Il “nuovo” accesso civico introdotto dalla riforma Madia e i modelli di riferimento.

Anna Maria Porporato[1]

 

Sommario: 1. Le quattro tappe del cammino normativo della trasparenza. 2. La quinta tappa del cammino normativo della trasparenza: la riforma Madia e lo schema di decreto attuativo. Le novità del decreto attuativo. 3. I modelli di riferimento della riforma Madia e del decreto attuativo. 4. Alcuni rilievi critici.

 

1. Le quattro tappe del cammino normativo della trasparenza.

Nel percorso normativo della trasparenza è possibile individuare diverse tappe evolutive [2], ciascuna delle quali caratterizzata dal diverso rapporto tra la trasparenza e la forma di realizzazione della medesima, accesso o pubblicità di dati, documenti ed informazioni [3].

La prima tappa è rappresentata dalla approvazione della legge 7 agosto 1990, n. 241, la quale sceglie quale mezzo per realizzare la trasparenza il diritto di accesso ai documenti amministrativi. Tale diritto si caratterizza come strumento di tutela individuale di situazioni soggettive e non come strumento di controllo sociale dell’operato della pubblica amministrazione [4]. La seconda tappa del cammino della trasparenza coincide con le modifiche alla legge 241 del 1990 apportate dalla legge 11 febbraio 2005, n. 15, la quale modifica in senso restrittivo la disposizione dell’art. 22, comma 1, della legge 241 del 1990. In base alla novellata disposizione sono considerati “interessati” «tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento del quale è chiesto l’accesso».

L’approvazione della legge 4 marzo 2009, n. 15 segna l’inizio della terza tappa del cammino normativo della trasparenza. Con tale legge il Parlamento aveva delegato il Governo ad adottare misure di riforma del lavoro pubblico, indicando, tra l’altro, quali obiettivi da raggiungere, la garanzia della trasparenza dell’organizzazione del lavoro e l’introduzione di sistemi di valutazione del personale e delle strutture, idonei a consentire anche agli organi politici di vertice l’accesso diretto alle informazioni relative alla valutazione del personale dipendente. Il Governo con il d.lgs. 27 ottobre 2009, n. 150 (c.d. “riforma Brunetta”) ha dato attuazione alla delega legislativa, scegliendo la trasparenza quale strumento per valutare e misurare la performance ed i risultati dell’amministrazione, realizzando «forme diffuse di controllo del rispetto dei principi di buon andamento ed imparzialità» (art. 11, comma 1, del d.lgs. 150 del 2009). Con il decreto Brunetta mutano sia l’oggetto della trasparenza che gli strumenti necessari alla sua realizzazione. Oggetto della trasparenza non sono più il procedimento, il provvedimento ed i documenti amministrativi, ma le “informazioni” relative all’organizzazione, alla gestione e all’utilizzo delle risorse finanziarie, strumentali ed umane. Con riguardo alle modalità di accesso alle informazioni, non si fa ricorso al diritto d’accesso ma alla previsione di obblighi di pubblicazione nei siti istituzionali delle pubbliche amministrazioni di tutte le informazioni concernenti l’attività, l’organizzazione e l’impiego delle risorse [5]. Il mutamento della finalità della trasparenza che, da mezzo per garantire la tutela delle situazioni giuridiche soggettive, diviene strumento per consentire l’esercizio di un controllo diffuso dell’operato dell’amministrazione pubblica, spiega il mutamento sia dell’oggetto della trasparenza che degli strumenti per la sua realizzazione: non più i documenti ma le informazioni, non più l’accesso ma la pubblicazione delle informazioni. La quarta tappa dell’evoluzione normativa della trasparenza si compie con l’attuazione, ad opera della legge 6 novembre 2012, n. 190 che reca “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione”, dell’art. 6 della Convenzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite contro la corruzione [6] e con la contestuale e coerente attuazione nel nostro paese di politiche pubbliche di controllo e di prevenzione della corruzione. Tali politiche fanno ricorso, in larga misura, a forme di pubblicità delle informazioni riguardanti l’attività amministrativa in generale ed alcuni settori specifici della stessa in particolare.

La legge 190 del 2012 ha previsto all’art. 1, commi 35 e 36 una delega legislativa per il riordino degli obblighi di pubblicità, di trasparenza, di diffusione delle informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni. In attuazione di tale delega è stato emanato dal Governo il d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33. Tale decreto, proprio attraverso una serie ampia di obblighi di pubblicità, mira a realizzare forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche (art. 1 del d.lgs. 33 del 2013).

L’art. 3, comma 1, del d.lgs. 33 del 2013 stabilisce che «tutti i documenti, le informazioni e i dati oggetto di pubblicazione obbligatoria ai sensi della normativa vigente sono pubblici» e l’art. 7, comma 1, del medesimo decreto precisa che «chiunque ha diritto di conoscerli, di fruirne gratuitamente e di utilizzarli e riutilizzarli» ai sensi della disciplina vigente. La trasparenza viene realizzata attraverso la pubblicità con l’abbandono dello strumento dell’accesso e diviene strumento cardine per la realizzazione dell’open government [7]. Accanto ad una forma di pubblicità obbligatoria (art. 3 del d.lgs. 33 del 2013), il Codice della trasparenza ha previsto una forma di pubblicità facoltativa. In tal senso, l’art. 4 del citato Codice prevede che le amministrazioni possano disporre la pubblicazione di documenti, atti o informazioni che non hanno l’obbligo di pubblicare. Non può, quindi, realizzarsi una trasparenza come accessibilità totale oltre l’ambito dell’obbligo di pubblicazione: oltre tale ambito, infatti, (e fatti salvi i casi di pubblicazione facoltativamete disposta) vige soltanto la possibilità di accesso consentita dalla legge 241 del 1990.

E’ stato osservato che il sistema del d.lgs. 33 del 2013 ha previsto la coesistenza di due diverse nozioni di trasparenza presidiate da due differenti regimi giuridici: una trasparenza come pubblicità relativa alle informazioni, per le quali è previsto un obbligo di pubblicazione ed una trasparenza come accessibilità ex lege 241 del 1990 per gli atti amministrativi (e non le informazioni) non soggetti ad obblighi di pubblicità, per i quali continua ad operare la Commissione per l’accesso (art. 4, comma 7, del d.lgs. 33 del 2013)[8]. Alla disciplina contenuta nel d.lgs. 33 del 2013 vanno riconosciuti due meriti. Il primo merito è quello di aver realizzato un riordino delle disposizioni in tema di obblighi di pubblicazione (un centinaio di disposizioni disperse in oltre venti atti normativi) ed il secondo merito è quello di aver introdotto una più organica disciplina dei meccanismi di enforcement, in particolare attraverso la previsione del meccanismo dell’accesso civico, previsto come “pungolo” al corretto adempimento degli obblighi di pubblicazione da parte delle amministrazioni [9].

 

2. La quinta tappa del cammino normativo della trasparenza: la Riforma Madia e lo schema di decreto attuativo. Le novità del decreto attuativo.

