Il T.A.R. Piemonte rigetta la richiesta di annullamento dell’ordinanza del Presidente della Giunta regionale che ha prorogato l’attività didattica a distanza (DaD) (Nota a T.A.R. Piemonte, sentenza 12 dicembre 2020, n. 834).

 

 Vitalba Azzollini1 e Giovanni Boggero2

Mentre il paragrafo 2 è da attribuire a Vitalba Azzollini, l’introduzione e il paragrafo 1 è da attribuire a Giovanni Boggero. Le conclusioni sono state scritte congiuntamente. 

 

Introduzione. 

Prima con decreto monocratico del Presidente e poi con sentenza, il TAR Piemonte (Sez. I; Pres. Salamone; Est. Cerroni) ha rigettato la richiesta, avanzata da un gruppo di genitori e insegnanti, di annullamento del decreto n. 132 del 28 novembre 2020 con il quale il Presidente della Giunta regionale piemontese aveva ordinato che «a decorrere dal 29 novembre 2020, nelle classi seconde e terze delle Istituzioni Scolastiche Secondarie di Primo Grado, Statali e Paritarie, l’attività didattica in presenza [fosse] sospesa e sostituita dalla didattica digitale a distanza fino al 23 dicembre 2020». Nonostante il passaggio nella c.d. zona arancione, ossia in area di minore rischio, consentisse di riprendere le lezioni in presenza nelle scuole di ogni ordine e grado, il Presidente della Giunta regionale aveva reputato di estendere le indicate misure fino al 6 gennaio 2021, ossia fino alla conclusione delle festività natalizie. Analogamente, anche la Regione Calabria, collocata in una zona di rischio più lieve a partire dal 29 novembre 2020, aveva prorogato con propria ordinanza il ricorso alla didattica a distanza (DaD), così come, del resto, avevano già fatto i Presidenti delle Regioni Campania e Puglia all’inizio di novembre. In senso conforme al TAR Campania e al TAR Puglia (Lecce), ma contrario rispetto a quanto deciso in periodo coevo dal TAR Calabria (Catanzaro) e dal TAR Puglia (Bari),3 la decisione del Presidente della Regione Piemonte non è stata ritenuta «prima facie illogica o immotivata» ed è, pertanto, stata rigettata la richiesta di sospensiva d’urgenza. Qualche giorno più tardi il TAR Piemonte ha respinto il ricorso anche in via definitiva, reputando che la decisione della Regione rientrasse nel novero delle misure più rigorose che le Regioni in zona arancione possono adottare «in piena armonia con la ridetta derogabilità in peius su cui si regge il sistema delle fonti della fase emergenziale». Prima di esaminare le motivazioni di entrambe le pronunce, si definirà il quadro normativo in cui esse si inseriscono (§ 1). Su queste basi, si cercherà di verificare in che modo il TAR Piemonte abbia inteso il rapporto tra principio di precauzione e principio di proporzionalità (§ 2.1), se abbia correttamente ascritto al Presidente della Regione il potere di derogare alle disposizioni statali (§ 2.2) e, soprattutto, che tipo di test di proporzionalità abbia impiegato nel bilanciare diritto alla salute e diritto all’istruzione (§ 2.3). Infine, si cercherà di trarre qualche conclusione (§ 3). 

 

1. Il quadro normativo vigente: il rapporto tra d.P.C.M., ordinanze del Ministero della Salute e ordinanze dei Presidenti di Regione. 

L’art. 2 del d.P.C.M. 3 novembre 2020 prevede l’applicazione di misure di contenimento del contagio diverse a seconda delle differenti aree di rischio in cui è suddiviso il territorio nazionale e variabili al mutare della situazione epidemiologica sottostante. Il bilanciamento fra gli interessi coinvolti è, dunque, preventivo, perché effettuato normativamente modulando limitazioni di libertà e diritti in relazione alle diverse aree di rischio; esso è, inoltre, differenziato per territori, a seconda dell’inclusione degli stessi in una certa area o in un’altra, in relazione a indicatori prefissati; è, infine, anche elastico, poiché il Ministro della Salute, con frequenza almeno settimanale, verifica il permanere dei presupposti della classificazione di ogni regione in un’area di rischio, e al mutare della classificazione cambiano pure le relative misure restrittive.

