La tutela dell’identità personale attraverso l’accesso al fascicolo dell’Istituto Provinciale Infanzia e Maternità

 

Diego Lopomo[1]

(ABSTRACT) IT

Il contributo, a partire dall’esperienza della Città metropolitana di Torino (ex Provincia di Torino), intende capire se si possa dare tutela, in via amministrativa, al c.d. diritto alle origini biologiche, quale peculiare espressione del diritto all’identità personale, attraverso l’accesso documentale al fascicolo di accrescimento del minore ospitato nei primi anni di vita presso l’Istituto provinciale per l’Infanzia di Torino o presso una comunità.

Dopo aver affrontato il tema del parto segreto e della successiva svolta giurisprudenziale circa la possibilità per la madre anonima di revocare l’anonimato, si approfondiscono il tema della riservatezza e soprattutto il modo in cui si è sviluppato il concetto di identità personale.

Si offre quindi al lettore una soluzione peculiare del problema dimostrando che l’approccio in via amministrativa, se rispettoso dei presupposti definiti dalla legge e dalla giurisprudenza, offre la possibilità di dare risposta alla ricerca di sé, tutelando in maniera peculiare il diritto all’identità personale dell’adottato (e del non adottato), nella lettura datane dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo e dalle corti nazionali.

Un approccio di questo tipo, non scevro dalla necessità di attrezzare soluzioni di accompagnamento psicologico alla lettura del proprio vissuto, permette, inoltre, di valorizzare il ruolo del giurista che lavora nell’ambito dell’integrazione dei servizi socio-assistenziali in quanto può mettere a disposizione la propria competenza favorendo l’approccio giuridicamente corretto alla domanda di accesso, ma, in una prospettiva multidisciplinare, garantire l’approccio empatico alla persona.

(ABSTRACT) EN

The contribution, starting from the experience of the Città metropolitana di Torino (in the past Provincia di Torino), intends to understand whether protection can be given, on an administrative basis, to the so-called right to biological origins, as a peculiar expression of the right to personal identity, through access to documentation relating to the upbringing file of the child hosted in the early years of life at the Istituto Provinciale Infanzia e Maternità or at a community facility.

After addressing the issue of secret childbirth and the subsequent jurisprudential turning point regarding the possibility for the anonymous mother to waive confidentiality, the text delves into the theme of privacy and especially the way in which the concept of personal identity has developed.

It then offers the reader a peculiar solution to the problem, demonstrating that the administrative approach, if respectful of the prerequisites defined by law and jurisprudence, offers the possibility of responding to the search for oneself, protecting in a peculiar manner the right to identity. personal life of the adopted (and non-adopted), as interpreted by the the European Court of Human Rights and by national courts.

Such an approach, not devoid of the need to offer psychological support in the reading of one’s own experiences, also allows for the valorization of the role of the jurist working in the field of integration of social-welfare services, as he can provide their expertise to promote the legally correct approach to the access request ensuring, from a multidisciplinary perspective, an empathetic approach to the individual.

Sommario:

1. Il ruolo della Città metropolitana di Torino con riferimento alla tematica dell’accesso alle origini – 2. Il procedimento di accesso al fascicolo personale in relazione ad esigenze di segretezza e riservatezza – 3. Identità personale e ricostruzione del vissuto – 4. La tutela dell’identità personale senza un complesso bilanciamento di interessi: l’accompagnamento dell’istante nella comprensione delle informazioni e nella lettura dei documenti – 5. Conclusioni

1. Il ruolo della Città metropolitana di Torino con riferimento alla tematica dell’accesso alle origini

La Città metropolitana, ereditando l’esperienza della Provincia di Torino in tema di politiche sociali, continua a svolgere, ma con una visione non più legata alla gestione diretta dei servizi di assistenza delle madri e dei minori[2], alcune funzioni relative alla tutela dell’anonimato della madre, espresso al momento del parto, e al diritto di accesso alle proprie informazioni personali da parte di quelle persone che sono state ospiti dell’Istituto Provinciale Infanzia e Maternità o delle comunità gestite dalla medesima Amministrazione provinciale, con la chiusura del primo[3].

La ricerca delle proprie origini da parte dell’adottato, secondo lo sviluppo normativo e giurisprudenziale che si è succeduto nel corso del tempo, costituisce un tema particolarmente delicato, sul quale la dottrina si è dedicata ampiamente[4], perché riguarda l’esigenza di bilanciare il diritto del figlio naturale a dare un senso al proprio vuoto esistenziale con la tutela della segretezza della donna che ha partorito in anonimato: in sostanza il tema tratta alle estreme conseguenze il rapporto tra trasparenza e riservatezza[5].

Il dibattito è risalente perché già le prime discipline normative degli anni 20 del secolo scorso, ammettevano la possibilità, per gli operatori degli Istituti che accoglievano i minori abbandonati, di indagare chi fosse la madre, ma esclusivamente per tutelare le esigenze sanitarie del nascituro, pur dovendo mantenere il totale riserbo sulle risultanze di tali indagini[6], la cui documentazione veniva secretata in un “piego suggellato”[7].

La segretezza del parto, a tutela della salute della donna e del nascituro, è stata poi confermata dalle norme sull’ordinamento dello stato civile, prevedendo però un termine di cento anni dalla formazione dell’atto prima di poter procedere all’ostensione del certificato di nascita o di assistenza al parto o dell’atto integrale di nascita o di qualsiasi altro documento che potesse contenere dati identificativi della donna[8].

Sulla spinta, tuttavia, del diritto internazionale ed europeo e, mi sentirei di dire, delle conquiste della cultura psicoanalitica, per la quale è fondamentale la ricostruzione della propria identità psicologica e sociale, l’accesso alle origini, fatta salva la segretezza della donna che ha dichiarato l’anonimato al momento del parto[9], ha assunto una posizione prevalente nel controbilanciare le esigenze di riservatezza: la legge sull’adozione riformata nel 2001 ha ammesso, infatti, per il solo adottato, la possibilità di conoscere le proprie origini biologiche attraverso procedimenti che fanno capo al Tribunale per i minorenni[10].

D’altro canto la norma di cui all’art. 28 comma 7 della legge sull’adozione, che disponeva la segretezza del parto, è stata dichiarata incostituzionale[11] nella misura in cui non prevedeva la possibilità per la madre di revocare la propria scelta: la procedura di interpello della madre naturale permette al Tribunale per i minorenni, con modalità che rispettino la massima riservatezza, di cercare la donna (ma anche gli altri familiari biologici) e chiedere se voglia o meno confermare l’anonimato[12].

Il ragionamento della Corte analizza gli interessi in gioco sottolineando il fondamento costituzionale di entrambi i diritti: da un lato quello della madre all’anonimato (interesse assai più forte rispetto alla riservatezza) che si fonda sulla tutela dei beni primari della vita e della salute della donna e del neonato, a rischio di essere compromessi da qualsiasi turbamento derivante da situazioni più disparate (personali sociali, culturali, ambientali etc); dall’altro sancisce che «il diritto del figlio a conoscere le proprie origini – e ad accedere alla propria storia parentale – costituisce un elemento significativo del sistema costituzionale della persona come pure riconosciuto in varie pronunzie della Corte europea dei diritti dell’uomo[13]».

La soluzione del difficile bilanciamento tra le esigenze così profilate poggia sulla necessità di tenere distinti i piani della genitorialità giuridica e della genitorialità naturale: rinunciare alla prima non deve implicare necessariamente una definitiva e irreversibile rinuncia alla seconda.

In sostanza una cosa è il piano dell’accertamento della maternità, rispetto al quale la madre biologica può sottrarsi, altra cosa è il piano delle conseguenze della scelta sul figlio e sul suo diritto all’identità personale (e familiare[14]).

Sia prima che dopo lo storico arresto del 2013 della Consulta che ha “riequilibrato”, riconoscendo alla madre la possibilità di revocare l’anonimato, il diritto alle origini dell’adottato con quello all’oblio della madre biologica, il figlio che vedeva rigettata la domanda di accesso documentale ad atti che contenevano indicazioni sulla madre naturale, tentava la strada del giudice amministrativo sul presupposto che è sempre ammissibile l’accesso[15] quando funzionale alla cura o difesa di propri interessi giuridici[16].

La giurisprudenza amministrativa ha pertanto cercato di dare una soluzione pubblicistica alla questione, ma partendo comunque dall’applicazione di principi e di norme, tradizionalmente utilizzati dall’autorità giudiziaria ordinaria minorile, per (raramente) accogliere o rigettare[17] le domande di disvelamento del segreto in parola[18].

Tra le altre occorre segnalare la pronuncia del T.A.R. Campania[19], adottata successivamente alla nota sentenza della Corte Costituzionale del 2013 e alle sentenze della Cassazione che hanno definito il procedimento di interpello e le aperture circa la conoscenza dei soli dati anagrafici della madre biologica defunta o la conoscenza dei fratelli e sorelle biologici[20]: il tribunale amministrativo campano, dopo aver ricostruito la normativa e la giurisprudenza appena citata, ha rigettato il ricorso.

La sentenza in commento[21], prendendo atto della posizione ricostruita dalla Corte costituzionale, che ammette la reversibilità dell’anonimato della madre, statuisce che un interesse «(di natura prettamente patrimoniale) è recessivo di fronte alla volontà espressa dalla madre di non essere conosciuta espressione questa di un diritto fondamentale della persona». Tuttavia, nel solco del bilanciamento di interessi di pari rango primario la tutela del diritto personalissimo all’identità personale, riconducibile all’art. 2 Cost. prevale sull’interesse all’anonimato oltre la vita della donna, altrimenti creando un divieto assoluto alla conoscibilità delle origini.

Il giudice amministrativo si concentra, comunque, pur non riguardando la controversia decisa, su due profili molto interessanti.

Da un lato si domanda se sia compatibile lo strumento dell’accesso documentale, che affida alla pubblica amministrazione e al giudice amministrativo, per valutare il bilanciamento di delicatissimi interessi in gioco qualora si contrappongano, come nei casi decisi dalla Corte costituzionale e dalla Corte di cassazione, diritti personalissimi di rango primario.

Il legislatore, infatti, ha previsto un procedimento ad hoc finalizzato alla ricerca delle origini, che attribuisce al Giudice minorile il compito di contemperamento delle opposte esigenze: quello della madre all’anonimato e alla sua salute psico-fisica e quello del figlio all’identità personale.

In questo caso anche dopo la morte della madre biologica, il diritto all’identità personale del figlio non può essere esercitato creando nocumento all’identità sociale costruita in vita dalla madre. Il trattamento delle informazioni relativo alle origini deve, in definitiva, essere eseguito in modo corretto e lecito senza cagionare danno anche non patrimoniale all’immagine, alla reputazione e ad altri beni di primario rilievo costituzionale di eventuali terzi interessati[22].

Dall’altro tocca il tema dei controinteressati «considerando che il solo coinvolgimento dei controinteressati nel procedimento amministrativo produrrebbe dei danni irreversibili alla sfera di riservatezza dei soggetti coinvolti».

Nel solco del bilanciamento tra l’interesse all’accesso documentale e la tutela della segretezza del parto anonimo, si inserisce la recente sentenza del Tribunale amministrativo del Lazio[23].

La sentenza, dopo aver ricostruito il diritto di accesso documentale, si concentra sui presupposti necessari per concedere l’accesso:

a) la dimostrazione che gli atti oggetto dell’istanza siano in grado di spiegare effetti diretti o indiretti nella sfera giuridica dell’istante, non potendosi basare la richiesta di accesso su mere e generiche esigenze difensive;

b) la posizione da tutelare deve essere collegata al documento del quale si chiede l’ostensione. Il rapporto di strumentalità deve apparire dalla motivazione indicata nella domanda.

Il Giudice osserva poi che «l’accesso difensivo relativo a dati supersensibili, come quelli relativi alla salute, è consentito soltanto nell’ipotesi in cui sia strettamente indispensabile per tutelare diritti di pari rango rispetto a quelli dell’interessato, ovvero qualora venga in rilievo un diritto della personalità o altro diritto o libertà fondamentale».

Il Tribunale, pertanto, rigetta sul presupposto della mancanza di alcun riscontro probatorio in ordine al collegamento tra la sua persona e la bambina e tra la sua persona e la madre della stessa, nonché in ordine alla stretta indispensabilità della documentazione richiesta ai fini del riconoscimento della paternità.

