La motivazione dell’atto di nomina del difensore civico: una questione ancora irrisolta (nota a T.A.R. Valle d’Aosta, sentenza del 26 luglio 2022, n. 38 e Consiglio di Stato, sez. V, sentenza del 17 gennaio 2023, n. 583)

Roberto Medda[1]

Sommario:

1. La vicenda – 1.1 L’elezione del difensore civico della Regione autonoma della Valle d’Aosta del gennaio 2022 – 1.2 La sentenza del T.A.R. Valle d’Aosta 26 luglio 2022, n. 38 – 1.3 La sentenza del Consiglio di Stato sez. V, 17 gennaio 2023, n. 583 – 2. Una mappatura del contenzioso concernente l’elezione del difensore civico e delle figure analoghe – 3. Il caso valdostano alla luce delle indicazioni della giurisprudenza amministrativa – 3.1. La qualificazione dell’atto di nomina del difensore civico: atto politico o atto di alta amministrazione? – 3.2. L’esatto contenuto dell’onere motivazionale del provvedimento di nomina – 4. I problemi rimasti insoluti dopo la pronuncia del Consiglio di Stato (e qualche possibile soluzione a riguardo)

1. La vicenda

1.1 L’elezione del difensore civico della Regione autonoma della Valle d’Aosta del gennaio 2022

Nel mese di ottobre 2021, la Regione autonoma della Valle d’Aosta ha avviato la procedura per il rinnovo della carica di difensore civico regionale, con la pubblicazione sul bollettino regionale di un «Avviso pubblico di avvio della procedura per l’elezione del difensore civico»[2]. Quest’ultimo è un adempimento richiesto dalla legge regionale sulla difesa civica[3] allo scopo di sollecitare le candidature spontanee alla carica di difensore civico così come l’indicazione dei candidati da parte dei cittadini, di enti o associazioni[4]. Nel termine di 30 giorni fissato dall’avviso, alla Regione sono pervenute quattro candidature.

Nel corso dei mesi seguenti, sulla base di quanto disposto dalla legislazione regionale[5], la segreteria generale del consiglio regionale ha accertato che i candidati fossero in possesso dei requisiti fissati dalla legge[6]. Le quattro candidature pervenute alla Regione sono state quindi sottoposte al consiglio regionale.

Nella seduta del 12 gennaio 2022, il consiglio della Regione autonoma della Valle d’Aosta si è riunito per eleggere il nuovo difensore civico regionale. La legislazione regionale prevede che «l Consiglio regionale elegge il difensore civico a scrutinio segreto e a maggioranza dei due terzi dei consiglieri assegnati alla Regione»[7]. Inoltre, «[q]ualora, dopo due votazioni consecutive, nessun candidato raggiunga la maggioranza stabilita al comma 2, il Consiglio procede con ulteriore votazione da effettuarsi nella stessa seduta del Consiglio regionale e risulta eletto il candidato che riporta la maggioranza assoluta dei consiglieri assegnati alla Regione»[8].

La prima votazione ha restituito il seguente esito: su un totale di 34 consiglieri presenti e votanti, la candidata Adele Squillaci ha ottenuto 29 voti, il candidato Francesco Cordone ha ottenuto due voti, mentre gli altri due candidati non hanno ottenuto alcun voto. Si sono registrate, inoltre, due schede bianche e una scheda nulla. Avendo ottenuto una maggioranza pari a circa l’83% dei consiglieri assegnati alla Regione, Adele Squillaci è stata eletta alla carica di difensore civico della Regione autonoma Valle d’Aosta per il mandato 2022-2027.

Due tra i due candidati all’elezione hanno ricorso davanti al tribunale amministrativo regionale (T.A.R.) della Valle d’Aosta chiedendo l’annullamento della delibera con la quale il consiglio regionale aveva eletto Squillaci alla carica di difensore civico.

1.2 La sentenza del T.A.R. Valle d’Aosta 26 luglio 2022, n. 38

Con la sentenza del 26 luglio 2022, n. 38, il T.A.R. Valle d’Aosta si è pronunciato congiuntamente sui due distinti ricorsi presentati dai candidati all’elezione di difensore civico.

I ricorsi erano basati sul medesimo assunto: poiché il consiglio regionale non ha motivato la scelta di eleggere Squillaci, la delibera impugnata sarebbe illegittima per violazione dell’obbligo di motivazione del provvedimento amministrativo nonché per eccesso di potere per difetto di motivazione.

I giudici amministrativi hanno accolto i ricorsi e annullato il provvedimento di nomina di Squillaci, condividendo quindi la tesi dei ricorrenti.

In primo luogo, il T.A.R. ha qualificato l’atto di nomina del difensore civico quale provvedimento amministrativo sottoposto all’obbligo di motivazione ex art. 3 della legge n. 241/1990. Più precisamente, l’atto di nomina del difensore civico è riconducibile alla categoria dell’atto di alta amministrazione, un provvedimento connotato da un ampio margine di discrezionalità amministrativa ma non per questo sottratto allo statuto generale del provvedimento che, tra le altre cose, comprende l’obbligo di motivazione. Inoltre, continuano i giudici, nemmeno la natura fiduciaria della nomina del difensore civico da parte del consiglio regionale è ritenuta rilevante per sottrarre l’atto all’obbligo di motivazione, come invece aveva prospettato la Regione Valle d’Aosta.

In secondo luogo, il T.A.R. ha rifiutato l’argomento avanzato dalla Regione secondo cui la procedura di selezione tramite voto segreto in assemblea fosse intrinsecamente incompatibile con l’obbligo di motivare la scelta compiuta. I giudici hanno affermato che il voto segreto «non impedisce in alcun modo all’organo nel suo complesso di procedere ad una minimale comparazione tra i candidati e di esplicitare – sia “a monte”, ovvero prima della votazione, sia “a valle, ovvero all’esito della medesima votazione – le ragioni a sostegno della determinazione assunta dall’organo collegiale»[9].

In terzo luogo, il T.A.R. è stato chiamato a determinare l’esatto contenuto dell’obbligo di motivazione al quale è sottoposto il provvedimento di nomina del difensore civico. A tal proposito, il carattere fiduciario della nomina non è irrilevante. Stabiliscono i giudici, infatti, che sebbene il consiglio regionale non sia tenuto a svolgere «una vera e propria procedura comparativa tra i candidati»[10] – sul modello del classico concorso pubblico per l’assunzione del personale alle dipendenze della pubblica amministrazione – tuttavia esso deve «valutare i profili professionali dei soggetti che aspirano alla nomina, ponendo in essere una seppur minima comparazione tra i candidati, con conseguente obbligo di motivare la scelta compiuta»[11].

Nel caso di specie, secondo i giudici, il consiglio regionale non ha soddisfatto l’onere motivazionale richiesto. Né dalla delibera del consiglio regionale, né tantomeno dal resoconto della seduta consiliare emerge la “minima comparazione tra i candidati” necessaria per rispettare l’obbligo di motivazione del provvedimento di nomina. Secondo i giudici amministrativi, prima della votazione sarebbe stato necessario leggere in aula i curricula dei candidati ed esplicitare i loro profili professionali in modo da permettere ai consiglieri regionali di votare in modo consapevole e motivato. In seguito alla votazione, poi, il consiglio regionale avrebbe dovuto esternare «una qualche motivazione in ordine alle ragioni che avrebbero deposto a favore»[12] della candidata eletta.

Poiché, da un lato, la delibera di nomina è sprovvista della motivazione richiesta dai giudici poiché, dall’altro lato, durante la seduta consiliare non vi è stata una comparazione tra i profili dei candidati ma una semplice indicazione di voto in favore di Squillaci da parte di un solo consigliere in apertura di seduta, nel caso di specie il provvedimento di nomina del difensore civico è annullabile per difetto di motivazione.

1.3 La sentenza del Consiglio di Stato sez. V, 17 gennaio 2023, n. 583

La Regione autonoma Valle d’Aosta ha appellato la sentenza davanti al Consiglio di Stato. Quest’ultimo ha accolto l’appello della Regione, riformando la sentenza di primo grado in senso favorevole alla nomina di Squillaci alla carica di difensore civico. In breve, il Consiglio di Stato ha confermato la ricostruzione dell’impianto normativo effettuata dal T.A.R. Valle d’Aosta. Tuttavia, il Consiglio di Stato ha ritenuto che i giudici di primo grado avessero applicato in maniera incorretta le norme al caso di specie.

Nello specifico, il Consiglio di Stato ha stabilito che l’atto di nomina del difensore civico non ha la natura di atto politico ma piuttosto quella di provvedimento amministrativo di alta amministrazione, contraddistinto da ampia discrezionalità. Pertanto, esso è sottoposto allo statuto generale del provvedimento amministrativo, tra cui rientra l’obbligo di motivazione, ed è sottoposto alla giurisdizione del giudice amministrativo.

Il carattere fiduciario della nomina del difensore civico non è un elemento rilevante a tal proposito. Anche in tali fattispecie, affermano i giudici di Palazzo Spada, il sindacato del giudice amministrativo è funzionale a «evitare che la scelta non sconfini nell’arbitrio, ma sia comunque logica e coerente con le finalità per le quali essa è adottata»[13].

Nemmeno il fatto che la decisione è presa con la tecnica del voto a scrutinio segreto costituisce un limite all’obbligo di motivazione del provvedimento. Seppur il dovere di motivazione debba essere conciliato con la segretezza del voto, tale dovere non viene meno per il solo fatto che la decisione è presa a scrutinio segreto. Da una prospettiva differente, a detta del Consiglio di Stato, «[t]ra carattere fiduciario, voto a scrutinio segreto, e obbligo di motivazione, non vi è un’irriducibile alternativa logica»[14].

Sotto entrambi gli aspetti, quindi, il Consiglio di Stato non si discosta dall’interpretazione offerta dal T.A.R. Valle d’Aosta.

