La manovra di bilancio 2017-2019

Matteo Barbero[1]

1. Premessa.

La manovra di finanza pubblica che si sta delineando in queste settimane per il triennio 2017-2019 si articola su diversi provvedimenti: oltre al disegno di legge di bilancio (che, come diremo, incorpora anche i contenuti della ormai superata legge di stabilità) ed al c.d. “decreto fiscale” (D.L. 193/2016), già in vigore e che fornisce una quota significativa (circa 4,5 miliardi) delle entrate che garantiscono (insieme all’incremento del disavanzo su cui è in corso una trattativa fra il Governo e la Commissione europea) la copertura delle misure espansive sul lato della spesa, occorre considerare, specialmente in un’analisi delle disposizioni che avranno un impatto sugli enti territoriali, la L. 164/2016, approvata in via definitiva dal Parlamento lo scorso mese di agosto.

Quest’ultima, infatti, ha novellato la L. 243/2012 (a sua volta attuativa dell’art. 81 Cost., come riscritto dalla L. Cost. 1/2012), definendo la cornice dei vincoli di finanza pubblica imposti a regioni, città metropolitane, province e comuni. Si tratta di una riforma di notevole rilevanza, che sancisce il definitivo superamento del Patto di stabilità interno (già disapplicato a decorrere dal 1° gennaio 2015 dalla L. 208/2015) e la stabilizzazione normativa del pareggio di bilancio, che rappresenterà per i prossimi anni il principale meccanismo di coordinamento finanziario fra lo Stato e i livelli di governo autonomi in funzione del rispetto degli obiettivi comunitari di contenimento del disavanzo e di riduzione del debito.

Il presente lavoro, quindi, prende le mosse dall’analisi di quest’ultimo provvedimento (paragrafo 2), per procedere successivamente ad una rapida analisi degli altri due (paragrafi 3 e 4); nel paragrafo 5, infine, sono riportate alcune brevi considerazioni conclusive.

 

2. La riforma del pareggio di bilancio.

Il testo originario della L. 243/2012 prevedeva che regioni ed enti locali dovessero garantire l’equilibrio dei seguenti saldi:

a) saldo fra entrate e spese finali in termini di competenza;

b) saldo fra entrate e spese finali in termini di cassa;

c) saldo fra entrate e spese correnti in termini di competenza;

d) saldo fra entrate e spese correnti in termini di cassa.

Si trattava, dunque, di una disciplina estremamente restrittiva, la quale, considerata la necessità di garantirli sia a preventivo che a consuntivo, avrebbe portato a otto gli obiettivi da conseguire, rispetto all’unico obiettivo previsto dal Patto.

Essa si sarebbe dovuta applicare già a decorrere dal 1° gennaio 2016; tuttavia, con una lettura giuridicamente assai discutibile, si è ritenuto che la sua applicazione riguardi i bilanci relativi agli esercizi 2017 e seguenti, che come noto devono essere approvati (secondo la disciplina ordinaria, peraltro sempre derogata) nel corso del 2016.

Questa contorsione interpretativa è figlia del carattere “rinforzato” della L. 243, la quale, a mente dell’art. 81, comma 6, Cost., è modificabile solo mediante una legge approvata a maggioranza assoluta dei componenti di Camera e Senato. La sua riscrittura, quindi, ha richiesto tempi non compatibili con la scorsa sessione di bilancio dello Stato ed è stata completata solo la scorsa estate, con l’approvazione della L. 164/2016.

Nel frattempo, però, la L. 208/2015 (legge di stabilità 2016) aveva, per così dire, anticipato la novella, disponendo il superamento del Patto e l’introduzione già per l’esercizio 2016 del pareggio fra entrate e spese finali, declinato però solo in termini di competenza.

La L. 164 ha completato il percorso, abrogando gli altri tre saldi previsti dalla prima versione della L. 243 (ovvero il saldo finale di cassa ed il saldo corrente, sia di competenza che di cassa).

Essa, inoltre, ha adeguato l’aggregato contabile di riferimento alla riforma dei bilanci degli enti territoriali introdotta dal D. Lgs. 118/2011, anch’essa entrata a pieno regime dal 2016. In particolare, la L. 164 ha regolamentato la rilevanza, ai fini del saldo finale, del fondo pluriennale vincolato, che nel bilancio armonizzato rappresenta il nuovo strumento per raccordare la gestione delle entrate e delle spese in funzione della loro diversa esigibilità.

