La professionalizzazione della pubblica amministrazione nella riforma Madia

Barbara Gagliardi[1]

L’intervento sul lavoro pubblico definito dalla legge delega nota come “riforma Madia”[2] investe molteplici istituti: la dirigenza, anche con la soppressione del ruolo dei segretari comunali, la responsabilità disciplinare, la valutazione della performance, la contrattazione integrativa, l’integrazione dei disabili impiegati nelle pubbliche amministrazioni, il lavoro flessibile e altri ancora.

È già stato evidenziato come il “perno” della riforma sia rappresentato dal principio del pubblico concorso (art. 97, co. 4°, Cost.)[3] che è riaffermato per l’assunzione del personale di livello apicale e non, e che ispira altresì il conferimento degli incarichi dirigenziali.

Si conferma così un’evoluzione cui ha dato anzitutto impulso l’intervento “in difesa del pubblico concorso” dispiegato negli ultimi vent’anni dal giudice costituzionale, cui il legislatore ha fatto eco solo in tempi recenti[4]. Il riferimento è alle decine di sentenze pronunciate sin dagli anni ’90 sui concorsi interni[5], seguite negli anni 2000 da quelle sulle stabilizzazioni che hanno caratterizzato specialmente il contenzioso in via principale nei confronti della legislazione regionale, dimostratasi spesso particolarmente “attenta” alle esigenze del personale detto “precario”.

Contenzioso tutto che ha ricordato il carattere eccezionale della deroga al principio concorsuale e specialmente al carattere “pubblico” – nel senso di aperto al pubblico – del concorso, che si giustifica solo ove sia possibile addurre «straordinarie esigenze di interesse pubblico»[6].

La legge delega si pone nel solco della giurisprudenza costituzionale e fa del concorso uno strumento di “moralizzazione” della pubblica amministrazione ma anche di razionalizzazione della spesa pubblica e di ricambio generazionale.

Se il concorso è il “fil rouge” della riforma, non manca l’attenzione ad altri istituti che si assumono capaci di favorire una maggiore professionalizzazione dell’amministrazione: la formazione con la riforma della Scuola Nazionale d’Amministrazione (S.N.A.), la mobilità con l’unificazione dei ruoli della dirigenza e il progressivo superamento delle dotazioni organiche come limite alle assunzioni, la valutazione della performance con la semplificazione delle relative procedure.

 

1. La professionalità di funzionari e dipendenti pubblici.

La valorizzazione della professionalità di funzionari e dipendenti pubblici trova nel principio del concorso pubblico un’ineludibile garanzia di effettività.

È noto infatti che il metodo concorsuale di selezione si è affermato negli ordinamenti degli stati moderni quale strumento di tutela dell’eguale accesso dei cittadini agli impieghi nella pubblica amministrazione (art. 51 Cost.), ma altresì per la verifica dell’adeguata preparazione dei candidati, contemporaneamente al perfezionarsi del processo di professionalizzazione dell’amministrazione pubblica[7].

Nello stesso senso – di riconoscimento e rafforzamento della professionalità – si pone la valorizzazione del titolo di dottore di ricerca (art. 17, co. 1°, lett. f)[8], quella delle esperienze maturate all’estero per i dirigenti, l’accertamento della conoscenza della lingua inglese o di altre lingue quale requisito di partecipazione alle selezioni o titolo di merito (art. 17, co. 1°, lett. e)[9] o ancora, per la dirigenza, la nuova disciplina del conferimento degli incarichi dirigenziali (art. 11), quella sugli obblighi formativi e sul ruolo della ridisegnata Scuola Nazionale d’Amministrazione, e così via.

Corrisponde alla valorizzazione della professionalità dei funzionari altresì il principio o criterio direttivo per cui le prove concorsuali debbono privilegiare «l’accertamento della capacità dei candidati di utilizzare e applicare a problemi specifici e casi concreti le nozioni teoriche», superando quello che talora è stato indicato come un eccessivo nozionismo delle prove d’esame, in cui in passato si è rinvenuto un limite quasi “coessenziale” al concorso pubblico[10].