Nel cammino della trasparenza amministrativa hanno segnato l’inizio della quinta tappa l’approvazione dell’art. 7 (in particolare della lettera h) della legge 7 agosto 2015, n. 124 (cd. legge Madia) – contenente deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche – e l’approvazione del conseguente schema di decreto legislativo in materia, il quale reca la data dell’11 Febbraio 2016 [10]. Con tale schema di decreto il Governo ha inteso dare attuazione nello specifico, come anticipato, alla previsione della lettera h) dell’art. 7 della legge Madia che fissa, tra i principi e criteri da realizzare, «fermi restando gli obblighi di pubblicazione, «il riconoscimento della libertà di informazione attraverso il diritto di accesso, anche per via telematica, di chiunque, indipendentemente dalla titolarità di situazioni giuridicamente rilevanti, ai dati e ai documenti detenuti dalle Pubbliche Amministrazioni, salvi i casi di segreto o di divieto di divulgazione previsti dall’ordinamento e nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi pubblici e privati, al fine di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche”[11]» [12].

L’art. 2 dello schema di decreto attuativo modifica il comma 1 dell’art. 1 del d.lgs. 33 del 2013 e, dopo aver ribadito quanto già affermato dal d.lgs. 33 del 2013 e cioè che la finalità della trasparenza (da intendersi con la riforma come accessibilità totale) è quella di «favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche», aggiunge (ed è questa la significativa modifica apportata dallo schema di decreto) che la finalità della trasparenza è anche quella di «tutelare i diritti fondamentali». In tal senso, il legislatore della riforma ha voluto precisare che la trasparenza – che il comma 2 dell’art 1, rimasto immutato nella sua formulazione, definisce «condizione di garanzia delle libertà individuali e collettive, nonché dei diritti civili, politici e sociali, (che) integra il diritto ad una buona amministrazione e concorre alla realizzazione di una amministrazione aperta, al servizio del cittadino», cioè condizione di garanzia di quei “diritti fondamentali” richiamati nel nuovo comma 1 dell’art. 1 – dovrà tradursi in accessibilità totale. Anche l’art. 2 del d.lgs. 33 del 2013 viene modificato dal decreto attuativo. Il comma 1 di tale articolo nella formulazione precedente la proposta di riforma precisa che «le disposizioni del decreto individuano gli obblighi di trasparenza concernenti l’organizzazione e l’attività delle Pubbliche Amministrazioni e le modalità per la sua realizzazione»; il comma 2 indica, poi, che gli obblighi di trasparenza devono essere adempiuti tramite la pubblicazione nei siti istituzionali delle pubbliche amministrazioni dei documenti, delle informazioni e dei dati concernenti l’organizzazione e l’attività della pubblica amministrazione. Il novellato comma 1 dell’art. 2 del d.lgs. 33 del 2013 stabilisce che «le disposizioni del presente decreto disciplinano la libertà di accesso di chiunque ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni e dagli altri soggetti di cui all’articolo 2-bis, garantita, nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi pubblici e privati giuridicamente rilevanti, tramite l’accesso civico e tramite la pubblicazione di documenti, informazioni e dati concernenti l’organizzazione e l’attività delle pubbliche amministrazioni e le modalità per la loro realizzazione». Con la proposta di riforma  il legislatore ha inteso rovesciare quel rapporto tra mezzo (obbligo di pubblicazione) e fine (diritto di accedere ai dati e ai documenti) che nel d.lgs. 33 del 2013 risulta invertito rispetto a quello che caratterizza la maggior parte dei modelli di accesso alle informazioni adottati a livello europeo ed internazionale ed aderenti al modello FOIA [13]. Nella disciplina di cui al d.lgs. 33 del 2013, infatti, l’esercizio del diritto di accesso è stato previsto come strumentale all’adempimento dell’obbligo di pubblicazione, mentre nei sistemi liberali che si sono ispirati al FOIA [14] il fine è rappresentato dalla libertà di accedere alle informazioni; e tale fine si persegue e si realizza soprattutto facendo ricorso al mezzo della pubblicazione delle informazioni, dei dati e dei documenti delle pubbliche amministrazioni [15]. Inoltre, ancora il novellato comma 1 dell’art. 2 sembrerebbe stabilire una gerarchia tra gli strumenti idonei ad assicurare la libertà di accesso ai dati e ai documenti in possesso della pubblica amministrazione sancendo che «le disposizioni del presente decreto disciplinano la libertà di accesso di chiunque ai dati e ai documenti (…) tramite l’accesso civico e tramite la pubblicazione di documenti, informazioni e dati concernenti l’organizzazione e l’attività delle pubbliche amministrazioni e le modalità per la loro realizzazione». In coerenza con la novellata disposizione del comma 1 dell’art 2 del d.lgs. 33 del 2013, l’art. 6 dello schema di decreto attuativo modifica l’art. 5 del d.lgs. 33 del 2013, introducendo un nuovo comma 2 nel quale si stabilisce che «allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico, chiunque ha diritto di accedere ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione ai sensi del presente decreto, nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi pubblici e privati giuridicamente rilevanti» [16]. L’accesso civico delineato dalla riforma si traduce in un diritto di accesso non condizionato dalla titolarità di situazioni giuridicamente rilevanti ed avente ad oggetto tutti i dati e i documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, compresi i dati e i documenti per i quali non è stabilito un obbligo di pubblicazione [17]. Il Consiglio di Stato, di fronte alla nuova ed ampia forma di acceso civico introdotta dalla riforma, esprime perplessità in merito alla scelta del legislatore di conservare nel novellato art. 5 la disposizione del comma 1 che ha introdotto l’accesso civico “classico” esercitabile nei confronti dei documenti da pubblicare. Secondo il Consiglio di Stato l’accesso civico “classico” dovrebbe considerarsi «del tutto assorbito dal più ampio accesso di cui al comma 2» e potrebbe essere espunto [18]. Suscita alcune perplessità la mancanza di coerenza del legislatore. Mentre, infatti, nelle disposizioni di cui all’art. 2, nuovo comma 1 e all’art. 5, nuovo comma 2, che introducono la nuova forma di accesso civico “desoggettivata” [19], si fa riferimento, quanto all’oggetto dell’accesso, ai dati e ai documenti, nei commi 3, 5 e 8 del novellato art. 5 compare anche l’espressione informazioni [20].