Dalla natura di provvedimento amministrativo discende l’obbligo per il consiglio regionale di motivare l’atto di nomina. Con riguardo all’esatto contenuto dell’obbligo motivazionale, il Consiglio di Stato accoglie ancora una volta la ricostruzione del dato normativo offerta dal TAR Valle d’Aosta. Trattandosi di una nomina a carattere fiduciario, l’onere motivazionale è alleggerito rispetto alle procedure concorsuali ordinarie: una puntuale comparazione tra i profili professionali non è necessaria. Al contempo, tuttavia, la motivazione del provvedimento di nomina deve comunque sostanziarsi in un «apprezzamento complessivo del candidato, in modo che possa dimostrarsene la ragionevolezza»[15] e «dar conto del fatto che i differenti requisiti di competenza, esperienza e professionalità siano stati valutati in relazione al fine da perseguire». Da un altro punto di vista, afferma il Consiglio di Stato che la semplice verifica del possesso dei requisiti minimi fissati dalla legge regionale per l’accesso alla carica di difensore civico non costituisce di per sé una motivazione sufficiente della scelta effettuata, una motivazione supplementare si rende quindi necessaria.

Se i giudici dei due gradi di giudizio concordano pienamente con riguardo allo standard normativo da adoperare, i giudizi, e quindi anche gli esiti, divergono diametralmente al momento di applicare tale standard ai fatti oggetto della controversia. Infatti, mentre per il T.A.R. Valle d’Aosta il consiglio regionale non ha adempiuto all’onere motivazionale, il Consiglio di Stato è dell’avviso opposto.

Secondo quest’ultimo, gli interventi in aula di due consiglieri regionali che si sono espressi a nome dei loro gruppi consiliari in apertura della seduta assembleare rappresentano una forma di motivazione minima, ma comunque sufficiente, della decisione in seguito adottata a scrutinio segreto. I discorsi volti a perorare la candidatura di Squillaci sulla base della pluriennale esperienza lavorativa della candidata all’interno dell’ufficio della difesa civica regionale denotano, secondo i giudici, una valutazione comparativa tra i candidati sufficiente a rispettare l’onere motivazionale imposto dalla legge.

Per tali motivi, pertanto, il Consiglio di Stato, accogliendo l’appello della Regione autonoma della Valle d’Aosta, ha riformato la sentenza di primo grado confermando così la legittimità dell’elezione di Adele Squillaci alla carica di difensore civico regionale.

2. Una mappatura del contenzioso concernente l’elezione del difensore civico e delle figure analoghe

La vicenda del difensore civico della Regione autonoma della Valle d’Aosta non rappresenta un caso isolato panorama italiano. L’elezione dei difensori civici, regionali e locali, così come delle figure a questi assimilabili, come i garanti specializzati, è stata oggetto di numerose pronunce dei giudici amministrativi. È interessante registrare come l’elezione dei difensori civici sia contraddistinta da un alto tasso di litigiosità e che, in più di un’occasione, i giudici amministrativi siano intervenuti per annullare le nomine effettuate dagli organi politici comunali e regionali.

Un primo intensificarsi del contenzioso concernente l’elezione dei difensori civici si registra nel primo decennio del ventunesimo secolo. In tale frangente storico, infatti, l’elezione dei difensori civici comunali da parte dei consigli comunali è stata oggetto di numerosi ricorsi da parte dei candidati non eletti che, come nelle due pronunce qui commentate, lamentavano il difetto di motivazione del provvedimento di nomina. Questa serie di ricorsi ha alimentato un corposo filone giurisprudenziale ancora rilevante oggi per la ricchezza delle posizioni avanzate dai tribunali amministrativi regionali[16], dal Consiglio di Stato[17] e dal Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Sicilia (CGA)[18]. Al medesimo filone è riconducibile, inoltre, un caso che ha riguardato l’elezione di un difensore civico provinciale[19].

L’abolizione della figura del difensore civico comunale da parte del legislatore statale, disposta con la legge finanziaria per il 2010[20], ha comportato l’inaridimento del filone giurisprudenziale appena delimitato. Tuttavia, l’abolizione dei difensori civici comunali non ha prodotto un venir meno del contenzioso amministrativo attorno al tema dell’elezione del difensore civico. Nel corso degli ultimi quindici anni, infatti, la giurisprudenza amministrativa è stata investita a più riprese del compito di dirimere delle controversie di questo tipo, tanto che la vicenda del difensore civico della Valle d’Aosta può essere considerata come l’ultimo atto di un filone giurisprudenziale assai nutrito.

Per un verso, i giudici amministrativi si sono pronunciati sulla legittimità dell’elezione delle figure assimilabili al difensore civico, come il Garante regionale dei diritti delle persone con disabilità della Campania[21]. Per un altro verso, poi, le elezioni dei difensori civici regionali sono finite all’attenzione della giurisprudenza amministrativa che, in differenti occasioni, ha annullato le nomine effettuate dagli organi politici nella provincia autonoma di Bolzano e nelle regioni Campania e Lombardia. Infine, si registra una pronuncia sulla procedura selettiva del difensore civico della Regione Lazio che, tuttavia, non ha portato all’annullamento dell’atto di elezione[22].

Nella provincia autonoma di Bolzano l’oggetto del contendere ha riguardato la rielezione della difensora civica, avvenuta nel gennaio 2009. Dapprima, il tribunale regionale di giustizia amministrativa (TRGA) di Bolzano ha annullato per difetto di motivazione la delibera con la quale il consiglio provinciale aveva rieletto la difensora civica[23]. In seguito, il consiglio provinciale ha rieletto ancora una volta la difensora civica uscente all’esito di una nuova procedura, basata peraltro su una nuova legge provinciale[24]. Anche in questo caso, tuttavia, il provvedimento di rielezione viene annullato per carenza assoluta di motivazione[25]. La vicenda si chiude soltanto nel novembre del 2014, quando il Consiglio di Stato accoglie il ricorso della provincia autonoma di Bolzano e conferma la legittimità dell’elezione della difensora civica provinciale, stabilendo che tale provvedimento non è sottoposto ad alcun obbligo di motivazione[26].

All’incirca nel medesimo periodo, anche l’elezione del difensore civico della Regione Campania è stata oggetto di un’articolata vicenda giudiziaria che ha visto, nel giro di qualche anno, la caducazione della nomina del difensore civico regionale per ben quattro volte.

Con una prima sentenza del T.A.R. Campania, la nomina del difensore civico effettuata dal presidente del consiglio regionale è stata annullata poiché, secondo i giudici, viziata dalla sussistenza di una causa di ineleggibilità[27]. Investito del giudizio di appello, il Consiglio di Stato ha confermato il dispositivo della sentenza di primo grado ma sulla base di una differente motivazione: il provvedimento non è annullabile per sussistenza di una causa di ineleggibilità ma bensì, tra gli altri motivi, per carenza di motivazione[28].

Prontamente, il presidente del consiglio regionale della Campania ha rinominato la medesima persona alla carica di difensore civico regionale. Anche in questo caso, la nomina viene annullata dal Consiglio di Stato per difetto di motivazione, nell’ambito del giudizio di ottemperanza della sentenza di appello[29].

Al secondo annullamento della nomina del difensore civico regionale, la Regione Campania ha reagito inducendo una nuova procedura di selezione e, al contempo, revocando in autotutela la precedente procedura sfociata nella nomina annullata. All’esito della procedura di selezione, il consiglio regionale ha eletto quindi un’altra persona alla carica di difensore civico. Ancora una volta, tuttavia, l’intervento del Consiglio di Stato, investito per una seconda volta per l’ottemperanza delle sentenze n. 802/2015 e n. 4718/2016, porta alla caducazione della scelta operata dall’organo politico. Viene, infatti, dichiarata la nullità dell’elezione del nuovo difensore civico per elusione del giudicato[30]. Allo stesso tempo, i giudici ordinano al consiglio regionale di riaprire la procedura iniziale, illegittimamente revocata, e di prendere in considerazione la candidatura del ricorrente, tramite valutazione comparativa.

In attuazione della sentenza del Consiglio di Stato, la Regione Campania ha riaperto la procedura iniziale, inizialmente illegittimamente revocata in autotutela. All’esito della procedura è risultata rieletta la medesima persona la cui nomina era stata oggetto della declaratoria di nullità.

Tuttavia, nell’ultimo atto di un’intricata vicenda giudiziaria, il ricorrente iniziale ha ricorso nuovamente per l’ottemperanza della sentenza n. 4718/2016 davanti al Consiglio di Stato. Per una seconda volta i giudici amministrativi hanno dichiarato la nullità dell’elezione del difensore civico regionale per violazione del giudicato[31]. Stavolta, però, il Consiglio di Stato ha designato un commissario ad acta, nella persona del prefetto di Napoli, incaricato di eseguire la sentenza. L’esecuzione della sentenza si concretizza della nomina il ricorrente quale nuovo difensore civico della Regione Campania, ultimo atto di una pluriennale vicenda giudiziaria.

Come già menzionato, anche l’elezione del difensore civico regionale della Lombardia è stata oggetto di una controversia giudiziaria. Su ricorso presentato da uno dei candidati non eletti, per la cronaca il medesimo ricorrente all’origine delle controversie riguardanti il difensore civico della Regione Campania, il T.A.R. Lombardia si è pronunciato sulla legittimità dell’elezione del nuovo difensore civico della Lombardia, respingendo il ricorso[32].

Tuttavia, pronunciandosi sull’appello presentato dal ricorrente iniziale la quinta sezione del Consiglio di Stato ha riformato la sentenza di primo grado e annullato il provvedimento di elezione del difensore civico regionale della Lombardia[33]. A differenza delle altre vicende, tuttavia, l’illegittimità dell’elezione risiedeva nel mancato possesso da parte del candidato eletto di un adeguato titolo di studio per l’accesso alla carica di difensore civico[34].