In sostanza, senza autorizzazione espressa del Giudice minorile, che deve adottare le cautele «anche di sostegno psicologico, funzionali a limitare l’impatto sull’equilibrio del richiedente derivante dall’apprendimento di tali informazioni»[24], ai sensi dell’art. 28 comma 5 della legge adozione, l’ufficiale di stato civile e di anagrafe e qualsiasi ente pubblico devono rifiutarsi di consegnare documenti dai quali possa risultare il rapporto di adozione: con le previste procedure è tuttavia possibile per l’interessato adire il Tribunale per i minorenni per conoscere l’identità dei genitori biologici, accedendo evidentemente al fascicolo giudiziario di adozione[25].

In questo contesto la Regione Piemonte ha disciplinato il sistema di sostegno alla maternità attraverso l’organizzazione di una rete capillare di interventi socio-assistenziali nei confronti delle gestanti che necessitano di specifici sostegni in ordine al riconoscimento o meno dei nati e sul diritto di partorire in anonimato[26].

Sono quindi stati individuati i 4 soggetti gestori (Città di Torino, Comune di Novara, Consorzio del cuneese e Consorzio CISSACA di Alessandria), subentrati dal 1 gennaio 2007 alle Province competenti, nell’esercizio delle funzioni di assistenza alle gestanti in ordine al riconoscimento o non riconoscimento dei loro nati ed al parto segreto[27].

Successivamente sono state approvate le Linee guida in materia di interventi a favore dei minori non riconosciuti[28] che attribuiscono agli Uffici di Pubblica tutela provinciali[29], in ragione delle funzioni di collegamento con i soggetti gestori delle funzioni socio-assistenziali[30] e in virtù della più che secolare competenza delle province in tema di assistenza ai minori in condizioni di difficoltà, le seguenti funzioni:

a) la conservazione dei fascicoli di accrescimento dei minori che furono ospitati presso l’I.P.I.M. e presso le comunità gestite dalla Provincia di Torino fino al 31/12/2006;

b) la conservazione delle c.d. buste chiuse formate fino al 31/12/2006, e già in possesso della Provincia di Torino, che contengono il nome della madre biologica;

c) la ricezione e conservazione delle c.d. buste chiuse formate con decorrenza dal 1/1/2007.

In ossequio al principio di segretezza, le linee guida regionali stabiliscono che «è di fondamentale importanza prevedere modalità di conservazione che assicurino l’assoluta tutela della riservatezza dei dati in esse [ndr nelle buste chiuse] contenuti»: per questo motivo le buste vengono conservate in archivio segreto.

L’accessibilità ai dati contenuti nella busta chiusa è riservata alla sola autorità giudiziaria minorile, ai sensi della legge sull’adozione a seguito dell’interpretazione data all’art. 28 comma 7 dalla sentenza della Corte costituzionale n. 278/2013 analizzata nel paragrafo precedente.

L’Ufficio di pubblica tutela è chiamato, pertanto, con decorrenza 1 gennaio 2007, a ricevere e conservare le c.d. buste chiuse formate nel proprio territorio.

Le Linee guida precisano che il soggetto gestore competente a seguire il minore (in base al luogo di nascita) consegna, tramite un operatore incaricato, la c.d. busta chiusa al funzionario dell’Ufficio di Pubblica tutela. La consegna deve essere tempestiva ed esclusivamente a mano.

Il funzionario della Città metropolitana di Torino inserisce la busta chiusa in un proprio plico di dimensioni standard, per rendere la busta ulteriormente anonima, riportando i dati del minore (cognome e nome assegnati dall’Ufficiale di stato civile, data e luogo di nascita) ed un codice alfanumerico univoco che permette di individuare la cartella sociale del minore stesso.

Il plico così formato viene sigillato e siglato sui lembi dal funzionario dell’Ufficio di pubblica tutela e dall’operatore del servizio sociale.

Viene compilato quindi un apposito registro con i dati significativi del minore, sottoscritto da entrambi i presenti, e un processo verbale, il cui originale viene consegnato al servizio sociale, che attesta la consegna della busta chiusa sottoscritto dal funzionario della Città metropolitana di Torino.

Una volta congedato l’operatore del soggetto gestore, la busta chiusa, il registro e copia del verbale vengono custoditi nell’archivio segreto.

Essendo l’ente il medesimo che detiene sia i fascicoli di accrescimento dei minori ospiti dell’I.P.I.M. e delle comunità sia le buste chiuse, la ricerca delle informazioni relative alla madre che ha dichiarato l’anonimato al momento del parto avviene a cura dell’Autorità giudiziaria minorile che rivolge all’Ufficio di Pubblica tutela della Città metropolitana di Torino la richiesta di consegnare la busta chiusa a seguito di un ricorso ex art. 28 comma 7, per attivare la procedura di interpello della madre biologica[31].

Il funzionario della Città metropolitana di Torino incaricato consegna la busta chiusa e/o il fascicolo di accrescimento rinvenuti nell’archivio al magistrato incaricato[32] il quale provvede a visionarne il contenuto senza la presenza del funzionario metropolitano. Dell’operazione viene redatto processo verbale che viene consegnato, assieme alla busta chiusa ri-sigillata, al funzionario dell’Ufficio di Pubblica tutela per essere conservati nuovamente nell’archivio segreto.

La Città metropolitana di Torino, subentrando nei rapporti attivi e passivi della Provincia di Torino, a seguito dell’attuazione della Legge c.d. Delrio del 2014 e alla luce delle linee guida regionali sul parto anonimo, ha “ereditato” l’imponente Archivio dell’Istituto provinciale per l’Infanzia (I.P.I.M.), che provvede a custodire, conservare e, se necessario, restaurare, oltre all’archivio delle comunità gestite dalla Provincia all’indomani della chiusura dell’Istituto e fino al 31 dicembre 2006.

La custodia di tale documentazione e la constatazione che la normativa in materia di accesso alle origini consente al solo adottato la possibilità di ricostruire la propria identità attraverso i procedimenti previsti dalla legge sull’adozione, hanno sollevato la necessità di ragionare se e fino a che punto fosse possibile ammettere l’accesso al fascicolo personale I.P.I.M., per le medesime esigenze ricostruttive del proprio vissuto, pur nel rispetto dei rigidi limiti e delle procedure previste dall’applicazione degli arresti giurisprudenziali sopra citati a tutela dell’anonimato dei genitori biologici.

La soluzione positiva a tale quesito porta a conseguenze tanto importanti nella relazione giuridica con la persona che cerca di dare risposte al proprio passato da obbligare l’Amministrazione a prestare particolare attenzione agli interessi in gioco, come verrà illustrato nei prossimi paragrafi.

2. Il procedimento di accesso al fascicolo personale in relazione ad esigenze di segretezza e riservatezza

La tensione esistente tra accesso (documentale) e riservatezza[33] rinnova il dibattito sul rapporto tra l’esigenza del cittadino di conoscere come la pubblica amministrazione agisce e la possibilità che ai controinteressati venga lasciato un ambito della propria vita sottratto all’intromissione di chiunque.

L’introduzione nel nostro ordinamento delle forme di accesso civico e di accesso civico generalizzato[34], che rispettivamente obbligano la pubblica amministrazione a rendere noti atti e fatti connessi con la propria attività e permettono ai cittadini di effettuare «forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali»[35], non fanno che confermare la tendenziale “retrocessione” della riservatezza[36], salvo i casi limite in cui, ad esempio in base alle regole sull’accesso documentale, a seguito del bilanciamento degli interessi le esigenze di conoscenza soccombano perché le situazioni giuridicamente rilevanti non sono di rango pari ai diritti dell’interessato o non consistano in un diritto della personalità o in un altro diritto o libertà fondamentale.

Nella stessa definizione dei principi della legge sul procedimento amministrativo, riformata nel 2009, la pubblicità[37] e la trasparenza[38] assurgono a canone interpretativo dell’attività amministrativa: conoscibilità totale dell’azione, il primo, comprensibilità delle informazioni, il secondo[39].

Ma è con riferimento in particolare alla trasparenza[40] che occorre fare delle considerazioni peculiari in quanto la funzione di tipo ispettivo[41], effetto della lotta alla corruzione[42], ne ha oscurato la «funzione partecipativa di tipo propositivo e collaborativo» elemento che sicuramente, e più dell’altro, produce un effetto positivo sul versante dell’efficienza[43]. Pertanto «la trasparenza diventa […] strumento di partecipazione ex ante, e di controllo, in itinere ed ex post sull’esercizio del potere amministrativo»[44], per valutarne la conformità rispetto agli interessi pubblici che sono chiamati a proteggere.

In questi termini è necessario apprezzarne la portata rispetto al principio della pubblicità che, nell’analisi della legge sul procedimento amministrativo, è stato considerato una species rispetto al più ampio genus della trasparenza[45]: mentre la pubblicità diventa disvelamento del segreto nel rapporto tra pubblica amministrazione e cittadino, la trasparenza, invece, costituisce mezzo e fine dell’attività amministrativa e risolve la tensione tra legalità ed efficienza.

Alla luce di quanto appena esposto risulta ancor più evidente l’attrito tra un istituto, quello dell’accesso documentale, quale «principio generale dell’attività amministrativa che vuole favorire la partecipazione» e assicurare «l’imparzialità e la trasparenza», nonché livello essenziale delle prestazioni[46] e la sua limitata applicazione rispetto ai pochi soggetti legittimati.

Si consideri, sempre sotto la logica della trasparenza, che l’inaccessibilità delle «informazioni che non abbiano forma di documento»[47] appare fin troppo netta se si considerano le «tutt’altro che infrequenti previsioni di forme di accesso a dati, informazioni» nel resto dell’ordinamento. Si pensi, in questi termini, all’«accesso ai propri dati personali[48] previsto dalla normativa in materia di privacy»[49], alle conseguenze del processo di sviluppo digitale della pubblica amministrazione che permette al cittadino di accedere a servizi e di avere la disponibilità di informazioni che si realizza on line grazie alle nuove tecnologie[50] e alla normativa europea che, nel solco del c.d. right to know, condiziona i sistemi giuridici degli Stati membri circa le connessioni tra trasparenza e democrazia[51].

Date queste sintetiche premesse generali e rimandando alla letteratura specifica circa l’accesso documentale[52], quale posizione giuridica soggettiva[53] nei confronti della pubblica amministrazione riconosciuta in via generale ai privati, ci si soffermerà, nel prosieguo di questo paragrafo, su un elemento peculiare della disciplina dell’accesso documentale riguardante le cause di esclusione che, alla luce della Legge n. 241/1990[54], si configura sicuramente in un rapporto significativo con il tema del diritto alle origini.

Tra le cause di esclusione occorre soffermarsi, per le esigenze di questo lavoro, al rapporto tra accesso e tutela della riservatezza[55], tenendo presente come quest’ultima debba essere intesa alla luce dell’introduzione del G.D.P.R. Regolamento generale sulla protezione dei dati[56].

Se infatti lo sviluppo normativo tende, come abbiamo potuto sinteticamente osservare, ad ampliare la platea degli atti (e dati e informazioni) ostensibili, rendendo la trasparenza canone fondamentale per l’operato della pubblica amministrazione[57] a garanzia dei diritti dei singoli, non vengono meno le esigenze di riservatezza e anche quelle legate alla tutela dell’identità personale e alla protezione dei dati personali.

In questi termini[58], per quanto con le moderne forme di accesso[59] si sia ampliato il novero delle informazioni conoscibili, l’amministrazione continua ad avere il compito assai delicato di considerare le conseguenze, anche legate alla sfera morale, relazionale e sociale che potrebbero derivare all’interessato dalla conoscibilità da parte di chiunque del dato o del documento richiesto[60].

L’esigenza di un rapporto equilibrato tra trasparenza e segretezza è oggi ancora più esasperata dalle nuove tecnologie[61] che rendono assai più immediata e celere la trasmissione dei dati personali.

L’obiettivo della trasparenza totale, intesa come open data, è ritenuto, infatti, dal Garante della privacy produttiva di uno sbilanciamento eccessivo, motivo per il quale i soggetti pubblici sono tenuti a ridurre al minimo l’utilizzazione dei dati personali e nello specifico identificativi, quando lo stesso risultato possa essere raggiunto mediante dati anonimi[62].