A loro volta, le Regioni e le Province autonome monitorano la condizione epidemiologica e la tenuta del sistema sanitario, raccogliendo dati che sostanziano 21 indicatori e inviandoli a un centro di coordinamento. Quest’ultimo li analizza, li valida e li incrocia mediante un algoritmo, traendone un giudizio di pericolosità della situazione. A seconda di tale giudizio, le Regioni e le Province autonome sono inserite nell’una o nell’altra area di rischio, cui sono automaticamente connesse determinate restrizioni, commisurate – cioè proporzionate, in base alla predetta valutazione ex ante – al livello del rischio stesso. Il monitoraggio dei dati regionali e la loro valutazione da parte di una Cabina di regia erano già stati disposti dal d.P.C.M. 26 aprile 2020 e declinati operativamente dal decreto del Ministro della Salute del 30 aprile successivo. Detto d.P.C.M. è stato integrato dal documento di “Prevenzione e risposta a Covid-19” dell’ISS (allegato 25) che, tra le altre cose, ha individuato quattro scenari di rischio e le relative misure di contrasto al virus. Il d.P.C.M. del 3 novembre 2020 e poi il cosiddetto decreto-legge Ristori bis (decreto-legge n. 149/2020) hanno, quindi, previsto che l’inclusione delle Regioni nelle diverse “zone” – da adottarsi con ordinanza del Ministro della salute, sentite le Regioni – sia basata sul monitoraggio dei dati di cui al predetto documento dell’ISS, nonché sui dati elaborati dalla Cabina di regia.

In sintesi, dunque, le misure di contrasto al virus sono stabilite nel d.P.C.M. 3 novembre 2020, in conformità a quelle proposte dall’ISS, e si applicano una volta che le Regioni e le Province autonome sono state inserite nell’una o nell’altra fascia di rischio; tale inserimento è disposto dal Ministro della Salute con ordinanza, in base a metodologia e indicatori elaborati da esperti, sentito il Presidente della Regione interessata. A quest’ultimo, l’art. 3 del d.l. n. 19/2020 (convertito nella legge n. 35/2020) e l’art. 1 comma 16 del d.l. n. 33/2020 (convertito nella legge n. 74/2020) consentono pur sempre di esercitare il potere di ordinanza di cui all’art. 32, comma 3, della legge n. 833/1978 mediante l’introduzione di «misure ulteriormente restrittive» e «derogatorie» rispetto a quelle disposte da decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, «nelle more dell’adozione dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri di cui all’articolo 2 del decreto-legge n. 19 del 2020». Lo stesso art. 2, co. 5 del d.P.C.M. 3 novembre 2020, del resto, fa salva l’adozione di misure più rigorose. Questo è il motivo per cui, nonostante il passaggio da una zona all’altra comporti, in teoria, l’automatica applicazione delle misure di contenimento definite nel d.P.C.M. in oggetto, in realtà, così può anche non essere, poiché, nella misura in cui ciò sia coerente con i dati scientifici raccolti nel monitoraggio quotidiano della situazione del contagio, i Presidenti di Regione potrebbero pur sempre derogare a tale regime con l’adozione di propria ordinanza.4

Tale interpretazione è fondata su un concorso di fonti regolatorie precedentemente esposto in dottrina e fatto poi esplicitamente proprio, anche in relazione a vicende processuali aventi ad oggetto la didattica a distanza, dalla prevalente giurisprudenza amministrativa (cfr. ex multis: T.A.R. Campania, Sez. V, 9 novembre 2020, n. 2025), secondo la quale «l’intervenuta emanazione del d.P.C.M. 4 novembre 2020 non esclude la persistente possibilità, per le Autorità sanitarie regionali e locali, di adottare misure più restrittive in presenza di situazioni sopravvenute (ovvero non considerate nel d.P.C.M.) o da specificità locali, giustificative del potere di ordinanza contingibile e urgente, in generale previsto dall’art. 32, co. 3 della L. 833/1978 e, comunque, dall’art. 3 del d.l. 25 marzo 2020, n. 19 e successive modificazioni». 

 

2. La non irragionevolezza dell’ordinanza regionale nelle motivazioni del TAR Piemonte. 

Su queste basi normative, sono intervenute le pronunce in esame. Esse, a partire da un inquadramento dell’ordinanza nel solco del principio di precauzione, muovono sostanzialmente dall’insindacabilità delle evidenze oggettive riguardanti l’andamento della situazione epidemiologica, offrono un bilanciamento sommario dei beni giuridici di rilievo costituzionale tra loro in conflitto (la tutela della salute e il diritto all’istruzione) e confermano l’impostazione per cui le Regioni, al ricorrere di alcune condizioni, possono adottare provvedimenti più restrittivi rispetto a quelli dello Stato. Esse, pur nella loro linearità, non sono del tutto esenti da critiche.

