Il modello “Azienda Zero” nell’attuazione piemontese. Una soluzione che presenta alcune criticità

Alessandra Pioggia[1]

(ABSTRACT)

Some Italian regions have established a special type of regional health agency (in Piemonte called Azienda Zero) with functions other than those typical of this type of organisation. Similar solutions have already been implemented, first of all, in Liguria and Veneto and, subsequently, in Lazio, Sardinia and Calabria. The regional choices, although they have many aspects in common, differ in certain respects, especially with reference to some of the functions conferred, and their role in the regional systems appears partially different. The functions assigned to the Piemonte Azienda Zero straddle the line between the tasks of planning and policy-making, which are reserved for the regional government, and the coordination between the health service providers. This poses some problems for the maintenance of the principle of distinction between political direction and administrative management.

Sommario:

1. Premessa – 2. La regionalizzazione e l’aziendalizzazione in sanità – 3. L’aziendalizzazione fra autonomia e coordinamento – 4. Il coordinamento “forte” e l’entificazione – 5. L’Azienda Zero in Piemonte – 6. Le funzioni dell’Azienda Zero piemontese – 7. L’Azienda Zero fra indirizzo e gestione

1. Premessa

Di recente anche la Regione Piemonte ha scelto di seguire l’esempio già sperimentato in altre realtà regionali istituendo l’Azienda Zero[2], una soluzione organizzativa particolare, che innesta nel modello dell’azienda sanitaria funzioni diverse da quelle dell’erogazione e a cavallo fra i compiti di programmazione e indirizzo riservati al governo regionale e il coordinamento fra le aziende erogatrici delle prestazioni di salute.

Soluzioni analoghe sono state già realizzate, innanzi tutto, in Liguria e Veneto e, a seguire, in Lazio, Sardegna e Calabria. Le scelte regionali, che pure hanno molti aspetti in comune, sotto certi profili si differenziano, soprattutto con riferimento ad alcune delle funzioni conferite alle aziende zero, e parzialmente diverso appare, di conseguenza, il ruolo di esse nei sistemi regionali.

Ma per comprendere bene di fronte a cosa ci troviamo oggi, occorre partire da un po’ più lontano e inquadrare la scelta organizzativa a cui dedichiamo qui attenzione nel panorama del sistema delle sanità regionali che caratterizza il nostro Paese.

2. La regionalizzazione e l’aziendalizzazione in sanità

L’assetto attuale dell’organizzazione sanitaria italiana, esito della riforma intervenuta nel corso degli anni Novanta[3], è costruito su due pilastri: quello della regionalizzazione e quello della distinzione. Entrambi gli aspetti sono leggibili per differenza con la situazione organizzativa precedente, delineata dalla legge n. 833 che nel 1978 istituiva il Servizio Sanitario Nazionale[4], e in termini di risposta ad alcuni limiti che quell’impostazione aveva mostrato in relazione al funzionamento delle amministrazioni della sanità[5].

Lo spostamento della responsabilità dell’erogazione dal livello comunale a quello regionale, modificando il quadro di governo del sistema, rispondeva all’esigenza di una razionalizzazione “per dimensione” delle decisioni strategiche sull’organizzazione del servizio, nella prospettiva di garantire una migliore qualità delle cure e realizzare economie di scala. Il governo locale della sanità, infatti, si era rivelato fonte di una eccessiva disarticolazione dei servizi con problemi di adeguatezza e sostenibilità. Ad esempio, di fronte alla disponibilità crescente di tecnologie al servizio della salute, l’orizzonte territorialmente limitato dei decisori produceva duplicazioni, scarso impiego dei macchinari, con conseguenze sulla sicurezza delle cure e sull’economia del servizio. Lo spostamento della responsabilità dell’erogazione a livello regionale intendeva, quindi, affiancare alla programmazione territoriale, già appannaggio della regione, l’indirizzo sull’organizzazione dei servizi.