Il tema è solo apparentemente tecnico, ma in realtà presenta una dimensione strategica: l’inclusione del fondo pluriennale vincolato nel saldo rilevante ai fini del pareggio, infatti, è essenziale per garantire un quadro programmatorio stabile alle amministrazioni regionali e locali, ma pone un problema di copertura finanziaria nel bilancio dello Stato. Per questa ragione, la L. 208/2015 l’aveva prevista solo limitatamente all’anno 2016, creando una pericolosa discontinuità nell’orizzonte temporale ormai necessariamente triennale previsto dall’armonizzazione. La L. 164 ha ricucito lo strappo, ma per il triennio venturo ha rimesso l’individuazione della copertura finanziaria alla legge di bilancio.

La novella della L. 243 ha anche modificato altri punti rilevanti, che in questa sede è solo possibile richiamare succintamente.

In primo luogo, essa ha ridisegnato le intese (sia di livello regionale che di livello nazionale) che, in base all’art. 10, dovrebbero garantire l’ottimale distribuzione della capacità di spesa, per quanto concerne in particolare la possibilità di utilizzare la leva del debito o gli avanzi di amministrazione come fonti di finanziamento degli investimenti. Ciò in quanto tali entrate non sono utili ai fini del conseguimento del pareggio (come già accadeva in regime di Patto), per cui il loro utilizzo deve essere regolamentato in modo da assicurare l’equilibrio a livello aggregato.

Infine, la L. 164 ha modificato il sistema di incentivi e sanzioni chiamato a rafforzare la cogenza dei vincoli appena descritti.

 

3. Il disegno di legge di bilancio.

Come già accennato, per effetto della recente riforma della contabilità di Stato operata dalla L. 163/2016, i contenuti della legge di bilancio e della legge di stabilità vengono ora ricompresi in un unico provvedimento, costituito dalla nuova legge di bilancio, riferita ad un periodo triennale ed articolata in due sezioni: la prima svolge essenzialmente le funzioni dell’ex legge di stabilità, la seconda quelle della legge di bilancio.

Le misure riguardanti gli enti territoriali sono contenute nella prima sezione, principalmente agli art. 63 e seguenti (ma la numerazione di articoli e commi è destinata a cambiare nel corso dell’iter parlamentare).

Prima, però, occorre richiamare l’art. 10, che estende al 2017 il divieto di incrementare la pressione fiscale a livello regionale e locale già previsto dal comma 26 della L. 208/2015. Stop, quindi, anche per il prossimo anno, agli incrementi delle aliquote (anche se già deliberati), all’istituzione di nuovi prelievi, ovvero alla cancellazione di agevolazioni. Rimangono fuori dal blocco solo (per le regioni) le manovre su Irap e addizionale regionale Irpef legate ai piani di rientro del disavanzo sanitario o necessarie per accedere alle anticipazioni di liquidità previste dal D.L. 35/2013 per accelerare il pagamento dei debiti commerciali delle pubbliche amministrazioni, la Tari (per i comuni) e gli enti in pre-dissesto ed in dissesto.

Per gli enti locali, non sono previsti tagli aggiuntivi, mentre per le regioni, oltre ad una sostanziale riduzione del fondo sanitario nazionale (che viene bensì incrementato, ma in misure inferiore rispetto alle nuove o maggiori spese, a partire da quelle per i nuovi Lea), rimangono inalterati gli effetti delle pesanti manovre varate negli scorsi anni. Per assicurare un sostegno finanziario agli enti territoriali, l’art. 63 del disegno di legge stanzia due fondi per complessivi 3 miliardi di euro circa (di cui 2 miliardi solo in termini di saldo netto da finanziare e 1 miliardo anche in termini di indebitamento netto), che dovranno essere distribuiti fra regioni, città metropolitane, province e comuni. Il riparto è attualmente rimesso ad un dpcm, ma potrebbe essere disposto direttamente mediante un emendamento.

L’art. 65 ridefinisce la disciplina pareggio di bilancio per adeguarla, come detto, alla L. 243/2012 novellata dalla L. 164/2016.

Fra le novità più attese, senza dubbio l’inclusione del fondo pluriennale vincolato nel saldo anche per il triennio 2017-2019, al netto della quota derivante da debito, mentre dal 2020 non potrà essere conteggiato neppure quello originato da applicazione di avanzo. Non varrà ai fini del saldo, invece, la quota di fondo di entrata che finanziava impegni cancellati in sede di rendiconto: tale precisazione sembra confermare a contrario che per il 2016 le economie su impegni finanziati da fpv (fondi pluriennali vincolati) in entrata producono effetti positivi sul pareggio.