Il principio del concorso talora è stato messo in discussione proprio in ragione della – vera o presunta – inadeguatezza delle prove ad assicurare una selezione appropriata, a confronto con assunzioni effettuate «con le capacità e i poteri del privato datore di lavoro» (d.lgs. n. 165 del 2001, art. 5), confondendosi il principio di una selezione imparziale e meritocratica con le modalità della sua attuazione.

Il dibattito sul contenuto delle prove d’esame richiama l’alternativa tra «practical» e «literary skills», che è da tempo nota e discussa in tutte le esperienze ove si è affermato un reclutamento meritocratico e aperto a chiunque sia in possesso dei requisiti previsti dalla legge. Basti pensare che essa compare già nel Northcote-Trevelyan Report del 1854 che è ricordato anzitutto per aver favorito nel Regno Unito l’introduzione del c.d. “merit system” in sostituzione di un sistema di reclutamento dominato da compravendita dei posti e clientelismo[11].

Le critiche al carattere eccessivamente “accademico” delle prove d’esame – che appaiono lontane dal lavoro quotidiano e dunque dalle esigenze dell’amministrazione – corrispondono all’alternativa tra accertamento delle «capacità e attitudini» oppure delle conoscenze dei candidati.

Già secondo J.S. Mill queste ultime da sole sono «poco più di un peso morto», se non si accompagnano al possesso di talune qualità e capacità “ulteriori”, che all’epoca parevano sufficientemente garantite dalla provenienza dalle migliori università del paese[12] e dalla formazione di tipo letterario da queste dispensata.

Più di recente le critiche – in certa misura condivise anche nelle sedi più istituzionali deputate al controllo sugli atti del Governo[13] – sono soprattutto rivolte alle classiche prove di cultura generale[14] che si assumono inadeguate perché prive di rapporto con le mansioni che si andranno a esercitare.

Ciò che tuttavia si dimentica è che la selezione sulla cultura generale è propria del modello “di carriera” del lavoro pubblico perché mira a individuare un candidato destinato a trascorrere nella pubblica amministrazione tutta – o gran parte della – sua vita professionale. Non rileva la sua capacità di ricoprire un posto in particolare (ad es. la conoscenza della disciplina degli appalti pubblici per un posto nell’ufficio acquisti, o la capacità di applicare gli istituti contrattuali per un impiego nell’ufficio del personale), ma la sua generale idoneità a entrare nella pubblica amministrazione per porsi «al servizio della Nazione» (art. 98, Cost.), ricoprendo gli impieghi corrispondenti al suo profilo e livello d’inquadramento che via si renderà disponibili.

Resta che la selezione sulla cultura generale rischia talora di nascondere un reclutamento discriminatorio, che avvantaggia – per l’accesso ai livelli superiori di carriera – chi ha potuto avere condizioni privilegiate per risorse economiche e culturali, in sostanziale contraddizione con il principio dell’eguale accesso agli impieghi pubblici (art. 51, Cost.)[15].

È possibile infatti ne risultino penalizzati i ceti sociali disagiati e specialmente le minoranze etniche o razziali, in contraddizione con il carattere di diritto politico – cioè di “partecipazione alla polis” – dell’accesso agli impieghi pubblici.

Nella tradizione giuridica occidentale e sin dalla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, tale carattere ha fatto del concorso uno strumento d’integrazione e di rafforzamento dell’identità nazionale, poiché riservava il governo della res publica a quanti fossero ad essa legata dal vincolo di appartenenza sotteso alla cittadinanza.

La ratio identitaria ad esso sottesa mal si concilia tuttavia con quella inclusiva necessaria nelle emergenti società multietniche o multiculturali ove il tipo o livello di conoscenze richieste ai candidati non sia acquisibile nelle scuole «di ogni ordine e grado» istituite dallo Stato per soddisfare il diritto dei cittadini all’istruzione (artt. 33 e 34, Cost.).

In altre parole, è la scuola (e università) pubblica, in tutte le sue articolazioni e sino ai «gradi più alti degli studi», a dover fornire ai «capaci e meritevoli» gli strumenti utili a una piena partecipazione alla vita politica e sociale della Repubblica, anche offrendo le conoscenze necessarie all’accesso agli impieghi pubblici.