A seguito dell’annullamento dell’elezione del difensore civico, il consiglio regionale della Lombardia ha riaperto la vecchia procedura di selezione indetta nel 2017. Nel giugno 2021, il consiglio regionale ha eletto un nuovo difensore civico, scegliendo un candidato diverso rispetto al ricorrente. Quest’ultimo ha pertanto impugnato anche l’elezione del nuovo difensore civico davanti al T.A.R. Lombardia e, allo stesso tempo, ha presentato un ricorso per l’ottemperanza della sentenza n. 3465/2021 davanti al Consiglio di Stato. Entrambi i ricorsi sono stati respinti[35].

Occorre sottolineare che la vicenda dell’elezione del difensore civico della Regione Lombardia non può ancora dirsi conclusa: ancora si attende la sentenza del Consiglio di Stato nel giudizio di appello avente per oggetto la sentenza del T.A.R. Lombardia n. 1576/2022.

3. Il caso valdostano alla luce delle indicazioni della giurisprudenza amministrativa

Dopo aver mappato il contenzioso concernente l’elezione dei difensori, è arrivato ora il momento di fare un bilancio delle pronunce dei giudici amministrativi, allo scopo di trarre delle indicazioni utili all’analisi del caso dell’elezione del difensore civico della Valle d’Aosta.

Sono due le questioni centrali sulle quali occorre soffermarsi. La prima questione è data dalla qualificazione giuridica dell’atto di nomina del difensore civico (§ 3.1). La seconda questione riguarda invece l’esatto contenuto dell’obbligo di motivazione al quale è sottoposto l’organo politico compente per la nomina del difensore civico (§ 3.2).

3.1. La qualificazione dell’atto di nomina del difensore civico: atto politico o atto di alta amministrazione?

Solitamente, le controversie sulla legittimità dell’elezione dei difensori civici richiedono ai giudici amministrativi di dirimere una questione di carattere preliminare legata alla qualificazione giuridica dell’atto di nomina, dovendo scegliere tra la qualificazione di atto politico e quella, alternativa, di atto di alta amministrazione. La pertinenza di questa questione è una conseguenza diretta del carattere atipico del difensore civico, regionale o locale, e delle figure analoghe, come i garanti preposti alla tutela di alcune categorie protette.

Direttamente ispirato all’ombudsman svedese, con il quale condivide numerosi elementi caratterizzanti, il difensore civico è una figura atipica all’interno dell’ordinamento italiano. In breve, il difensore civico è un’istituzione alla quale è affidata la funzione di garanzia non giurisdizionale dei diritti e interessi dei privati nei confronti della pubblica amministrazione[36]. Questa funzione di garanzia è esercitata, in maniera preponderante ma non esclusiva, attraverso l’adozione di pareri non vincolanti indirizzati alle amministrazioni pubbliche, su reclamo dei privati o, talvolta, anche d’ufficio.

Dal punto di vista organizzativo, uno dei tratti caratterizzanti che il difensore civico e le figure a esso analoghe condividono con l’ombudsman svedese è dato dal rapporto di fiduciarietà che essi intrattengono con gli organi politici assembleari, ossia a seconda dei casi il parlamento statale o i consigli regionali, provinciali e comunali.

La fiduciarietà si esprime in differenti modi. In primo luogo, a tali organi è affidato il compito di eleggere i difensori civici a maggioranza qualificata e a voto segreto. In altri termini, i difensori civici non sono selezionati tramite un concorso pubblico per l’accesso al pubblico impiego, essendo dei funzionari onorari eletti da un’assemblea politica. Inoltre, il difensore civico è tenuto, a cadenza solitamente annuale, a presentare un resoconto delle proprie attività istituzionali davanti all’organo assembleare e, in tale occasione, può sollecitare delle modifiche legislative. Infine, l’ufficio di supporto del difensore civico e degli altri garanti è solitamente inquadrato all’interno dell’amministrazione del consiglio regionale, piuttosto che in quella della giunta.

Quest’insieme di elementi è inteso a rafforzare l’indipendenza del difensore civico nei confronti dell’amministrazione sottoposta al suo controllo. Sulla falsariga del modello delle autorità amministrative indipendenti, infatti, si è soliti ritenere che un rapporto privilegiato con l’organo politico assembleare protegga il difensore civico dalle ingerenze dell’esecutivo[37].

Alla luce di questo quadro, la qualificazione giuridica dell’atto di nomina del difensore civico da parte del consiglio regionale o locale non è un’operazione dall’esito scontato. Tale atto potrebbe plausibilmente essere ricondotto tanto alla categoria dell’atto di alta amministrazione quanto a quella, alternativa, dell’atto politico. Si tratta di una distinzione cruciale, che produce delle conseguenze di rilievo sul piano pratico. Mentre l’atto di alta amministrazione è sottoposto in toto al regime del provvedimento amministrativo, l’atto politico sfugge a tale regime. Ne consegue che se l’atto di alta amministrazione è impugnabile davanti al giudice amministrativo per vizi di legittimità come qualsiasi altro provvedimento amministrativo, l’atto politico è invece immune dal controllo di legittimità del giudice amministrativo.

Secondo la dottrina, rientrano nella nozione di atto politico gli «atti posti in essere da un organo costituzionale nell’esercizio della funzione di governo e, quindi, nell’attuazione dell’indirizzo politico (costituzionale o di maggioranza): non essendo atti di svolgimento di una funzione amministrativa e di esercizio di un potere amministrativo, essi sono sottratti al regime tipico del provvedimento amministrativo»[38]. Dispone a tal proposito l’art. 7, co. 1, del codice del processo amministrativo, riproducendo peraltro una norma già presente nel testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato del 1924[39], che «[n]on sono impugnabili gli atti o provvedimenti emanati dal Governo nell’esercizio del potere politico».

Nel corso dei decenni, la giurisprudenza amministrativa ha via via ristretto la portata della categoria dell’atto politico con la conseguenza che, allo stato attuale, la qualifica di atto politico è riconosciuta a un numero ristrettissimo di fattispecie[40]. La restrizione della categoria dell’atto politico ha portato alla contestuale espansione della categoria dell’atto di alta amministrazione. Con tale nozione si è soliti individuare «gli atti di suprema direzione della pubblica amministrazione, di raccordo della funzione di indirizzo politico con quella amministrativa»[41].

Qualora un atto di un’istituzione pubblica sia qualificato come atto di alta amministrazione, questo è sottoposto al regime del provvedimento amministrativo che include, tra le altre cose, anche la motivazione. Sulla base dell’art. 3 della legge n. 241/1990, il provvedimento amministrativo consiste «[nel]l’indicazione delle ragioni sostanziali che, nella prospettiva del rapporto tra diritto e fatto, sorreggono la scelta dell’amministrazione, così come emergono dai risultati istruttori»[42].

La specificità della qualifica di atto di alta amministrazione è insita nell’amplio margine di discrezionalità amministrativa di cui beneficia l’autorità procedente. Questo elemento produce delle conseguenze sul sindacato di legittimità del giudice amministrativo: di fronte a un atto contraddistinto da un alto tasso di discrezionalità amministrativa, il sindacato sull’eccesso di potere tende ad attenuarsi.

Questo si riflette anche sul contenuto dell’obbligo di motivazione dell’atto. Con riguardo agli atti di alta amministrazione, infatti, tale obbligo può ritenersi soddisfatto anche in presenza di una motivazione in forma semplificata che, come illustra chiaramente la giurisprudenza sul tema dell’elezione del difensore civico, può assumere i contenuti più diversi a seconda delle circostanze[43].

Passando ora all’analisi della giurisprudenza, è possibile trarre un’indicazione ormai consolidata: l’atto di nomina del difensore civico deve essere qualificato come un atto di alta amministrazione. Da tempo, i giudici amministrativi concordano sul fatto che «il provvedimento di nomina del difensore civico costituisce atto di alta amministrazione ed è espressione di un potere autoritativo»[44]. Tale lettura è stata confermata di recente con riguardo alla nomina tanto dei difensori civici[45] quanto delle figure analoghe, come il garante regionale dei diritti delle persone con disabilità[46].

Soltanto in qualche rara occasione i giudici hanno riconosciuto all’atto di elezione del difensore civico una qualificazione giuridica alternativa rispetto a quella, prevalente, di atto di alta amministrazione. In nessuna pronuncia, tuttavia, l’atto di nomina è stato qualificato come atto politico tout court. Tuttavia, adoperando delle formule di volta in volta differenti, i giudici amministrativi hanno in qualche caso sottratto tale atto allo statuto generale del provvedimento amministrativo, sostanzialmente qualificandolo come atto politico. In una controversia è stato stabilito che l’elezione del difensore civico «si concreta in una scelta latamente politica e di carattere fiduciario da parte della maggioranza che provvede a votare a scrutinio segreto e con le stesse modalità previste per l’elezione del Presidente del Consiglio […], sì che il relativo atto d’investitura sfugge all’obbligo di motivazione […] ed al sindacato giurisdizionale […]»[47]. In un’altra occasione, il Consiglio di Stato ha stabilito che la procedura di selezione di un difensore civico comunale è «[…] sostanzialmente, una procedura elettorale indiretta [che] si colloca nell’ambito degli atti latamente politici del Consiglio comunale in carica, di cui il suddetto organo elettivo assume la responsabilità, nei confronti dei propri elettori […]. La responsabilità di cui si tratta (priva di sanzione giuridica) è propria di quel determinato Consiglio comunale, il quale non risponde né delle scelte “politiche”, né delle eventuali omissioni del Consiglio comunale uscente»[48].