Il ddl prevede, in deroga al punto 5.4 del principio contabile applicato sulla contabilità finanziaria (allegato 4/2 del D. Lgs. 118/2011), la possibilità di utilizzare il fondo pluriennale vincolato anche per le spese per lavori pubblici per le quali non sia ancora stata bandita la gara o impegnata una parte del quadro tecnico economico, purché l’ente disponga almeno di un progetto esecutivo redatto e validato a norma di legge e approvi il bilancio di previsione del prossimo triennio entro il 31 gennaio 2017. La norma fa riferimento esclusivamente al fondo nato in spesa nel 2015, per cui non vi rientra al momento quello nato nel 2016 (ad esempio a seguito di applicazione di avanzo nell’anno in corso). Come nel 2016, non saranno da conteggiare nel saldo il fondo crediti di dubbia esigibilità e gli altri fondi accantonati.

Viene anche ridisegnato, sempre sulla scorta della riforma della L. 243, il sistema sanzionatorio, prevedendo innanzitutto la spalmatura del taglio che colpisce le amministrazioni che sforano: anziché essere caricato tutto sull’anno successivo alla violazione o del suo accertamento, verrà rateizzato su tre anni a quote costanti. Rimangono, invece, annuali le altre sanzioni, consistenti nel tetto agli impegni di spesa corrente (che si abbassa, perché gli enti inadempienti non potranno superare l’importo dell’anno precedente ridotto dell’1%), nel divieto di indebitarsi per finanziare le spese di investimento, nel blocco delle assunzioni (da cui vengono escluse a tempo determinato su alcune funzioni sensibili) e nella decurtazione delle indennità del sindaco/presidente e dei componenti della giunta (che viene attualizzata all’importo percepito nell’anno della violazione, mentre fino al 2016 si faceva riferimento all’ammontare risultante alla data del 30 giugno 2014).

La seconda novità riguarda la previsione di attenuanti a favore degli enti che realizzano uno sforamento contenuto: qualora il mancato conseguimento del saldo risulti inferiore al 3% degli accertamenti di entrate finali realizzati nell’anno della violazione, il tetto agli impegni correnti sarà calcolato senza la decurtazione dell’1%, il blocco delle assunzioni si applicherà solo a quelle a tempo indeterminato (e non alle assunzioni flessibili) e la “multa” agli amministratori scenderà al 10%.

Ricompaiono gli incentivi, in ossequio alla L. 243/2012, che saranno di due tipi:

1) una premialità monetaria finanziata coi proventi delle sanzioni applicate a quelli inadempimenti nell’anno precedente, che andrà agli enti in regola col saldo di competenza e che abbiano conseguito un saldo finale di cassa non negativo;

2) un alleggerimento dei vincoli alla spesa di personale per gli enti che non lasceranno spazi finanziari inutilizzati in misura superiore all’1% degli accertamenti delle entrate finali.

Infine, per ciascuno degli anni 2017, 2018 e 2019, viene previsto un plafond di spazi finanziari da 1.200 milioni all’anno per il prossimo triennio (500 per le Regioni, 700 per i comuni), destinati a sbloccare l’utilizzo dell’avanzo di amministrazione o del debito. Tali spazi saranno assegnati secondo un preciso ordine di priorità.

Il meccanismo, quindi, a differenza degli anni passati, sarà prevalentemente a regia nazionale, mentre alle regioni spetterà un ruolo di seconda istanza. Esse, infatti, dovranno coordinare le intese previste dall’art. 10 della L. 243/2012.

Per i comuni, meritano di essere segnalate anche le norme (art. 64) riguardanti il fondo di solidarietà. La dote complessiva rimane sostanzialmente invariata (compresa la quota di 80 milioni destinata agli enti che applicano la Tasi sull’abitazione principale con aliquota inferiore all’1 per mille), ma vengono modificati nuovamente i criteri di riparto. La quota assegnata in base ai fabbisogni standard salirà nel 2017 al 40%, per arrivare progressivamente al 100% dal 2021. Per evitare contraccolpi eccessivi, è prevista una clausola di salvaguardia che sterilizzerà le variazioni in più o in meno superiori all’8%.