La distinzione, a sua volta, rispondeva all’esigenza di garantire che il ruolo della politica regionale si fermasse, per l’appunto, all’indirizzo, senza “ingerenze” sulla concreta gestione. Anche su questo fronte il modello inizialmente definito con l’istituzione del SSN aveva rivelato alcuni limiti. Il governo delle Unità sanitarie locali, costituito da Assemblea generale, Comitato di gestione e Presidente, era integralmente affidato ai Comuni singoli o associati, che vi partecipavano con i propri rappresentanti politici. La stretta interconnessione fra potere politico e gestione delle unità di erogazione dei servizi rappresentava l’altra grande criticità del sistema. L’applicazione delle logiche politiche anche alla minuta gestione, nel migliore dei casi, era fonte di inefficienze e, nel peggiore, di fenomeni clientelari e corruttivi. Di qui la scelta del legislatore degli anni Novanta di separare istituzionalmente il luogo dell’indirizzo, la Regione, dal luogo della gestione, attraverso la costituzione di un ente pubblico regionale strumentale, dotato di propria personalità giuridica, consistente autonomia e di un vertice amministrativo responsabile: l’azienda sanitaria, articolata nei due modelli della azienda territoriale e di quella ospedaliera.

3. L’aziendalizzazione fra autonomia e coordinamento

L’introduzione del modello dell’azienda sanitaria realizzava così nell’ambito della sanità il principio che dall’inizio degli anni Novanta conforma tutta l’amministrazione italiana, quello della distinzione fra indirizzo politico e gestione amministrativa[6]. A dire il vero nel caso dell’organizzazione dei servizi per la salute, più che di distinzione, si può parlare di una vera e propria separazione, dal momento che l’articolazione delle competenze di indirizzo e gestione non riguarda organi della stessa amministrazione, ma due soggetti diversi: la Regione, alla quale restano affidati i poteri di regolazione, pianificazione e indirizzo della sanità, e l’azienda, titolare esclusiva della gestione.

Nel separare, anche soggettivamente, le due competenze, il legislatore conferiva alle aziende una particolare autonomia organizzativa, inizialmente declinata con diverse aggettivazioni, poi sintetizzate nella qualificazione di “imprenditoriale”. Un termine, come anche quello di “azienda”, che certamente è frutto dell’atmosfera culturale dell’epoca, in cui prevaleva l’attrazione verso modelli organizzativi privati, ma che nella sostanza indica una autonomia nell’organizzazione particolarmente consistente.

La combinazione fra autonomia regionale e autonomia aziendale ha dato luogo, nel corso di questi ultimi tre decenni dalla cosiddetta seconda riforma della sanità, a soluzioni che contengono alcuni elementi di differenziazione[7], pur inquadrandosi all’interno di un modello uniforme[8]. La comune adesione ad uno schema predefinito a livello nazionale, consegue ad un dettato normativo piuttosto articolato, la cui vincolatività per le Regioni in termini di linee generali viene confermata dalla modifica costituzionale del 2001[9]. Nel prevedere che alla legge dello Stato spetti la fissazione, oltre che dei livelli essenziali delle prestazioni che soddisfano il diritto alla salute, anche dei principi fondamentali in materia, l’articolo 117 della Costituzione riconosce al livello nazionale il compito di conformare il modello di fondo dell’organizzazione sanitaria regionale[10]. All’autonomia delle Regioni resta naturalmente la possibilità di differenziarne alcuni aspetti e l’esperienza di questi anni ha dato luogo a scelte diverse che investono vari profili.

Il più noto e studiato riguarda la combinazione all’interno delle aziende sanitarie territoriali fra la funzione di diretta erogazione dei servizi e la funzione di committenza, ovvero il compito di rilevazione dei bisogni di salute della popolazione servita, di definizione dei servizi e delle prestazioni necessarie a soddisfarli e di organizzazione dell’erogazione. In questo ambito si registra essenzialmente una divaricazione fra l’ipotesi in cui la missione dell’azienda territoriale è quasi esclusivamente di committenza e quella in cui convivono committenza e produzione diretta di servizi. La prima soluzione è stata realizzata in Lombardia ed è infatti nota in letteratura come “modello lombardo”. Con l’ultima revisione regionale dell’organizzazione sanitaria, tuttavia, pur risultando confermata la separazione fra committenza ed erogazione, la prima funzione risulta oggi assegnata ad enti che non hanno più la forma di azienda: le agenzie regionali di tutela della salute ATS. Ad occuparsi dell’erogazione sono le Aziende ospedaliere e le Aziende socio sanitarie territoriali, che, a questo punto, si differenziano dalle altre soluzioni regionali per avere solo compiti di erogazione. Nel resto delle Regioni italiane, infatti, le aziende sanitarie territoriali hanno sempre visto bilanciate al loro interno entrambe le funzioni. Piuttosto, ad essere diverse sono le loro dimensioni. A questo proposito, si constata in generale una tendenza al progressivo accorpamento e conseguentemente alla diminuzione del numero di esse[11]. In alcuni casi, come nelle Marche, nel Molise, in Val d’Aosta e nelle Province autonome di Trento e Bolzano, l’azienda territoriale è unica. Quando, come nelle Marche, il territorio di riferimento è comunque molto vasto, l’organizzazione aziendale risulta articolata al suo interno in ambiti[12], dotati a loro volta di una certa autonomia, allo scopo di garantire un governo efficiente e una migliore considerazione per le esigenze dei diversi territori interni alla Regione.