Al di fuori delle due eccezioni appena individuate, tuttavia, anche qualora abbiano qualificato l’atto di nomina come «latamente politico»[49], i giudici amministrativi hanno implicitamente ricondotto l’atto di nomina del difensore civico comunale alla categoria dell’alto di alta amministrazione. In altri termini, con l’espressione “latamente politico” si vuole segnalare l’elevato ampio di discrezionalità dell’organo competente all’elezione, senza che tuttavia tale scelta sia sottratta radicalmente al sindacato di legittimità del giudice amministrativo[50].

Alla luce del quadro appena delineato, le pronunce tanto del T.A.R. quanto del Consiglio di Stato sulla vicenda del difensore civico della Regione autonoma Valle d’Aosta sono in linea con l’orientamento giurisprudenziale ampiamente maggioritario. La qualificazione della delibera del consiglio regionale come atto di alta amministrazione, sottoposto al regime del provvedimento amministrativo e, di conseguenza, all’obbligo di motivazione, appare la soluzione corretta alla luce della giurisprudenza.

3.2. L’esatto contenuto dell’onere motivazionale del provvedimento di nomina

La qualificazione della nomina del difensore civico come atto di alta amministrazione ne comporta la sottoposizione alle regole in materia di provvedimento amministrativo e, tra queste, all’obbligo per l’organo procedente di motivare la scelta in concreto effettuata. Se, come si è avuto modo di vedere nel paragrafo precedente, la sottoposizione dell’atto di nomina all’obbligo di motivazione è generalmente acquisita in giurisprudenza, tuttavia si registra una forte incertezza in merito all’esatto contenuto dell’obbligo di motivazione. In altri termini, nelle numerose pronunce riguardanti le elezioni dei difensori civici e delle altre figure analoghe è stato fissato di volta in volta uno standard motivazionale differente con il risultato che, allo stato attuale, risulta impossibile determinare in maniera univoca l’esatto contenuto dell’obbligo motivazionale.

Nella giurisprudenza amministrativa si registra una certa oscillazione dell’onere motivazionale che, a seconda dei casi, è più o meno rigoroso nei confronti dell’organo politico che ha individuato il difensore civico. Questa oscillazione è prodotta da due fattori.

Il primo fattore è stato in realtà già trattato: in quanto figura ibrida e contraddistinta da un rapporto fiduciario con l’organo politico assembleare che lo elegge, il difensore civico è difficilmente inquadrabile nelle categorie classiche del diritto amministrativo. Pertanto, non diversamente da quanto avviene con le nomine delle autorità amministrative indipendenti, l’ampio margine di discrezionalità rende assai complicato determinare dove finisce l’area del sindacato di legittimità del giudice amministrativo e dove invece comincia l’area del merito amministrativo, sottratta al suo controllo.

In secondo luogo, una caratteristica del procedimento di nomina del difensore civico rende assai difficoltosa l’applicazione dei principi classici in tema di motivazione del provvedimento a tale categoria di atti. Il difensore civico è solitamente eletto con un voto a scrutinio segreto da parte delle decine di membri di un organo politico assembleare. Da un punto di vista pratico, il fatto che la decisione sia la somma di decine di volontà distinte espresse nel segreto dell’urna, e quindi slegate le une dalle altre al momento della loro formazione, limita fortemente la possibilità effettiva di motivare a posteriori la scelta effettuata.

Se l’onere motivazionale alla quale è sottoposta la scelta del difensore civico tende a oscillare, questo non significa che sia impossibile trarre dalla giurisprudenza delle indicazioni utili a orientare l’azione dei consigli regionali che, in futuro, dovranno selezionare tali figure. La lettura trasversale delle sentenze restituisce il seguente risultato: nel corso degli ultimi due decenni, si sono formati due orientamenti giurisprudenziali principali, ciascuno dei quali valuta l’atto di nomina del difensore civico alla luce di un differente standard motivazionale. Tali standard si differenziano tra di loro in funzione della puntualità della motivazione richiesta nonché della sua forma.

Le sentenze che formano il primo filone sono accomunate da un elemento: l’organo procedente è tenuto a effettuare una valutazione comparativa dei candidati alla carica di difensore civico. Inoltre, gli esiti della valutazione comparativa devono emergere dalla motivazione del provvedimento di nomina, che deve esplicitare l’iter logico che ha portato alla scelta di un candidato in luogo degli altri.

All’interno di questo primo filone giurisprudenziale, poi, la valutazione comparativa è tratteggiata con sfumature interpretative differenti a seconda dei casi.

In alcune pronunce[51], i giudici amministrativi hanno stabilito che l’organo politico procedente debba effettuare una valutazione comparativa a carattere tecnico-professionale, con modalità non del tutto dissimili da quelle dei concorsi a pubblico impiego. Affermano i giudici che, nella scelta del difensore civico, l’amministrazione «è tenuta a prendere in esame i titoli e l’esperienza vantati dagli aspiranti, operando la scelta al fine di assicurare che la nomina risponda ai requisiti indicati dallo Statuto […] ed evidenziare nella motivazione le ragioni della scelta in coerenza con i requisiti il cui possesso è richiesto dallo statuto n capo agli aspiranti»[52]. In altri termini, «del percorso logico che conduce alla scelta dell’uno o dell’altro candidato il Comune era tenuto a dare contezza nella motivazione del provvedimento»[53] e «il provvedimento di nomina […] deve dar conto del fatto che i differenti requisiti di competenza, esperienza e professionalità siano stati valutati in relazione al fine da perseguire»[54]. Pertanto, Qualora tale concezione di valutazione comparativa trovi applicazione, la scelta in favore di un candidato che presenti un profilo professionale meno robusto rispetto agli altri, ma che benefici di un grado maggiore di fiducia dell’organo assembleare dovrebbe essere considerata illegittima, in assenza di «chiarimenti adeguati»[55] esplicitati nella motivazione dell’atto di nomina.

In un altro, e più nutrito, gruppo di sentenze che formano il primo filone giurisprudenziale[56], la comparazione tra i candidati è sì richiesta, ma questa non deve avere necessariamente un carattere tecnico-professionale. In sostanza, l’atto di nomina deve spiegare per quali motivi la persona eletta è stata preferita rispetto agli altri candidati senza che, tuttavia, tale scelta sia necessariamente basata sui titoli professionali e le esperienze pregresse. Da una diversa prospettiva, la scelta dell’organo politico può legittimamente fondarsi su un elemento fiduciario oltre che professionale, ma le ragioni della scelta devono essere espressamente descritte nell’atto di nomina del difensore civico o, quantomeno, in una proposta di nomina da sottoporre in seguito al voto a scrutinio segreto dell’organo assembleare[57]. Secondo la giurisprudenza, è «necessario che l’Amministrazione evidenzi compiutamente la coerenza dei requisiti dell’aspirante rispetto ai contenuti dell’incarico, al grado di preparazione professionale che il suo assolvimento comporta e alle garanzie di imparzialità che esso richiede […]»[58] e «proprio perché la scelta riguarda un soggetto che assicuri una particolare competenza, deve aver luogo dopo che l’Amministrazione abbia preso in esame i titoli e l’esperienza vantati dagli aspiranti […] il Comune è tenuto insomma a dare contezza nella motivazione del provvedimento del percorso logico che conduce alla scelta dell’uno o dell’altro candidato»[59]. In breve, l’organo politico procedente deve «esplicitare, nel formulare la proposta di nomina del candidato prescelto, seppur in modo sommario e non puntuale (come si imporrebbe nel caso di un procedimento di tipo concorsuale), le ragioni valutative comprensive della preparazione professionale e della maggiore idoneità della persona preferita, rispetto agli altri concorrenti, a ricoprire l’incarico di difensore civico […]»[60].

Proseguendo nell’analisi della giurisprudenza, occorre ora soffermarsi sul secondo filone giurisprudenziale che risulta meno esigente rispetto al primo in termini di motivazione. L’onere di motivazione dell’organo politico che procede alla nomina si esaurisce nell’obbligo di svolgere un’istruttoria, durante la quale accertare il possesso dei requisiti minimi richiesti dalla legge e analizzare i profili dei candidati. Alcuna valutazione di tipo comparativo tra i candidati è richiesta, né fondata sui profili professionali né su altri criteri. Ragionando a contrario, secondo tale interpretazione l’organo politico procedente non è tenuto a motivare a posteriori le ragioni che hanno portato alla scelta di un candidato in luogo degli altri. Dal momento che la persona eletta rientra nel novero dei candidati ritenuti idonei nella fase istruttoria, l’obbligo di motivazione è assolto. Il carattere fiduciario della scelta, purché questa ricada su un candidato ritenuto idoneo, pone un argine al sindacato di legittimità del giudice amministrativo.

Questa interpretazione è fondata su un assunto principale. La scelta attraverso il metodo del voto a scrutinio segreto rende impossibile, su un piano squisitamente pratico, la possibilità di determinare ex post le ragioni che hanno portato l’assemblea a preferire un candidato piuttosto che un altro. Affermano i giudici a tal proposito che: «nessun obbligo di motivazione deve assistere la designazione del difensore civico da parte del Consiglio, poiché a ciò si oppone per definizione lo scrutinio segreto, funzionale all’espressione di una valutazione anche comparativa, ma che rimane nell’ambito delle scelte personali e politiche del singolo consigliere»[61].

Anche questo secondo filone giurisprudenziale contiene al suo interno delle pronunce che interpretano con toni diversi il contenuto dell’obbligo di motivazione.

Seconda di una prima e più rigorosa interpretazione[62], l’organo competente per l’istruttoria è tenuto a esplicitare i punti di forza e di debolezza dei vari candidati e di determinare quali tra essi siano in astratto idonei alla carica. Si rende necessaria, quindi, un’attività ulteriore, e più elaborata, rispetto al mero accertamento del possesso da parte dei candidati dei requisiti minimi richiesti dalla legge che, tuttavia, non sfocia mai in una valutazione comparativa tra i candidati volta a stilare una classifica di merito. Questa valutazione dell’idoneità dei candidati è, secondo i giudici, necessaria a che la fase istruttoria sia funzionale alla garanzia di un «voto informato e consapevole sui singoli candidati»[63] da parte dei membri dell’organo politico procedente. In altri termini, al momento del voto segreto i consiglieri devono aver avuto la possibilità di formarsi un giudizio fondato sulla conoscenza effettiva dei profili dei candidati.