 

2.1. Principio di precauzione e trasparenza dei dati.

Il decreto cautelare del Presidente del TAR Piemonte, dopo aver delineato il quadro delle disposizioni sopra citate, nonché ribadito che «il bilanciamento tra le esigenze imposte dalla necessaria tutela dei diversi interessi coinvolti nella materia (primi tra tutti, ma non solo, il diritto alla salute e quello all’istruzione) spetta in primo luogo all’autorità amministrativa» e che «le misure di contenimento del virus» sono state adottate dalla Regione «sulla base del procedimento di analisi del rischio», conclude che le relative risultanze «non appaiono efficacemente contestate dalle parti ricorrenti». Il decreto presidenziale sostiene, infatti, che «la Regione Piemonte – sulla base della valutazione del rischio compiuta dai propri organi di consulenza scientifica – ha stabilito che una delle misure di precauzione necessarie ad attuare il contenimento dei contagi dovesse avere per oggetto la limitazione dell’attività in presenza nelle scuole medie, in quanto tali scuole costituiscono sede “privilegiata” di diffusione del virus» e che tale scelta, oltre a non apparire «manifestamente irragionevole», stante la natura temporalmente limitata, è stata «condivisa o quantomeno non contraddetta» dal Ministro della Salute, dal Ministro dell’Istruzione e da tutti i rappresentanti delle comunità locali, inclusi i Prefetti. 

Prima di trattare del criterio cui è improntata la scelta va rilevato che appare quanto meno singolare che il decreto motivi l’assenza di fumus boni iuris della richiesta di misure cautelari sulla base al fatto che una serie di parti istituzionali, messe al corrente della scelta della Regione, non abbiano reputato di opporsi, adendo se del caso la via giurisdizionale. Non può ritenersi, infatti, che la mancanza di contestazioni riguardo al decreto del Presidente della Giunta regionale ne attesti per ciò solo la legittimità, innanzitutto perché essa si misura anche sulla base della ragionevolezza delle restrizioni gravanti sui cittadini e non esclusivamente con riguardo all’asserita lesione di competenze statali. Sin dalla dichiarazione di stato di emergenza, del resto, sono stati molti i casi in cui i tribunali amministrativi hanno riscontrato l’assenza di presupposti sostanziali per l’adozione di ordinanze relative alla chiusura delle scuole a seguito di ricorsi dei genitori, mentre la Presidenza del Consiglio dei Ministri e i Ministeri non hanno ritenuto di dover intervenire a chiederne l’annullamento. Dunque, le mancate obiezioni alle decisioni della Regione da parte delle istituzioni statali contro-interessate nel giudizio de quo non possono essere invocate a garanzia della legittimità delle stesse. 

Quanto al criterio sulla base del quale si si reggono le disposizioni dell’ordinanza del Presidente della Regione, ossia il principio di precauzione, va osservato che esso è positivizzato all’art. 301 del c.d. Codice dell’Ambiente (d.lgs. n. 152/2006), che offre un canone ermeneutico e applicativo in via analogica per la materia de qua. Nella specie, l’ordinanza evidenzierebbe «l’aumento dei contagi a partire dall’inizio scolastico» e rileverebbe come, «a partire dalle ordinanze assunte nello scorso mese di ottobre, quando è stata avviata nuovamente la DaD, questo andamento abbia iniziato a migliorare». Il Tribunale omette, tuttavia, del tutto intenzionalmente qualunque indagine idonea a comprovare il nesso causale esistente tra temporanea chiusura di alcune scuole e calo dei contagi, negando anzi che, allo stato delle conoscenze scientifiche, esso possa anche solo essere dimostrato; pertanto, non può che farsi riferimento a un’istruttoria basata su documenti astrattamente idonei a giustificare l’applicazione del principio di precauzione, vale a dire i pareri degli esperti di cui la Regione si «avvale per la valutazione del rischio preliminare all’adozione delle misure di contenimento della pandemia» (quello del responsabile vicario del gruppo prevenzione, del gruppo di lavoro epidemiologi e del gruppo di lavoro per il miglioramento dell’organizzazione dell’assistenza sanitaria piemontese). Va, peraltro, osservato che non varrebbe a sostanziare il nesso causale la circostanza che alcuni studi attestino la diffusività del virus in ambienti scolastici. Tali studi possono essere d’ausilio all’organo giudiziario per verificare la fondatezza delle affermazioni delle parti, fermo restando che la motivazione di un provvedimento restrittivo di libertà e diritti dev’essere proporzionato al rischio concretamente riscontrato o riscontrabile nella situazione de qua, non a un rischio astrattamente presente in analoghe situazioni. Due decisioni assunte di recente, il 26 marzo 2021, dal T.A.R del Lazio (n. 872/2021 e n. 1909/2021)vannoin senso opposto a quella in commento. Tali decisioni, con riferimento al d.P.C.M. del 2 marzo 2021 – che ha disposto l’interruzione della didattica in presenza nelle scuole di qualunque ordine e grado anche nelle cosiddette zone rosse – recano, infatti, un ordine «alla Presidenza del Consiglio dei Ministri di riesaminare le misure impugnate alla luce di tutta la documentazione prodotta in giudizio da parte ricorrente, e in particolare di quanto emerge dagli studi medico-scientifici e dalle relazioni scientifiche da essa depositate in giudizio (…), adottando, all’esito del riesame, un provvedimento specificamente motivato».5 