L’art. 6, comma 2, dello schema di decreto introduce il nuovo art. 5-bis nel testo del d.lgs. 33 del 2013, prevedendo le ipotesi di esclusione del nuovo accesso civico. Si tratta dei casi in cui il rifiuto della richiesta di accesso si renda necessario per evitare un pregiudizio alla tutela di interessi pubblici inerenti alla sicurezza pubblica, alla sicurezza nazionale, alla difesa e alle questioni militari, alle relazioni internazionali, alla politica e alla stabilità finanziaria ed economica dello Stato, alla conduzione di indagini sui reati e al loro perseguimento, al regolare svolgimento di attività ispettive. Ai sensi del comma 2 dell’art. 5-bis, la nuova forma dell’accesso civico deve essere esclusa anche quando «il diniego è necessario per evitare un pregiudizio alla tutela di uno dei seguenti interessi privati: a) la protezione dei dati personali, in conformità con la disciplina legislativa in materia; b) la libertà e la segretezza della corrispondenza; c) gli interessi economici e commerciali di una persona fisica o giuridica, ivi compresi la proprietà intellettuale, il diritto d’autore e i segreti commerciali». Il comma 3 nel nuovo art. 5-bis prevede l’esclusione del nuovo accesso civico nei casi di segreto di Stato e negli altri casi di divieto di accesso o divulgazione previsti dalla legge, «ivi compresi i casi in cui l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti, inclusi quelli di cui all’articolo 24, comma 1, della legge 241 del 1990» [21]. Il Consiglio di Stato ha espresso la preoccupazione che proprio l’ampiezza delle eccezioni previste dall’art. 5-bis all’esercizio dell’accesso civico possa indurre le amministrazioni pubbliche «ad utilizzare la propria discrezionalità nella maniera più ampia, al fine di estendere gli ambiti non aperti alla trasparenza», con il conseguente rischio che l’eventuale ulteriore previsione di eccezioni al nuovo accesso civico possa ragionevolmente aumentare le perplessità circa la concreta efficacia del decreto attuativo [22]. Il comma 5 dell’art. 5-bis prevede anche per la nuova forma di accesso civico – in analogia rispetto a quanto l’art. 9 del d.p.r. 12 aprile 2006, n. 184, Regolamento recante disciplina in materia di accesso ai documenti amministrativi, prevede per l’accesso “classico” – il ricorso al potere di differimento in luogo del diniego. E’ stata oggetto di critiche la duplice scelta del legislatore di prevedere, da un lato che il diniego all’esercizio del nuovo accesso civico non debba essere motivato [23] e, dall’altro, che l’inerzia della pubblica amministrazione a fronte dell’istanza di accesso concretizzi, ai sensi del nuovo art. 5, comma 5, un’ipotesi di silenzio-rigetto [24].

L’art. 3 dello schema di decreto introduce l’art. 2-bis rubricato “Ambito soggettivo di applicazione”, il quale comporta l’abrogazione dell’art. 11 del d.lgs. 33 del 2013. Ai sensi del comma 1 dell’art. 2-bis si precisa che ai fini del decreto si intendono per pubbliche amministrazioni tutte le amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, comprese le Autorità amministrative indipendenti di garanzia, vigilanza e regolazione. Al comma 2 dell’art. 2-bis si precisa che la disciplina di cui al comma 1 deve essere applicata, in quanto compatibile (inciso introdotto dal decreto attuativo), anche ad enti pubblici economici, autorità portuali e ordini professionali; alle società in controllo pubblico; alle associazioni, fondazioni, enti di diritto privato comunque denominati, anche privi di personalità giuridica, la cui attività sia finanziata in modo maggioritario da pubbliche amministrazioni o in cui la totalità o la maggioranza dei titolari dell’organo d’amministrazione o di indirizzo sia designata da pubbliche amministrazioni [25].

L’art. 4 dello schema di decreto attuativo modifica l’art. 3 del d.lgs. 33 del 2013, inserendo nel comma 1 le parole «di accesso civico e», con la conseguenza che «tutti i documenti, le informazioni e i dati oggetto di accesso civico e [26]pubblicazione obbligatoria ai sensi della normativa vigente» sono da considerare pubblici e che «chiunque ha diritto di conoscerli, di fruirne gratuitamente, e di utilizzarli e riutilizzarli». Il novellato art. 5, al comma 3 precisa che «il rilascio di dati o documenti in formato elettronico o cartaceo è subordinato soltanto al rimborso del costo sostenuto dall’amministrazione». In tal senso, il legislatore ha voluto conformarsi a quanto statuito dall’art. 25 della legge 241 del 1990 che stabilisce che «l’esame dei documenti è gratuito», e che «il rilascio di copia è subordinato soltanto al rimborso del costo di riproduzione, salve le disposizioni vigenti in materia di bollo, nonché i diritti di ricerca e di visura». Potrebbero sorgere delle difficoltà in ordine all’esigenza di contenere i costi, esigenza che si ricava dalla clausola di invarianza finanziaria contenuta nell’art. 44 dello schema di decreto, [27] dall’applicazione della previsione del novellato comma 4 dell’art. 5, ai sensi del quale «l’amministrazione cui è indirizzata la richiesta di accesso, se individua soggetti controinteressati, ai sensi dell’articolo 5-bis, comma 2, della legge, è tenuta a dare comunicazione agli stessi, mediante invio di copia con raccomandata con avviso di ricevimento, o per via telematica per coloro che abbiano consentito tale forma di comunicazione». I soggetti controinteressati potrebbero essere i soggetti interessati a: a) proteggere i propri dati personali, in conformità con la disciplina legislativa in materia; b) proteggere la libertà e segretezza della propria corrispondenza; c) proteggere gli interessi economici e commerciali (di una persona fisica o giuridica), ivi compresi la proprietà intellettuale, il diritto d’autore e i segreti commerciali. Potrebbe trattarsi, quindi, di una platea molto ampia e, di conseguenza, i costi per la pubblica amministrazione potrebbero essere significativi, ove l’amministrazione fosse costretta ad inviare ai controinteressati una raccomandata con avviso di ricevimento, non potendo provvedere con la comunicazione per via telematica, possibile solo nei confronti di coloro che “abbiano consentito tale forma di comunicazione” [28]. La Relazione illustrativa dello schema di decreto chiarisce che «i limiti applicabili alla nuova forma di accesso civico (di cui al nuovo articolo 5-bis del decreto legislativo 33 del 2013) sono più ampi e dettagliati rispetto a quelli indicati dall’articolo 24 della legge 241 del 1990, consentendo alle Amministrazioni di impedire l’accesso nei casi in cui questo possa compromettere alcuni rilevanti interessi pubblici generali». Di conseguenza, ove ricorrano le fattispecie di interessi, pubblici e privati, da tutelare, elencate nel nuovo art. 5-bis del d.lgs. 33 del 2013, sarà possibile accedere, solo se titolari di una situazione giuridica qualificata, ad atti e documenti per i quali è invece negato l’accesso civico. E’ stato osservato che, ove ricorrano tali ipotesi, la richiesta di accesso (ex art. 22 della legge 241 del 1990) dovrà essere tanto più adeguatamente motivata, quanto non si richiede alcuna motivazione per la richiesta di accesso civico [29]. Con riferimento agli obblighi di pubblicazione, lo schema di decreto attuativo riduce alcuni oneri imposti a carico delle pubbliche amministrazioni. Viene eliminato, ad esempio, l’obbligo previsto dall’attuale art. 20 al comma 3, articolo oggetto di abrogazione da parte del decreto, di pubblicare i dati relativi ai “livelli di benessere organizzativo” e vengono meglio precisati determinati obblighi di pubblicazione [30].

 

3. I modelli di riferimento della riforma Madia e del decreto attuativo.

Il modello FOIA (Freedom of information act), adottato nella gran parte delle democrazie liberali, ha senza dubbio rappresentato un paradigma per il legislatore della attuale riforma in materia di trasparenza ed accesso ai dati, ai documenti e alle informazioni detenute dalle pubbliche amministrazioni.