 

2. I concorsi unici.

È probabilmente la riaffermazione dei concorsi unici – o, secondo la lettera della legge delega, «concorsi in forma centralizzata o aggregata», utili ad assicurare «omogeneità qualitativa e professionale in tutto il territorio nazionale per ruoli equivalenti» (art. 17 co. 1°, lett. c, l. n. 124 del 2015, cit.) – l’elemento su cui la riforma sembra investire maggiormente.

Anche qui il modello è noto da tempo: se ne rinvengono tracce nei lavori della commissione de Stefani del 1929, in quella per le riforme costituzionali presieduta da Forti nel 1945-46, ancora nel c.d. “Rapporto Giannini” del 1979[16], sino a trovare accoglimento nella disciplina di attuazione della contrattualizzazione con i concorsi unici nazionali banditi dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della funzione pubblica[17]e di recente nel c.d. decreto D’Alia del 2013[18].

L’aggregazione non esclude, ma anzi idealmente si completa nel decentramento delle procedure, qui espresso dall’obbligo di «effettuare le prove in ambiti territoriali sufficientemente ampi da garantire adeguate partecipazione ed economicità» (art. 17, co. 1°, lett. c, cit.), ambiti territoriali già identificati «di norma» con il livello regionale, quantomeno per le amministrazioni dello Stato e delle aziende autonome (d.lgs. n. 165 del 2001, cit., art. 35, co. 5°).

In tal senso si intende consentire alle amministrazioni di reclutare attraverso le stesse procedure profili comuni a più enti (es. assistenti amministrativi, contabili, informatici, ecc.), organizzando poche selezioni comuni su base regionale o infraregionale, in modo da ridurre il numero di concorsi, ottenere un abbassamento dell’assenteismo dei candidati e favorire la specializzazione degli addetti agli uffici incaricati delle procedure.

Come si è già rilevato per i sistemi di aggregazione della domanda negli appalti pubblici[19], il concorso unico è capace di realizzare economie di scala e di aumentare la professionalità degli operatori nella gestione dei procedimenti selettivi. Nel contempo garantisce un’effettiva pubblicità – e si potrebbe dire “concorrenza” tra i candidati – in ragione della capacità di attrazione che caratterizza un concorso per un elevato numero di posti di impiego, in confronto con le selezioni per poche unità di personale talora indette dai singoli enti.

Il decentramento a propria volta riduce i costi dello spostamento per i candidati e allontana i sospetti di “favoritismi regionali”.

D’interesse è l’affermazione del concorso di livello provinciale per il personale degli enti locali, preannunciato peraltro già dalla c.d. Riforma del Rio, che prevede la possibilità per province e città metropolitane di svolgere funzioni di organizzazione dei concorsi “d’intesa con i comuni”[20].

L’aggregazione ricorda qui l’esperienza francese, ove il reclutamento della fonction publique territoriale è affidato a enti – statali, ma con circoscrizione dipartimentale – che – per preservare il principio costituzionale di “libre administration” degli enti locali – stilano liste degli idonei in ordine alfabetico, cui le collectivités locales sono libere di attingere, secondo un modello che preserva una comparazione quantomeno rispetto agli esclusi.

 

3. Il ricambio generazionale.

Altre previsioni rafforzano il principio del pubblico concorso: così anzitutto la «riduzione del termine di durata delle graduatorie», ove tuttavia sarebbe bastato riaffermare il principio generale della durata triennale (d.lgs. n. 165 del 2001, art. 35, co. 5 ter), anche se non è stato utile a evitare proroghe periodiche e ripetute, talora spintesi sino a quintuplicare l’originario termine di scadenza.

La limitazione del termine di durata delle graduatorie va letta in combinato disposto con il contenimento del numero di “idonei” non vincitori, che sono del tutto esclusi per il reclutamento della dirigenza, che questo avvenga per corso-concorso o per concorso (art. 11, co. 1°, lett. c, n. 1 e 2), e contenuti entro «limiti assoluti e percentuali, in relazione al numero dei posti banditi» per gli altri livelli d’inquadramento (art. 17, co. 1°, lett. c).

Entrambe le previsioni sembrano cogliere quell’imperativo di ricambio generazionale correlato a un’età media di cinquant’anni, che rende il pubblico impiego italiano il più vecchio d’Europa[21].