Soffermandoci pertanto sul rapporto tra riservatezza e accesso declinato nella legge sul procedimento amministrativo, la legge sul procedimento amministrativo stabilisce che è possibile con apposito regolamento limitare l’accesso documentale «quando i documenti riguardino la vita privata o la riservatezza di persone fisiche, persone giuridiche, gruppi, imprese e associazioni, con particolare riferimento agli interessi epistolare, sanitario, professionale, finanziario, industriale e commerciale di cui siano in concreto titolari, ancorché i relativi dati siano forniti all’amministrazione dagli stessi soggetti cui si riferiscono»[63].

La norma appena citata definisce in che termini si debba valutare il rapporto tra l’esigenza di trasparenza e la privacy degli interessati, da intendersi con riferimento al complesso dei diritti fondamentali della persona quali la riservatezza, l’identità personale e la protezione dei dati personali. «La privacy in questo senso non è solo tutela della sfera individuale dalle indiscrezioni altrui (riservatezza), ma anche come diritto all’identità personale (alla corretta rappresentazione della persona) e diritto alla protezione dei dati (diritto a che le proprie informazioni siano sempre trattate nel pieno rispetto dei presupposti e dei limiti definiti dalla legge)»[64].

In sostanza la legge prevede espressamente che si possa giustificare una limitazione all’ostensione documentale anche in funzione della protezione dei dati personali[65], alla luce di esigenze valutate dalla stessa pubblica amministrazione nell’ambito della propria autonomia regolamentare, ma tuttavia sempre conciliandola con l’accesso del pubblico ai documenti ufficiali e al riutilizzo delle informazioni.

Si aggiunga che le norme dell’Unione e degli Stati membri devono prevedere la valorizzazione dell’accesso e «la necessaria conciliazione con il diritto alla protezione dei dati personali»[66], in quanto, nella prospettiva dell’Unione, «la trasparenza ha acquisito uno status costituzionale come prerequisito essenziale della partecipazione dei cittadini al processo decisionale dell’UE, e, quindi, dell’effettiva applicazione del principio democratico[67]».

Tuttavia, quale limite all’attività regolamentare citata, si postula il c.d. accesso difensivo[68] disponendo che «deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici. Nel caso di documenti contenenti dati sensibili e giudiziari, l’accesso è consentito nei limiti in cui sia strettamente indispensabile e nei termini previsti dall’articolo 60 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in caso di dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale»[69].

La norma da ultimo citata, ancora in vigore, nonostante le abrogazioni conseguenti all’attuazione della nuova disciplina europea sul trattamento dei dati personali, definisce i criteri ad uso dell’interprete per operare il bilanciamento: «Quando il trattamento concerne dati genetici, relativi alla salute, alla vita sessuale o all’orientamento sessuale della persona, il trattamento è consentito se la situazione giuridicamente rilevante che si intende tutelare con la richiesta di accesso ai documenti amministrativi, è di rango almeno pari ai diritti dell’interessato, ovvero consiste in un diritto della personalità o in un altro diritto o libertà fondamentale».

Tanto considerato, il tema che viene affrontato dalle norme è quello di garantire il corretto bilanciamento tra l’esigenza di riservatezza della sfera personale dei terzi e l’opposta esigenza di conoscibilità dell’azione amministrativa, facendo prevalere il c.d. accesso difensivo tutte le volte che sia funzionale a qualsiasi forma di tutela, sia giustiziale che stragiudiziale, di interessi giuridicamente rilevanti, ritenuti comuni.

Quando invece i documenti contengano dati sensibili o giudiziari l’ostensione è possibile solo se l’accesso serva alla cura di interesse che presentano il carattere della indispensabilità.

Si potrà invece negare l’accesso solo in presenza di dati relativi allo stato di salute o alla vita sessuale[70], salvo che, in sede di bilanciamento, non si facciano valere situazioni giuridicamente rilevanti di rango almeno pari alla riservatezza o si tratti di diritto della personalità o libertà fondamentale e inviolabile.

La richiesta di accesso obbliga, quindi, la pubblica amministrazione ad interrogarsi sulla qualità del dato personale contenuto nel documento del quale si richiede l’ostensione, considerando in primo luogo se si tratti di dato anonimo[71] o meno.

Pertanto, alla luce del principio di proporzionalità[72], sarà ammissibile consentire l’accesso adottando le opportune cautele (come ad es. l’apposizione di OMISSIS) sulle parti del documento che possano rivelare elementi identificativi di terze persone, in quanto contrariamente ragionando si determinerebbe una ostensione sproporzionata rispetto al risultato da ottenere[73].

Ci si chiede pertanto se e come, quanto appena illustrato in termini generali, possa essere applicato con riferimento alle domande di accesso, finalizzate a ricostruire il proprio vissuto o ricercare informazioni relative alla genitorialità biologica, ai fascicoli delle persone ospitate nei primi anni della loro vita dall’Istituto provinciale per l’infanzia il cui archivio è conservato, come illustrato supra dalla Città metropolitana di Torino.

Nel corso del tempo si è modificato l’approccio all’utenza che chiedeva di accedere alle proprie informazioni personali: in una prima fase all’utente che aveva vissuto presso l’Istituto o presso la comunità venivano fornite semplici informazioni sulla permanenza nel medesimo.

Dal 2013 a seguito della rivoluzione rappresentata dalla sentenza della Consulta, si è ragionato sul corretto modo di intendere le richieste di accesso alle informazioni inquadrandole all’interno della disciplina dell’accesso documentale ai sensi della Legge n. 241/1990, alla stregua dell’accesso al proprio fascicolo personale tenuto da una qualsiasi amministrazione sanitaria o socio-assistenziale o scolastica.

Una questione preliminare riguarda il corretto modo di gestire l’accesso alla luce della normativa e della giurisprudenza che limitano, con riferimento alle persone adottate nate da donna che ha dichiarato l’anonimato al momento del parto, la ricostruzione delle proprie origini personali.

Pertanto l’Amministrazione, con tutte le cautele del caso, pur nella consapevolezza che fosse legittimo concedere l’accesso al fascicolo personale, ha “ritagliato” una prassi operativa che rispettasse comunque i principi desunti dalla giurisprudenza che limitano l’accesso alle origini, alla luce della normativa di riferimento, e la giurisdizione esclusiva in capo all’autorità giudiziaria minorile che sola ha il compito di operare il bilanciamento degli interessi in gioco della famiglia adottiva o della madre anonima da un lato e dell’adottato dall’altro.

Il primo nodo critico è rappresentato dal fatto che la normativa in tema di accesso alle origini non contempla l’ipotesi in cui la ricostruzione del proprio vissuto venga fatta da persona che, accolta presso l’Istituto, non sia mai stata adottata: si tratta ovviamente di persone nate prima dell’introduzione delle norme sull’adozione speciale del 1967 che, promuovendo la tutela del minore (e non dell’adulto adottante) definiva per la prima volta un istituto di tipo legittimante del rapporto genitoriale adottivo.

È evidente che costoro, non essendo destinatari delle norme sull’accesso alle origini previste solo per gli adottati, si vedrebbero esclusi, se non gli venisse permesso di accedere al proprio fascicolo personale detenuto oggi dalla Città metropolitana di Torino, dalla possibilità di cercare risposte che gli permettano di dare un significato alla propria vicenda personale.

Un punto di partenza, nel valutare l’accesso al fascicolo personale, è poi rappresentato dalla constatazione che il fascicolo di adozione formato dall’autorità giudiziaria minorile non contiene necessariamente la documentazione presente nel fascicolo c.d. I.P.I.M. e, al contrario, il secondo non contiene la documentazione del primo: negare pertanto tout court, l’accesso al fascicolo personale determinerebbe una sproporzionata limitazione per l’ex ospite dell’Istituto.

Se infatti è vero che il diritto assoluto all’anonimato riguarda la madre biologica che ha dichiarato l’anonimato, o lo ha confermato a seguito di interpello, non essendo possibile per la pubblica amministrazione[74] consegnare il certificato di assistenza al parto o l’atto integrale di nascita, e anche amplius tutti i documenti detenuti da pubbliche amministrazioni che contengono (o potrebbero contenere) dati della madre o identificativi della medesima, è altrettanto vero che alla luce della giurisprudenza della Cassazione, a seguito della sentenza della Consulta del 2013, l’ostensione di documenti presenti nel fascicolo I.P.I.M. è ammessa, anche prima del termine dei cento anni, se non rende identificabile la madre anonima. È evidente che, in questo caso, l’esistenza di un interesse di elevato rango, quale sicuramente la tutela dell’identità personale dell’istante, può giustificare l’ostensione seppure con le cautele indicate dalla legge.

Qualora, invece, l’adottato (anche se riconosciuto alla nascita e poi accolto presso un Istituto), che oggi ha un vero e proprio diritto alle origini, intendesse ricostruire la propria storia biologica, potrà adire l’autorità giudiziaria minorile ai sensi delle norme dell’art. 28 legge adozione, ma potrà al contempo accedere al fascicolo personale I.P.I.M., per dare significato alla propria esistenza nel periodo di permanenza nel medesimo.

Pertanto, come sopra evidenziato, si ammette la possibilità di presentare domanda[75] di accesso al fascicolo personale, alla stregua di un qualsiasi altro fascicolo detenuto da una pubblica amministrazione verificando tutti i presupposti che le norme in materia di accesso documentale definiscono per concedere l’ostensione del documento/dei documenti richiesti, fermo restando, ove ragionevolmente possibile o doveroso, la necessità di operare sulle modalità di ostensione attraverso l’apposizione di OMISSIS sul documento stesso.

Sarà pertanto necessaria l’apposizione di OMISSIS su ogni informazione identificativa dei genitori biologici, sia stato o meno dichiarato l’anonimato al momento del parto, in quanto solo l’autorità giudiziaria minorile può bilanciare i delicatissimi interessi coinvolti: pertanto ogni volta che la madre o il padre biologici siano identificati con l’età, con la provenienza geografica (anche dei genitori), con riferimento all’esistenza di altri fratelli biologici, l’apposizione di OMISSIS è doverosa.

La peculiarità del procedimento sarà necessariamente quella dell’assenza di controinteressati ovvero di quei soggetti terzi la cui segretezza è cautelata dalla peculiare disciplina sull’accesso alle origini declinata nel paragrafo precedente: se è evidente che la madre anonima non possa essere coinvolta come controinteressata, allo stesso modo il riferimento, nei documenti contenuti nel fascicolo, a fratelli o sorelle biologici impone la massima cautela in capo all’Amministrazione che non può procedere alla chiamata del controinteressato. Quest’ultimo infatti, potrebbe ignorare, con evidenti effetti sulla tutela della sua identità personale, l’esistenza della situazione dedotta[76].

Tuttavia, alla luce di quanto finora esposto, strictu sensu con le domande di accesso in parola non si pone in realtà un problema di bilanciamento tra l’interesse all’accesso alle origini e la riservatezza, perché da un lato la segretezza della madre anonima costituisce limite assoluto, revocabile solo a seguito dell’esito positivo dell’interpello, dall’altro l’adottato che, per quanto riconosciuto, volesse ricostruire le proprie origini potrebbe farlo solo rivolgendosi al Tribunale per i minorenni: pertanto l’interesse sotteso alla domanda di accesso al fascicolo I.P.I.M. viene valutata in quanto tale con espresso riferimento all’identità personale che l’istante intende ricostruire, senza coinvolgere, in termini relazionali, soggetti terzi, tutelati dalla riservatezza o addirittura dal segreto.

Nessun dubbio circa l’applicazione, al procedimento de qua, degli istituti che attuano il principio di collaborazione e di buona fede[77]: è infatti assai proficuo, in una logica di partecipazione, attivare il soccorso istruttorio[78] qualora la domanda non sia completa, oppure adottare una comunicazione di pre-avviso di rigetto per stimolare il confronto sulle motivazioni preordinate al rigetto della domanda[79].

Un tema di non poco conto è rappresentato, pur nell’assoluta assenza di dati identificativi della genitorialità biologica, dal riscontro nel fascicolo di informazioni delicate e relative ad es. al fatto che la madre si prostituisse o al fatto che il parto fosse avvenuto all’interno di un manicomio: in questo caso esigenze di cautela, in assenza di un apposito servizio di accompagnamento psicologico alla lettura della documentazione consegnata, impongono di mantenere il massimo riserbo sul dato.