Nel modello FOIA il right to know persegue tre finalità: consentire un controllo diffuso sull’operato del Governo e delle amministrazioni, anche al fine di prevenire fenomeni di corruzione (accountability); garantire una partecipazione più consapevole da parte dei cittadini alle decisioni pubbliche (partecipation); rafforzare la legittimazione delle stesse amministrazioni che devono agire in assoluta trasparenza al servizio della collettività (legitimacy) [31]. In tale modello il right to know incontra l’unico limite dato dalla necessità del suo contemperamento con gli interessi pubblici (relazioni internazionali, difesa e affari militari, sicurezza e ordine pubblico, politica economica e finanziaria, conduzioni di indagini ed ispezioni, ecc.) e privati (tutela dei dati personali, degli interessi commerciali, dei segreti industriali o di altro tipo). La differenza tra il modello FOIA e la disciplina di cui al d.lgs. 33 del 2013 risiede nella circostanza che, oltre al limite che deriva dalla necessità di rispettare interessi pubblici e privati, sussiste una serie ulteriore di limiti al right to know che coincide con la somma di tutti gli ambiti relativi all’attività amministrativa non coperti da un obbligo di pubblicazione [32]. Tale differenza può considerarsi superata con l’introduzione della nuova forma di accesso civico aperta anche ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione (nuovo comma 2 dell’art. 5 del d.lgs. 33 del 2013). Nei sistemi FOIA la regola generale è la pubblicità, rispetto alla quale la riservatezza rappresenta un’eccezione; le amministrazioni e le corti devono interpretare tale eccezione in senso restrittivo. Per contro, nel sistema italiano, ed in particolare nella disciplina di cui al d.lgs. 33 del 2013, la pubblicità non è la regola generale ed opera solo nei limiti in cui è imposta dalla legge, cioè come una regola di diritto positivo [33]. Con la riforma Madia la pubblicità non diviene la regola generale ma, attraverso il riconoscimento dell’accessibilità anche ai dati e ai documenti non oggetto di obbligo di pubblicazione, si accorciano le distanze tra il modello introdotto nel nostro ordinamento e il modello FOIA. Dal punto di vista storico, l’area scandinava è stata considerata «la culla del diritto di accesso» [34] alle informazioni: discipline in materia di accesso sono state adottate dapprima in Finlandia nel 1951, poi in Danimarca e Norvegia nel 1970. Nel 1966 negli Stati Uniti è stato adottato il Freedom of Information Act che è divenuto il prototipo per altri paesi di cultura anglosassone (Australia, Canada, Nuova Zelanda). Nell’Europa continentale i primi paesi a disciplinare l’istituto dell’accesso mediante approvazione di nuove leggi sono state la Francia nel 1978, la Grecia nel 1986, l’Austria nel 1987 ed, infine, l’Italia nel 1990. Leggi modellate sul FOIA sono state adottate in Olanda, dapprima nel 1980 e poi nel 2005, in Spagna nel 1992, in Portogallo nel 1993, in Belgio nel 1994, in Irlanda nel 1997, nel Regno Unito nel 2000, in Svizzera nel 2004, in Germania nel 2005, in Russia nel 2009 e in molti paesi dell’Europa orientale [35]. Nell’Unione europea il diritto d’accesso ai documenti delle istituzioni europee è disciplinato dalle disposizioni dei Trattati (art. 255 del Trattato CE e ora art. 15 del TUE) e dalla Carta dei diritti fondamentali (art. 42) e le modalità e le condizioni di esercizio sono definite dal Regolamento n. 1049 del 2001. Il 18 giugno 2009 è stata aperta alla firma degli Stati membri e all’adesione degli Stati non membri e a qualsiasi organizzazione internazionale la Convenzione sull’accesso ai documenti ufficiali [36].

Si ritiene possa aver rappresentato un modello per la legge di riforma Madia ed il conseguente decreto attuativo [37] la disciplina sulla trasparenza e l’accesso alle informazioni dettata in materia ambientale. L’art. 14 della legge istitutiva del Ministero dell’ambiente, la legge 8 luglio 1986, n. 349, aveva previsto il diritto di «qualsiasi cittadino» ad accedere «alle informazioni sullo stato dell’ambiente disponibili, in conformità delle leggi vigenti, presso gli uffici della pubblica amministrazione» e di ottenere copia, previo rimborso, delle spese di riproduzione. Si trattava, quindi, del riconoscimento del diritto di accesso non condizionato alla dimostrazione della titolarità di uno specifico e personale interesse ed avente ad oggetto non i documenti ma l’informazione, [38] «intesa come insieme di elementi che costituiscono la scienza dell’Amministrazione» [39].

L’art. 3 del d.lgs. 24 febbraio 1997, n. 39, nel dare attuazione alla Direttiva 90/313 CEE del Consiglio del 7 giugno 1990, ha configurato il diritto all’informazione ambientale come diritto svincolato da qualsiasi qualificazione soggettiva. Ai sensi di tale disposizione, infatti, «le autorità pubbliche sono tenute a rendere disponibili le informazioni relative all’ambiente a chiunque ne faccia richiesta, senza che questi debba dimostrare il proprio interesse». La tutela garantita dall’esercizio del diritto d’accesso come delineato dalla legge 39 del 1997 è stata definita “una tutela desoggettivata” in quanto non condizionata da una dichiarazione di interesse e fondata su di un diritto, il diritto all’ambiente, che è diritto della persona [40]. E’ bene ricordare che gli artt. 7 e 8 del d.lgs. 39 del 1997 hanno previsto un modello di divulgazione delle informazioni ambientali non vincolato a istanze di accesso, anticipando, sotto tale profilo, l’accesso civico di cui al d.lgs. 33 del 2013 [41]. Il 25 giugno 1998 è stata firmata dalla Comunità europea e dai suoi Stati membri la Convenzione di Aarhus sull’accesso alle informazioni, la partecipazione dei cittadini e l’accesso alla giustizia in materia ambientale. In tale Convenzione, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1 e 4, si dispone che al fine di contribuire a tutelare il diritto di ogni persona, nelle generazioni presenti e future, a vivere in un ambiente atto ad assicurare la salute ed il benessere, ciascuna Parte contraente della Convenzione deve garantire il diritto di accesso alle informazioni, il diritto di partecipazione del pubblico ai processi decisionali ed il diritto di accesso alla giustizia in materia ambientale. L’esercizio del diritto d’accesso alle informazioni ambientali deve essere assicurato senza che il pubblico debba far valere un interesse al riguardo (art. 4, comma 1, lett. a)).

In ambito nazionale con l’approvazione del d.lgs. 19 agosto 2005, n. 195 [42] si è data attuazione alla Direttiva 2003/4/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 28 gennaio 2003 sull’accesso del pubblico all’informazione ambientale, ribadendo la natura di diritto “civico” a legittimazione universale propria del diritto d’accesso alle informazioni ambientali [43]. Da ultimo, si rammenta che nel Codice dell’ambiente, il d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, all’art. 3-sexies, rubricato “Diritto di accesso alle informazioni ambientali e di partecipazione a scopo collaborativo”, si afferma che, in attuazione della legge 7 agosto 1990, n. 241 e delle previsioni della Convenzione di Åarhus [44] e ai sensi del d.lgs. 195 del 2005, «chiunque, senza essere tenuto a dimostrare la sussistenza di un interesse giuridicamente rilevante, può accedere alle informazioni relative allo stato dell’ambiente e del paesaggio nel territorio nazionale».