L’inversione di tendenza è netta al confronto con il più ampio intervento sull’impiego pubblico che ha preceduto quello in esame, il c.d. decreto d’Alia, ove al contrario si imponeva il previo scorrimento delle graduatorie degli idonei sino ad esaurimento quale condizione insopprimibile per l’indizione di nuove procedure aperte al pubblico[22].

Le esigenze di contenimento della spesa pubblica hanno da tempo condotto a ribaltare il rapporto regola-eccezione che ha caratterizzato l’alternativa concorso pubblico-scorrimento di una graduatoria preesistente: la tradizione considerava il concorso un principio generale derogabile solo eccezionalmente e «per straordinarie esigenze di interesse pubblico» anche a fronte della possibilità di utilizzare una graduatoria ancora vigente[23]. E ciò sulla scorta della considerazione per cui lo scorrimento rappresenta comunque una limitazione del diritto di «tutti i cittadini» di accedere ai pubblici uffici in condizione di eguaglianza (art. 51, Cost.).

È la considerazione del risparmio di spesa consentito dallo scorrimento a determinare l’inversione del principio, per cui si afferma l’obbligo di motivare specificamente l’opposta scelta di indire una nuova procedura di selezione[24], giungendosi in fine a riconoscere un “diritto allo scorrimento” a beneficio non dei soli vincitori dei concorsi, ma sinanco degli idonei[25].

La scelta sacrifica tuttavia le aspirazioni dei più giovani, e con esse quelle di un reclutamento capace di selezionare le migliori professionalità disponibili, rinunciando a un ricambio generazionale che pare irrinunciabile. Non solo perché secondo alcune analisi il periodo di massima creatività – e dunque capacità d’innovazione – si esaurisce circa a 35 anni, ma anche per sfruttare l’opportunità offerta dalla crisi economica, che, per la prima volta da molto tempo, sta rendendo la pubblica amministrazione capace di attirare i più brillanti giovani laureati.

 

4. La riforma della dirigenza e il conferimento degli incarichi dirigenziali.

Il principio di una selezione meritocratica e imparziale si afferma infine per il conferimento degli incarichi dirigenziali, ove si prescrivono «procedure comparative con avviso pubblico», affermando un obbligo di comparazione che era stato escluso dalla giurisprudenza d’inizio anni 2000 insieme all’obbligo di motivazione in ragione della natura “datoriale” degli atti di gestione del rapporto di lavoro (d.lgs. n. 165 del 2001, cit., art. 5, co. 2°).

È da dire che gli obblighi di comparazione e di motivazione erano stati da tempo recuperati in ragione di una lettura dei principi di correttezza e buona fede che ispirano l’esecuzione del rapporto (artt. 1175 e 1375 c.c.) “alla luce” dei principi costituzionali di imparzialità e buon andamento[26].

Il carattere pubblico dell’organizzazione si afferma dunque anche innanzi al giudice ordinario che giunge a imporre obblighi di pubblicità (motivazione del conferimento, comparazione tra i candidati) naturalmente estranei ai rapporti professionali gestiti «con le capacità e i poteri del privato datore di lavoro» (d.lgs. n. 165 del 2001, cit., art. 5, co. 2°), ma che diventano necessari in vista della tutela dell’interesse pubblico.

Se in passato il legislatore aveva raccolto l’evoluzione nel prevedere l’obbligo di conferimento previo avviso sul sito istituzionale dell’ente[27], con la riforma in commento vi aggiunge – espressamente – l’obbligo di comparazione delle candidature, che pure era già stato ritenuto corollario dell’obbligo di motivare la scelta.

Riemergono così alla luce gli interessi pubblici sottesi al conferimento degli incarichi dirigenziali: gli obblighi procedimentali sono strumentali alla tutela anzitutto dell’interesse sovraindividuale correlato a imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97, co. 2°, Cost.).

All’evoluzione in tal senso non corrisponde tuttavia quella che ne sarebbe la naturale conseguenza in termini di giurisdizione, e cioè l’attrazione del relativo contenzioso alla giurisdizione del giudice amministrativo, giudice naturale dell’interesse pubblico e della dimensione di macro-organizzazione a questo correlata[28].