Laddove il sistema resta articolato in un diverso numero di aziende, si registrano soluzioni diversificate nel coordinamento fra di esse e nell’organizzazione combinata di alcune funzioni strumentali all’erogazione dei servizi. Si tratta di snodi sui quali nel corso degli ultimi anni molte Regioni hanno fatto investimenti organizzativi importanti, che si distinguono essenzialmente sotto il profilo della scelta di puntare sulla relazione fra aziende, valorizzandone ruolo e autonomia e lasciando affidate ad esse tutte le funzioni, oppure sulla sottrazione e accentramento di alcune funzioni, prevalentemente strumentali, in capo ad enti regionali.

Partendo dalla prima tipologia di soluzioni, che non dà luogo, quindi, ad un ulteriore livello istituzionale dotato di soggettività giuridica, la forma più diffusa è quella dei dipartimenti interaziendali che mettono in comune strategie e risorse intorno a specifiche finalità, come la cura di alcune patologie, o tipologie di intervento, come l’emergenza urgenza. Ad avere invece finalità di coordinamento di carattere generale è il modello delle aree vaste, sistemi di coordinamento fra aziende diverse. E’ il caso, ad esempio, dell’Emilia Romagna, in cui l’area vasta è la dimensione in cui sono stimolate le relazioni fra le aziende[13], al fine di procedere in maniera aggregata agli acquisti, alla logistica integrata e, più in generale, alla condivisione di attività di tipo amministrativo e tecnico, all’investimento in ICT, alla formazione e così via. Un modello simile inizialmente viene applicato anche in Toscana con i consorzi di area vasta, prima della loro trasformazione in enti e della successiva unificazione delle dodici aziende in tre, coincidenti con le altrettante aree vaste.

4. Il coordinamento “forte” e l’entificazione

Se le soluzioni appena viste rappresentano modalità che non toccano l’autonomia organizzativa delle aziende, pur indirizzandone il funzionamento verso forme di coordinamento, un’altra tipologia di interventi diffusa nel panorama regionale è quella della previsione di enti intermedi, ai quali vengono affidate funzioni sottratte alle aziende, funzioni che, quindi, risultano unificate più che coordinate.

Una prima modalità è quella che vede l’introduzione nel panorama dell’organizzazione sanitaria di agenzie o altri soggetti con personalità giuridica a cui sono affidate specifiche attività. Una formula abbastanza diffusa è quella dell’ente che funge di centrale di committenza e stazione appaltante per le aziende sanitarie della medesima Regione[14] e che spesso affianca a questa funzione quella di gestione del magazzino. Agenzie sono state previste anche per altre specifiche funzioni come quella relativa allo sviluppo tecnologico o della formazione.

Forme di entificazione con assorbimento di specifici compiti delle aziende hanno riguardato anche funzioni assistenziali, come quelle relative all’emergenza, che in alcuni casi sono state organizzate a livello regionale come nel caso della Sardegna in cui la legge regionale n. 23 del 17 novembre 2014, ha istituito l’Azienda Regionale dell’Emergenza e Urgenza della Sardegna (AREUS) o della Lombardia con l’ Agenzia Regionale Emergenza Urgenza (AREU), disciplinata ai sensi dell’articolo 16, della legge regionale n. 33 del 30 dicembre 2009.

In questo panorama si inserisce il modello delle aziende sanitarie regionali “strumentali”, ovvero enti regionali costituiti per svolgere funzioni che vengono sottratte alle aziende territoriali di erogazione dei servizi sanitari, al fine di unificarle in un’unica realtà organizzativa.

La differenza rispetto alle soluzioni appena viste è sia strutturale, si tratta cioè di aziende sanitarie che hanno la medesima forma giuridica di quelle territoriali, pur non svolgendo compiti assistenziali, sia funzionale, dal momento che tendenzialmente risultano affidate ad esse tutte le attività strumentali, dagli acquisti, ai concorsi per l’assunzione, alla gestione del parco tecnologico, fino ai servizi tecnici e alla formazione.