E’ stato affermato in dottrina che, analogamente a quanto si è verificato nella disciplina ambientale sotto il profilo soggettivo della legittimazione all’accesso alle informazioni ambientali e cioè il riconoscimento della “tutela desoggettivata” del richiedente l’accesso, con riguardo al profilo oggettivo dell’accesso alle informazioni ambientali si è assistito ad una “destrutturazione formale” dell’informazione ambientale, destrutturazione che si è compiuta attraverso il superamento della necessità che l’informazione fosse contenuta in un documento [45]. In termini non dissimili, la giurisprudenza ha riconosciuto l’importanza della scelta operata dal legislatore in materia ambientale di estendere l’accesso anche alle «informazioni, sottolineando che l’accessibilità alle informazioni ambientali (che implicano un’attività elaborativa da parte dell’Amministrazione debitrice delle comunicazioni richieste) assicura al richiedente una tutela più ampia di quella garantita dall’art. 22 della legge 241 del 1990, oggettivamente circoscritta ai soli documenti amministrativi già formati e nella disponibilità dell’Amministrazione» [46]. L’ampiezza del diritto all’informazione ambientale e del dovere di informare dell’amministrazione avrebbe reso il diritto all’informazione ambientale un unicum, fino a costituire un modello per la configurazione sia dell’accesso civico introdotto dal d.lgs. 33 del 2013 [47] che del nuovo accesso civico, potendosi, in tal senso, riconoscere, ancora una volta, al diritto dell’ambiente il ruolo di «“diritto-sonda”, di laboratorio nel quale si materializzano problemi e si anticipano soluzioni che trovano, poi, collocazione più diffusa e sistematica nell’ordinamento generale» [48].

Lo schema di decreto attuativo presenta molte similitudini anche rispetto alla disciplina contenuta nella Convenzione del Consiglio d’Europa sull’Accesso ai documenti ufficiali, Convenzione aperta alla firma degli Stati membri e all’adesione degli Stati non membri e a qualsiasi organizzazione internazionale il 18 giugno 2009 [49]. Il testo della Convenzione non è stato ratificato dall’Italia ed attualmente è privo di efficacia a causa del mancato raggiungimento del numero di 10 ratifiche da parte degli Stati membri, numero richiesto per la sua entrata in vigore [50]. Nel Preambolo della Convenzione si afferma che il riconoscimento del diritto di accesso realizza la duplice finalità di consentire il formarsi di un’opinione consapevole sull’operato delle autorità pubbliche da parte dei cittadini e di favorire l’efficienza, l’efficacia e la responsabilità delle stesse autorità pubbliche. Il Preambolo si chiude precisando che tutti i documenti ufficiali sono per loro natura pubblici e che possono essere protetti soltanto in ragione della tutela di altri diritti o interessi legittimi.

Secondo la disposizione dell’art. 1, comma 2, della citata Convenzione, le autorità pubbliche sulle quali grava l’obbligo di rivelare le informazioni in loro possesso sono, oltre al Governo, alle amministrazioni di ogni livello (nazionale, regionale, locale), anche gli organi legislativi e quelli appartenenti al potere giudiziario nello svolgimento di attività amministrative esercitate in base alla normativa nazionale, nonché, qualunque altro soggetto (anche persona fisica) che operi quale autorità dotata di potere amministrativo [51]. L’art. 3 della Convenzione stabilisce che devono essere protetti, tra gli altri, la sicurezza pubblica e nazionale, le indagini penali ed un’efficace amministrazione della giustizia, le attività di controllo ed ispezione pubblica, interessi economici e monetari, i procedimenti interni alle amministrazioni ed, infine, la riservatezza ed altri legittimi interessi privati. Ai sensi dell’art. 4 della Convenzione, colui che chiede di avere accesso ad un documento ufficiale non è tenuto a motivare la sua richiesta. Riguardo al profilo oggettivo, l’art. 5 della Convenzione adotta una nozione ampia di documento la quale prescinde dalla sua forma, ammettendo la richiesta di qualsiasi tipo di informazione che si suppone sia detenuta dalle autorità. Inoltre, si richiede all’autorità pubblica di collaborare per favorire il soddisfacimento della richiesta di informazioni e garantire una risposta in tempi ragionevoli. Ancora ai sensi del citato art. 5, il diniego deve essere motivato e reso in forma scritta. Ai sensi dell’art. 7 della Convenzione, la consultazione dei documenti è gratuita, mentre l’ammontare per l’estrazione di copie deve essere ragionevole ed in ogni caso non superiore a quello necessario per la riproduzione del documento. Nell’art. 8 della Convenzione viene riconosciuto, in caso di diniego all’accesso, il diritto a ricorrere ad un’autorità giudiziaria o ad altra autorità indipendente prevista dalla legge nazionale. Per quanto riguarda i limiti all’accesso alle informazioni, i quali si identificano sia con interessi privati che con interessi pubblici, viene stabilito che gli stessi devono essere previsti con legge.

 

4. Alcuni rilievi critici.

Un primo rilievo critico riguarda l’atteggiamento non coerente del legislatore italiano, dimostrato già nelle tappe del cammino delle riforme succedutesi in materia di acceso e trasparenza e confermato dall’attuale riforma, riguardo all’apertura dell’accesso, oltre che ai documenti e ai dati in possesso delle amministrazioni pubbliche, anche alle informazioni dalle medesime elaborate. Del valore aggiunto che può riconoscersi all’informazione rispetto sia al documento che al dato, si è detto in precedenza, ricordando l’orientamento della giurisprudenza che, in materia di informazioni ambientali, ha sottolineato come l’accessibilità alle informazioni ambientali, proprio in ragione del fatto che le informazioni richiedono un’attività elaborativa da parte dell’amministrazione, sia in grado di assicurare al richiedente una tutela più ampia di quella garantita dall’accesso circoscritto ai soli documenti amministrativi già formati e nella disponibilità dell’amministrazione. E’ stato acutamente osservato, con riguardo alla telematica quale forma di diffusione delle informazioni che consente di considerare l’informazione indipendentemente dal supporto fisico su cui è incorporata [52], che l’informazione giuridica deve costituire il fine primario dell’informatica giuridica e che l’informazione va distinta dal dato giuridico che ne costituisce, invece, l’oggetto. Un dato può fornire più informazioni, mentre una enorme quantità di dati può risultare del tutto inutilizzabile e non fornire alcuna informazione se non viene organizzata in modo che sia possibile una ricerca rapida ed efficace [53]. Si evidenzia, in tal senso, l’importanza del ruolo della pubblica amministrazione nella elaborazione dei dati al fine di fornire informazioni utili ed efficacemente accessibili. Anche la Convenzione del 18 giugno 2009 sull’«Accesso ai documenti pubblici», come ricordato in precedenza, ha adottato una nozione ampia di documento la quale prescinde dalla sua forma, ammettendo la richiesta di qualsiasi tipo di informazione che si suppone sia detenuta dalle autorità. Alla luce di tali considerazioni, sarebbe stato, quindi, auspicabile che il legislatore optasse a favore di una scelta di “destrutturazione formale” dell’informazione [54], superando la necessità che l’informazione sia contenuta in un documento. Un secondo rilievo critico riguarda la disposizione del comma 6 del nuovo art. 5 del d.lgs. 33 del 2013, la quale stabilisce che nei casi di diniego totale o parziale del nuovo accesso civico o di mancata risposta nel termine di 30 giorni dalla richiesta, il richiedente può presentare ricorso al tribunale amministrativo regionale competente ai sensi del Codice del processo amministrativo. Era auspicabile che il legislatore della riforma prevedesse anche la possibilità di presentare ricorso in via amministrativa, avverso il diniego o la mancata risposta alla richiesta di accesso, anche ad un soggetto terzo ed imparziale “non togato”, come potrebbe essere un’Autorità amministrativa indipendente, ad esempio l’ANAC. Un modello in tal senso è rappresentato dalla Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi che svolge funzioni giustiziali con finalità deflattive del contenzioso dinanzi al giudice amministrativo in materia di accesso [55]. Anche la disciplina contenuta nella Convenzione sull’«Accesso ai documenti pubblici» prevede la possibilità di ricorrere avverso il diniego ad un’autorità giudiziaria o ad altra autorità indipendente prevista dalla legge nazionale. L’attribuzione all’ANAC di funzioni giustiziali con riguardo al nuovo acceso civico, secondo il modello del ricorso gerarchico [56], nel caso di diniego o di silenzio, non rappresenterebbe, ad avviso di chi scrive, un’ipotesi tanto astratta. In tal senso, si può rammentare come sia stata ipotizzata la configurazione come Autorità indipendente della stessa Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi, sulla base della duplice considerazione che le funzioni dalla stessa svolte postulano una posizione di imparzialità e che la sua composizione la rende, in qualche modo, più rappresentativa dello Stato-comunità che non dello Stato-apparato [57]. Tuttavia, la riforma del 2005 non ha riconosciuto esplicitamente alla Commissione la natura di Autorità indipendente, pur avendo considerato la Commissione per l’accesso equiordinata al Garante per la protezione dei dati personali (cioè ad una Autorità indipendente) in caso di interferenza fra i relativi procedimenti [58]. Un aspetto, al contempo, critico e criticabile, è rappresentato dalla affermazione, l’ennesima nel cammino normativo della trasparenza [59], del «dogma della trasparenza a costo zero», divenuto il fil rouge che collega le varie stagioni della disciplina italiana in materia di trasparenza ed accesso [60]. Sembra difficile ipotizzare che “l’operazione trasparenza” possa essere realizzata senza investimenti in termini di risorse finanziarie, organizzative ed umane. A tal proposito, potrebbe essere utile rammentare che la proposta della Commissione Nigro di estendere a chiunque il diritto di accesso ai documenti amministrativi era stata respinta proprio per i timori del suo impatto organizzativo e finanziario [61].