Il punto è di assoluto rilievo, non solo per i caratteri di un sindacato attento alla tutela dell’interesse pubblico, ma anche per l’affermazione di una tutela costitutiva e di annullamento degli affidamenti illegittimi, in luogo di quella meramente risarcitoria riconosciuta dal giudice del lavoro. Tutela meramente risarcitoria che nel contenzioso sugli incarichi si traduce essenzialmente nel risarcimento del c.d. “danno da perdita di chances”, e ciò nonostante il giudice del lavoro possa adottare nei confronti delle pubbliche amministrazioni «tutti i provvedimenti, di accertamento, costitutivi e di condanna, richiesti dalla natura dei diritti tutelati» (d.lgs. n. 165 del 2001, cit., art. 63, co. 2°).

Le norme sul conferimento degli incarichi si inseriscono in un ampio disegno di riforma della dirigenza pubblica inteso ad aumentarne la professionalità attraverso la valorizzazione e semplificazione della mobilità, l’inasprimento del reclutamento, la riforma del sistema di formazione[29].

Così, sono istituiti i “ruoli unici” della dirigenza pubblica (dirigenza statale, regionale, degli enti locali) articolati in una sola fascia e gestiti dal dipartimento della Funzione pubblica, che cura altresì la tenuta della “banca dati del Sistema della dirigenza pubblica”, destinata a censire gli uffici di livello dirigenziale e i relativi titolari[30].

L’unificazione dei ruoli è corollario dell’aggregazione dei concorsi e vuole facilitare il passaggio da un’amministrazione all’altra – che avviene con la cessione del contratto al nuovo datore di lavoro, in costanza di iscrizione al ruolo -, secondo un processo favorito dalla riduzione dei comparti di contrattazione collettiva e delle corrispondenti aree della dirigenza (da n. 12 a n. 4)[31].

A ogni ruolo dovrebbe corrispondere una commissione nazionale di esperti incaricata di poteri di indirizzo e controllo sui principali atti di gestione della dirigenza, dal conferimento degli incarichi, alla valutazione della performance, sino ai procedimenti intesi a far valere la responsabilità dirigenziale[32], secondo un disegno simmetrico che solo recentemente ha incontrato, unitamente ad altre norme della legge delega, la censura della Corte costituzionale per violazione del principio di leale collaborazione (art. 120 Cost.)[33].

Parallelamente, si prevede il riordino delle responsabilità dirigenziali, ove l’affastellarsi di riforme degli ultimi anni aveva introdotto nuove ipotesi tipiche di responsabilità disciplinare sovrapposte alle responsabilità civili e talora anche a quella dirigenziale[34].

È quest’ultima in particolare che necessita di un rafforzamento, insieme ai procedimenti di valutazione[35], a fronte di una prassi amministrativa che l’ha resa essenzialmente lettera morta svuotando di effettività il principio di separazione tra politica e amministrazione e la tanto ricercata “managerializzazione della dirigenza pubblica”.

Il governo vi provvede anzitutto tipizzando le ipotesi di mancato raggiungimento degli obiettivi, che vanno dalla valutazione negativa della struttura di appartenenza al mancato controllo sulle presenze del personale, sino al «mancato rispetto delle norme sulla trasparenza che abbiano determinato un giudizio negativo dell’utenza sull’operato della pubblica amministrazione»[36], con un intervento per il momento insufficiente alla bisogna.

Ancor più stupisce la norma di cui allo schema di decreto delegato che prevede, per quanti siano rimasti senza incarico, non solo il mantenimento del trattamento economico fondamentale per il primo anno (con riduzione del 30% per il secondo), ma anche il conferimento di un incarico dirigenziale d’ufficio e senza procedura comparativa al decorso del secondo anno.

Un “salvataggio d’ufficio” che mal si concilia con gli imperativi di professionalizzazione e responsabilizzazione della dirigenza pur sottesi alla riforma.


 


[1] Professora Associata di Diritto amministrativo presso l’Università degli Studi di Torino.

 

[2] L. 7 agosto 2015, n. 124, Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche.