La prima Regione a sperimentare questo modello è stata la Liguria che con legge regionale n. 17 del 29 luglio 2016 ha realizzato l’Azienda Ligure Sanitaria A.Li.Sa., subito seguita dal Veneto con l’istituzione con legge regionale n. 19 del 25 ottobre 2016, dell’Azienda Zero. Si tratta, come anticipato, di enti regionali che hanno la stessa struttura delle aziende sanitarie e che risultano quindi sottoposti al medesimo regime e hanno gli stessi organi. A differenziarle però dalle aziende territoriali sono le funzioni, che non riguardano committenza e erogazione, ma lo svolgimento unificato a livello regionale delle attività strumentali e di alcune attività originariamente attribuite alla direzione regionale della salute. Nel corso degli ultimissimi anni a seguire la stessa strada sono state, oltre al Piemonte di cui si dirà poi, la Sardegna, che ha istituito l’Azienda Regionale della Salute A.Re.S., con legge regionale n. 24 dell’11 settembre 2020, il Lazio che con la legge regionale n. 17 del 30 novembre 2021, ha dato vita all’Azienda regionale sanitaria Lazio.0, e la Calabria che ha fondato la propria Azienda Zero con la legge regionale n. 32 del 15 dicembre 2021.

5. L’Azienda Zero in Piemonte

Anche il Piemonte ha di recente istituito la propria Azienda Zero con legge regionale n. 26 del 26 ottobre 2021. La scelta di questa forma di coordinamento forte è l’esito di un processo che, sin dalla riorganizzazione del servizio sanitario regionale con la legge n. 18 del 6 agosto del 2007, ha visto sperimentare varie forme di relazione fra le aziende sanitarie territoriali. Nel 2012 con legge n. 3 del 28 marzo, il Piemonte istituiva le Federazioni Sovrazonali, società consortili di diritto privato con funzioni di coordinamento e integrazione funzionale dei servizi delle aziende. Dopo pochi mesi, con la legge regionale n. 20 del 13 novembre del 2013, la neonata esperienza delle Federazioni lasciava però spazio ad una forma di coordinamento più leggera, le Aree interaziendali di coordinamento, una soluzione che non presuppone la costituzione né di nuovi soggetti giuridici, né di strutture intermedie rispetto alle aziende sanitarie, ma che intendeva soltanto stimolare un coordinamento operativo fra di esse, anche grazie alla possibilità di individuare una azienda capofila per svolgere compiti di interesse anche delle altre.

Nel 2021 la Regione sceglie di introdurre anche nel proprio territorio una Azienda Zero.

Le ragioni con le quali si è sostenuta tale scelta sono, analogamente a quanto dichiarato dagli altri governi regionali che hanno sposato questa soluzione, quelle di una razionalizzazione organizzativa e di un risparmio economico, che deriverebbe dall’accentramento di alcune funzioni. Sullo sfondo c’è anche l’esigenza di rafforzare, attraverso questo strumento, la capacità della Regione di governare la propria sanità.

L’Azienda Zero piemontese come le altre aziende regionali di questo tipo ha la medesima struttura e organizzazione delle aziende sanitarie territoriali. Nonostante la funzione in parte differente, deve quindi rispettare i principi per esse previsti dalla disciplina nazionale. Un esempio significativo delle conseguenze di tutto ciò riguarda la nomina del vertice aziendale. La decisione inizialmente contenuta nella legge della Regione di regolarla non diversamente da quanto previsto per gli altri enti regionali, si è scontrata con i rilievi del Governo sul mancato rispetto della disciplina nazionale prevista per la nomina dei direttori generali delle aziende sanitarie e ospedaliere. È stata così introdotta una modifica[15] alla nuova versione dell’articolo 23 della legge regionale 6 agosto 2007, n. 18, con il rinvio alla disciplina statale[16] che prevede un doppio livello di selezione: uno nazionale, finalizzato alla costituzione di un primo elenco di candidati, e uno regionale, che esita nella costituzione di un’ulteriore rosa, nell’ambito della quale il governo della Regione effettuerà la scelta.