Nel caso in commento, invece, l’assenza di trasparenza circa i pareri resi da tali esperti e, quindi, circa i dati su cui essi hanno fondato le proprie raccomandazioni non consente di apprezzare la corretta applicazione del principio di precauzione, oltreché del suo contemperamento con il principio di proporzionalità. A questo proposito, anche la Corte di Giustizia UE ha più volte ribadito, seppur sempre in materia ambientale, che il principio di precauzione va applicato tenendo conto del principio di proporzionalità e, pertanto, le misure adottate in applicazione del primo principio non devono mai oltrepassare i limiti di ciò che è appropriato e necessario per il perseguimento degli obiettivi di tutela perseguiti (cfr. Corte di Giustizia UE, Sez. I, 9 giugno 2016, N. C-78/16 e C- 79/16, § 48). Allo stesso modo, anche la Corte costituzionale (sent. n. 85/2013) è orientata a garantire che il principio di precauzione, nel suo necessario bilanciamento con altri principi e diritti, non prevalga mai sulla base di valutazioni aprioristiche, ma soltanto in base a un esame in concreto degli interessi tra loro in conflitto.6 Di contro, il TAR Piemonte si limita, già in sede cautelare, a richiamare il fatto che i tecnici di cui si avvale la Regione Piemonte suggeriscono «di adottare un comportamento precauzionale, vista anche l’imminenza del periodo di festività natalizie» e a sottolineare che «l’auspicio» è di «contribuire ad abbassare il numero dei contagi». Quest’ultimo inciso rende palese come una decisione – avente effetti rilevanti sull’esercizio di un diritto costituzionalmente garantito, come quello all’istruzione – si basi in buona sostanza su un auspicio derivante da un’applicazione acritica del principio di precauzione all’azione amministrativa. Così, il Tribunale giunge alla conclusione che «le misure adottate con il decreto presidenziale regionale 28 novembre 2020 n. 132, più restrittive di quelle previste per le “zone arancioni” dall’art. 2 del d.P.C.M. 3 novembre 2020, derivano: – dall’apprezzamento di quelle “specifiche situazioni soggettive … di aggravamento del rischio sanitario verificatesi nel … territorio” della Regione Piemonte e “sopravvenute” rispetto a quelle prese in considerazione dal d.P.C.M. 3 novembre 2020; – dal monitoraggio regionale “con cadenza giornaliera (del)l’andamento della situazione epidemiologica nei propri territori e, in relazione a tale andamento, (del)le condizioni di adeguatezza del sistema sanitario regionale” (…)».

In sostanza, con un notevole self-restraint, il Collegio nega di potersi in alcun modo «surrogare al ruolo istituzionalmente demandato alle Istituzioni scientifiche e sanitarie sino a validare o meno una legge scientifica di copertura che corrobori il sillogismo seguito dall’Amministrazione regionale nel disporre la prosecuzione della didattica a distanza per le classi seconde e terze medie in un lasso temporale, peraltro, assai circoscritto, se non al costo di trasformare surrettiziamente un’aula di tribunale in un laboratorio scientifico-sperimentale». Come si vedrà, tuttavia, il TAR svolge un pur minimo (anche se non soddisfacente) scrutinio di proporzionalità della misura, prefigurando, peraltro, un possibile revirement futuro, qualora le decisioni del Presidente della Giunta non si reggessero su pareri degli organi tecnico-scientifici e producessero disparità di trattamento non ragionevoli.

 

2.2. L’intreccio di poteri normativi: sono finite le “more” dei d.P.C.M.?

Nell’indagare il rapporto tra l’ordinanza regionale e gli atti degli organi statali, il TAR pare, tuttavia, non aver considerato la circostanza che, nel caso di specie, non si applichi il solito schema in base al quale, una volta entrato in vigore un d.P.C.M., le Regioni e le Province autonome, stante un documentato peggioramento della situazione epidemiologica, possono in ogni tempo adottare misure più restrittive. Al contrario, considerato il sistema implementato con il d.P.C.M. del 3 novembre 2020, ma soprattutto con il d.l. n. 149/2020 che lo ha recepito in una fonte di rango primario,7 può ritenersi che assumano una diversa e limitata estensione temporale le «more» dei decreti del Presidente del Consiglio – nonché delle ordinanze del Ministro della Salute, cui in concreto compete l’inserimento di una Regione in zone di rischio e che integrano i d.P.C.M. stessi – decorso il termine delle quali è consentita l’emanazione delle ordinanze regionali “ulteriormente restrittive” e “derogatorie” fondate su dati e informazioni dei quali il Presidente della Regione è in possesso e che, invece, potrebbero essere valutate dal Ministro della Salute con un ritardo tale da produrre conseguenze nocive. 

