari 2020, p. 36
  17. Relazione del Ministro della Salute sullo sullo stato di attuazione della legge contenente norme per la tutela sociale della maternità e per l’interruzione volontaria della gravidanza (legge 194/78) – Dati definitivi 2019 e dati preliminari 2020, cit., p. 31.
  18. In questo senso, v. I. Fanlo Cortés, A quarant’anni dalla legge sull’aborto in Italia. Breve storia di un dibattito, cit., p. 653.
  19. Su questo profilo, v. M. Saporiti (2013), Se fossero tutti obiettori? Paradossi e fraintendimenti dell’obiezione di coscienza all’aborto in Italia, in Materiali per una storia della cultura giuridica, n. 2, in particolare p. 481. La Relazione del Ministro della Salute sulla attuazione della legge contenente norme per la tutela sociale della maternità e per l’interruzione volontaria della gravidanza (legge 194/78) – Dati definitivi 2019 e dati preliminari 2020, sottolinea in premessa come per i ginecologi il valore degli obiettori di coscienza si configuri ancora estremamente elevato (pari al 67%), con un conseguente impatto sull’organizzazione dei servizi collegati all’IVG.
  20. Così da ultimo Corte cost., n. 169/2017, punto n. 8 del Considerato in diritto (e che riprende argomentazioni già sviluppate in Corte cost., n. 151 del 2008). Sul tema della cura della salute come «sistema in cui operano una moltitudine di agenti economici, con preferenze, funzioni obiettivo, e interessi specifici confliggenti per cui è illusorio cercare di ricondurre il tutto a un decision-making unitario e aggregato», v. A. Petretto, (2017) Il finanziamento del servizio sanitario, problematiche e comparazioni, cit., p. 72.
  21. La giurisprudenza della Corte costituzionale ha, anche in tempi recenti, sottolineato come interventi di sostegno alla povertà, soprattutto in relazione a bisogni basilari ed immediati, debbano prescindere da requisiti stringenti in termini di stabile residenza sul territorio italiano (Corte cost., n. 7/2021, in cui viene rimarcata la mancata «correlazione tra il soddisfacimento dei bisogni primari dell’essere umano, insediatosi nel territorio regionale, e la protrazione nel tempo di tale insediamento»; ma anche Corte cost. n. 137 del 2021, in cui si evidenzia la «natura meramente assistenziale dell’assegno sociale, che pertanto si differenzia da altre provvidenze, motivate anche da ulteriori finalità, come il già ricordato reddito di cittadinanza, che non ha natura meramente assistenziale, ma anche di reinserimento lavorativo e per tali ragioni legato a più stringenti requisiti, obblighi e condizioni»). Queste argomentazioni, peraltro, si desumono a contrario anche dalla giurisprudenza costituzionale in tema di reddito di cittadinanza (da ultimo Corte cost. n. 19/2022) che, invece, a giudizio della Corte, si configura come una misura che non si traduce in una mera soluzione di contrasto alla povertà, attinente ai bisogni essenziali dell’individuo, ma persegue ulteriori obiettivi (di politica attiva del lavoro e di integrazione sociale). In termini generali e sull’esistenza di un nucleo irriducibile del diritto alla salute protetto dalla Costituzione come ambito inviolabile della dignità umana riconosciuto agli stranieri qualunque sia la posizione rispetto alle norme che regolano l’ingresso ed il soggiorno nello stato (pur potendo il legislatore prevedere diverse modalità di esercizio dello stesso), v. Corte cost., n. 269/2010 e Corte cost., n. 299/2010, n. 61/2011, n. 329/2011. Di particolare interesse le argomentazioni sviluppate dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 4/2013 (relativa alla istituzione di un fondo regionale per la non autosufficienza. In tale pronuncia, si sottolinea come non vi sia alcuna correlazione tra il richiesto possesso del requisito della “regolare carta di soggiorno” e la situazione di bisogno o di disagio e pertanto spetti al legislatore regionale valutare sulla base del principio di ragionevolezza l’attuazione di una disciplina differenziata per le prestazioni che eccedano l’essenziale) e n. 113/ 2013, laddove si evidenzia come la previsione del requisito della residenza per l’accesso a prestazioni di assistenza sociale da parte degli stranieri costituisca, con riferimento a provvidenze stabilite a livello regionale, un criterio non irragionevole per l’attribuzione del beneficio, mentre non altrettanto possa dirsi con riferimento alla previsione di un requisito differenziale basato sulla residenza protratta per un significativo e predeterminato periodo minimo di tempo, non essendovi alcuna ragionevole correlazione tra la durata della residenza e le situazioni di bisogno o di disagio riferibili direttamente alla persona in quanto tale, alle quali la provvidenza intende sopperire.