Una seconda lettura, invece, interpreta l’attività istruttoria in maniera meno rigorosa. Ciò vuol dire che l’accertamento dei requisiti richiesti dalla legge per l’accesso alla carica di difensore civico è l’unico adempimento imposto all’organo procedente. In altri termini, non vi sarebbe alcun obbligo di svolgere una valutazione sull’idoneità dei candidati ammessi al voto.

Secondo tale ultimo orientamento[64], «il difensore civico è espressione della fiducia dell’Assemblea (ovvero della maggioranza di essa), che non deve essere motivatamente giustificata se non attraverso le regolare manifestazione del voto, con i soli limiti tassativi fissati dalle norme»[65]. Questi limiti coincidono con «i vizi della ammissione alla procedura (per mancanza dei requisiti richiesti dallo statuto e dal regolamento) e della votazione, per violazione della segretezza del voto o vizi della procedura in sé, ma non anche i criteri e le ragioni che hanno indotto l’Assemblea ad esprimere la fiducia nei confronti dell’uno, piuttosto che dell’altro candidato i quali non sono sindacabili, se non sotto il profilo della evidente irrazionalità e della falsità dei presupposti, ma non anche per il giudizio di valore tratto dagli elettori dai dati curriculari del candidato e tanto meno per vizio formale, essendo nella espressione del voto, la ragione stessa della nomina»[66].

L’analisi della giurisprudenza fin qui svolta si basa sul presupposto che la nomina del difensore civico regionale sia stata effettuata da un organo politico assembleare con voto a scrutinio segreto, una soluzione adottata da tutte le leggi regionali. Tuttavia, occorre sottolineare che qualora la nomina del difensore civico sia stata effettuata con atto di un organo monocratico, il più delle volte dal presidente del consiglio regionale in esercizio di un potere sostitutivo, il sindacato dei giudici amministrativi si è dimostrato ben più penetrante. Come espressamente riconosciuto in qualche occasione dai giudici amministrativi, «si vuol dire, in sostanza, che la “fiducia” che può esimere dall’onere motivazionale è quella che può intercorrere tra organo politico collegiale e soggetto eletto, o designato, mentre nel caso in esame ci si trova di fronte alla decisione di un organo monocratico: un organo che, seppure sostitutivo del consiglio comunale, non può funzionalmente (e quindi giuridicamente) esprimere, proprio perché monocratico, quel gradimento “fiduciario” esprimibile dall’organo collegiale (mediante le dichiarazioni di voto dei consiglieri e la sottostante dialettica politica)»[67].

Alla luce delle coordinate appena tracciate, l’onere motivazionale individuato tanto dal T.A.R. Valle d’Aosta quanto dal Consiglio di Stato nella vicenda della difensora civica oggetto del presente commento si pone al di fuori dei sentieri già tracciati dalla giurisprudenza, arrivando a una soluzione per alcuni versi illogica.

Da un lato, i giudici hanno stabilito che il consiglio regionale fosse tenuto a svolgere una valutazione comparativa tra i candidati, seppur in forma semplificata [68]. Dall’altro lato, tuttavia, giudici amministrativi non hanno percorso questa strada fino in fondo, imponendo l’obbligo di motivare a posteriori la scelta effettuata dai consiglieri regionali. Secondo la ricostruzione offerta, infatti, la valutazione comparativa può assumere una forma ex ante, precedendo quindi il momento della scelta a voto segreto.

Lo standard motivazionale elaborato dai giudici nel caso della Regione Valle d’Aosta è peculiare. Secondo gli orientamenti sopra isolati, qualora una qualche forma di valutazione comparativa sia richiesta, questo comporta che la scelta in favore di un candidato piuttosto che di un altro debba essere motivata ex post. Invece, nelle sentenze in commento i giudici ammettono che la valutazione comparativa possa essere motivata ex ante, attraverso il dibattito in consiglio regionale.

La congiunzione tra la necessità di una valutazione comparativa tra i candidati e di una motivazione ex ante è un tentativo dei giudici di aggirare il problema della motivazione di una decisione presa da un organo assembleare con voto a scrutinio segreto. Tuttavia, entrambe le sentenze in commento affrontano tale problema in dei passaggi piuttosto vaghi[69], con il risultato che la soluzione proposta risulta piuttosto fragile.

Infatti, a seguire il ragionamento dei giudici amministrativi tanto di primo grado quanto di appello, la scelta in merito al difensore civico regionale può essere motivata per il tramite delle dichiarazioni di voto dei consiglieri regionali in assemblea. Durante il dibattito i consiglieri sono tenuti non soltanto ad analizzare, o almeno a dare lettura, dei curricula professionali dei candidati ma anche, e qui si riscontra il punto fragile del ragionamento, a svolgere una valutazione comparativa tra i candidati, determinando così quale candidato sarebbe da preferire e sulla base di quale criterio. Sebbene i giudici si accontentino di una comparazione in forma semplificata, che nel caso di specie è coincisa con la generica preferenza accordata alla candidata eletta da parte sia dei gruppi di maggioranza e di minoranza in ragione della sua pregressa esperienza professionale all’interno dell’ufficio di difesa civica regionale[70], tale adempimento rischia di innescare un cortocircuito. Qualora i consiglieri individuino durante il dibattito in aula un candidato come la persona più adeguata alla carica di difensore civico ma poi, nel segreto dell’urna, il candidato eletto risultasse un altro, la motivazione dell’atto di nomina sarebbe viziata da una palese contraddittorietà, e quindi illegittima. Egualmente problematica sarebbe la situazione nella quale i gruppi di maggioranza e opposizione non convergessero, nel dibattito antecedente al voto, sul medesimo candidato, ma esprimessero una rosa variegata di nomi e criteri differenti. In questa situazione ipotetica sarebbe difficile considerare un dibattito assembleare dai toni cacofonici come una forma di motivazione ex ante della scelta compiuta.

Alla luce dei casi ipotetici sopra illustrati, la qualificazione delle esternazioni dei consiglieri regionali durante il dibattito assembleare come una forma di motivazione preliminare di una decisione in chiave comparativa si dimostra fragile. Sotto questo aspetto, è da preferire quell’orientamento giurisprudenziale che si limita a imporre l’accertamento dei requisiti minimi per la nomina o, tuttalpiù, lo svolgimento di una valutazione circa l’astratta idoneità dei candidati all’accesso alla carica, lasciando che la scelta tra i candidati idonei ricada all’interno dell’area del merito, sottratta al sindacato di legittimità. Si tratta, quest’ultima, della soluzione che appare la più consona per coniugare l’obbligo di motivazione del provvedimento amministrativo con le peculiarità della figura del difensore civico e del carattere fiduciario della sua nomina.

4. I problemi rimasti insoluti dopo la pronuncia del Consiglio di Stato (e qualche possibile soluzione a riguardo)

L’analisi fin qui svolta permette di trarre un primo giudizio conclusivo: con riguardo all’elezione del difensore civico la certezza del diritto è assicurata in misura alquanto limitata. È stato dimostrato come questioni sostanzialmente identiche siano state risolte dai giudici amministrativi in maniera del tutto differente a seconda dei casi di specie. In particolare, l’esatto contenuto della motivazione dell’atto di nomina del difensore civico non è mai stato determinato in maniera univoca e soprattutto definitiva dalla giurisprudenza amministrativa. Al contrario, è stata registrata un’oscillazione dello standard di motivazione di volta in volta applicato. Questo ha posto gli organi compenti per la nomina dei difensori civici in una posizione scomoda, in quanto incapaci di anticipare il contenuto dell’onere di motivazione richiesto e, quindi, di agire conformemente alla legge. Non è forse casuale che sul tema dell’elezione del difensore civico i ricorsi, e quindi le pronunce del giudice amministrativo, siano numerosi. Un livello deficitario di certezza del diritto contribuisce plausibilmente ad alimentare il contenzioso.

Alla luce di tale osservazioni, le due sentenze rese nell’ambito della vicenda della nomina del difensore civico della Regione autonoma Valle d’Aosta sono senz’altro di grande interesse. L’importanza di tali pronunce non risiede, tuttavia, nella loro capacità di chiudere, una volta per tutte, la questione della motivazione dell’atto di nomina del difensore civico quanto, al contrario, perché dimostrano che il problema sia ancora insoluto.

Poiché il filo conduttore che lega le decine di sentenze pronunciate nel corso degli ultimi decenni è rappresentato dalla forte incertezza in merito al contenuto della motivazione dell’atto di nomina, è di particolare importanza individuare quali contromisure possano essere introdotte per prevenire l’invalidazione per difetto di motivazione delle nomine da parte del giudice amministrativo.

A tal proposito, è auspicabile escludere in radice una soluzione all’apparenza lineare. Di fronte all’intrinseca difficoltà pratica di motivare una decisione presa da un organo politico assembleare con voto a scrutinio segreto, una soluzione potrebbe consistere nell’attribuire la competenza alla nomina alla giunta regionale, o al presidente della giunta regionale. Rimosso l’ostacolo del voto a scrutinio segreto, la motivazione ex post della scelta effettuata non porrebbe problemi di sorta.

Questa soluzione non è condivisibile perché finirebbe per snaturare la figura del difensore civico e delle altre istituzioni ispirate all’ombudsman svedese. Non soltanto il rapporto di fiduciarietà con l’organo politico assembleare è uno dei tratti che maggiormente caratterizzano l’istituto del difensore civico, ma la nomina da parte del consiglio costituisce allo stesso tempo una garanzia della sua indipendenza rispetto all’apparato amministrativo, oggetto della sua attività giustiziale e di controllo. La rinuncia al meccanismo dell’elezione a scrutinio segreto da parte dell’assemblea politica rappresentativa del popolo rischierebbe di ridurre l’efficacietà dell’operato del difensore civico.