Circa l’ultimo profilo è utile riprendere il Regolamento dell’Autorità Anticorruzione adottato d’intesa con il Garante per protezione dei dati personali[80] che, nell’affrontare i rapporti tra le forme di accesso, identifica i principi relativi al rapporto tra accesso e riservatezza, che possiamo ritenere applicabili in generale: le linee guida stabiliscono, infatti, che «il soggetto destinatario dell’istanza […] dovrebbe in linea generale scegliere le modalità meno pregiudizievoli per i diritti dell’interessato, privilegiando l’ostensione di documenti con l’omissione dei “dati personali” in esso presenti, laddove l’esigenza informativa, alla base dell’accesso […], possa essere raggiunta senza implicare il trattamento dei dati personali. In tal modo, tra l’altro, si soddisfa anche la finalità di rendere più celere il procedimento relativo alla richiesta di accesso […], potendo accogliere l’istanza senza dover attivare l’onerosa procedura di coinvolgimento del soggetto “controinteressato”».

Inoltre «ai fini della valutazione del pregiudizio concreto, vanno prese in considerazione le conseguenze – anche legate alla sfera morale, relazionale e sociale – che potrebbero derivare all’interessato (o ad altre persone alle quali esso è legato da un vincolo affettivo) dalla conoscibilità, da parte di chiunque, del dato o del documento richiesto».

In generale l’acceso al fascicolo si risolve, in quasi tutte le situazioni, nella esibizione della cartella clinica del minore, della documentazione attinente alla fase antecedente alla sua adozione, ai carteggi tra la famiglia adottiva e l’Istituto sull’esito, nei mesi successivi alle dimissioni dal medesimo, del rapporto adottivo, alle foto e all’impronta del piedino fatta per esigenze identificative del medesimo ed evitare possibili scambi, con altri bambini, etc., essendo assai raro riscontrare, in realtà nel fascicolo, dati identificativi della madre. Si tratta in sostanza di documenti che hanno un valore personale molto alto per il richiedente e che permettono di dare un significato alla propria storia nel periodo di permanenza in Istituto, del quale spesso ricordano gli ambienti interni ed esterni.

Si osserva, infine, una certa qual confusione nei soggetti istanti circa il ruolo dell’Amministrazione metropolitana, che opera solo in “via amministrativa” relativamente a domande di accesso documentale, e il Tribunale per i minorenni: infatti l’utenza o ne confonde i compiti o, presentata istanza ad entrambe le autorità, ritiene, nel caso di accoglimento della domanda giudiziale presentata dall’adottato per accedere alle origini (rectius al fascicolo di adozione), che il provvedimento del giudice giustifichi ipso iure l’ostensione senza OMISSIS dei documenti presenti nel fascicolo dell’Archivio metropolitano.

Collegato all’ultimo tema è, infatti, l’atteggiamento da tenersi nel caso in cui a seguito di procedura di interpello presso il Tribunale per i minorenni che riscontri il decesso della madre biologica e che legittimi, ai sensi della giurisprudenza della Cassazione, il Tribunale per i minorenni a fornire le informazioni relative all’identità personale della stessa, il ricorrente chieda di accedere ai documenti del fascicolo I.P.I.M. senza l’apposizione di OMISSIS.

La risposta deve tenere conto della considerazione che il disvelamento operato dal Tribunale per i minorenni, in coerenza con gli arresti della Cassazione, avviene alla luce dell’estinzione del diritto personalissimo alla riservatezza della madre biologica defunta: in questo caso pertanto, nel rispetto e protezione dell’identità sociale costruita in vita dalla donna «in relazione al nucleo familiare e/o relazionale eventualmente costituito dopo aver esercitato il diritto all’anonimato», sarà possibile l’ostensione dei documenti senza OMISSIS.

Il procedimento di accesso appena descritto, per quanto delicato sotto il profilo dell’interesse coinvolto, appare, se rispettati i limiti stabiliti dalla legge e le cautele elaborate dalla giurisprudenza e dall’esperienza e verificate le condizioni di legittimazione per accedere al fascicolo, di semplice gestione sotto il profilo operativo, in quanto l’aspetto che maggiormente comporta attenzione è quello relazionale con l’utente[81].

Un’amministrazione asettica, infatti, che non sappia gestire empaticamente e in una logica di collaborazione e buona fede, come oggi impone la stessa legge sul procedimento amministrativo, le domande di accesso che coinvolgono l’aspetto intimo ed identitario dei richiedenti peccherà di sterile burocratismo, non coerente con una moderna visione della Pubblica amministrazione e del ruolo che i giuristi possono avere in settori, quali quello del sociale, che obbligano ad una maggiore capacità di dialogo inter-professionale.

3. Identità personale e ricostruzione del vissuto

Come si è potuto osservare nel corso della trattazione, la giurisprudenza ha riconosciuto il diritto alla ricostruzione delle proprie origini (da parte del solo adottato) quale espressione del diritto alla propria identità personale bilanciandolo in particolar modo con l’anonimato della madre.

Se però si cerca di approfondire la questione dal punto di vista dell’individuo che vuole dare un senso al proprio “abbandono”[82], ci si rende conto che vedere nella procedura di interpello il solo fine di entrare in contatto e conoscere la madre che ha dichiarato l’anonimato al momento del parto, per ricostruire un rapporto che il tempo ha impedito di vivere, è assai riduttivo.

È invece assai più probabile che la volontà di ricerca nasconda l’obiettivo di colmare in senso lato un vuoto esistenziale: dare significato e risposte a dei perché rimasti insoluti.

Se, però, si leggono le statistiche[83] ci si rende conto che le domande di accesso ai fascicoli di adozione e le domande per l’interpello delle madri biologiche presso i tribunali per i minorenni sono numericamente ridotte.

Le stesse richieste di accesso documentale ai fascicoli personali relativi alla permanenza presso l’Istituto per l’Infanzia di Torino sono in numero limitato[84].

È evidente quindi, che le domande in questione vengono presentate non perché giustificate da un vuoto affettivo e relazionale nella famiglia adottiva. È pur vero, tuttavia, che la scelta di ricercare le origini «obbliga a fare i conti con le opportunità e i limiti che un simile percorso impone. Una scelta, la ricerca delle origini biologiche, non priva di criticità tanto nel rapporto con la propria sfera intima, quanto nelle relazioni con la famiglia adottiva e, più in generale, con l’ambiente sociale e culturale in cui si cresce[85]».

Pertanto, la trattazione necessita di chiarire in primo luogo cosa si intenda per identità personale[86], per poi comprendere, nel prossimo paragrafo, come tale diritto possa essere realizzato, a prescindere dalla procedura di interpello, accedendo al fascicolo I.P.I.M.

L’identità personale si configura come principale elemento essenziale e distintivo del patrimonio individuale e costituisce un vero e proprio diritto, originariamente oggetto di molteplici analisi e discussioni dottrinali[87], che si è consacrato poi a livello giurisprudenziale e solo nel 1996 a livello legislativo con l’approvazione della legge sul trattamento dei dati personali[88], in quanto interesse della persona ad essere identificata e riconosciuta nella sua realtà individuale[89] e poi con l’adozione della normativa relativa alla tutela delle condizioni di lavoro e della libera circolazione dei lavoratori[90].

La definizione teorica del diritto all’identità personale trova una sua prima completa analisi negli anni 50 a cura di Adriano De Cupis per il quale la persona ambisce «a una proiezione sociale del proprio io personale corrispondente alla realtà dello stesso io», al fine di «risultare in ambito sociale per quella che è realmente, con le proprie qualità e le proprie azioni». Il diritto all’identità personale si traduce pertanto nell’«obbligo del rispetto della verità personale», da tutelarsi non solo con riferimento all’offesa dei segni distintivi (nome, pseudonimo etc), ma anche a fronte di una cattiva rappresentazione (migliorativa o peggiorativa) di quell’individuo, «non aderente alla verità personale»[91].

Sotto questo profilo il diritto all’identità personale appare per un verso come diritto che consente l’identificazione di un soggetto[92], per un altro come diritto alla «concreta rappresentazione sociale della personalità» affinché la proiezione della personalità non venga travisata tramite l’attribuzione non veritiera di determinati fatti o qualità[93].

Se la prima strada è collegata ad un aspetto prettamente anagrafico[94], per il quale acquisisce particolare rilevanza l’elemento della scrittura[95], la strada più interessante è la seconda, che permette di considerare la persona «nel complesso delle sue attività e posizioni professionali, culturali, ideologiche, sociali»[96].

Secondo questa impostazione, correlata all’essenza dell’uomo, sarebbe inoltre limitativo collegare il diritto in parola alla tutela della riservatezza: il riconoscimento di un autonomo bene giuridicamente rilevante, quale l’identità personale, permette di mantenere tale posizione giuridica in un ambito che lo differenzia dallo sviluppo del diritto alla riservatezza «infatti, dalla protezione dal riserbo, dalla difesa nei confronti dell’altrui curiosità, si passa alla tutela della persona in una dimensione attiva, […] alla tutela dell’esplicarsi della persona nelle relazioni sociali»[97].

Il percorso identitario si sviluppa, pertanto, attraverso l’esigenza di essere con le proprie qualità nella vita di relazione e alla luce di tutti i valori di cui la persona è portatrice[98]: «questa identità costituisce la proiezione nel sociale dell’essere»[99].

Il diritto all’identità personale può quindi essere ricondotto all’«esigenza di essere sé stessi nella prospettiva di una compiuta rappresentazione della personalità individuale in tutti i suoi aspetti ed implicazioni, nelle sue qualità ed attribuzioni: diritto alla propria identità sottoposta ai medesimi mutamenti della personalità individuale»[100], nonché «interesse all’intangibilità della propria proiezione sociale […] momento qualificante della propria personalità individuale»[101].

E, in questi termini, merita a tal punto tutela da considerarlo, a ragione, come uno dei diritti fondamentali dell’uomo perché soddisfa un bisogno essenziale della persona, la cui valorizzazione deve avvenire sia come singolo e sia rispetto ai membri della famiglia o delle altre formazioni sociali di cui fa parte[102].

L’approdo a questa teorizzazione è frutto di una complessa evoluzione che risente anche dell’affermazione di un particolare tipo di “cultura giuridica”, intesa come «complesso di ideologie, valutazioni, metodi interpretativi, operazioni concettuali in genere usati dagli operatori giuridici, o meglio da un gruppo sufficientemente identificabile di essi, in un certo momento storico e in un certo contesto culturale[103]»: il diritto all’identità personale si colloca, in questi termini, nell’inarrestabile «traiettoria espansiva»[104] dei diritti della personalità frutto della costituzionalizzazione dell’ordinamento[105] e della sua riconducibilità all’art. 2 della Carta costituzionale.

Il riferimento all’art. 2 Cost., come clausola aperta, ha permesso ai diritti della personalità di consolidarsi quale strumento indispensabile «per il perseguimento della finalità della Costituzione, che è e rimane quella di tutelare e “sviluppare” la personalità […] di ciascuno dei consociati»[106].

Questa evoluzione ha permesso in sostanza di definire in dottrina l’identità «come individualità personale, ossia come immagine sociale che l’individuo proietta di sé in relazione al complesso delle idee, delle convinzioni, delle posizioni politiche, degli atteggiamenti culturali e di quant’altro costituisca espressione esterna del patrimonio morale dell’individuo[107]».

Tale connotazione sembra aderente anche ad un inquadramento pubblicistico, secondo cui l’obiettivo perseguito è quello di identificare il soggetto nei rapporti con i terzi, nel suo agire sociale, nelle relazioni sociali e nei rapporti con lo Stato. Infatti, l’interesse protetto è, non solo quello del soggetto titolare del diritto, ma anche quello dei terzi e della società alla certa identificazione dei consociati. Si tratta, quindi, non soltanto di un interesse di natura privatistica, ma anche di natura pubblicistica[108].

In giurisprudenza dagli anni 70 viene teorizzato un diritto all’identità personale[109], riconducibile all’art. 2 Cost e ritenuto meritevole di tutela[110] come autonomo diritto soggettivo: a partire dalle vicende giudiziarie[111] si è sviluppato un articolato dibattito dottrinale che, facendo perno sul problema della configurabilità del diritto alla riservatezza[112], si è poi esteso a un inquadramento più generale della categoria dei diritti della personalità[113].

È con la sentenza del Pretore di Roma che, per la prima volta, si tutela «il diritto di ciascuno a non vedersi disconosciuta la paternità delle proprie azioni […] e a non vedersi travisare la propria personalità individuale[114]». Tale diritto viene violato, quindi, se ad una persona vengono attribuiti una posizione sociale, un orientamento ideologico, uno stato personale non rispondenti al vero.