Al netto del fatto che si tratta di una modalità di selezione che interpreta con particolare forza il principio di imparzialità, e che in questo senso è comunque da salutarsi con favore, occorre però considerare come la limitazione dell’autonomia regionale che discende dall’imposizione di una regolazione molto dettagliata come quella in oggetto, è giustificata per le aziende sanitarie in considerazione de “l’incidenza che la disciplina di tali incarichi ha sulle prestazioni sanitarie rese agli utenti”[17]. Ora, non c’è dubbio che nel caso dell’Azienda Zero, che non effettua diretta erogazione dei servizi ai singoli utenti, questa “incidenza” sia molto più rarefatta. Al tempo stesso, la scelta di inquadrare tale soggetto fra le aziende sanitarie produce l’effetto di doversi adeguare ad un modello definito dalla legge nazionale, con un possibile aggravio strutturale che deriva dall’impiegare uno strumento, immaginato anche per l’erogazione di prestazioni sanitarie ai singoli, per fare essenzialmente altro. Si pensi, ad esempio, alla necessità di individuare anche un direttore sanitario e uno amministrativo, o al necessario impiego dell’organizzazione dipartimentale nella gestione operativa. Si tratta di vincoli che potrebbero non rispondere adeguatamente alle funzioni dell’Azienda Zero, ma che ad essa si applicano in quanto qualificata come azienda sanitaria.

In questo la scelta piemontese non si differenzia da quelle delle altre Regioni che hanno istituito questo tipo di ente. Probabilmente a suggerire l’inquadramento come azienda sanitaria vi è anche l’esigenza poter attingere al fondo sanitario per finanziare l’organizzazione e il personale dell’ente. Questo aspetto potrebbe rappresentare una criticità, laddove i compiti assegnati all’Azienda Zero non fossero tutti strettamente strumentali alle aziende sanitarie in senso stretto, ma anche di supporto all’amministrazione regionale.

6. Le funzioni dell’Azienda Zero piemontese

A leggere l’elenco di funzioni attribuite all’Azienda Zero del Piemonte si individuano diverse tipologie di attività.

Alcune sono analoghe a quelle assegnate dalle altre Regioni. Si tratta in particolare di quelle che hanno dato origine al modello azienda zero, con l’intento di riunire in un’unica struttura compiti strumentali comuni alle aziende sanitarie, come il coordinamento, supporto, monitoraggio e controllo della rete logistica distributiva; la gestione e lo sviluppo del sistema informativo di telemedicina, nonché di progetti ICT o la gestione e organizzazione dei centri di prenotazione. Rispetto alle funzioni strettamente strumentali alle aziende sanitarie attribuite da altre Regioni, si segnala la mancanza nell’Azienda Zero piemontese delle funzioni e responsabilità della Gestione Sanitaria Accentrata (GSA) previste dal decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, che rappresentano una parte fondamentale dei compiti attribuiti all’Azienda Zero veneta e che ritroviamo anche fra i compiti dell’Azienda Lazio.0, nonché di A.Li.Sa in Liguria e dell’Azienda Zero calabrese. Altra funzione non presente in Piemonte è quella relativa alla selezione del personale del Servizio sanitario regionale, inclusa fra i compiti dell’Azienda regionale della salute (ARES) della Sardegna, dell’Azienda Zero veneta e di quella del Lazio.

Fra i compiti strumentali attribuiti all’Azienda Zero del Piemonte, una menzione a parte merita la funzione relativa alla definizione ed eventuale attuazione dei piani di acquisto annuali e pluriennali di beni e servizi, secondo i bisogni delle aziende sanitarie regionali. Si tratta di un compito presente in molte altre simili soluzioni regionali, ma che, nel caso del Piemonte, andrà attentamente coordinato con le funzioni di centrale di committenza regionale attribuite alla Società di Committenza Regione Piemonte S.p.a. sin dal 2007[18], onde evitare confusioni e sovrapposizioni.