Fatte queste premesse, occorre ora concentrarsi sulla legislazione regionale per valutare come una revisione del procedimento di selezione possa ridurre il rischio di annullamento della nomina. A tal riguardo, l’analisi del caso in commento e delle sentenze rese in casi simili permettono di trarre delle indicazioni preziose.

Poiché appare ormai consolidata l’interpretazione secondo cui l’atto di nomina del difensore civico è un atto di alta amministrazione, occorre quindi concentrarsi sulle modalità attraverso le quali i consigli regionali possono soddisfare lo standard di motivazione richiesto dalla giurisprudenza amministrativa. Sono due gli strumenti che possono essere adoperati a tale scopo: una maggior procedimentalizzazione dell’iter della nomina e una miglior predeterminazione dei requisiti di accesso alla carica.

Alla luce delle indicazioni che è possibile trarre della giurisprudenza, la procedimentalizzazione della nomina del difensore civico appare ormai una soluzione obbligata. Peraltro, un tale sviluppo sarebbe in linea con i più recenti sviluppi tanto della legislazione quanto della prassi in materia di nomine parlamentari[71].

Una maggior procedimentalizzazione della nomina passa, in primo luogo, per il rafforzamento della pubblicità degli atti della procedura.

Un livello di trasparenza maggiore sarebbe auspicabile con riguardo al momento di formazione delle candidature. L’attuale legislazione regionale offre differenti modelli a tal proposito: il consiglio regionale potrebbe pubblicare un avviso pubblico volto a stimolare la presentazione di candidature spontanee[72], oppure affidare ai consiglieri regionali il compito di avanzare le candidature[73] o, ancora, estendere tale facoltà agli elettori e alle associazioni e formazioni sociali operanti nel campo della difesa dei diritti dei cittadini[74]. Quale che sia il modello prescelto, occorre evitare che le candidature emergano soltanto al momento del voto, senza assicurare ai consiglieri regionali il tempo per valutare i profili dei candidati.

Inoltre, la procedimentalizzazione dell’elezione dovrebbe sostanziarsi in una netta distinzione tra una fase istruttoria, di competenza di una commissione consiliare, e una fase decisoria, di competenza invece del plenum dell’assemblea. Peraltro, è auspicabile che il difensore civico continui a essere eletto con voto a maggioranza qualificata e a scrutinio segreto, per preservare il carattere fiduciario della nomina.

La fase istruttoria è cruciale per soddisfare lo standard motivazionale richiesto dalla giurisprudenza amministrativa. La commissione consiliare competente dovrebbe vagliare i profili dei candidati per accertare il possesso dei requisiti di professionalità minimi fissati dalla legge e per valutare l’idoneità dei singoli candidati a ricoprire la carica, valutandone i profili professionali e personali. Tuttavia, è da rifiutare l’idea di svolgere una valutazione comparativa al fine di individuare il candidato migliore e di ordinare i candidati secondo una graduatoria di merito. Al contrario, l’istruttoria in commissione dovrebbe agire come una sorta di filtro preliminare, con lo scopo di sottomettere al voto del consiglio regionale soltanto i candidati che si reputano idonei all’accesso alla carica. Tale giudizio idoneativo dovrebbe essere debitamente motivato, in modo da permettere al consiglio regionale di valutare pregi e difetti di ciascun candidato. Spetterebbe poi all’assemblea tirare le conclusioni dell’istruttoria svolta in commissione, scegliendo uno tra i candidati ritenuti idonei.

Il rafforzamento dell’istruttoria promuoverebbe la legittimazione della nomina del difensore civico e potrebbe scoraggiare l’annullamento dell’atto per difetto di motivazione. Una tale procedimentalizzazione della nomina è introdotta soltanto in un numero limitato di legislazioni regionali e, tra queste, spiccano i modelli introdotti dalla Regione autonoma Valle d’Aosta[75] e dalla provincia autonoma di Bolzano. In quest’ultimo caso è prevista, tra le altre cose, un’audizione dei candidati in commissione durante la quale essi possono «presentare le proprie idee sulle future priorità e sulla conduzione»[76] dell’ufficio di difesa civica.

Infine, per prevenire le declaratorie di illegittimità basate sull’assenza di una valutazione comparativa tra i candidati, sarebbe necessario intervenire sulle disposizioni che individuano i requisiti professionali per l’accesso alla carica di difensore civico. Allo stato attuale, infatti, un buon numero di leggi regionali individua requisiti attraverso concetti indeterminati e dai contorni non ben definiti. Per esempio, nella legislazione regionale lombarda è stabilito che «[s]ono candidabili i cittadini esperti nei campi del diritto, dell’economia e dell’organizzazione pubblica, che diano la massima garanzia di indipendenza, imparzialità e competenza amministrativa» ed essere «in possesso di una qualificata esperienza professionale, almeno decennale, maturata in posizione dirigenziale presso enti od aziende pubbliche o private, ovvero di lavoro autonomo assimilabile, e svolta nei settori [sopra individuati], preferibilmente nel campo della difesa dei diritti dei cittadini»[77].

Come dimostra la giurisprudenza analizzata, delle formulazioni normative di questo tipo possono portare gli interpreti a considerare come necessaria un’attività di valutazione tecnico-comparativa tra i candidati allo scopo di determinare quale persona risulti la più rispondente al profilo ideale indicato dalla legge. Sarebbe pertanto auspicabile che la legislazione regionale introducesse dei requisiti professionali di accesso il più possibile predeterminati, in modo tale che alcuna attività accertativa complessa si renda necessaria. Un modello in tal senso potrebbe essere rappresentato dalla legislazione pugliese, che restringe la platea degli aspiranti alla carica tra i professori ordinari di università in materia giuridica, i magistrati, e gli avvocati patrocinati in Cassazione da più di dieci anni[78]. In tal modo, dovrebbe venir meno un appiglio normativo all’interpretazione secondo cui una valutazione tecnico-comparativa tra i candidati sarebbe necessaria. Infatti, risulterebbe palese come la scelta tra i candidati ritenuti idonei alla carica rientri nella discrezionalità politico-amministrativa dell’organo competente alla nomina, restando quindi sottratta al controllo di legittimità del giudice amministrativo.