  22. Sul tema della equità nella tutela della salute, v. A. Petretto (2017), Il finanziamento del servizio sanitario, problematiche e comparazioni, in G. Cerrina Feroni, M. Livi Bacci, A. Petretto (a cura di), Pubblico e privato nel sistema di welfare, consultabile al seguente url: https://www.cesifin.it/wp-content/uploads/2017/04/WELFARE_300317DEF_eBook.pdf, p. 75.
  23. Si tratta di un profilo che si evidenzia anche all’interno del dettato della legge n. 194 del 1978 che all’art. 2, comma 1, lettera d), stabilisce che i consultori possano, attraverso la loro attività, contribuire «a far superare le cause che potrebbero indurre la donna all’introduzione della gravidanza», potendo «avvalersi, per i fini previsti dalla legge, della collaborazione volontaria di idonee formazioni sociali di base e di associazioni del volontariato, che possono anche aiutare la maternità difficile dopo la nascita» (art. 2, comma 2, legge n. 194 del 1978).
  24. Così M.P. Iadicicco (2021), Frontiere e confini del diritto alla salute, cit., p. 2166, in nota n. 22 e D. Morana (2018), La tutela della salute tra competenze statali e regionali: indirizzi di giurisprudenza costituzionale e nuovi sviluppi normativi, in Osservatorio costituzionale AIC, n. 1/2018, p. 12. Sui profili di crescente complessità, derivanti dalla platea di attori pubblici e privati che intervengono nella formazione ed attuazione delle politiche di welfare, v. Y. Kazepov, E. Barberis (2013), Il welfare frammentato. Le articolazioni regionali delle politiche sociali italiane, Carocci, Roma, 2013.
  25. Pur permanendo in concreto esigenze di unità ed eguaglianza sostanziale, supportate testualmente dalla clausola di uniformità attinente ai livelli essenziali delle prestazioni (art. 117, comma 2, lett m) e valorizzata in una prospettiva di più generale rafforzamento della tendenza al riaccentramento, come rilevato da D. Morana (2018), La tutela della salute tra competenze statali e regionali, cit., p. 5.
  26. Il quale ha trovato una compiuta traduzione nel D.lgs. 3 luglio 2017, n. 117 (c.d. Codice del Terzo Settore) che ha individuato crescenti forme di collaborazione tra P.A. ed enti del Terzo settore, individuando come fine ultimo per il perseguimento delle finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, in un’ottica di effettiva sussidiarietà. In particolare, ai sensi dell’art. 2 del Codice del Terzo Settore, «È riconosciuto il valore e la funzione sociale degli enti del Terzo settore, dell’associazionismo, dell’attività di volontariato e della cultura e pratica del dono quali espressione di partecipazione, solidarietà e pluralismo, ne è promosso lo sviluppo salvaguardandone la spontaneità ed autonomia, e ne è favorito l’apporto originale per il perseguimento di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, anche mediante forme di collaborazione con lo Stato, le Regioni, le Province autonome e gli enti locali».
  27. Come risulta da una serie di contributi contenuti in G. Cerrina Feroni, M. Livi Bacci, A. Petretto (a cura di) (2017), Pubblico e privato nel sistema di welfare, cit., ed in particolare E. Rossi, Pubblico e privato nel sistema socio-sanitario toscano, ivi, p. 139 e ss., laddove si riscontra come «a livello legislativo, in ambito sanitario il ruolo degli enti del Terzo settore fu riconosciuto già nella legge istitutiva del servizio sanitario nazionale (legge n. 833/1978), la quale, nel delineare i principi fondamentali ispiratori della riforma sanitaria, conferì risalto al ruolo svolto dalle associazioni di volontariato, stabilendo che queste avrebbero potuto concorrere ai fini istituzionali del servizio sanitario nazionale attraverso apposite convenzioni, da stipularsi con le unità sanitarie locali nell’ambito della programmazione e della legislazione sanitaria regionale».
  28. Come sottolineato, da ultimo, da Corte cost., n. 131 del 2020.