 

[3] S. Battini, La riforma della pubblica amministrazione – le norme sul personale, in Giorn. dir. amm., 2015, 5, 621 ss. Per altri commenti: A. Boscati, La politica del Governo Renzi per il settore pubblico tra conservazione e innovazione: il cielo illuminato diverrà luce perpetua?, in Lav. p.a., 2014, 233 ss.; A. Venanzoni – M. Boldrini, Per una nuova narrazione del lavoro alle pubbliche dipendenze, in Amministrazione in cammino, 14.11.2015. Si veda altresì il num. 3 del 2015 della Rivista giuridica del lavoro e della previdenza sociale (Riv. giur. lav.) e ivi in particolare i contributi di T. Vettor, Reclutamento e modernizzazione dell’impiego pubblico, M. D’Onghia, La formazione dei dipendenti pubblici ancora cenerentola tra esigenze di razionalizzazione e contenimento della spesa, L. Zoppoli, Alla ricerca di una nuova riforma della dirigenza pubblica: reclutamento e incarichi tra confusione e rilegificazione.

 

[4] Fra le molte da ultimo: Corte cost., 25 novembre 2016, n. 248; Corte cost., 30 gennaio 2015, n. 7; Corte cost., 19 maggio 2014, n. 134; Corte cost., 16 luglio 2013, n. 227; Corte cost., 1 luglio 2013, n. 167; Corte cost., 13 giugno 2013, n. 137; Corte cost., 22 maggio 2013, n. 105; Corte cost., 23 aprile 2013, n. 72; Corte cost., 12 aprile 2012, n. 90; Corte cost., 5 marzo 2012, n. 51; Corte cost., 23 febbraio 2012, n. 30. Il legislatore ha recepito l’orientamento del giudice costituzionale nel d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 52, co. 1 bis.

 

[5] Tra le prime si ricordano in particolare Corte cost., 4 gennaio 1999, n. 1 relativa a un concorso interno del ministero delle finanze e prima ancora Corte cost., 19-31 ottobre 1995, n. 479 e Corte cost., 15-30 dicembre 1994, n. 459.

 

[6] Cfr. supra, giurisprudenza citata in nt. 3.

 

[7] Sul punto si consenta il rinvio a B. Gagliardi, La libera circolazione dei cittadini europei e il pubblico concorso, Napoli, Jovene, 2012, 139 ss. Sulla professionalizzazione dell’amministrazione in particolare: M. Weber, Wirtschaft und Gesellschaft (1922-1956), trad. it. Economia e società, Milano, 1980, vol. IV e più di recente: E. Stumpo, L’organizzazione degli stati: accentramento e burocrazia, in N. Tranfaglia – M. Firpo (dir.), La storia: L’Età Moderna, I quadri generali, Torino, 1987, 432-435; V. Ferrone, I meccanismi di formazione delle élites sabaude. Reclutamento e selezione nelle scuole militari del Piemonte nel Settecento, in P. Alatri, (a cura di), L’Europa tra Illuminismo e Restaurazione, Scritti in onore di Furio Diaz, Roma, 1993, 159; J. Vicens Vives, La struttura amministrativa statale nei secoli XVI e XVII, in Rotelli, E. – Schiera, P. (a cura di), Lo Stato moderno, Vol. I. Dal Medioevo all’età moderna, Bologna, 1972, 221-2451972, 230.

 

[8]Diversamente, la norma che prevede la «soppressione del requisito del voto minimo di laurea per la partecipazione ai concorsi» rappresenta l’esito del dibattito sulla c.d. “abolizione del valore legale del titolo di studio”. In tema cfr. da ultimo: E. Carloni, F. Merloni, A. Pioggia, Sul valore legale del titolo di studio, in www.astridonline, 2012; B.G. Mattarella, L’equivoco del valore legale dei titoli di studio, in Nel-Merito.com, 2012; F. Merusi, Legge e autonomia nelle Università, in Dir. amm., 2009, 755.

 

[9]Benché l’accertamento delle lingue fosse previsto – unitamente a quello delle conoscenze informatiche – quale contenuto obbligatorio dei bandi di concorso «a decorrere dal 1° gennaio 2000»: d.lgs. n. 165 del 2001, cit., art. 37.

 

[10] In tal senso tra gli altri: M. Rusciano, L’impiego pubblico in Italia, Bologna, 1978, 262 ss. e più di recente S. Vinti, I procedimenti amministrativi di valutazione comparativa concorrenziale. La diversificazione della regola e la tenuta dei principi, Padova, 2002, 34.