In sostanza la giurisprudenza ha ragionato sulla constatazione che il bene che il soggetto tende a proteggere inerisce alla persona medesima (non è esterno a lui), alla sua individualità fisica oppure alla sua esperienza di vita morale e sociale[115]: la giurisprudenza in questi termini ha seguito un ragionamento in linea con la dottrina maggioritaria[116].

Nel solco di questa giurisprudenza la Cassazione[117] ha riconosciuto che «ciascun soggetto ha interesse, ritenuto generalmente meritevole di tutela giuridica, di essere rappresentato, nella vita di relazione, con la sua vera identità, così come questa nella realtà sociale, generale e particolare, è conosciuta o poteva essere conosciuta con l’applicazione dei criteri della normale diligenza e della buona fede soggettiva; ha, cioè, interesse a non vedersi all’esterno alterato, travisato, offuscato, contestato il proprio patrimonio intellettuale, politico, sociale, ideologico, professionale ecc quale si era estrinsecato od appariva in base a circostanze concrete ed univoche, destinato ad estrinsecarsi nell’ambiente sociale».

In sostanza la Cassazione supera l’impostazione per cui l’identità personale si concreta solo nel diritto al nome e all’immagine, configurando una posizione autonoma rientrante nei diritti della personalità tutelata a partire dall’art. 2 Cost., che impone la tutela dei diritti inviolabili dell’uomo, come singolo e nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, ma desumendo dall’istituto più affine di cui esista disciplina giuridica (il diritto al nome), attraverso l’analogia iuris, la relativa tutela[118].

Sarà poi la Corte Costituzionale a consacrare la piena dignità costituzionale del diritto all’identità personale, da «annoverare tra i diritti che formano il patrimonio irretrattabile della persona umana» in base all’art. 2 della Costituzione[119].

Il diritto all’identità personale viene quindi ricostruito dalla Corte Costituzionale come «diritto ad essere sé stesso, inteso come rispetto dell’immagine di partecipe alla vita associata, con le acquisizioni di idee ed esperienze, con le convinzioni ideologiche, religiose, morali e sociali che differenziano, ed al tempo qualificano, l’individuo. L’identità personale costituisce quindi un bene per sé medesima, indipendentemente dalla condizione personale e sociale, dai pregi e dai difetti del soggetto, di guisa che a ciascuno è riconosciuto il diritto a che la sua individualità sia preservata[120]».

Fatta questa premessa, la Corte mette poi in relazione tale diritto con il nome, considerato il primo e più immediato elemento che caratterizza l’identità personale[121]. Una norma che pertanto priva un soggetto del suo cognome, nel quale si è radicata la sua identità intesa come identificabilità sociale, è contraria all’art. 2 della Costituzione[122].

Un ulteriore passo nel segno del più ampio riconoscimento dell’inviolabilità del diritto all’identità personale, cui è strumentalmente connessa la tutela del diritto al nome quale segno rappresentativo dell’identità personale è stato compiuto dalla Consulta nel 2001: il nome viene inteso non soltanto come semplice mezzo di identificazione pubblicistica dell’individuo quanto, piuttosto, quale segno distintivo della persona e nel quale si compendia la sua identità personale[123].

La tutela dell’identità personale trova, poi, nella vicenda legata al riconoscimento del diritto alla ricerca delle origini biologiche, descritta supra[124], una peculiare esplicazione[125], ma al contempo solleva questioni legate all’esigenza di segretezza della madre, che possono mortificarlo in radice.

Una dottrina non recente aveva già osservato che «un elemento importante, assai utile per l’identificazione personale, è costituito dalla discendenza naturale del soggetto, della sua generazione ad opera di determinati individui, rispettivamente padre e madre: relazione che si concreta nell’essere figlio di costoro, e che trova la sua espressione nell’indicazione dei medesimi come padre e madre del soggetto (paternità e maternità). Il soggetto stesso è identificato col richiamo della sua situazione di figlio di determinati individui, indicati come padre e madre di lui: tale richiamo costituisce la precisazione di una fondamentale relazione naturale, vale a circoscrivere la posizione sociale del soggetto, e contribuisce, così, fortemente alla sua identificazione»[126].

È evidente che, nella prospettiva appena illustrata, la ricerca delle origini si pone, pertanto, come obiettivo quello di superare la limitazione esistente rispetto al dato segreto riguardante la maternità e la paternità biologica in quanto «relazione naturale sfornita di riconoscimento giuridico»[127].

Come si è osservato la giurisprudenza europea e nazionale ha affermato in più occasioni il diritto alla verità biologica, sia a partire dalle norme pattizie internazionali[128], sia, in base alla Convenzione europea sui diritti dell’uomo. Con riferimento a quest’ultima la Corte Europea per i diritti dell’uomo ha statuito che il diritto a conoscere le proprie origini, rientrando nel concetto di “vita privata” stabilito dalla Convenzione, è compreso nel diritto all’identità personale: nello specifico, infatti, «l’art. 8 tutela un diritto all’identità e allo sviluppo personale e quello di allacciare e approfondire relazioni con i propri simili e il mondo esterno»[129].

La Corte costituzionale nel 2013 ha quindi riequilibrato, sul presupposto della necessità di tutelare anche l’identità personale del figlio, anonimato della madre e diritto alle origini ponendo le basi per la procedura di interpello, descritta poi dalla Cassazione nelle varie decisioni che si sono susseguite.

Sotto questa visuale, il diritto all’identità personale di chi cerca le proprie origini, attraverso la ricostruzione del proprio vissuto, ha un’accezione profondamente soggettiva che si focalizza sulla formazione di sé e della propria storia: è in sostanza il diritto del figlio «ad una fedele rappresentazione di sé verso all’esterno e, al contempo, rispetto ad una dimensione più propriamente interna, essa implica il diritto a ricercare le proprie origini biologiche e familiari»[130].

In questi termini, l’approccio psicanalitico, per il quale è fondamentale la ricostruzione della propria identità psicologica e sociale[131], ha anticipato (e probabilmente contribuito a influenzare) lo sviluppo normativo e giurisprudenziale che, con la riforma dell’adozione del 2001, non ha potuto ignorare l’esigenza sottesa al dettato costituzionale per cui la ricerca delle origini contribuisce allo sviluppo integrale della persona[132].

La modifica dell’art. 28 della legge sull’adozione ha, quindi, posto, dopo un lungo dibattito interdisciplinare per i profili etici, giuridici, psicologici, sociologici coinvolti[133], l’attenzione sulla necessità del minore adottato di essere informato, proprio perché è opportuno soffermarsi sulle varie fasi che attraversa il processo di formazione della identità, il cui concetto corrisponde ad avere coscienza di sé e del proprio essere nel mondo, conoscere il proprio ruolo e la propria dimensione[134].

L’identità personale di chi cerca le proprie origini si configura, pertanto, come diritto dinamico perché frutto di un percorso di maturazione interiore che corrisponde ad un bene della vita a costruzione progressiva a partire dal momento della scoperta di essere stato adottato e/o nato da donna che ha partorito in anonimato: la verità che si costruisce, attraverso la scoperta, e che rende unica la persona, è fortemente personale perché condizionata dalla capacità psicologica di comprendere il passato e dalla propria storia individuale successiva alla nascita.

Se pertanto è incontrovertibile che la ricerca delle origini è riconducibile ai diritti della persona, quale tassello indispensabile per la costruzione dell’identità spirituale dell’uomo, che rappresenta, accanto agli interessi primari legati all’esistenza fisica e biologica, l’esplicazione dei valori più elevati della sua sfera intima, sentimentale e spirituale, tale valore non è tuttavia incondizionato[135]: la sussistenza di gravi e comprovati motivi se la richiesta di accesso provenga dai genitori adottivi durante la minore età del figlio, la sussistenza di gravi e comprovati motivi attinenti la sua salute psicofisica se la richiesta di accesso è fatta dal soggetto maggiorenne, l’assenza di un grave turbamento all’equilibrio psico-fisico del richiedente se ultra venticinquenne, sono elementi che infatti il Tribunale dei minorenni deve valutare assolutamente (e a maggior ragione se si attiva la procedura di interpello della madre biologica) se vuole dare una risposta al senso profondo di vuoto che con tale ricerca si cerca di colmare.

Quanto appena affermato trova ampia conferma in quella cultura psicoanalitica e giuridica, con riferimento al minorenne, per la quale la conoscenza della condizione di adottato rappresenta un momento di un percorso educativo idoneo ad un armonico e completo sviluppo della personalità attraverso l’acquisizione della sicurezza di essere stato cercato e amato dalla famiglia adottiva, pur con la sua diversità biologica e storica[136].

Se tutto questo è vero con riferimento ad una indagine che ha come oggetto specifico la conoscenza della famiglia biologica o della madre che ha dichiarato l’anonimato al momento del parto e che con la procedura di interpello potrebbe revocare tale scelta, è sicuramente più evidente che l’indagine sul proprio vissuto in quanto tale, a prescindere dalla conoscenza delle persone che quei legami biologici hanno sciolto, attraverso la lettura di documenti, la visione di fotografie o di luoghi del proprio passato, risponde a quelle considerazioni fatte nell’ambito delle discipline psicologiche, che potrebbero dare risposte ancora più efficaci nell’ottica di riappacificazione con sé stessi e con i fantasmi del proprio passato placando il profondo disagio in cui le persone sono vissute per anni.

Il diritto a conoscere le proprie origini, come espressione dell’identità personale, è pertanto configurabile non tanto nell’accezione tradizionale che lo vede quale interesse ad essere se stessi, quanto proprio come diritto a sapere chi si è, secondo un’accezione profondamente legata alla propria esistenza: una posizione, quindi, che prescinde dalla conoscenza effettiva dei genitori biologici, alla luce della constatazione che le motivazioni delle ricerche non riguardano il rapporto negativo con – di norma – la famiglia adottiva o l’esigenza di incontrare la famiglia biologica, quanto le ragioni esistenziali profonde dell’abbandono[137].

Una tale posizione individuale trova pertanto una sua giustificazione alla luce del già citato principio personalistico[138], cioè quel valore fondante la Costituzione che può essere definito come diritto al libero svolgimento della propria personalità e alla autodeterminazione personale e che trova nell’art. 2[139], norma immediatamente precettiva, il suo fondamento costituzionale[140].

Il problema che occorre ancora affrontare, e che verrà trattato nel prossimo paragrafo, attiene quindi alla modalità attraverso la quale l’accesso al fascicolo I.P.I.M. possa realizzare, per una via diversa, la tutela dell’identità personale come appena declinata.

4. la tutela dell’identità personale senza un complesso bilanciamento di interessi: l’accompagnamento dell’istante nella comprensione delle informazioni e nella lettura dei documenti

Con una certa dose di semplificazione, si potrebbero immaginare varie situazioni in cui il diritto alle origini, come espressione dell’identità personale, si manifesta.

Da un lato la situazione in cui il figlio, poi adottato, è nato da donna che lo ha riconosciuto e che, secondo le condizioni dettate dalla legge, presenta la domanda al Tribunale per i minorenni competente (o la domanda è presentata dai genitori adottivi): la salute psico-fisica del figlio è il criterio interpretativo al quale l’Autorità giudiziaria deve riferirsi per decidere.

Dall’altro la situazione del minore nato da donna che ha dichiarato l’anonimato al momento del parto la quale, a seguito di interpello, revoca l’anonimato stesso: l’accesso alle origini e la ricostruzione di sé vengono rafforzate attraverso il contatto diretto con la madre biologica.

Una terza situazione riguarda la donna che, avendo dichiarato l’anonimato, conferma tale scelta in sede di interpello: lo stato psico-fisico del figlio rischia di essere messo a dura prova a seguito di un nuovo abbandono.

Una quarta situazione riguarda la donna che, avendo dichiarato l’anonimato, a seguito dell’interpello risulta deceduta: come chiarito dalla giurisprudenza la morte estingue il diritto all’oblio, alla riservatezza e alla salute psico-fisica di cui è titolare la genitrice biologica, diritto personalissimo che pertanto non può essere trasmesso ad altri soggetti. Il richiedente ha titolo a conoscere le informazioni anagrafiche relative alla madre, ma deve comunque rispettare l’identità sociale della donna in relazione al proprio nucleo familiare e ai propri eredi. In questo caso, la condizione degli eredi della donna, che potrebbero essere ignari del passato della madre, recessiva di fronte alla verità biologica esito dell’interpello, rischia di scatenare conflitti insanabili tra i figli biologici, o addirittura di compromettere la considerazione della donna agli occhi della propria famiglia.