Infatti, il d.P.C.M. 3 novembre 2020 – con una disposizione poi incorporata nell’art. 30 del decreto-legge n. 149/2020, che ha aggiunto il comma 16-bis all’articolo 1 del decreto-legge 16 maggio 2020, n. 33 – dispone che il Ministro della Salute, «con frequenza almeno settimanale», verifichi la perdurante sussistenza dei presupposti per la permanenza della Regione in una certa zona di rischio. Ciò non esclude, quindi, che la valutazione del Ministero possa essere fatta entro un lasso di tempo più ravvicinato; dall’altro lato, considerato che, sempre a norma del citato comma 16-bis, le ordinanze del Ministro della Salute «sono efficaci per un periodo minimo di 15 giorni», risulterebbe incoerente con il sistema ex novo apprestato che un’ordinanza regionale potesse intervenire a disporre, sulla base di dati specifici, restrizioni per un periodo più lungo rispetto a quello entro il quale potrebbe intervenire un nuovo provvedimento statale. Pertanto, si deve ritenere che l’antinomia esistente tra l’atto regionale e le disposizioni del Presidente del Consiglio dei Ministri vada risolta a favore del primo soltanto e non oltre il periodo di vigenza dell’ordinanza del Ministero della Salute, ossia entro i 15 giorni, scaduti i quali l’atto regionale non potrà spiegare ulteriore efficacia. Infatti, si consideri che il Ministero, sulla base di dati attestanti una gravità maggiore rispetto a quella valutata in precedenza, in qualunque momento può emanare una nuova ordinanza che retroceda la Regione a una zona nella quale, ai sensi del d.P.C.M., andranno applicate restrizioni ulteriori rispetto a quelle originarie. Dunque, sarebbe irragionevole rispetto a questo meccanismo che un’ordinanza regionale potesse applicarsi oltre il lasso temporale previsto per le verifiche sull’andamento della curva epidemiologica da parte del Ministro della Salute e per l’adozione da parte di quest’ultimo delle relative determinazioni. Va tuttavia rilevato come, in concreto, nel corso di questi mesi, il Ministro abbia sempre atteso l’elaborazione dei dati regionali da parte della Cabina di regia prima di disporre una nuova classificazione regionale.8 

Infine, occorre aggiungere un ulteriore motivo di perplessità. Le Regioni e le Province autonome comunicano quotidianamente alla Cabina di Regia nazionale i dati che sostanziano i 21 indicatori di rischio, che vengono valutati ed elaborati secondo i criteri stabiliti con decreto del Ministro della Salute del 30 aprile 2020. Per espressa previsione normativa (art. 1, comma 16, d.l. n. 33/2020), i Presidenti di Regione, per valutare i propri dati epidemiologici, sono tenuti a utilizzare i medesimi criteri usati a livello statale. Pertanto, appare paradossale che, incrociando gli stessi dati ed essendo soggetti all’uso della medesima metodologia, i Presidenti di Regione possano giungere a valutazioni di maggiore gravità del rischio rispetto a quelle delle autorità statali e, di conseguenza, adottare misure più stringenti di quelle sancite dal Presidente del Consiglio, proprio com’è, però, accaduto con il decreto in esame. Se così fosse, il combinato disposto dei commi 16 e 16-bis darebbe luogo a un impianto normativo intrinsecamente irrazionale, nel quale, sulla base di interpretazioni diverse degli stessi dati, gli enti territoriali possono adottare misure di contenimento tra loro differenti.

 

2.3. Didattica a distanza e didattica in presenza: quale bilanciamento da parte del TAR?

Sotto il profilo del test di proporzionalità, invece, il TAR Piemonte non ha esaminato la possibilità del ricorso a rimedi alternativi alla didattica a distanza (DaD), né ha operato una appropriata verifica e una adeguata valutazione sulle effettive capacità funzionali e operative, sotto il profilo organizzativo, delle risorse umane e delle dotazioni informatiche, nell’impiego di tale modalità di svolgimento dell’attività nelle istituzioni scolastiche piemontese: l’inibitoria della didattica in presenza potrebbe essere equivalente in pratica a una chiusura delle attività scolastica. Il Presidente del TAR, dapprima, si è limitato ad affermare che «la Regione Piemonte ha adottato le misure più idonee nei limiti delle sue possibilità per attenuare gli effetti negativi della didattica a distanza», facendosi carico della «necessità di dotare famiglie e scuole degli strumenti informatici necessari a sostenere la didattica a distanza» con uno stanziamento regionale di 18 milioni di euro per il c.d. “voucher scuola”, finalizzato a consentire alle famiglie con un reddito basso di usufruire di un buono per l’acquisto – tra l’altro – di materiale tecnologico utile per le lezioni a distanza e un ulteriore stanziamento di 500.000 euro «affinché le scuole possano dotarsi “di ausili (dispositivi digitali, abbonamenti internet) per consentire la didattica digitale a distanza” (v. dalle delibere di Giunta regionale 11.9.2020, n. 31-1942, e 6.11.2020, n. 144)». 