 


 


[1] Dottore di ricerca in Diritto Amministrativo ed Assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Torino.

 

[2] F. Patroni Griffi, La trasparenza della pubblica amministrazione tra accessibilità totale e riservatezza, in www.federalismi.it, n. 8, 2013, 2.

 

[3] A. Pajno, Il principio di trasparenza alla luce delle norme anticorruzione, in Giust. civ., n. 2, 2015, 228.

 

[4] L’art. 22, comma 1, della legge 241 del 1990, nel testo originario, stabiliva che: «al fine di assicurare la trasparenza dell’attività amministrativa e di favorirne lo svolgimento imparziale è riconosciuto a chiunque vi abbia interesse per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti il diritto di accesso ai documenti amministrativi, secondo le modalità stabilite dalla presente legge».

 

[5] Si deve al Codice dell’Amministrazione digitale, il d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82, la prima definizione del contenuto obbligatorio dei siti delle pubbliche amministrazioni (art. 54 del d.lgs del 2005, n. 82).

 

[6] La Convenzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite contro la corruzione è stata adottata dall’Assemblea generale dell’ONU il 31 ottobre 2003 e ratificata ai sensi della legge 3 agosto 2009, n. 116 e degli artt. 20 e 21 della Convenzione penale sulla corruzione.

 

[7] A. Pajno, Il principio di trasparenza alla luce delle norme anticorruzione, cit., 237.

 

[8] A. Pajno, Il principio di trasparenza alla luce delle norme anticorruzione, cit., 238.

 

[9] M. Savino, La nuova disciplina della trasparenza amministrativa, in Giorn. dir. amm., n. 8-9, 2013, 798. Sull’opportunità ed utilità del riconoscimento di un diritto “civico” all’accesso in corrispondenza degli obblighi di pubblicazione posti dalla legge a carico dell’Amministrazione si veda, in particolare: C. Marzuoli, La trasparenza come diritto civico alla pubblicità, in F. Merloni (a cura di), La trasparenza amministrativa, 2008, 62 e ss.

 

[10] Lo schema di decreto legislativo recante revisione e semplificazione delle disposizioni in materia di prevenzione della corruzione, pubblicità e trasparenza, correttivo della legge 6 novembre 2012, n. 190 e del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, ai sensi dell’art. 7 della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche, è stato pubblicato sul sito: http://www.funzionepubblica.gov.it sotto la voce Decreti attuativi.

 

[11] Il corsivo è dell’autore.

 

[12] Sullo schema di decreto legislativo attuativo ha già espresso il proprio parere la Sezione consultiva del Consiglio di Stato (Consiglio di Stato, Sezione Consultiva per gli Atti Normativi, parere del 24 febbraio 2016, n. 515/2016). Il testo del parere è reperibile in https://www.giustizia-amministrativa.it. Sul medesimo schema di decreto attuativo devono ancora esprimere il loro parere le competenti commissioni parlamentari.

 

[13] M. Savino, La nuova disciplina della trasparenza amministrativa, cit., 804.

 

[14] Si rinvia al paragrafo 3 nel quale sono descritte le caratteristiche del modello FOIA.

 

[15] M. Savino, La nuova disciplina della trasparenza amministrativa, cit., 805.

 

[16] Il corsivo è dell’autore.

 

[17] Il Consiglio di Stato nel parere reso sullo schema di decreto attuativo ha sottolineato che l’introduzione del nuovo accesso civico segna «il passaggio dal bisogno di conoscere al diritto di conoscere (from need to right to know) e rappresenta per l’ordinamento nazionale una sorta di rivoluzione copernicana, potendosi davvero evocare la nota immagine, cara a Filippo Turati, della pubblica amministrazione trasparente come una “casa di vetro”». Parere del Consiglio di Stato n. 515/2016, cit., 77.

 

[18] Parere del Consiglio di Stato n. 515/2016, cit., 78.

 

[19] Si fa riferimento a quanto affermato in dottrina con riguardo alla tutela garantita dall’esercizio del diritto d’accesso in materia ambientale delineato dalla legge 39 del 1997. Tale tutela è stata definita “una tutela desoggettivata” in quanto non condizionata dalla sussistenza in capo all’istante di un interesse specifico e concreto, ma fondata su di un diritto, il diritto all’ambiente, che è diritto della persona. Si rinvia a quanto si dirà più diffusamente in merito nel paragrafo 3 del presente lavoro.

 

[20] E’ stato osservato che i termini “dato” ed “informazione” esprimono concetti differenti e che la distinzione tra i due termini mutuata dal linguaggio dell’informatica andrebbe mantenuta in modo coerente. In tal senso, si sottolinea che il dato è sempre un elemento conosciuto, mentre l’informazione è il risultato dell’aggregazione di dati che l’utente può ricavare consultando un database. In tal senso D.U. Galetta, Accesso civico e trasparenza della Pubblica Amministrazione alla luce delle (previste) modifiche alle disposizioni del D.Lgs. n. 33/2013, in www.federalismi.it., 9.