Sempre con riferimento alle funzioni comuni alle aziende sanitarie, una particolare attribuita all’Azienda Zero piemontese, e che non ha analoghi esempi nelle altre realtà regionali, è quella relativa al coordinamento in materia di medicina territoriale, con particolare riferimento ai percorsi di presa in carico e gestione dei pazienti fragili-cronici e di continuità ospedale-territorio, nonché delle attività relative all’assistenza primaria. La specificità qui riguarda la natura non strumentale della funzione: ci troviamo, infatti, di fronte ad un compito che, per quanto riferito al coordinamento e non all’esercizio diretto dell’attività, riguarda però il modo in cui una prestazione sanitaria fondamentale varrà erogata sul territorio regionale. Tale funzione si presenta delicata da due punti di vista. Il primo riguarda proprio la stretta inerenza all’erogazione, che rende difficile qualificarla come intermedia o meramente strumentale, la seconda concerne invece l’opportunità di prevedere una sede unificante ed esterna alle aziende sanitarie territoriali per una funzione che richiede invece uno stretto rapporto con i territori, una attenta rilevazione delle loro specificità e una relazione profonda anche con le autonomie locali. Da entrambi i punti di vista si tratta di un compito il cui esercizio da parte di Azienda Zero andrà attentamente monitorato, per evitare che un coordinamento accentrato diventi un modo per uniformare ciò che deve restare flessibilmente adattabile alle differenti esigenze espresse dai territori e per marginalizzare gli enti locali.

Una diversa tipologia di funzioni attribuite ad Azienda Zero riguarda alcuni compiti che si collocano a cavallo fra il coordinamento fra le aziende sanitarie e il supporto alla Regione nell’esercizio delle sue funzioni di indirizzo in sanità. Si tratta di attività quali: il coordinamento regionale per l’innovazione e la ricerca in medicina e in sanità; il coordinamento delle attività relative ai progetti e finanziamenti europei in ambito sanitario e socio sanitario; il supporto tecnico in materia di rischio clinico-sanitario e di definizione dei modelli di copertura del rischio e di gestione del contenzioso; il supporto tecnico per la valutazione delle tecnologie sanitarie e il monitoraggio della spesa farmaceutica e dei tempi di erogazione delle prestazioni sanitarie.

A queste funzioni si aggiungono, infine, compiti che, invece, sono certamente di carattere regionale e non direttamente alle aziende, come quelli relativi al supporto alla Giunta per l’analisi, monitoraggio e studio tendenziale dell’andamento degli aggregati di costo e di ricavo delle aziende sanitarie regionali o al supporto tecnico all’Assessorato alla sanità per la definizione e stipula degli accordi con i soggetti erogatori pubblici e privati accreditati. Sempre di carattere regionale e collegato all’indirizzo è il ruolo che la legge piemontese riconosce all’Azienda Zero, nel prevedere che la Giunta debba procedere di concerto con essa alla individuazione degli ulteriori servizi amministrativi, logistici, tecnico-economali e di supporto o attività sanitarie da espletare a livello di aree interaziendali di coordinamento.

Rispetto a quest’ultima tipologia di funzioni, e in parte anche alla precedente, l’Azienda Zero piemontese si differenzia da alcune simili aziende di altre Regioni, le cui funzioni appaiono, invece, più nettamente definite come esclusivamente strumentali-intermedie delle aziende sanitarie, come nel caso di Azienda Lazio.0 o dell’ARES sarda. Si inquadra invece nel filone sperimentato dal Veneto, la cui Azienda Zero ha funzioni di supporto tecnico alla Giunta regionale in importanti compiti di indirizzo, quali, ad esempio, la definizione degli obiettivi dei direttori generali delle aziende sanitarie territoriali e ospedaliere, e dell’A.Li.Sa ligure. In parte anche il caso calabrese si avvicina a questo modello, laddove prevede che l’Azienda Zero regionale fornisca supporto alla Giunta o al Commissario ad acta per l’attuazione del Piano di rientro dal disavanzo del Servizio sanitario della Regione.

7. L’Azienda Zero fra indirizzo e gestione

Le scelte regionali che sposano l’approccio di unificazione nell’Azienda Zero di compiti strumentali alle aziende del servizio sanitario regionale e di compiti di supporto all’indirizzo politico, ivi compresa quindi la soluzione piemontese, pongono una serie di problemi con riferimento all’inquadramento di tale formula organizzativa nel panorama del sistema sanitario regionale e, più in generale, delle amministrazioni pubbliche.

Come sopra considerato, infatti, il modello dell’azienda sanitaria, a cui si rifanno le aziende zero, è stato immaginato dal legislatore nazionale per distinguere con particolare nettezza fra l’indirizzo politico, riservato al governo regionale, e la diretta gestione dei servizi di erogazione di prestazioni sanitarie, rimessi alle aziende. Di qui, fra l’altro, la particolare autonomia riconosciuta a queste ultime e gli importanti compiti propri del vertice aziendale.