L’ultima situazione riguarda invece i minori riconosciuti e mai adottati, ovvero coloro che, nati prima dell’entrata in vigore della Legge sull’adozione speciale, sono stati ospiti di un brefotrofio fino alla maggiore età: in questo caso poiché la fattispecie non rientra nella puntuale disciplina di cui alla legge sull’adozione, si riscontra una evidente disparità di trattamento con gli adottati, senza tuttavia far venir meno l’essenza profonda della ricerca del proprio passato. Anche in questo caso, infatti, la tutela dell’identità personale emerge con pacifica evidenza.

Orbene se le persone indicate nella casistica appena descritta hanno vissuto in un Istituto o in una comunità nei primi anni della loro vita, alla luce delle considerazioni fatte[141] sulla ricostruzione della propria identità personale come diritto a sapere chi si è, a prescindere dalla concreta ricostruzione della relazione con la famiglia biologica, l’accesso al fascicolo personale dell’I.P.I.M., se adeguatamente accompagnato, può rispondere in maniera addirittura più adeguata alla visione di sé in rapporto ad un passato sconosciuto[142].

Il percorso che si attiva con la domanda di accesso documentale al proprio fascicolo personale diventa quindi principalmente il modo per mettersi di fronte ad uno specchio e dare significato a qualcosa che a volte viene vissuto come inspiegabile: il procedimento, come abbiamo già osservato[143], non prevede dei controinteressati e, se chiarito fin dall’inizio nei suoi limiti (segretezza della famiglia biologica, riservatezza dei terzi, ruolo del Tribunale per i minorenni, etc), diventa un mezzo per orientarsi su se stessi: un procedimento di accesso peculiare che, nel rispetto delle norme sulla segretezza e senza un reale bilanciamento con la riservatezza (non esistendo per legge controinteressati) tutela un interesse primario e fondamentale ai sensi dell’art. 2 della Costituzione.

Sotto questa luce, mi pare di poter sottolineare, il vero tema che occorre affrontare con riferimento alla ricerca delle origini attraverso questo peculiare accesso, è l’analisi del percorso personale e psicologico che porta alla tutela e ricostruzione dell’identità personale del richiedente: tale processo, che presuppone una lenta e intima maturazione individuale, occorre che sia necessariamente supportato sotto il profilo psicologico, facendo comprendere cosa voglia dire essere stati partoriti da donna che ha dichiarato l’anonimato o essere stati adottati o essere stati affidati ad un Istituto e lavorando intensamente sulle aspettative e sugli esiti della ricerca personale, che potrebbero non essere quelli desiderati, ma anche sotto il profilo giuridico per orientare la persona sui diritti che la riguardano.

A differenza, quindi, delle procedure di cui alla legge sull’adozione, che coinvolgono interessi in gioco rilevanti, ma anche soggetti terzi che potrebbero essere ignari di molti elementi delle situazioni in gioco (si pensi ai fratelli biologici o ai familiari della donna che ha partorito in anonimato) o altre Autorità, la domanda di accesso al fascicolo personale di accrescimento del minore presso l’I.P.I.M., sebbene circoscritta al solo momento della presenza del minore in Istituto, consente di dare al richiedente una visione di sé molto più diretta e meno condizionata da alte aspettative.

Se, infatti, l’Amministrazione deve astenersi innanzi ad una domanda finalizzata a conoscere l’identità della donna (e della famiglia biologica)[144] che ha dichiarato l’anonimato al momento del parto o ad una domanda finalizzata ad accedere a documenti dai quali risulti evidente che la persona sia stata adottata[145], il diritto alla ricostruzione delle origini biologiche[146], quale espressione all’identità personale[147], appare in tutta la sua evidenza come ontologicamente prevalente, anche per evitare la disparità di trattamento tra l’adottato e il non adottato (al quale è preclusa la procedura di interpello), se finalizzato all’accesso a documenti e o informazioni che riguardano il solo istante.

Questo è a maggior ragione evidente se si considera che l’amministrazione sanitaria può, anche prima dei cento anni consentire l’accesso alla cartella clinica o al certificato di assistenza al parto (e ai documenti che contengono informazioni sulla madre anonima) «osservando le opportune cautele per evitare che quest’ultima sia identificabile»[148]: si tratta dell’apposizione di OMISSIS sui documenti che vengono consegnati.

Il Regolamento dell’Autorità Anticorruzione adottato d’intesa con il Garante per protezione dei dati personali[149] che, nell’affrontare i rapporti tra le forme di accesso, identifica i principi relativi al rapporto tra accesso e riservatezza, stabilisce, sotto questa prospettiva, che «il soggetto destinatario dell’istanza [ndr di accesso] dovrebbe in linea generale scegliere le modalità meno pregiudizievoli per i diritti dell’interessato, privilegiando l’ostensione di documenti con l’omissione dei “dati personali” in esso presenti, laddove l’esigenza informativa, alla base dell’accesso […], possa essere raggiunta senza implicare il trattamento dei dati personali. In tal modo, tra l’altro, si soddisfa anche la finalità di rendere più celere il procedimento relativo alla richiesta di accesso […], potendo accogliere l’istanza senza dover attivare l’onerosa procedura di coinvolgimento del soggetto “controinteressato”».

A conforto e corollario delle considerazioni appena svolte, anche qualora si decidesse di fornire documenti che contengono informazioni non identificative della famiglia biologica, «vanno prese in considerazione le conseguenze – anche legate alla sfera morale, relazionale e sociale – che potrebbero derivare all’interessato (o ad altre persone alle quali esso è legato da un vincolo affettivo) dalla conoscibilità, da parte di chiunque, del dato o del documento richiesto[150]».

Trovare una foto, una relazione sul proprio percorso di vita in comunità, l’impronta del piedino,… potrebbe più facilmente affievolire l’ansia di conoscenza delle motivazioni di quelle scelte, che però hanno permesso l’esistenza in vita di una persona. Chi fa domanda, anzi, in questo modo, riuscirebbe a fare una ricostruzione del sé più immediata e non condizionata dal vissuto (o da quello che si pensa essere stato il vissuto) dei genitori che lo hanno generato o da quelli che lo hanno adottato[151].

La domanda per accedere alla documentazione presente nel proprio fascicolo di accrescimento, relativa agli anni di permanenza presso l’Istituto o presso una delle comunità gestite dalla Provincia di Torino, dovrà dimostrare le condizioni che permettano all’amministrazione di decidere senza violare i principi di segretezza o la riservatezza di soggetti terzi: sapere di essere stati adottati, conoscere il proprio nome “fittizio” se nati da donna che ha dichiarato l’anonimato, sono pertanto elementi fondamentali per valutare la sua richiesta.

Le motivazioni che hanno spinto gli ex assistiti, adottati o non adottati a contattare l’Amministrazione sono tuttavia quelle di conoscere la propria storia, anche se spesso gli stessi sono già in possesso di documenti o informazioni relative al proprio passato.

Alcuni fanno domanda indipendentemente dalla procedura di interpello, altri contestualmente ad essa, altri ancora o prima o dopo la procedura di interpello.

Spesso la motivazione è genericamente legata al proprio vissuto altre volte la motivazione è esplicitamente quella di volere informazioni sulla madre o il padre biologici.

Tra questi c’è chi si è mosso per pura e semplice curiosità, chi ha avvertito la necessità di colmare un vuoto lungo una vita, chi, invece, ha avvertito che era giunto il momento di completare, con un ultimo tassello, il mosaico della propria storia, partita in salita, ma poi vissuta nella pienezza degli affetti[152].

Altre volte la motivazione è anche solo vedere i luoghi dove si è cresciuti.

Chiarire i termini giuridici dell’accesso diventa pertanto essenziale: verranno puntualizzati i limiti dell’accesso documentale al fascicolo, che, in virtù del principio di segretezza, non può rivelare dati relativi alla genitorialità biologica.

Verranno oscurate le informazione su terze persone (famiglia biologica e controinteressati) con OMISSIS; inoltre non verranno consegnati documenti formati da Autorità giudiziarie o che contengono valutazioni o relazioni funzionali a decisioni del Giudice e verranno apposti inoltre gli OMISSIS su dati particolarmente delicati tenuto conto del pregiudizio concreto, vanno prese in considerazione le conseguenze – anche legate alla sfera morale, relazionale e sociale – che potrebbero derivare all’interessato.

In fase di avvio del procedimento amministrativo di accesso, stante queste premesse, il momento dell’ascolto diventa fondamentale perché orienta l’operatore nella corretta comprensione del bisogno profondo che è sotteso alla domanda “amministrativa”: una mera gestione burocratica delle richieste rischia, infatti, di vanificare il senso di un procedimento di accesso, come quello descritto, molto peculiare.

Ascoltare obbliga a essere empatici con l’altro e a «porre attenzione a tutto ciò che di immateriale il soggetto trasmette nel raccontare la sua storia»[153] che va, assieme, contestualizzato senza giudizi[154].

In questo modo si chiariscono i dubbi e i ruoli istituzionali degli attori coinvolti e si definisce l’oggetto della richiesta volta a chiarire quali siano le radici di chi ha presentato istanza.

Il rapporto tra professioni è quindi fondamentale per puntualizzare la domanda e accompagnare l’istante che spesso muove da aspettative molto forti: approfondire il contenuto della richiesta, secondo l’approccio professionale integrato, cogliendo ciò che vive e sente chi fa accesso, permette di lavorare su un campo comune con lui. Solo alla luce di questo rapporto relazionale si comprenderanno le sue aspettative che, quindi, non dovranno essere oggetto di pregiudizio.

Approfondire permette di definire il problema: la risposta che viene restituita «assume il valore di riformulazione sistematica della domanda e di restituzione rielaborata alla luce delle informazioni date e raccolte […]. La capacità di ascoltare» riconosce l’altro «come una persona unica e irripetibile qualunque sia la sua condizione vita»[155].

In attesa pertanto di una disciplina nazionale, o comunque in funzione di essa se prossima all’approvazione, appare fondamentale, ad avviso di chi scrive, recuperare in capo all’Amministrazione depositaria dell’archivio una sorta di peculiare riserva di amministrazione: la storia, l’esperienza dei suoi operatori, il patrimonio documentale detenuto, la conoscenza di una materia delicata come questa sono elementi che possono fondare l’approvazione di una disciplina speciale che rispetti i rigidi limiti delle norme sull’accesso documentale (a partire dalla segretezza della famiglia biologica), ma che dia senso all’ansia di conoscenza che sta alla base della richiesta.

Quindi, a partire dai confini segnati dalle norme sull’accesso alle origini (segretezza della madre, procedimento di interpello, autorizzazioni dell’Autorità giudiziaria minorile), e alla luce della disciplina sul trattamento dei dati personali del richiedente, una disciplina peculiare[156] deve definire il regime delle limitazioni all’accesso documentale al fascicolo I.P.I.M.[157] nella prospettiva di tutelare sia la dignità personale dei soggetti terzi e sia l’identità personale dell’istante.

Inoltre, poiché le norme che riguardano l’accesso alla documentazione amministrativa attengono ai livelli essenziali delle prestazioni[158], l’ente locale non può stabilire garanzie inferiori a quelle di legge potendo tuttavia «prevedere livelli ulteriori di tutela[159]», quali mezzi per valorizzare, come quid pluris, il ruolo degli operatori e l’integrazione tra professioni diverse (giuridica e non), al fine di favorire, in una logica di collaborazione e di buona fede, la partecipazione del cittadino al procedimento ed eventualmente valorizzare le nuove frontiere della digitalizzazione[160] per semplificare il momento della presentazione della domanda e di raccolta della documentazione, anche alla luce del Codice per l’amministrazione digitale[161], e concentrare l’attenzione sul rapporto umano con l’utente.

5. Conclusioni

È pertanto possibile ammettere che si possa promuovere in via amministrativa la tutela dell’identità personale, come diritto a sapere chi si è, attraverso l’accesso documentale al fascicolo personale creato nel periodo in cui la persona era ospite presso l’Istituto provinciale per l’Infanzia?

La giurisprudenza amministrativa, richiamando le considerazioni fatte dalla giurisprudenza tradizionale sul tema, ha chiarito che le domande di accesso documentale che hanno come oggetto la ricerca delle proprie origini biologiche, se pensate per aggirare il limite della segretezza, non possono essere trattate nell’ambito della disciplina del bilanciamento tra accesso e riservatezza: l’accesso alle origini deve essere quindi gestito nel rispetto dei profili di segretezza e delle prerogative dell’Autorità giudiziaria minorile.