  1. Dottore di ricerca in autonomie, servizi pubblici e diritti di cittadinanza presso l’Università del Piemonte orientale.
  2. Bollettino ufficiale della Regione autonoma Valle d’Aosta del 5 ottobre 2021, n. 49, pp. 3992-3910.
  3. L.r. Valle d’Aosta 28 agosto 2001, n. 17, art. 4, co. 1.
  4. Sulla base di quanto disposto da l.r. Valle d’Aosta 28 agosto 2001, n. 17, art. 4, co. 2.
  5. Più precisamente: l.r. Valle d’Aosta 28 agosto 2001, n. 17, art. 4, co. 5.
  6. Sulla base di quanto previsto da l.r. Valle d’Aosta 28 agosto 2001, n. 17, art. 3, co. 2., i requisiti sono: residenza nella Regione da almeno cinque anni; laurea magistrale, laurea specialistica o diploma di laurea del vecchio ordinamento in giurisprudenza; età superiore a quarant’anni; non aver riportato condanne penali; assenza delle cause di ineleggibilità indicate all’articolo 7, commi 1 e 1bis; conoscenza della lingua francese, accertata con le modalità di cui all’articolo 5.
  7. L.r. Valle d’Aosta 28 agosto 2001, n. 17, art. 6, co. 2.
  8. L.r. Valle d’Aosta 28 agosto 2001, n. 17, art. 6, co. 3.
  9. T.A.R. Valle d’Aosta, sentenza 26 luglio 2022, n. 38
  10. Ibidem.
  11. Ibidem.
  12. Ibidem.
  13. Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 17 gennaio 2023, n. 583, § 13.2.
  14. Ibidem, § 13.3.
  15. Ibidem.
  16. Tra le pronunce più rilevanti vi sono: T.A.R. Toscana, sentenza 25 gennaio 2005, n. 275; TAR Sicilia (Catania), sentenza 3 marzo 2005, n. 388; T.A.R. Piemonte, sentenza 19 luglio 2006, n. 3008; T.A.R. Sicilia (Palermo), sentenza 1° agosto 2006, n. 1807; T.A.R. Calabria (Reggio Calabria), sentenza 8 febbraio 2007, n. 133; T.A.R. Campania (Napoli), 21 marzo 2007, n. 4053; T.A.R. Sicilia (Palermo), sentenza 18 maggio 2007, n. 1374; T.A.R. Sicilia (Palermo), sentenza 25 ottobre 2007, n. 2306; T.A.R. Sicilia (Catania), sentenza 29 aprile 2008, n. 682; T.A.R. Campania (Napoli), 21 maggio 2008, n. 5128; T.A.R. Campania (Napoli), sentenza 1° luglio 2008, n. 6502; T.A.R. Lazio (Roma), sentenza 14 gennaio 2009, n. 139; T.A.R. Sicilia (Palermo), sentenza 17 novembre 2009, n. 1776; T.A.R. Sicilia (Catania), sentenza 12 febbraio 2010, n. 189; T.A.R. Sicilia (Catania), sentenza 2 dicembre 2010, n. 4585; T.A.R. Sicilia (Catania), sentenza 19 febbraio 2018, n. 394.
  17. Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 11 maggio 2004, n. 2964; Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 26 aprile 2005, n. 1910.
  18. C.G.A., sentenza 12 aprile 2007, n. 300; CGA, sentenza 23 dicembre 2010, n. 1417.
  19. T.A.R. Campania (Napoli), sentenza 4 novembre 2011, n. 5122 concernente l’elezione del difensore civico della provincia di Avellino.
  20. Più precisamente con la legge 23 dicembre 2009, n. 191, art. 1, co. 186, let. a.
  21. T.A.R. Campania (Napoli), sentenza 5 novembre 2018, n. 6424 e Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 18 febbraio 2019, n. 1132.
  22. Cf. T.A.R. Lazio (Roma), sentenza 22 luglio 2022, n. 10434; sentenza non appellata. La controversia ha avuto origine dal ricorso presentato da una candidata nell’ambito del procedimento di elezione del difensore civico regionale indetto nel 2007 (e mai portato a termine) con il quale ha impugnato l’atto tramite cui la Regione Lazio, nel 2014, riapriva tale procedura sollecitando la presentazione di nuove candidature.
  23. Cf. T.R.G.A. (Bolzano), sentenza 14 dicembre 2009, n. 440. Nel gennaio del 2009, il consiglio della provincia autonoma di Bolzano era chiamato a eleggere un nuovo difensore civico. Durante la seduta del 14 e 15 gennaio, il consiglio procedeva alla rielezione della difensora civica uscente, nonostante quest’ultima non avesse formalmente presentato una candidatura alla rielezione e pur in presenza di altre quattro candidature, pervenute spontaneamente all’amministrazione provinciale nelle settimane precedenti. L’assemblea aveva rieletto la difensora civica uscente al terzo scrutinio all’esito di una seduta tormentata, durante la quale l’esistenza delle quattro candidature spontanee era stata rivelata al consiglio soltanto a seduta in corso e su pressione dei consiglieri di minoranza. Su ricorso di uno dei candidati non eletti, il TRGA, sezione autonoma di Bolzano, ha annullato la rielezione della difensora civica per difetto di motivazione del provvedimento di nomina.
  24. A seguito dell’annullamento della prima elezione, la provincia autonoma di Bolzano era intervenuta sulla cornice normativa della difesa civica: la legge provinciale n. 14 del 1996 era stata sostituita dalla legge provinciale n. 3 del 2010, allo scopo di definire con un maggior grado di dettaglio la fase istruttoria del procedimento di nomina del difensore civico.
  25. T.R.G.A. (Bolzano), sentenza 19 dicembre 2012, n. 385.
  26. Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 4 novembre 2014, n. 5421.
  27. T.A.R. Campania (Napoli), 12 febbraio 2014, n. 985. Nel caso di specie, il difensore civico regionale era stato nominato dal presidente del consiglio regionale perché questi aveva esercitato il proprio potere sostitutivo nei confronti del consiglio regionale, che non aveva provveduto all’elezione in tre occasioni.
  28. Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 17 febbraio 2015, n. 807.
  29. Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 15 novembre 2016, n. 4718 adottata in ottemperanza della sentenza della medesima sezione n. 807 del 2015.
  30. Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 11 dicembre 2017, n. 5834.
  31. Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 26 aprile 2018, n. 2538.
  32. T.A.R. Lombardia (Milano), sentenza 10 aprile 2019, n. 797.
  33. Consiglio di Stato, sentenza 3 maggio 2021, n. 3465.
  34. Secondo i giudici del Consiglio di Stato, i requisiti minimi per la nomina a difensore civico regionale della Lombardia non sono soltanto quelli fissati dalla legge regionale sulla difesa civica (l.r. n. 18/2010). Infatti, tali requisiti devono essere integrati da quelli previsti dalla l.r. n. 25/2009, la quale contiene le norme, a carattere generale, per le nomine e designazioni di competenza del consiglio regionale. Quest’ultima legge, a differenza di quanto previsto dalla legge sulla difesa civica, richiede il possesso di un adeguato titolo di studio. Pertanto, nel caso di specie, il fatto che la persona eletta alla carica di difensore civico regionale possedesse la sola licenza di scuola media inferiore rappresenta una violazione delle norme in materia di nomine da parte del consiglio regionale.
  35. Con la sentenza 4 luglio 2022, n. 1576, il T.A.R. Lombardia (Milano) ha respinto il ricorso per l’annullamento della seconda elezione del difensore civico. Secondo i giudici, il provvedimento di elezione non sarebbe viziato da difetto di motivazione, come invece asserito dal ricorrente. La sentenza del T.A.R. Lombardia appena citata è stata appellata davanti al Consiglio di Stato che, allo stato attuale, non si è ancora pronunciato. In parallelo, il ricorrente ha chiesto l’ottemperanza della sentenza della quinta sezione del Consiglio di Stato (n. 3465/2021) che aveva annullato l’elezione del precedente difensore civico della Lombardia per carenza di titolo di studio. Il Consiglio di Stato, sez. V, con la sentenza 6 settembre 2022, n. 7765 ha rigettato il ricorso: la riapertura della procedura a favore di tutte le persone che avevano presentato la propria candidatura è legittima, essendo da rigettare la tesi del ricorrente secondo la quale soltanto il ricorrente medesimo avrebbe avuto il diritto di partecipare alla rinnovata procedura.
  36. Sul tema della qualificazione del difensore civico quale equivalente italiano dell’ombudsman svedese e sui contorni di tale categoria sia consentito il rinvio a: R. Medda, L’ombudsman in Italia tra Stato e Regioni: la perdurante assenza di un sistema integrato di garanzia, in Istituzioni del Federalismo, 4, 2017, in part. pp. 972-988. Per un inquadramento del difensore civico all’interno del sistema della giustizia amministrativa si veda il contributo di N. Posteraro, L’amministrazione contenziosa: le Alternative Dispute Resolution (con particolare riguardo alla figura del difensore civico), in Il Processo, 2, 2021, pp. 265-326.
  37. L. Giani, L’organizzazione amministrativa, in F.G. Scoca (a cura di), Diritto amministrativo, Torino, Giappichelli, quinta edizione, 2017, p. 149: «L’indipendenza [delle autorità amministrative indipendenti] viene assicurata […] a livello strutturale attraverso la previsione di regole che garantiscono che la scelta dei vertici [delle stesse] […] avvenga […] attraverso un procedimento che prescinda da qualsiasi legame con il Governo, cioè con il vertice politico dell’esecutivo».
  38. Secondo la definizione di B.G. Mattarella, Il provvedimento amministrativo, in S. Cassese (a cura di), Istituzioni di diritto amministrativo, Milano, Giuffré, quinta edizione, 2015, p. 360. Per un’analisi approfondita della nozione di atto politico alla luce tanto della dottrina quanto della giurisprudenza, si rinvia al recente contributo di: V. Giomi, L’atto politico e il suo giudice. Tra qualificazioni sostanziali e prospettive di tutela, Milano, Franco Angeli, 2022, in particolare pp. 61-123.
  39. Regio decreto, 26 giugno 1924, n. 1054, art. 31.
  40. Cfr. G.B. Garrone, Atto politico (disciplina amministrativa), voce, in Digesto delle discipline pubblicistiche, 1987.
  41. B.G. Mattarella, Il provvedimento amministrativo, cit., p. 360.
  42. Secondo la definizione proposta da R. Villata, M. Ramajoli, Il provvedimento amministrativo, Torino, Giappichelli, seconda edizione, 2017, p. 271.
  43. Sulla specificità dell’onere di motivazione dei provvedimenti di alta amministrazione si rinvia a: R. Villata, M. Ramajoli, op.cit., pp. 286-287, nonché a A. Cioffi, La motivazione del provvedimento amministrativo, in A. Romano (a cura di), L’azione amministrativa, Torino, Giappichelli, 2015, in particolare pp. 173-174
  44. Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 17 febbraio 2015, n. 807, § 3.
  45. Da ultimo, si veda T.A.R. Lazio, sez. V, sentenza 22 luglio 2022, n. 10434, § 4.1.1, che rinvia a sua volta a T.A.R. Lombardia (Milano), sentenza 4 luglio 2022, n. 1576, § 5: «La nomina del difensore regionale è un atto di alta amministrazione a carattere fiduciario».
  46. Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 18 febbraio 2019, n. 1132, § 4: «Tale si deve confermare che l’atto di nomina del Garante non è un atto politico, bensì un atto amministrativo, seppur connotato da ampia discrezionalità e ascrivibile, come tale, alla categoria degli atti di alta amministrazione».