Secondo il decreto monocratico «l’assetto che si è definito costituisce un punto di equilibrio /e bilanciamento tra due diritti di rilevanza primaria quali sono il diritto alla salute e il diritto all’istruzione di primo grado». Il TAR, poi, nella pronuncia di merito, ha ribadito come sufficiente il fatto che la Regione abbia varato «misure economiche con cui sovviene alle famiglie, in base ai casi, con provvidenze tese a colmare le disparità socio-economiche che possano malauguratamente acuire i disagi di contesto legati alla didattica a distanza (ad es. carenza di mezzi informatici o di collegamenti internet)». A ciò, il Collegio ha aggiunto che «la misura restrittiva non pecca di assolutezza, bensì ammette deroghe e contemperamenti laddove fa salva la possibilità di svolgere attività in presenza qualora sia necessario l’uso di laboratori o in ragione di mantenere una relazione educativa che realizzi l’effettiva inclusione scolastica degli alunni con disabilità e con bisogni educativi speciali»; da ultimo, il Tribunale nega genericamente che possa ravvisarsi una lesione del canone della ragionevolezza per disparità di trattamento con altre categorie, essendo stata «la misura in contestazione accompagnata da una panoplia di altre misure restrittive – non meglio specificate – tutte tese a garantire un “alto livello di protezione” al bene salute»; in proposito, il TAR Piemonte non entra però nel merito della ragionevolezza di distinguere tra studenti del primo anno della scuola secondaria di primo grado e studenti del secondo e terzo anno.9 

In buona sostanza, il Collegio si sofferma su aspetti meramente formali – lo stanziamento di fondi, l’esistenza di teorici strumenti di didattica in presenza per gruppi di studenti svantaggiati e l’esistenza di altre misure di analoga natura – senza verificare se la DaD costituisca soltanto una diversa «modalità di fruizione» del diritto all’istruzione ovvero ne possa rappresentare una violazione se vi sia fatto ricorso per un arco temporale prolungato. Non è stato, cioè, operato alcun accertamento degli esiti prodotti dagli investimenti finanziari predisposti, del “buon fine” degli stessi e della loro reale idoneità a migliorare la situazione degli studenti, specie di quelli che si trovano in condizioni di maggiore difficoltà nel fruire dell’insegnamento a distanza.10 

 

3. Conclusioni. 

In conclusione, vale la pena osservare che, se la didattica in presenza è idonea a favorire la diffusione dei contagi e, quindi, il principio di precauzione deve orientare le scelte del decisore pubblico, allora non è dato comprendere il motivo per cui il Presidente della Regione Piemonte si sia limitato a imporre la didattica a distanza esclusivamente alle scuole medie, e non anche alle elementari e agli istituti dell’infanzia, dati i rischi forse ancora maggiori che ivi si corrono, stante il mancato utilizzo dei DPI da parte dei discenti più piccoli. Il TAR, al proposito, non nega che la scelta della Regione «non sia affatto vincolata dalla legge, né necessitata dalle condizioni del contesto, tanto che non sarebbe stata doppiata in altre contesti regionali», tuttavia ritiene di non poterla bollare «come irragionevole o illogica, visto il solido ancoraggio logico-epistemologico al principio di precauzione e il grado di corroborazione fornita dai pareri scientifico-sanitari su cui si è basata». 

A questo riguardo, sembra che il TAR Piemonte offra un’articolazione dei rapporti tra precauzione e proporzionalità idonea a consentire che il primo principio possa oscurare il secondo; se basta infatti la generale precauzione fondata sui pur autorevoli pareri tecnico-scientifici, non si capisce quale sia la misura entro la quale il test di proporzionalità possa esplicare i propri effetti. Nondimeno, va riconosciuto che è lo stesso TAR nel paragrafo finale delle motivazioni a sostenere che, con l’eventuale passaggio in zona gialla, «sarà onere dell’Autorità regionale valutare l’adeguatezza delle future misure in tema di modalità di svolgimento della didattica nelle scuole secondarie di primo grado alla luce della prudente applicazione del principio di precauzione al mutato contesto, assicurando sempre la prescritta “preliminare valutazione scientifica obiettiva” e limitando la compressione del diritto all’istruzione entro i limiti strettamente necessari per assicurare l’alto livello di protezione della salute: in altre parole, la declassificazione del livello di rischio della Regione comporterà un onere motivazionale aggravato per il mantenimento di misure derogatorie in pejus, specie in materia di didattica scolastica». 

Il mantenimento di misure restrittive allo scalare della classificazione della zona di rischio richiede cioè un surplus di argomentazione, tale per cui le esigenze del bilanciamento avranno un peso maggiore rispetto a quello da esse rivestito a un livello di rischio superiore. Pur nella correttezza di tale affermazione, che pare peraltro prefigurare un futuro revirement nel caso di decisioni analoghe in zona gialla, non può non negarsi che già il passaggio dalla zona rossa a quella arancione avrebbe richiesto che il mantenimento di misure egualmente restrittive, giudicate in via automatica non proporzionate dall’atto normativo statale, fosse sostenuto da argomenti più stringenti, sia con riguardo ai dati che giustificano un’applicazione così pervasiva dell’anzidetto principio, sia con riguardo all’esigenza di comprimere per un ulteriore lasso di tempo un diritto costituzionalmente garantito qual è quello all’istruzione, peraltro in maniera differenziata tra discenti di scuole di ordine e grado diversi.