L’ordinamento stesso, alla luce della giurisprudenza europea e nazionale, sembra tuttavia aprire la strada ad un approccio che, pur rispettando i confini definiti e descritti nel corso di questo lavoro, ammette una via amministrativa alla tutela delle origini quale espressione dell’identità personale.

Il lungo processo di affermazione della trasparenza in una prospettiva non solo punitiva, ma partecipativa, l’affermazione, anche nella logica definita dopo il 2013[162], del principio dell’ostensione di documenti che contengono i dati della madre anonima, osservando le opportune cautele perché non sia identificabile, la possibilità di rendere noti all’istante, rispettando l’identità sociale della donna, i dati anagrafici della madre biologica che abbia partorito in anonimato e sia poi deceduta e la possibilità per l’adottato (non ignoto), i cui genitori adottivi siano deceduti, di accedere alle proprie origini senza autorizzazione del tribunale per i minorenni, sono alcuni elementi certi che permettono di giustificare quanto si vuole dimostrare.

Se poi si tengono presenti le indicazioni del Regolamento dell’Autorità Anticorruzione adottato d’intesa con il Garante per protezione dei dati personali n. 2309 del 28 dicembre 2016[163], appare evidente che la strada per l’ostensione sia ammissibile.

L’accesso documentale al fascicolo di accrescimento del minore ospite in un Istituto per l’infanzia o in una comunità, che sia circoscritto esclusivamente alle informazioni riguardanti l’istante e la sua permanenza nel luogo di accoglienza, perché deve rispettare i limiti di segretezza e riservatezza imposti dalla normativa e la competenza del Tribunale per i minorenni, consente di dare un particolare valore alla ricostruzione della propria identità personale.

Sotto questa visuale, il diritto all’identità personale, attraverso la ricostruzione del proprio vissuto, ha un’accezione profondamente soggettiva che si focalizza sulla formazione di sé e della propria storia: è in sostanza il diritto del figlio «ad una fedele rappresentazione di sé verso all’esterno e, al contempo, rispetto ad una dimensione più propriamente interna, essa implica il diritto a ricercare le proprie origini biologiche e familiari»[164].

È un procedimento che deve essere opportunamente disciplinato a livello regolamentare rispetto ai limiti dell’accesso come elaborati nel corso di questa trattazione[165] e che deve favorire, in una logica di collaborazione e di buona fede, la partecipazione del cittadino, perché l’interessato sia aiutato a mettersi di fronte ad uno specchio e orientarsi verso sé stesso, senza necessità di bilanciamento con la riservatezza altrui, essendo per legge assenti i controinteressati, e in cui la stessa ri-scoperta del dato personale contribuisce alla tutela della propria identità perché diventa corretta rappresentazione di sé[166].

Si tratta, pertanto, di un procedimento amministrativo in cui la capacità di ascolto empatico, al di là della mera domanda “burocratica”, diventa prioritaria per la necessità di porsi in connessione con l’istante e capire quale sia l’oggetto della richiesta che attiene alle radici profonde della sua vita. Un procedimento di accesso, quindi, in cui l’approccio multidisciplinare che può vedere coinvolte allo stesso tempo la professionalità giuridica e quella socio-assistenziale e psicologica è essenziale.

Da un lato l’esigenza di corretta informazione giuridica: verranno pertanto puntualizzati i limiti dell’accesso documentale al fascicolo IPIM, che non può rivelare dati relativi alla genitorialità biologica, e oscurate le informazione su terze persone (famiglia biologica e controinteressati) con OMISSIS; inoltre non verranno consegnati documenti formati da Autorità giudiziarie o che contengono valutazioni o relazioni funzionali a decisioni del Giudice e verranno apposti inoltre gli OMISSIS su dati particolarmente delicati tenuto conto del pregiudizio concreto, vanno prese in considerazione le conseguenze – anche legate alla sfera morale, relazionale e sociale – che potrebbero derivare all’interessato.

Dall’altro il sostegno psicologico: la capacità di ascolto dell’istante, cogliendo ciò che vive e sente, permette di lavorare su un campo comune con lui utile alla corretta rielaborazione delle risposte.

Si tratta quindi di un procedimento flessibile perché non si esaurisce nella comunicazione ricevuta, ma che tiene presente l’unicità dell’interlocutore e le sue fragilità, il diverso modo di comprensione delle risposte e della percezione dei dati e delle informazioni di cui lui viene a conoscenza – spesso conferme piuttosto che novità – e su misura[167], per la forte capacità di adattarsi all’interlocutore che, anche se venisse gestito in maniera totalmente digitalizzata, riserva all’operatore una responsabilità di umanizzazione che lo avvicina alla persona, e solo a lui, stante i peculiari profili di segretezza e riservatezza, e che valorizzerebbe l’aspetto relazionale (anche qualora si potesse ipotizzare un accesso totalmente digitalizzato ai dati, utilizzando le tecnologie di blockchain per limitare l’accesso a quelli non ostensibili e riservando l’apporto umano sugli altri): un approccio di questo tipo favorirebbe la trasparenza attraverso la digitalizzazione, ampliando la platea dei fruitori.

Questo metodo fonda un diritto amministrativo delle (e per le) persone in cui il senso di ricostruzione identitaria viene definito con la collaborazione di una amministrazione attenta ai bisogni più profondi del cittadino e nella quale il ruolo del giurista, in una prospettiva multidisciplinare e sociale, partecipa con il proprio apporto tecnico, alla ricostruzione empatica del sé dell’istante: sarebbe questo, in sostanza, il quid pluris da valorizzare nella peculiare disciplina regolamentare del procedimento in parola.

Il disvelamento dei dati presenti in un fascicolo personale accessibile, limitato e secretato dove previsto dalla norma o da esigenze di cautela, la cui lettura viene opportunamente agevolata, del quale si conosce la sola esistenza, ma senza la sempre completa cognizione del contenuto (è accessibile in quanto sconosciuto) diventa una operazione di verità[168] che riguarda l’istante e mi pare possa quindi contribuire, senza necessità di bilanciamento con gli interessi di terzi, alla tutela della costruzione identitaria della persona.