Ora, non v’è dubbio che, nel momento in cui fra le funzioni dell’azienda (zero) ne vengono inserite alcune direttamente strumentali all’indirizzo politico, l’equilibrio si rompa, rendendo alcune delle regole pensate per le aziende sanitarie di erogazione inadeguate ed altre, forse, ultronee. Ma, al di là di questo, è la commistione della doppia strumentalità: alle aziende di gestione e al governo regionale di indirizzo a destare perplessità. Il pericolo, infatti, è che attraverso questa organizzazione intermedia fra gli enti di indirizzo e gestione, anche le funzioni finiscano per confondersi, allentando le garanzie che oramai sono indiscutibilmente collegate alla distinzione, da intendersi, come la stesa Corte costituzionale non ha mancato di ribadire in molte sentenze, come regola organizzativa di attuazione combinata dei principi di imparzialità e buon andamento[19]. In questo senso, il richiamo fatto dalla nuova versione dell’articolo 23 della legge regionale Piemonte n. 18 del 2007 all’“efficienza organizzativa”, che giustificherebbe l’adozione della formula dell’Azienda Zero, è significativamente carente del richiamo all’altro principio costituzionale, quello di “imparzialità”.

La “confusione” fra indirizzo e gestione che si realizza nell’Azienda Zero piemontese rende anche complesso inquadrare il rapporto fra Azienda e Regione. Ad esercitare le funzioni di indirizzo, vigilanza e controllo, diversamente da quanto accade per le aziende sanitarie in senso stretto, non è la Giunta nel suo complesso, ma l’assessorato regionale alla sanità. A questo spettano peraltro poteri piuttosto penetranti, come, ad esempio, l’approvazione del piano annuale di attività dell’Azienda. Si tratta di compiti che si giustificano in relazione allo svolgimento delle attività strumentali all’indirizzo, ma che appaiono meno coerenti con la necessaria distinzione che dovrebbe presiedere il rapporto con la politica nello svolgimento delle attività strumentali alle aziende sanitarie di erogazione. Preferibile sarebbe stata allora la soluzione organizzativa adottata dal Veneto, che, avendo attribuito come il Piemonte all’Azienda compiti di supporto sia all’indirizzo, sia alla gestione, ha valorizzato il ruolo del Direttore dell’Area sanità e sociale dell’amministrazione regionale, invece che dell’Assessore, per lo svolgimento di funzioni di collaborazione con la Giunta per l’indirizzo e di coordinamento delle attività dell’Azienda Zero.

Da ultimo, non si può non segnalare come il vulnus al principio di distinzione che può discendere dalla commistione nell’Azienda Zero di compiti strumentali sia all’indirizzo, sia alla gestione, appaia ancor più preoccupante laddove si consideri come ulteriori funzioni, oltre quelle già attribuite dalla legge regionale, possano essere conferite all’Azienda con semplice deliberazione del Consiglio regionale.