Al momento, il testo non prevede un rifinanziamento del c.d. fondo Imu-Tasi che lo scorso anno ha distribuito 390 milioni a favore dei 1800 comuni.  Tuttavia, tale misura potrebbe essere ripescata e coperta con le risorse al momento allocate nei fondi di cui al già citato art. 63.

 

4. Il decreto fiscale.

L’ultima componente della manovra è rappresentata dal decreto fiscale (D.L. 193/2016), come detto, già entrato in vigore ma anch’esso suscettibile di modifiche in sede di conversione.

Fra le disposizioni di interesse degli enti territoriali, segnaliamo l’art. 2, comma 1, che sopprime Equitalia, le cui società saranno sciolte a decorrere dal 1° luglio 2017 sostituendola con il costituendo ente pubblico economico “Agenzia delle entrate – Riscossione”. Tale misura impatta ovviamente anche sul mondo della riscossione locale, interessato da un risalente mai completato percorso di riforma. Già l’art. 3, commi 25 e 25-bis, del D.L. 203/2005, stabiliva che le attività svolte in regime di concessione per conto degli enti locali potessero continuare ad essere esercitate da Equitalia, salvo diversa determinazione dell’ente locale, fino alla data del 31/12/2010, termine più volte prorogato, anche per attendere l’attuazione (mai arrivata) della sopravvenuta legge delega fiscale (art. 10, comma 1, lettera c, L. 23/2014).

Ora, con la chiusura di Equitalia, è arrivata l’ennesima proroga (per la precisione, si tratta della nona) fino al prossimo 30 giugno. Per il futuro, invece, con deliberazione adottata entro il 1° luglio 2017, gli enti locali potranno continuare ad avvalersi, per sé e per le società da essi partecipate, del soggetto preposto alla riscossione nazionale. Infine, il comma 3 stabilisce che, entro il 30 settembre di ogni anno, i medesimi comuni possono deliberare l’affidamento dell’esercizio delle funzioni relative alla riscossione al predetto soggetto.  Ciò non solo, come accaduto fino ad oggi, per la riscossione coattiva, ma per tutte le attività di accertamento, liquidazione e riscossione (anche spontanea) delle entrate.

Da citare, infine, l’art. 6, che prevede la definizione agevolata dei carichi inclusi in ruoli affidati agli agenti della riscossione negli anni dal 2000 al 2015. I contribuenti interessati potranno estinguere il debito senza corrispondere sanzioni e interessi di mora e dilazionando il pagamento entro il limite massimo di quattro rate. La misura riguarda anche i ruoli riguardanti gli enti locali (non delle regioni), compresi quelli che hanno abbandonato Equitalia e utilizzano lo strumento dell’ingiunzione fiscale. Questi ultimi, esclusi dal testo vigente, saranno recuperati grazie ad un emendamento già approvato, che consentirà loro di deliberare l’adesione alla c.d. “rottamazione” entro 60 giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione, definendo tempi e modalità. Per i ruoli affidati a Equitalia, invece, la rottamazione è automatica.

 

5. Conclusioni.

La manovra in precedenza sommariamente illustrata si presenta, quindi, molto articolata e ancora in divenire. Già adesso, tuttavia, è possibile esprimere qualche breve valutazione.

Molto positivo pare il tentativo di normalizzare la finanza locale, garantendo regole stabili che possano consentire agli enti di approvare i bilanci di previsione in tempi ragionevoli (il ddl di bilancio concede una proroga del termine ordinario del 31 dicembre, ma solo fino al 28 febbraio 2017, inserendosi in un trend già avviato nelle precedenti manovre).

Rimane aperto, invece, il problema dell’autonomia finanziaria, che, dopo anni di federalismo fiscale promesso e non realizzato, si trova oggi ai minimi termini, non solo a causa del blocco della fiscalità, ma anche per effetto della reintroduzione di forme surrettizie di finanza derivata (basti pensare alle compensazioni dei mancati gettiti Imu e Tasi a favore dei comuni).

Ancora particolarmente critica, infine, la situazione degli enti di area vasta, di fatto mantenuti in una sorta di “coma farmacologico” in attesa di completarne la trasformazione prevista dalla L. 56/2014.

È su questi aspetti che occorrerà lavorare nei prossimi anni.

 


 


[1]Avvocato e dottore di ricerca in diritto pubblico, funzionario della Regione Piemonte – Direzione Risorse finanziarie.