 

1 Giurista, funzionario di un’Autorità amministrativa indipendente ed editorialista del quotidiano Domani.

 

2 Ricercatore a t.d. in Istituzioni di diritto pubblico nell’Università degli Studi di Torino.

 

 

3 T.A.R. Puglia (Bari), Sez. III, dec., 6 novembre 2020, n. 680 e T.A.R. Puglia (Lecce), Sez. II, dec., 6 novembre 2020, n. 695. Sulle vicende pugliesi M. Pierri, Il bilanciamento tra diritto alla salute e all’istruzione ai tempi del Covid-19, tra poteri del Governo e dei “Governatori”: il caso della Puglia, in Osservatorio AIC, n. 6/2020, 121 e sgg.. Cfr. anche: T.A.R. Calabria (Catanzaro), Sez. I, 23 novembre 2020, n. 609. Per un’analisi di altri casi risolti dalla giustizia amministrativa vedasi: P. Maci, La scuola nel conflitto Stato-Regioni tra TAR e leale collaborazione. Il sistema istruzione alla prova dell’emergenza sanitaria da Covid-19, in BioLaw Journal – Rivista di BioDiritto, n. 1/2021, 221 e sgg..

 

4 Sul punto sia consentito rinviare a: G. Boggero, “Le more dei dpcm sono ghiotte per le Regioni”. Prime osservazioni sull’intreccio di poteri normativi tra Stato, Regioni ed enti locali nell’emergenza da Covid-19, in: Dirittiregionali.it n. 1/2020. Vedasi anche: G. Guzzetta, E se il caos delle norme anti-contagio fosse un trucco per toglierci la voglia di libertà?, in Il Dubbio, 4 aprile 2020; F. Cintioli, Sul regime del lockdown in Italia (note sul decreto-legge n. 19 del 25 marzo 2020), in Federalismi.it, 6 aprile 2020. Lungi dal risultare superata con l’adozione del d.l. 19/2020 tale teoria è stata, in realtà, suffragata da prassi e giurisprudenza successive, atteso che, al subentrare di un nuovo d.P.C.M. e nelle more del successivo le Regioni hanno continuato ad adottare ordinanze contingibili e urgenti aventi contenuto derogatorio più restrittivo. Al riguardo, va dato conto che, in una recente pronuncia di natura cautelare (n. 32/2021), il Presidente del TAR Lombardia (Milano), nel valutare la portata del potere del Presidente della Regione di introdurre misure derogatorie più restrittive rispetto a quelle adottate a livello statale, ha messo in luce come, invece, sino alla permanenza dell’efficacia di un d.P.C.M., «il quadro normativo esclude la possibilità di un intervento regionale» ed è solo nelle more dell’adozione di un nuovo d.P.C.M, ossia una volta che esso abbia cessato di essere efficace, che «si riattiva la competenza regionale». Va, tuttavia, rilevato che nel panorama giurisprudenziale si tratta dell’unico caso in cui si offre una tale interpretazione fortemente riduttiva del funzionamento delle “more”. Cfr. nota di F. Barletta, Diritto alla salute e diritto all’istruzione alla prova dell’emergenza pandemica. Proporzionalità e ragionevolezza delle scelte amministrative, in: Questione Giustizia, n. 1/2021, la quale non rileva, però, l’eccezionalità della pronuncia sotto questo profilo, ma ritiene che il giudice amministrativo si limiti a ricostruire pedissequamente il quadro normativo.

 

5 In una delle decisioni (n. 872/2021)il Tribunale dà conto del fatto che «i ricorrenti hanno prodotto, a sostegno del ricorso, svariati studi scientifici pubblicati da prestigiose riviste mediche, reports sui dati di contagio in ambito scolastico rilevati in Toscana ed in Sicilia, nonché relazioni scientifiche, (…) rilasciate da esperti in epidemiologia, in biomedica e in biostatistica, nelle quali si analizzano funditus i dati forniti dall’Istituto Superiore di Sanità: tali relazioni pervengono alla conclusione che non esistono evidenze scientifiche solide e incontrovertibili circa il fatto (i) che il contagio avvenuto in classe influisca sull’andamento generale del contagio, (ii) che l’aumento del contagio tra i soggetti in età scolastica sia legato all’apertura delle scuole, (iii) che la c.d. variante inglese si diffonda maggiormente nelle sole fasce d’età scolastiche, (iv) che le diverse varianti circolanti nel Paese siano resistenti ai vaccini in uso in Italia, e affermano che “Le analisi qui condotte non dimostrano una situazione di aumentata pericolosità a livello di aumento di contagi, diffusione di focolai scolastici, trasmissione secondaria in ambito scolastico, aumentato rischio per individui in età scolare di trasmettere la c.d. variante inglese rispetto alla popolazione. Rappresentano invece un’invidiabile situazione a livello europeo di capacità di tracciamento dei casi e pertanto nella classificazione dello scenario italiano secondo OMS”».