  47. T.A.R. Sicilia (Palermo), sentenza 17 novembre 2009, n. 1776. Nel caso di specie, la qualificazione giuridica dell’atto è stata confermata anche in appello da parte di C.G.A., sentenza 23 dicembre 2010, n. 1417, § 9: «piuttosto la nomina [si risolve] in una scelta di carattere fiduciario, non abbisognevole di motivazione».
  48. Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 11 maggio 2004, n. 2964, § 3.4.
  49. Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 26 aprile 2005, n. 1910, § 2.3: «La votazione di secondo grado, che caratterizza il procedimento di scelta, evidenzia anche che la nomina costituisce un atto latamente politico dell’intera Assemblea, alla quale non trovano applicazione le regole proprie delle procedure e dei provvedimenti di tipo concorsuale».
  50. Cfr. a tal proposito, T.A.R. Sicilia (Catania), sentenza 2 dicembre 2010, n. 4585, secondo cui: «la scelta del difensore civico […] si esprime in un provvedimento discrezionale latamente politico da parte del consiglio comunale […]». Questa lettura è ampiamente diffusa in giurisprudenza che, in molte occasioni, ha ripreso la qualificazione dell’atto di nomina del difensore civico fornita dalla quinta sezione del Consiglio di Stato nella pronuncia citata nella nota precedente (n. 1910/2005). Su tale filone giurisprudenziale si veda, senza tuttavia pretesa di esaustività: T.A.R. Piemonte, sentenza 19 luglio 2006, n. 3008; T.A.R. Campania (Napoli), 21 marzo 2007, n. 4053; T.A.R. Sicilia (Palermo), sentenza 25 ottobre 2007, n. 2306; T.A.R. Campania (Napoli), 21 maggio 2008, n. 5128; T.A.R. Lazio (Roma), sentenza 14 gennaio 2009, n. 139; T.A.R. Sicilia (Catania), sentenza 12 febbraio 2010, n. 189; T.R.G.A. (Bolzano), sentenza 19 dicembre 2012, n. 385. Seppur non riprendendo la ricostruzione teorica della sentenza della quinta sezione del Consiglio di Stato sopra citata, il medesimo approccio è stato adottato dalla sesta sezione del Consiglio di Stato in una pronuncia sul caso della difensora civica della provincia autonoma di Bolzano (sentenza n. 5421/2014).
  51. T.A.R. Sicilia (Catania), sentenza 3 marzo 2005, n. 388; C.G.A., sentenza 12 aprile 2007, n. 300; T.A.R. Sicilia (Catania), sentenza 29 aprile 2008, n. 682; Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 17 febbraio 2015, n. 807, § 5; Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 15 novembre 2016, n. 4718; T.A.R. Campania (Napoli), sentenza 5 novembre 2018, n. 6424; Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 18 febbraio 2019, n. 1132.
  52. T.A.R. Sicilia (Catania), sentenza 3 marzo 2005, n. 388, § I.
  53. Ibidem.
  54. Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 15 novembre 2016, n. 4718, § 3.
  55. Cfr. Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 18 febbraio 2019, n. 1132, § 4: «[…] il singolo provvedimento di nomina, che comporta una scelta nell’ambito di una categoria di soggetti in possesso di titoli specifici, non si sottrae al generale obbligo di motivazione […] soprattutto nei casi, come quello di specie, in cui la scelta appare, in assenza di chiarimenti adeguati dell’Amministrazione in sede motivazionale, del tutto irragionevole e illogica, se posta in paragone con il ricorrente di primo grado, che vanta un curriculum nettamente più ampio e articolato rispetto all’incarico da ricoprire».
  56. Standard adottato nelle seguenti pronunce: T.A.R. Calabria (Calabria Reggio Calabria), sentenza 8 febbraio 2007, n. 133; T.R.G.A. (Bolzano), sentenza 19 dicembre 2012, n. 385; T.A.R. Sicilia (Catania), sentenza 19 febbraio 2018, n. 394.
  57. Cfr. T.R.G.A. (Bolzano), sentenza 19 dicembre 2012, n. 385.
  58. T.A.R. Calabria (Reggio Calabria), sentenza 8 febbraio 2007, n. 133, § 4.2.
  59. Ibidem.
  60. T.R.G.A. (Bolzano), sentenza 19 dicembre 2012, n. 385, (corsivo aggiunto).
  61. T.A.R. Lombardia (Milano), sentenza 10 aprile 2019, n. 797, § 2.2.
  62. Rientrano in questo orientamento giurisprudenziale le pronunce seguenti: T.R.G.A. (Bolzano), sentenza 14 dicembre 2009, n. 440; Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 4 novembre 2014, n. 5421; T.A.R. Lombardia (Milano), sentenza 10 aprile 2019, n. 797; T.A.R. Lombardia (Milano), sentenza 4 luglio 2022, n. 1576; Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 6 settembre 2022, n. 7765.
  63. Cfr. T.A.R. Lombardia (Milano), sentenza 4 luglio 2022, n. 1576, § 5: «Il Collegio ritiene che l’onere motivazionale per il conferimento di un incarico di natura fiduciaria, adottato da un organo collegiale a scrutinio segreto, debba ritenersi sufficientemente evaso con l’esplicitazione del rispetto delle regole del procedimento elettivo e dei principi di buon andamento e di imparzialità dell’amministrazione, i quali esigono che i componenti del Consiglio regionale siano posti nella condizione di esprimere un voto informato e consapevole sui singoli candidati». L’importanza dell’istruttoria quale momento di formazione della volontà dell’organo procedente è sottolineata anche in: T.R.G.A. (Bolzano), sentenza 14 dicembre 2009, n. 440.
  64. Questo orientamento è formato soprattutto dalle numerose pronunce in materia di elezione del difensore civico comunale rese nei primi anni Duemila da parte dei T.A.R. e, in qualche caso, del Consiglio di Stato: Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 26 aprile 2005, n. 1910; T.A.R. Sicilia (Palermo), sentenza 1° agosto 2006, n. 1807; T.A.R. Sicilia (Palermo), sentenza 18 maggio 2007, n. 1374; T.A.R. Sicilia (Palermo), sentenza 25 ottobre 2007, n. 2306; T.A.R. Campania (Napoli), sentenza 1° luglio 2008, n. 6502; T.A.R. Lazio (Roma), sentenza 14 gennaio 2009, n. 139; T.A.R. Campania (Napoli), sentenza 4 novembre 2011, n. 5122; T.A.R. Lazio (Roma), sentenza 22 luglio 2022, n. 10434.
  65. Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 26 aprile 2005, n. 1910, § 2.5.
  66. Ibidem, § 2.3.
  67. Per riprendere le parole utilizzate in T.A.R. Sicilia (Catania), sentenza 2 dicembre 2010, n. 4585.
  68. Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 17 gennaio 2023, n. 583, § 13.2: « […] il singolo provvedimento di nomina, anche se adottato in base a criteri eminentemente fiduciari, deve esporre le ragioni che hanno condotto alla nomina, comportando una scelta nell’ambito di una categoria di determinati soggetti in possesso di titoli specifici; la motivazione della scelta, sia pure effettuata latamente intuitu personae, deve comunque ancorarsi all’esito di un apprezzamento complessivo del candidato, in modo che possa dimostrarsene la ragionevolezza, e non può esaurirsi nel mero riscontro del possesso dei requisiti prescritti dalla legge (cfr. Cons. Stato, V, n. 3119/2021, concernente la scelta di esperti per la Commissione locale del paesaggio del Comune di Scafati) […]».
  69. T.A.R. Valle d’Aosta, sentenza 26 luglio 2022, n. 38: «Non vi è, infatti, né a livello logico né a quello giuridico, alcuna incompatibilità tra il voto segreto e l’obbligo, previsto per legge, di motivare adeguatamente le determinazioni di carattere amministrativo, come quella in esame. Il voto segreto, d’altronde, è finalizzato a proteggere la segretezza del voto e, dunque, a tutelare l’anonimato dei Consiglieri regionali nella propria scelta di votare un candidato piuttosto che un altro, ma ciò non impedisce in alcun modo all’organo nel suo complesso di procedere ad una minimale comparazione tra i candidati e di esplicitare – sia “a monte”, ovvero prima della votazione, sia “a valle”, ovvero all’esito della medesima votazione – le ragioni a sostegno della determinazione assunta dall’organo collegiale». Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 17 gennaio 2023, n. 583, §13.3: «[t]ra carattere fiduciario, voto a scrutinio segreto, e obbligo di motivazione, non vi è un’irriducibile alternativa logica, purché l’onere di esternare le ragioni della scelta venga ricondotto all’ambito proprio di simili decisioni, che deve rappresentare “il punto di equilibrio tra il generale dovere di motivazione degli atti amministrativi, insostituibile presidio di legalità sostanziale (Corte costituzionale, ordinanza 26 maggio 2015 n. 92) ed espressione dei principi di trasparenza e di imparzialità dell’azione amministrativa (Consiglio di Stato, Sezione III, 17 settembre 2021 n. 6320), e la segretezza del voto, prevista dall’articolo 2, comma 1, della legge regionale 6 dicembre 2010 n. 18, volta a garantire sia l’indipendenza funzionale dei singoli componenti dell’organo collegiale che l’effettiva autonomia ed indipendenza del difensore regionale dall’organo che lo ha eletto” (così, T.A.R. Lombardia, I, n. 1576/2022, sull’elezione del difensore regionale della Lombardia)».
  70. Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 17 gennaio 2023, n. 583, § 13.7: «È dunque evidente che una valutazione dei candidati vi sia stata, ed in forma (ancorché essenziale, tuttavia anche) comparativa, posto che la ragione della scelta è stata ricondotta all’esperienza professionale “interna” all’ufficio, specificamente vanta dalla dott.ssa Squillaci (mentre il dott. Bertignone è avvocato, e l’altro candidato che ha ottenuto voti, il dott. Cordone, è un commercialista) e ritenuta – a torto o a ragione, ma tale profilo, ovviamente, non assume in questa sede alcuna rilevanza – elemento preferenziale».
  71. Con riguardo alla legge statale, è indicativo come il d.lgs. 8 novembre 2021, n. 208, art. 63, co. 16 abbia introdotto una forma di procedimentalizzazione della nomina, da parte di Camera e Senato, dei componenti del consiglio di amministrazione della RAI. È parimenti rilevante registrare l’operato dei presidenti di Camera e Senato con riguardo alla nomina del presidente dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato. Nonostante la legge non imponga un tale adempimento (legge 10 ottobre 1990, n. 287, art. 10, co. 2-3), il, i presidenti dei due rami del Parlamento hanno pubblicato un avviso pubblico al fine di sollecitare la presentazione di candidature spontanee.
  72. Legge provinciale Bolzano, 9 ottobre 2020, n. 11, art. 3, co. 1.
  73. Legge regionale Emilia-Romagna 16 dicembre 2003, n. 25, art. 8, co. 1.
  74. Legge regionale Lazio, 28 febbraio 1980, n. 17, art. 7, co. 1.
  75. Legge regionale Valle d’Aosta, 28 agosto 2001, n. 17, art. 4.
  76. Legge provinciale Bolzano, 9 ottobre 2020, n. 11, art. 3, co. 2.
  77. Legge regionale Lombardia, 6 dicembre 2010, n. 18, art. 2, co. 2-3.
  78. Legge regionale Puglia, 9 luglio 1981, n. 38, art. 7, co. 2.