 

[11] Cfr. R. Lowe, The Official History of the British Civil Service, Reforming the Civil Service, Volume 1: The Fulton years, 1966-81, London and New York, 2011,18 ss.

 

[12] Nel Regno Unito è il Fulton Report (1968) a preconizzare il superamento del sistema di reclutamento che privilegia i candidati provenienti da “Oxbridge”: cfr. C. Pilkington, The Civil Service in Britain today, Manchester and New York, 1999, 18 ss.; C. Pinelli, Il 3° comma dell’art. 97, L’accesso ai pubblici impieghi, La Pubblica Amministrazione, Art. 97-98, Commentario della Costituzione, fondato da G. Branca e continuato da A. Pizzorusso, Bologna-Roma, 1994, 323 ss.

 

[13] Cfr. Cons. St., comm. spec. atti normativi, 14 ottobre 2016, n. 2113/2016, 48, parere sullo schema di decreto legislativo recante Disciplina della dirigenza della Repubblica, ove si evidenzia come l’impianto della Scuola nazionale dell’amministrazione «sia rimasto fermo ad una visione incentrata su attività didattiche tradizionali mediante la previsione di corsi assimilabili a quelli universitari piuttosto che a forme nuove di formazione teorico-pratica in grado di preparare al meglio i futuri dirigenti della Repubblica».

 

[14] In tal senso in Francia si v. ad es. M. Dorne – Corraze et A., L’organisation et le pilotage des recrutements au sein de la fonction publique, Rapport au Ministère du Budget, des comptes publiques et de la fonction publique, Paris, 2008, 48 ss. e, per l’attuazione del rapporto: Circulaire Ministère du Budget, des Comptes publics et de la Fonction publique, 20 juin 2008, ove si prevede il divieto di somministrare prove di cultura generale per i concorsi delle categorie di livello più basso. Da ultimo in tema G. Marcou, L’accès aux emplois publics, Paris, 2014, 155-160.

 

[15] Cfr. J.M. Eymeri-Douzans, Les concours à l’épreuve, in Revue française d’administration publique (RFAP), 2012, 315 ss.; C. Oger, Les épreuves de culture générale du concours de l’Ena, entre discours légitime et mémoire institutionnelle, ivi, 2012, 391 ss. ; F. Larat – F. Edel, Les emplois publics sont-ils accessibles à tous ?, in Revue française d’administration publique (RFAP), 2015, 5-13; Y. L’Horty, Les discriminations dans l’accès à l’emploi public, Rapport au Premier Ministre, Paris, Juin 2016, 46-48.

 

[16] Cfr. S. Sepe, Per una storia della formazione dei funzionari statali in Italia, in A. Varni e G. Melis (a cura di), Le fatiche di Monsù Travet. Per una storia del lavoro pubblico in Italia, Torino, 1997, 185.

 

[17] D.P.R. 9 maggio 1994, n. 487, Regolamento recante norme sull’accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e le modalità di svolgimento dei concorsi, dei concorsi unici e delle altre forme di assunzione nei pubblici impieghi, artt. 19-20-21.

 

[18] D.l. 31 agosto 2013, n. 101, Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni, art. 3 quinquies, conv. in l., con mod., dall’ art. 1, c. 1, l. 30 ottobre 2013, n. 125, in tema si consenta il rinvio a B. Gagliardi, La conversione del « decreto D’Alia » e la riforma del reclutamento dei pubblici dipendenti, in Giorn. dir. amm., 2014, 347 ss.

 

[19] G.M. Racca, Le prospettive dell’aggregazione nell’amministrazione dei contratti pubblici, in Aperta Contrada n. 1/2014, www.apertacontrada.it; Id., L’aggregazione dei contratti pubblici per la sostenibilità, la concorrenza e la qualità delle prestazioni, in Studi in onore di Alberto Romano, Napoli, 2011, III, 2259 ss. Si riferisce ad una “centrale unica dei concorsi”: G. D’Alessio, Il reclutamento del personale e della dirigenza nella legge n. 124 del 2015, in Astrid Rassegna, n. 2/2016, 4.

 

[20] Cfr. l. 7 aprile 2014, n. 56, Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusion di comuni, art. 1 , co. 44 lett. c e co. 88.