 

6 Cfr. le osservazioni critiche di A. Poggi, Il “governo” del sistema di istruzione tra Stato e Regione nella c.d. seconda ondata. “Precauzione” o “programmazione”? in questa Rivista, n. 3/2020. Non diverse le argomentazioni di F. De Leonardis, Il principio di precauzione nella gestione dell’emergenza epidemiologica: dall’attività puntuale alla programmazione e all’organizzazione, in: M. Malvicini (a cura di), Il governo dell’emergenza, Napoli, 2021, 51 e sgg.

 

7 Il d.l. n. 149/2020 (c.d. Ristori-Bis) non è stato successivamente convertito in legge del Parlamento, ma abrogato dall’art. 1, co. 2 della l. 176/2020, ai sensi del quale sono stati fatti salvi gli atti e i provvedimenti adottati nonché gli effetti e i rapporti giuridici sorti sulla base di tale decreto-legge.

 

8 Va evidenziato come soltanto il d.P.C.M. 2 marzo 2021 abbia sancito all’art. 43 una misura mai adottata prima: nelle zone rosse, la sospensione delle attività dei servizi educativi dell’infanzia e delle attività scolastiche e didattiche delle scuole di ogni ordine e grado. Materne, elementari e prima media non erano mai state interessate da alcun provvedimento di chiusura. Il provvedimento, all’art. 21, comma 2, ha altresì previsto che «La misura di cui al primo periodo dell’articolo 43» – la sospensione delle attività suddette – «è disposta dai Presidenti delle regioni o province autonome nelle aree, anche di ambito comunale, nelle quali gli stessi Presidenti delle regioni abbiano adottato misure stringenti di isolamento in ragione della circolazione di varianti di SARS-CoV-2 connotate da alto rischio di diffusività o da resistenza al vaccino o da capacità di indurre malattia grave; la stessa misura può altresì essere disposta dai Presidenti delle regioni o province autonome in tutte le aree regionali o provinciali nelle quali l’incidenza cumulativa settimanale dei contagi sia superiore a 250 casi ogni 100.000 abitanti oppure in caso di motivata ed eccezionale situazione di peggioramento del quadro epidemiologico». Con il decreto-legge n. 44/2021, si è, invece, ripristinato un regime simile a quello precedente, stabilendo che «Dal 7 aprile al 30 aprile 2021, è assicurato in presenza sull’intero territorio nazionale lo svolgimento dei servizi educativi per l’infanzia (…) e dell’attività scolastica e didattica della scuola dell’infanzia, della scuola primaria e del primo anno di frequenza della scuola secondaria di primo grado». Ma nel mentre si prescrive che «La disposizione (…) non può essere derogata da provvedimenti dei Presidenti delle regioni e delle province autonome di Trento e Bolzano e dei Sindaci», si stabilisce altresì che «La predetta deroga è consentita solo in casi di eccezionale e straordinaria necessità dovuta alla presenza di focolai o al rischio estremamente elevato di diffusione del virus SARS-CoV-2 o di sue varianti nella popolazione scolastica». Siccome le condizioni di derogabilità sono sostanzialmente quelle alle quali era già subordinato l’uso di ordinanze extra ordinem da parte dei Presidenti di Regione, non pare che la norma de qua restringa davvero l’esercizio di un tale potere. 

 

9 Sul bilanciamento tra diritto alla salute e diritto all’istruzione vedasi tra gli altri i saggi di: L. Dell’Atti, Bilanciare istruzione e salute. Considerazioni brevi su strumenti unitari e leale collaborazione a partire da talune ordinanze regionali in materia di sospensione della didattica “in presenza”, in Osservatorio AIC, n. 1/2021, 87-107; G. Di Cosimo, Stato, Regioni e didattica: troppa distanza?, in Le Regioni, n. 6/2020, 1267-1270; R. Calvano, L’istruzione, il Covid-19 e le disuguaglianze, in: Costituzionalismo.it, n. 3/2020, 57 e sgg..

 

10 B. Bruschi – P. Ricchiardi, Effetti della chiusura delle scuole sull’apprendimento degli studenti, in questa Rivista, Anno VII, Numero 2 – 2020; per una disamina delle prime rilevazioni circa gli effetti del lockdown sugli studenti vedi anche: F. Di Lascio, Il sistema nazionale d’istruzione di fronte all’emergenza sanitaria, in Federalismi.it n. 4/2021, 90 e sgg..