  1. Professoressa ordinaria di diritto amministrativo presso l’Università degli Studi di Perugia.
  2. Legge regionale Piemonte n. 26 del 26 ottobre 2021, “Azienda Zero. Sostituzione dell’articolo 23 della legge regionale 6 agosto 2007, n. 18 (Norme per la programmazione socio-sanitaria e il riassetto del servizio sanitario regionale)”.
  3. Operata con d.lgs. 502 del 1992, integrato successivamente da altri interventi e, in particolare, dal d.lgs. 229 del 1999. Per una ricostruzione dell’impatto di tale riforma sul sistema sanitario italiano si rinvia a A. Pioggia, M. Dugato, G. Racca, S. Civitarese Matteucci (a cura di), Oltre l’aziendalizzazione del servizio sanitario. Un primo bilancio, Roma, Franco Angeli, 2007. In tema anche R. Balduzzi, G. Di Gaspare (a cura di), L’aziendalizzazione nel d.lgs. 229/1999, Milano, Giuffrè, 2001.
  4. R. Ferrara, L’ordinamento della Sanità, Torino, Giappichelli, 2007.
  5. Su cui ampiamente E. Menichetti, L’aziendalizzazione dell’organiz­zazione del Servizio sanitario nazionale: l’azienda USL nelle attuazioni regionali, in A. Pioggia, M. Dugato, G. Racca, S. Civitarese Matteucci (a cura di), Oltre l’azienda­lizzazione del servizio sanitario. Un primo bilancio, cit., 23.
  6. Sul principio di distinzione, ampiamente F. Merloni, Amministrazione «neutrale» e amministrazione imparziale (A proposito dei rapporti tra «politica» e «amministrazione»), in Diritto pubblico, 1997, 319.
  7. Ampiamente su questi aspetti E. Carloni, Lo Stato differenziato. Contributo allo studio dei principi di uniformità e differenziazione, Torino, Giappichelli, 2004, passim, spec. 319 ss.; con specifico riferimento all’organizzazione sanitaria, E. Catelani, G.C. Feroni, M.C. Grisolia, Diritto alla salute tra uniformità e differenziazione. Modelli di organizzazione sanitaria a confronto, Torino, Giappichelli, 2011; B. Ponti, L’atto aziendale e i vincoli regionali all’autonomia imprenditoriale delle ASL/AO: la differenziazione organizzativa come test di processo di aziendalizzazione, in A. Pioggia, M. Dugato, G. Racca, S. Civitarese Matteucci (a cura di), Oltre l’azienda­lizzazione del servizio sanitario. Un primo bilancio, cit., 48.
  8. Su cui si veda C. Bottari, Profili innovativi del sistema sanitario, Torino, Giappichelli, 2018, 74.
  9. R. Balduzzi, G. Di Gaspare (a cura di), Sanità e assistenza dopo la riforma del Titolo V, Milano, Giuffrè, 2002.
  10. C. Tubertini, Diritto alla salute, organizzazione e risorse finanziarie. Lo stato attuale della questione, in Diritto amministrativo e società civile, Volume I, Studi introduttivi, Bologna, Bup, 2018, 546 ss..
  11. Negli ultimi 20 anni il numero delle ASL si è quasi dimezzato, con una variazione nella popolazione media per AUSL dai 290 mila residenti nel 1995 agli oltre 500 mila del 2016 (Ministero della salute, OpenData). Per una più approfondita analisi, sia consentito rinviare a A. Pioggia, Razionalizzazione organizzativa in sanità: quali modelli, in L. Vandelli, F. Foglietta, C. Bottari, Welfare e servizio sanitario: quali strategie per superare la crisi, Rimini, Maggioli, 2013, 61; Id., Il diritto alla salute alla prova della differenziazione: autonomie, organizzazione e dis-e­gua­glianza, in Istituzioni del federalismo, 2020, 37.
  12. Si tratta delle aree vaste a dimensione provinciale disciplinate dalla legge regionale Marche n. 17 del 1 agosto 2011.
  13. Dalla direttiva alle Aziende Sanitarie n. 927 del 27 giugno 2011.
  14. G.M. Racca, Central Purchasing Bodies in Italy: Reluctance and Challenges, in C. Risvig Hamer, M. Comba, Centralising Public Procurement. The Approach of EU Member States, European Procurement Law series, Elgar Publishing, Londra, 2021, 220; Id., Gli accordi fra amministrazioni pubbliche: cooperazioni nazionali ed europee per l’integrazione organizzativa e l’efficienza funzionale, in Dir. amm., 1/2017, 101; S. Ponzio, I modelli organizzativi di mutualisation degli acquisti nel settore sanitario e ospedaliero in Francia per la modernizzazione e professionalizzazione della fonction achat, in A. Pioggia, M. Dugato, G. Racca, S. Civitarese Matteucci (a cura di), Oltre l’aziendalizzazione del servizio sanitario. Un primo bilancio, cit., 247.
  15. Legge regionale n. 2 del 25 marzo 2022.
  16. Articoli 1 e 2 del d.lgs. 171 del 2016.
  17. Corte cost. sent. n. 29 del 2021. Già nella sentenza n. 207 del 2010 la Corte aveva precisato come “in questa materia, la legislazione dello Stato deve esprimersi attraverso norme di principio, sicché sono censurabili le norme statali che non lasciano alcuno spazio di intervento alla Regione non solo per un’ipotetica legiferazione ulteriore, ma persino per una normazione secondaria di mera esecuzione”. Negli stessi termini anche Crto cost., sent. n. 192 del 2017.
  18. Ai sensi della legge regionale 6 agosto 2007, n. 19, Costituzione della società per azioni denominata Società di Committenza Regione Piemonte S.p.A. “S.C.R. – Piemonte”. Soppressione dell’agenzia regionale delle strade del Piemonte “ARES – Piemonte”.
  19. Sul punto Corte cost., n. 81 del 2013, ma anche le sentenze, n. 161 del 2008 e n. 304 del 2010. Nella stessa prospettiva le sentenze n. 390 del 2008, n. 103 del 2007 e n. 104 del 2007.