 

[21] Gli altri casi di divieto di accesso o divulgazione previsti dalla legge si riferiscono: ai documenti dei procedimenti tributari, per i quali restano ferme le particolari norme che li regolano; ai documenti dell’attività della pubblica amministrazione diretta all’emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione, per i quali restano ferme le particolari norme che ne regolano la formazione; ai procedimenti selettivi, nei confronti dei documenti amministrativi contenenti informazioni di carattere psicoattitudinale relative a soggetti terzi.

 

[22] Parere del Consiglio di Stato n. 515/2016, cit., 85 e ss.

 

[23] Il Consiglio di Stato con riguardo alla non obbligatorietà della motivazione del rigetto dell’istanza di accesso ha evidenziato come con tale previsione «si verificherebbe il paradosso che un provvedimento in tema di trasparenza neghi all’istante di conoscere in maniera trasparente gli argomenti in base ai quali la P.A. non gli accorda l’accesso richiesto: ciò rappresenterebbe un evidente passo indietro rispetto alla stessa legge n. 241 del 1990 e al generale obbligo di motivazione dalla stessa previsto». Di conseguenza, sarebbe opportuno omologare la procedura a quella prevista dall’art. 25 della legge n. 241 del 1990 per le modalità di esercizio del diritto di accesso “ordinario”, imponendo, dunque, che il rifiuto dell’accesso debba comunque essere motivato, ancorché sinteticamente». Parere del Consiglio di Stato n. 515/2016, cit., 82 e ss.

 

[24] D.U. Galetta, Accesso civico e trasparenza della Pubblica Amministrazione alla luce delle (previste) modifiche alle disposizioni del D.Lgs. n. 33/2013, cit., 10.

 

[25] La modifica apportata dal decreto attuativo dimostra di recepire il contenuto di alcune Delibere adottate dall’ANAC. In particolare, la Delibera ANAC n. 145 del 21 ottobre 2014, Parere dell’Autorità sull’applicazione della l. n. 190/2012 e dei decreti delegati agli ordini e ai collegi professionali e la Delibera ANAC n. 34 del 18 dicembre 2012, Applicabilità della legge n. 190/2012 a un ente ex IPAB ancora non trasformato in azienda pubblica di servizi alla persona o in persona giuridica di diritto privato. I testi delle citate Delibere sono pubblicati in www.anticorruzione.it.. L’art. 2-bis al comma 3 aggiunge, inoltre, che la medesima disciplina deve essere applicata «limitatamente ai dati e ai documenti inerenti all’attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o dell’Unione europea, alle società in partecipazione pubblica di cui all’articolo 2 del decreto legislativo emanato in attuazione dell’articolo 18 della legge 7 agosto 2015, n. 124 e alle associazioni, alle fondazioni e agli enti di diritto privato, anche privi di personalità giuridica, che esercitano funzioni amministrative, attività di produzione di beni e servizi a favore delle amministrazioni pubbliche o di gestione di servizi pubblici o nei quali sono riconosciuti alle pubbliche amministrazioni poteri di nomina di componenti degli organi di governo”». Il Consiglio di Stato nel suo parere ha evidenziato criticamente che il legislatore non ha tenuto conto delle riforme in atto riguardanti le autorità portuali e le società in controllo pubblico ed in partecipazione pubblica. Parere del Consiglio di Stato n. 515/2016, cit., 70 e ss.

 

[26] Il corsivo è dell’autore.

 

[27] L’art. 44 del decreto di attuazione dichiara che «dall’attuazione del presente decreto non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica» e che «le amministrazioni interessate provvedono agli adempimenti di cui al presente decreto con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente».

 

[28] D.U. Galetta, Accesso civico e trasparenza della Pubblica Amministrazione alla luce delle (previste) modifiche alle disposizioni del D.Lgs. n. 33/2013, cit., 14. Per poter verificare l’impatto reale di questa previsione occorrerà esaminare le modifiche introdotte dallo schema di decreto attuativo della delega contenuta nell’art. 1 della legge 7 agosto 2015, n. 124 (legge Madia) inerente alle modifiche al Codice dell’Amministrazioni digitale, in relazione sia all’uso ed alla diffusione della posta elettronica certificata che alla questione del c.d. domicilio digitale.

 

[29] D.U. Galetta, Accesso civico e trasparenza della Pubblica Amministrazione alla luce delle (previste) modifiche alle disposizioni del D.Lgs. n. 33/2013, cit., 16.

 

[30] Si tratta delle modifiche previste agli artt. 3, 17 e 20 del d.Lgs. 33 del 2013.

 

[31] M. Savino, La nuova disciplina della trasparenza amministrativa, cit., 796; M. Bovens, Information Rights: Citizenship in the Information Society, in The Journal of Political Philosophy, 2002, vol. 10, 317 e ss.

 

[32] M. Savino, La nuova disciplina della trasparenza amministrativa, cit., 802.

 

[33] M. Savino, La nuova disciplina della trasparenza amministrativa, cit., 802 e 803.

 

[34] R. Tarchi, Il diritto di accesso nella prospettiva comparata, in C. Colapietro(a cura di) Il diritto di accesso e la Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi a vent’anni dalla legge n. 241 del 1990, Napoli, 2012, 152.

 

[35] R. Tarchi, Il diritto di accesso nella prospettiva comparata, cit., 152 e ss.Per quanto riguardal’Europa orientale: L’Ungheria nel 1992, la Lettonia nel 1998, la Repubblica Ceca e l’Albania nel 1999, l’Estonia, la Lituania, la Bulgaria e la Slovacchia nel 2000, la Polonia e la Romania nel 2001, la Slovenia e la Serbia nel 2003 e la Croazia nel 2013. M. Savino, La nuova disciplina della trasparenza amministrativa, cit., 796, nota 5.

 

[36] Per un’analisi comparata delle legislazioni che hanno disciplinato l’accesso alle informazioni in mano pubblica si veda, in particolare: A. Marchetti, Il diritto d’accesso: modelli di enforcement e cause di exemptions nella prospettiva comparata in C. Colapietro(a cura di) Il diritto di accesso e la Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi a vent’anni dalla legge n. 241 del 1990, Napoli, 2012, 209 e ss.; R. Tarchi, Il diritto di accesso nella prospettiva comparata, cit., 141 e ss.; M. Savino, La nuova disciplina della trasparenza amministrativa, cit., 795 e 796.

 

[37] La Legge di riforma Madia ed il conseguente decreto attuativo presentano alcune somiglianze con le disposizioni in materia di accesso dettate dal Testo Unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, approvato con il d.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 e con l’abrogato ordinamento delle autonomia locali di cui alla legge 8 giugno 1990, n. 142. Si fa riferimento, in particolare, agli artt. 10, commi 1 e 2 sul diritto d’accesso dei cittadini e 43, comma 2, del d.Lgs. 267 del 2000 sul diritto d’accesso dei consiglieri comunali e provinciali, già, rispettivamente, artt. 7, commi 3 e 4 e 31, comma 5, della legge 142 del 1990.