 

[21] Da ultimo cfr. European Commission, Country Report Italy 2016, Brussels, 26.2.2016, SWD(2016) 81 final, 63; Corte dei conti, sez. riun. contr., Relazione 2016 sul costo del lavoro pubblico, Roma, maggio 2016, 99 ss. Aran, Anzianità ed età del personale pubblico, Aran Occasional Paper, n. 3/2013, in www.aranagenzia.it. Sul punto si consenta il rinvio a B. Gagliardi, Il divieto di discriminazione in ragione dell’età nell’ordinamento dell’Unione europea e i pubblici concorsi, in Giorn. dir. amm., 2015, 233 ss.

 

[22] D.l. n. 101 del 2013, cit., art. 4, co. 3.

 

[23] Cfr. fra le molte Cons. St., sez. V, 1° ottobre 2010, n. 7244 ; Cons. St., sez. V, 19 novembre 2009, n. 7243.

 

[24] Cfr. Cons. St., Ad. Plen., 28 luglio 2011, n. 14; cfr. V. Talamo, Lo scorrimento delle graduatorie concorsuali, in Giorn. dir. amm., 2013, 920 ss.

 

[25] Cfr. D.l. n. 101 del 2013, cit., art. 4, co. 3. In tema da ultimo cfr. S. Zoppetti, Mobilità e pubblico concorso tra obbligatorietà e preferenza, in questa Rivista, 2016, n. 3.

 

[26] Cfr. Cass., sez. lav., 14 aprile 2015, n. 7495; Cass., sez. un., 23 settembre 2013, n. 21671; Cass., sez. VI, 12 ottobre 2010, n. 21088 ; Cass., sez. lav., 14 aprile 2008, n. 9814. Cfr. A. Pioggia, Funzione amministrativa e giudice del lavoro, in Lav. p.a., 2007, 397 ss.; Id., Giudice e funzione amministrativa. Giudice ordinario e potere privato dell’amministrazione datore di lavoro, Milano 2004, 28 ss.

 

[27] Cfr. d.lgs. n. 165 del 2001, art. 19, co. 1 bis, introd. dal d.lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, art. 40.

 

[28] Il testo unico del pubblico impiego espressamente devolve la giurisdizione sul «conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali» al giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro: d.lgs. n. 165 del 2001, art. 63, co. 1°. Anche secondo il Consiglio di Stato occorre stabilire se le procedure di conferimento degli incarichi abbiano «connotati tali da poter essere ricondotte al paradigma normativo delle “procedure concorsuali”» al fine del corrispondente riparto di giurisdizione (Cons. St., comm. spec. atti normativi, n. 2113/2016, cit., 108-109). Per l’affermazione della giurisdizione del g.o. da ultimo: Cass., sez. un., 8 giugno 2016, n. 11713; Cons. St., sez. III, 8 novembre 2016, n. 4652.

 

[29] Con la trasformazione della Scuola Nazionale d’Amministrazione in agenzia che svolge anzitutto un ruolo di accreditamento delle istituzioni operanti nel settore della formazione.

 

[30] Cfr. lo schema di decreto legislativo sulla dirigenza ancora in fase di elaborazione, art. 2.

 

[31] Cfr. d.lgs. n. 165 del 2001, art. 40, co. 2°, come mod. dal d.lgs. n. 150 del 2009, art. 54, attuato con l’Ipotesi di contratto collettivo nazionale quadro per la definizione dei comnparti e delle aree di contrattazione collettiva nazionale 2016-2018, del 4.04.2016.

 

[32] Corte cost., 25 novembre 2016, n. 251.

 

[33] Secondo la Corte l’adozione dei decreti legislativi deve essere preceduta dall’intesa in sede di conferenza e non dal semplice parere delle regioni:

 

[34] Un esempio è dato dalla disciplina in tema di violazione dell’obbligo di conclusione del procedimento mediante un provvedimento espresso, di cui alla l. 7 agosto 1990, n. 241, art. 2.

 

[35] Cfr. Cons. St., comm. spec. atti normativi, n. 2113/2016, cit., 27.

 

[36] Cfr. lo schema di decreto legislativo sulla dirigenza ancora in fase di elaborazione, art. 5, di riforma del d.lgs. n. 165 del 2001, cit., art. 21.