 

[38] L’antinomia normativa tra la disciplina contenuta nella legge 349 del 1986 che riconosceva il diritto di accesso all’informazione ambientale a qualunque cittadino e la disciplina dettata dalla legge 241 del 1990 e dal regolamento attuativo, il DPR 352 del 1992, secondo la quale solo il titolare di un interesse personale e concreto per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti aveva diritto di prendere visione o di acquisire copia degli atti del procedimento, è stata risolta ritenendo non applicabile il criterio della successione temporale delle leggi, bensì quello della specialità dell’informativa ambientale rispetto alla più generale normativa sulla trasparenza dell’azione amministrativa. In tal senso: A. Contieri e G. Di Fiore, L’accesso alle informazioni ambientali (D.LG. 19 agosto 2005, n. 195), in M.A. Sandulli (a cura di) Codice dell’azione amministrativa, 2011, 1071 e 1072.

 

[39] TAR Veneto, Sez. III, 30 ottobre 2003, n. 5731, in Foro amm. TAR, 2004, 68.

 

[40] V. Fox, Il diritto all’informazione ambientale, in www.giustamm.it, 2005.

 

[41] M. Ciammola, Il diritto di accesso all’informazione ambientale: dalla legge istitutiva del Ministero dell’ambiente al d.lg. n. 195 del 2005, in Foro amm. CdS, 2007, 2, 657 e ss.

 

[42] L’art. 1 del d.lgs 195 del 2005 precisa le finalità del decreto le quali consistono nel garantire il diritto d’accesso all’informazione ambientale detenuta dalle autorità pubbliche e stabilire i termini, le condizioni fondamentali e le modalità per il suo esercizio e nel garantire, ai fini della più ampia trasparenza, che l’informazione ambientale sia sistematicamente e progressivamente messa a disposizione del pubblico e diffusa, anche attraverso i mezzi di telecomunicazione e gli strumenti informatici, in forme o formati facilmente consultabili, promuovendo a tale fine, in particolare, l’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. L’art. 3 del d.lgs 195 del 2005, rubricato “Accesso all’informazione ambientale su richiesta” stabilisce che l’autorità pubblica deve rendere disponibile, secondo le disposizioni del decreto, l’informazione ambientale detenuta a chiunque ne faccia richiesta, senza che questi debba dichiarare il proprio interesse.

 

[43] P. Dell’Anno, Manuale di diritto ambientale, Padova, 2003, 195.

 

[44] La Convenzione di Århus è stata ratificata dall’Italia con la legge 16 marzo 2001, n. 108.

 

[45] A. Contieri e G. Di Fiore, L’accesso alle informazioni ambientali (D.LG. 19 agosto 2005, n. 195), cit., 1078.

 

[46] TAR Campania, Napoli, Sez. V, 25 febbraio 2009, n. 1062, in www.iusexeplorer/dejure.

 

[47] V. Torano, Il diritto di accesso civico come azione popolare – The civic right to access as actio popularis, in Dir. amm., 2013, 4, 824.

 

[48] R. Ferrara, La protezione dell’ambiente e il procedimento amministrativo nella “società del rischio”, in Dir. e soc., 2006, 4, 525.

 

[49] Il testo in lingua inglese e in lingua francese della Convenzione del Consiglio d’Europa sull’Accesso ai documenti ufficiali (Council of Europe Convention on Access to Official Documents) è reperibile in www.coe.int.

 

[50] Alla data in cui si scrive, 8 sono gli Stati che hanno ratificato la Convenzione sull’Accesso ai documenti ufficiali. Tra gli Stati che non hanno ancora ratificato la Convenzione, oltre all’Italia, vi sono Francia, Germania e Regno Unito.

 

[51] L’art. 1, comma 2, della Convenzione consente a ciascun Stato, all’atto della sottoscrizione o della ratifica, di ampliare il novero dei soggetti vincolati, includendovi gli organi legislativi e le autorità giudiziarie anche con riguardo alla restante parte della loro attività svolta nell’esercizio della funzione legislativa e giudiziaria in senso proprio.

 

[52] V. Torano, Il diritto di accesso civico come azione popolare – The civic right to access as actio popularis, cit., 814.

 

[53] E. Giannantonio, Informatica giuridica, in Enc. Giur., XVI, Roma, 1989, 3.

 

[54] A. Contieri e G. Di Fiore, L’accesso alle informazioni ambientali (D.LG. 19 agosto 2005, n. 195), cit., 1078.

 

[55] Nella Relazione per l’anno 2014 sulla trasparenza dell’attività della Pubblica Amministrazione resa dalla Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi al Parlamento è stata evidenziata l’eccezionalità del ruolo della Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi che ha costituito – con minima spesa per l’erario (i componenti della Commissione non percepiscono alcun compenso) e a costo zero per gli interessati – una sede amministrativa giustiziale di impulso alla cultura e all’effettività non solo del diritto di accesso, ma anche delle situazioni ad esso collegate quali la trasparenza e la tutela dei dati personali. Essa svolge quindi un importante ruolo di aderenza reale alla giustizia come valore costituzionale, attuando il principio della Costituzione che garantisce la tutela dei diritti e degli interessi legittimi contro gli atti della pubblica amministrazione. Il testo della Relazione è pubblicato in www.commissioneaccesso.it, 68.

 

[56] L’orientamento giurisprudenziale maggiormente consolidato ritiene che il ricorso alla Commissione per l’accesso, introdotto dall’art. 25 della legge 241 del 1990, debba essere qualificato quale ricorso gerarchico improprio, in quanto presentato presso un organo amministrativo non originariamente competente, né legato a quello competente da una relazione organica di sovraordinazione (Cons. Stato, Sez. VI, 27 maggio 2003, n. 2938, in www.iusexeplorer/dejure).

 

[57] Relazione per l’anno 2014 sulla trasparenza dell’attività della Pubblica Amministrazione resa dalla Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi al Parlamento, cit., 65.

 

[58] Il comma 4 dell’art. 25 della legge 241 del 1990 stabilisce, in particolare, che: «se l’accesso è negato o differito per motivi inerenti ai dati personali che si riferiscono a soggetti terzi, la Commissione provvede, sentito il Garante per la protezione dei dati personali, il quale si pronuncia entro il termine di dieci giorni dalla richiesta, decorso inutilmente il quale il parere si intende reso. Qualora un procedimento di cui alla sezione III del capo I del titolo I della parte III del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, o di cui agli articoli 154, 157, 158, 159 e 160 del medesimo decreto legislativo n. 196 del 2003, relativo al trattamento pubblico di dati personali da parte di una pubblica amministrazione, interessi l’accesso ai documenti amministrativi, il Garante per la protezione dei dati personali chiede il parere, obbligatorio e non vincolante, della Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi. La richiesta di parere sospende il termine per la pronuncia del Garante sino all’acquisizione del parere, e comunque per non oltre quindici giorni. Decorso inutilmente detto termine, il Garante adotta la propria decisione».

 

[59] Si rammenta in tal senso la disposizione dell’art. 51 del d.lgs 33 del 2013 che stabilisce che dall’attuazione del decreto non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e che le amministrazioni interessate provvedono agli adempimenti previsti con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

 

[60] M. Savino, La nuova disciplina della trasparenza amministrativa, cit., 797.

 

[61] M. Savino, La nuova disciplina della trasparenza amministrativa, cit., 797. Che i costi da sostenere per garantire il right to know siano alti lo conferma la scelta politica adottata negli Stati Uniti dal Department of Health and Human Servicies. Sulla base di tale scelta sono stati impiegate nel 2012 circa 30 persone per l’applicazione del Freedom of Information Act ad un costo di oltre 50 milioni di dollari.