  1. Responsabile Ufficio Welfare – Pubblica Tutela e Rapporti con l’Autorità Giudiziaria della Città metropolitana di Torino.
  2. Le città metropolitane, nelle aree espressamente identificate, subentrano alle province a seguito della c.d. Legge Delrio (L. n. 56/2014) in tutti i rapporti attivi e passivi con decorrenza 1/1/2015. Il funzionigramma allegato al Regolamento sull’Ordinamento degli Uffici e dei Servizi (ROUS) pubblicato sul sito dell’Amministrazione http://www.cittametropolitana.torino.it/cms/risorse/urp/dwd/regolamenti/ROUS_funzionigramma.pdf esplicita le competenze in parola (pag. 53).
  3. Per una approfondita e puntuale disamina dell’evoluzione dell’Istituto per l’infanzia di Torino, anche con riferimento a scelte che per l’epoca apparivano assolutamente moderne (come l’abolizione della “ruota degli esposti” nel 1870, ben cinquanta anni prima della legge nazionale, oppure come l’apertura dell’Asilo materno per assistere le donne, nell’ultima fase della gravidanza e nella prima fase di vita, che avevano deciso di riconoscere il nascituro consentendo loro di allattare i propri figli) si veda C. Bellocchio Brambilla, Nascere senza venire alla luce. Storia dell’Istituto per l’infanzia abbandonata della Provincia di Torino, 1867-1981, Franco Angeli Editore, 2010. Per una ricostruzione del contesto storico-sociale e normativo coevo alla nascita dell’Istituto si veda la tesi di laurea magistrale in giurisprudenza, relatore Prof. M. Rosboch, di L. Antonioli, L’infanzia negata. L’Istituto provinciale per la maternità e l’infanzia di Torino nell’assistenza ai bambini esposti, Archivio storico dell’Università di Torino, a.a. 2019/2020. Si veda anche Figli d’Italia. Gli innocenti e la nascita di un progetto nazionale per l’infanzia (1861-1911), (a cura di S. Filipponi, E. Mazzocchi e L. Sandri), Alinari 24 ore, 2011.
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  5. Sulla trasparenza, in generale, e sul rapporto con la riservatezza, in particolare, M. Bombardelli, Fra sospetto e partecipazione: la duplice declinazione del principio trasparenza, in Le istituzioni del federalismo, 2013, 657; B. Ponti, La trasparenza amministrativa dopo il d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33, 2013; C. Silvestro, Trasparenza e riforma Brunetta, in Foro amm. TAR, 2011, 706; M. Bombardelli, La trasparenza nella gestione dei documenti amministrativi, in La trasparenza amministrativa, F. Merloni, 2008, 400; C. Marzuoli, La trasparenza come diritto civico alla pubblicità, in F. Merloni, La trasparenza amministrativa,, 2008, 51; E. Carloni, L’obbligo di pubblicazione, in Codice dell’azione amministrativa, a cura di M.A. Sandulli, 2011, 1192; S. Foà, La nuova trasparenza amministrativa, in Dir. Amm., 2017, 65; F. Patroni Griffi, La trasparenza della pubblica amministrazione tra accessibilità totale e riservatezza, 2013, in federalismi.it https://federalismi.it/; F. Manganaro, Evoluzione ed involuzione delle discipline normative sull’accesso a dati, informazioni ed atti delle pubbliche amministrazioni, in Dir. Amm., 2019, 743; E. Carloni, Nuove prospettive della trasparenza amministrativa: dall’accesso ai documenti alla disponibilità delle informazioni, in Dir. Pubbl., 2005, 573.
  6. Artt. 21 ss del R.D. 29 dicembre 1927, n. 2822 “Approvazione del regolamento per l’esecuzione del R. decreto-legge 8 maggio 1927, n. 798, sull’ordinamento del servizio di assistenza dei fanciulli illegittimi abbandonati o esposti all’abbandono”. Si vedano anche gli artt. 18 ss del R.D. 11 febbraio 1923, n. 336 “Regolamento generale per il servizio di assistenza degli esposti”, poi l’art. 16 del R.D. 16 dicembre 1923, n. 2900 “Approvazione del nuovo testo del Regolamento generale per il servizio di assistenza degli esposti”.
  7. Art. 24 del R.D. n. 2822/1927.
  8. In tale senso si vedano: l’art. 70 del R.D. 9 luglio 1939, n. 1238; la prima stesura della Legge 4 maggio 1983, 184 rubricata originariamente “Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori”, fortemente orientata verso la segretezza della maternità e paternità biologica e dello stato di adottato, “salvo autorizzazione espressa dell’autorità giudiziaria”; l’art. 70 della Legge 15 maggio 1997, n. 127 “Misure urgenti per lo snellimento dell’attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo” (transitato inalterato nell’art. 30 comma 1 del D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 in materia di ordinamento dello stato civile) che conferma il diritto al parto anonimo, permettendo alla madre, nel rendere la dichiarazione di nascita, di omettere le proprie generalità.
  9. Si veda infra.
  10. Si tratta della riforma della disciplina in tema di adozione approvata con la Legge 28 marzo 2001, n. 149 “Diritto del minore ad una famiglia” (e poi a sua volta emendata dal D.Lgs 30 giugno 2003, n. 196 che approva il Codice di protezione dei dati personali e dalla Legge 28 dicembre 2013, n. 154 “Revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, a norma dell’articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219”) che, pur dichiarati cessati i rapporti dell’adottato con la famiglia di origine (art. 27 ultimo comma), ammette il diritto dell’adottato a conoscere, pur nel rispetto della segretezza della donna che ha dichiarato l’anonimato al momento del parto, le proprie origini a seguito di procedimento giurisdizionale incardinato presso il Tribunale per i minorenni di competenza (art. 28). Si veda inoltre l’art. 93 comma 2 del D.Lgs 196/2003 che prevede che la copia del certificato di assistenza al parto o della cartella clinica contenenti i dati della donna che abbia dichiarato di non voler essere nominata possono essere rilasciati decorsi cento anni dalla formazione del documento e inoltre che durante il periodo dei cento anni è possibile il rilascio della documentazione «osservando le opportune cautele per evitare che quest’ultima sia identificabile».
  11. È la notissima sentenza della Corte costituzionale 22 novembre 2013, n. 278 che, influenzata dalla sentenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo del 25 settembre 2012 (Godelli contro Italia) alla luce degli arresti del 1989 (Gaskin contro Regno Unito) e del 2003 (Odievre contro Francia), ha ribaltato la propria precedente giurisprudenza (Corte Cost. 25 novembre 2005, n. 425) con la quale si giustificava l’anonimato in termini assoluti per l’esigenza di evitare infanticidi, aborti o abbandoni non protetti.
  12. In assenza dell’auspicata approvazione da parte del Parlamento di una sistematica normativa che tenesse presente la sentenza della Corte Costituzione, la Cassazione con una serie di pronunce successive ha definito le modalità dell’interpello (Cass. Civile. SS.UU., 25 gennaio 2017, n. 1946), si è concentrata sulla possibilità, nel caso di decesso della madre naturale, di concedere al figlio l’accesso alle sue informazioni anagrafiche (Cass. Civ. SS.UU., 21 luglio 2016, n. 15024 e Cass. Civ., sez. I, 9 novembre 2016, 22838) «salvo il trattamento lecito e non lesivo dei diritti dei terzi dei dati personali conosciuti», negando, tuttavia, la procedura dell’interpello (Cass. Civ., sez. I, Ord. 9 agosto 2021, n. 22947) nell’ipotesi in cui la madre versi in stato di incapacità tale da non consentirle di prestare validamente la propria decisione, alla luce del suo stato di forte vulnerabilità e, infine, accogliendo una interpretazione costituzionalmente orientata della norma, ha statuito (Cass. Civ., sez. I, 20 marzo 2018, n. 6963) che il diritto di accedere alle informazioni sulla propria origine include oltre ai genitori biologici anche i congiunti come fratelli e sorelle, pur se non esplicitamente richiamati dalla disposizione.
  13. La Corte di Strasburgo, nel pronunciare la sua sentenza sul caso Godelli, si è soffermata in particolare sull’applicabilità al caso prospettato dell’art. 8 della Convenzione (“Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare”) facendo rientrare nel concetto di “vita privata”, sostiene E. Vigato, Godelli c. Italia: il diritto a conoscere le proprie origini, op. cit, 908 ss, il diritto a conoscere le proprie origini, soprattutto in connessione con il diritto all’identità personale. Nello specifico, approfondisce M.G. Stanzione, Identità del figlio e diritto di conoscere le proprie origini, op. cit., 114-115, «l’art. 8 tutela un diritto all’identità e allo sviluppo personale e quello di allacciare e approfondire relazioni con i propri simili e il mondo esterno». La Corte di Strasburgo osserva infatti che «l’espressione – ogni persona – dell’articolo 8 della Convenzione si applica al figlio come alla madre. Da una parte vi è il diritto del figlio a conoscere le proprie origini che trova fondamento nella nozione di vita privata. L’interesse vitale del minore nel suo sviluppo è altresì ampiamente riconosciuto nell’economia generale della Convenzione. Dall’altra, non si può negare l’interesse di una donna a conservare l’anonimato per tutelare la propria salute partorendo in condizioni sanitarie adeguate».
  14. Sul tema dell’identità familiare e sulle conseguenze che potrebbero verificarsi sulla questione della ricostruzione delle origini, si veda la recentissima Corte Cost. 28 settembre 2023, n. 183 che ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 27, terzo comma, della l. n. 184 del 1983 nella parte in cui esclude la valutazione in concreto del preminente interesse del minore a mantenere rapporti con i componenti della famiglia d’origine entro il quarto grado di parentela. La Corte, distinguendo gli effetti della sentenza di adozione sui rapporti con la famiglia di origini in effetti giuridico formali (totalmente recisi) ed effetti di natura socio-affettiva (per i quali sussiste una presunzione iuris tantum) ha affermato che “ove sussistano radici affettive profonde con familiari che non possono sopperire allo stato di abbandono, risulta preminente l’interesse dell’adottato a non subire l’ulteriore trauma di una loro rottura e a veder preservata una linea di continuità con il mondo degli affetti, che appartiene alla sua memoria e che costituisce un importante tassello della sua identità”. Per un primo commento della sentenza si veda M. R. Bianca, Verso la costruzione di un diritto di famiglia in concreto (nota a Corte Cost. 183/2023), in https://www.giustiziainsieme.it/it/diritto-civile/2944-verso-la-costruzione-di-un-diritto-di-famiglia-in-concreto-nota-a-corte-cost-183-2023?hitcount=0: l’A. ritiene che con la sentenza commentata si sia fondato un vero e proprio “diritto alla identità familiare. Tale diritto, che può essere definito quale diritto della persona alle proprie radici familiari, non è necessariamente connesso ai rapporti giuridico-formali, in quanto talvolta, come è il caso dell’adozione, tali rapporti sono stati recisi. Ma è proprio la distinzione ma al contempo l’integrazione tra rapporti giuridico-formali e rapporti socio-affettivi di fatto che costruisce l’identità familiare della persona, a prescindere dal riconosciuto status formale. Anzi, come evidenziato dal diritto alle proprie origini, che ha portato alla modifica dell’art. 28 l. adoz., il diritto alla identità familiare si manifesta con più forza quando le radici familiari non corrispondono ai rapporti giuridico-formali. Il diritto alla identità familiare è il diritto della persona a conoscere la propria storia familiare, le proprie radici, anche quando eventi traumatici hanno impedito la continuazione dei rapporti giuridico-formali. Il diritto alla identità familiare può anche coincidere con la titolarità di rapporti giuridico-formali”.
  15. Il riferimento è all’ultimo comma dell’art. 24 della Legge 7 agosto 1990, n. 241.
  16. M.G. Stanzione, Identità del figlio e diritto di conoscere le proprie origini, op. cit., 70 ss, in cui tra l’altro si evidenzia come in passato [ndr. prima della sentenza della Corte costituzionale n. 278/2013], il rapporto tra diritto alle origini del figlio e diritto all’anonimato della madre biologica era erroneamente ricostruito come antitesi tra diritto all’informazione e diritto alla riservatezza.
  17. In senso favorevole T.A.R. Ancona, 7 marzo 2002, n. 212 (Per un commento sulla sentenza si veda Diritto di accesso e tutela dell’anonimato [Nota a sentenza: T.A.R. Marche, 7 marzo 2002, n. 215], in Riv. Amm. Rep. it., 2002, 235), T.A.R. Catania, sez. I. 17 settembre 1993, n. 631 e T.A.R. Catania, sez II, 1269/2003. Contra Cons. st., sez. VI, 17 giugno 2003, n. 3402, T.A.R. Venezia, sez III, 17 gennaio 2003, n. 511, T.A.R. Reggio Calabria, 564/2004, TAR Ancona 2008/1914, Consiglio di stato, sez V n. 6960/2010, T.A.R. Lazio, Roma, sez. III, n. 7133 del 9 agosto 2006, e inoltre, successivamente alla sentenza della Corte Costituzionale del 2013, T.A.R. Campania, sez VI, del 12 aprile 2019 n. 2081, T.A.R. Lazio sez IV, del 10 febbraio 2023 e Cons. St. 8537/2022.
  18. Il tema riguarda in generale quei documenti, quali il certificato di nascita, il certificato di assistenza al parto, l’atto integrale di nascita, oppure gli atti depositati presso archivi o gli atti contenuti nei fascicoli personali dei minori ospitati presso gli istituti per l’infanzia e la maternità o presso le competenti comunità di accoglienza che contengono (o potrebbero contenere) dati della madre o identificativi della medesima: il focus è relativo al rapporto tra segretezza, riservatezza e accesso sotto quella diversa prospettiva che coinvolge anche profili di discrezionalità amministrativa degli enti locali (uffici dello stato civile e amministrazioni detentrici degli archivi degli istituti o titolari delle comunità di accoglienza per minori) o delle aziende ospedaliere (con riferimento al certificato di assistenza al parto), con i quali i dipendenti pubblici potrebbero doversi confrontare.
  19. T.A.R. Campania, sez VI, del 12 aprile 2019 n. 2081.
  20. Si veda nota 12.
  21. Pronunciata a seguito di un ricorso per l’accesso alla documentazione detenuta dal Ministero di Giustizia depositario dei registri di nascita matrimoni e morte del Servizio Anagrafe e stato civile del Comune di Napoli fino al 1965, finalizzato ad accertare la genitorialità biologica.
  22. Il giudice amministrativo richiama evidentemente Cass. Civ. SS.UU., 21 luglio 2016, n. 15024 e Cass. Civ., sez. I, 9 novembre 2016, 22838.
  23. T.A.R. Lazio sez IV, del 10 febbraio 2023 decisa a seguito del ricorso di un padre naturale che intende accedere all’attestazione di nascita e/o al certificato di assistenza al parto supportato dall’esigenza difensiva nell’ambito del procedimento volto a dichiarare la decadenza della madre dalla responsabilità genitoriale e prodromico all’attuazione del procedimento per la dichiarazione di adottabilità della stessa bambina. Inizialmente il ricorrente si era rivolto al Difensore civico regionale che aveva accolto la sua richiesta di accesso, provvedendo ad oscurare i dati identificativi della madre della bambina. A seguito del provvedimento del difensore civico l’Azienda sanitaria – convenuta poi innanzi al Tribunale amministrativo -, aveva confermato il proprio diniego di accesso documentale.
  24. Così M Gioncada – F. Corradi, Il diritto di accesso ai documenti amministrativi dei servizi sociali e sanitari. Questioni attuali, gestione, responsabilità degli operatori, Maggioli editore, 2011, 225.
  25. L’autorizzazione non è richiesta nel caso di genitori adottivi deceduti (fatto salvo il rispetto dell’anonimato della madre).
  26. Con Legge regionale 2 maggio 2006, n. 16 “Modifiche all’ articolo 9 della legge regionale 8 gennaio 2004, n. 1 (Norme per la realizzazione del sistema regionale integrato di interventi e servizi sociali e riordino della legislazione di riferimento)” sono stati introdotti dopo il comma 5 dell’art. 9 le seguenti norme: “5 bis. Le funzioni relative agli interventi socio-assistenziali nei confronti delle gestanti che necessitano di specifici sostegni in ordine al riconoscimento o non riconoscimento dei loro nati e al segreto del parto sono esercitate dai soggetti gestori individuati dalla Giunta regionale, sentita la competente Commissione consiliare e previa concertazione con i comuni. 5 ter. Nei casi di cui al comma 5 bis, i soggetti gestori, durante i sessanta giorni successivi al parto, garantiscono alle donne già assistite come gestanti ed ai loro nati gli interventi socio-assistenziali finalizzati a sostenere il loro reinserimento sociale. Dopo tale periodo ai medesimi beneficiari è assicurata la continuità assistenziale secondo i criteri e le modalità attuative previsti al comma 5 quinquies. Gli interventi socio-assistenziali a favore dei neonati non riconosciuti sono garantiti fino alla loro adozione definitiva. 5 quater. Gli interventi di cui al comma 5 bis sono erogati su richiesta delle donne interessate e senza ulteriori formalità, indipendentemente dalla loro residenza anagrafica. 5 quinquies. Con il provvedimento di individuazione dei soggetti gestori competenti di cui al comma 5 bis, la Giunta regionale definisce altresì criteri, procedure e modalità per l’esercizio delle relative funzioni”.
  27. Con Deliberazione della Giunta regionale n. 22-4914 del 18/12/2006.
  28. Deliberazione della Giunta regionale n. 11-7983 del 7 gennaio 2008.
  29. A seguito del subentro della Città metropolitana di Torino alla Provincia di Torino l’attività è gestita dall’Ufficio Welfare – Pubblica tutela e rapporti con l’Autorità giudiziaria.
  30. Si tratta dell’art. 5 comma 2 lett. j) della Legge regionale n. 1/2004 che delega alle province la creazione di Uffici di pubblica tutela per il supporto ai tutori e amministratori di sostegno. La Deliberazione della Giunta regionale n. 23-1988 del 16 gennaio 2006, attuativa della legge n. 1/2004 con riferimento agli Uffici di Pubblica tutela, prevede il collegamento con i soggetti gestori delle funzioni socio-assistenziali. Tale norma e la relativa funzione di supporto sono state confermate dalla Legge regionale 29 ottobre 2015, n. 23 “Riordino delle funzioni amministrative conferite alle province in attuazione della legge 7 aprile 2014, n. 56 (Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni)” approvata a seguito della Legge c.d. Delrio.
  31. Cass. Civile. SS.UU., 25 gennaio 2017, n. 1946 nel concentrarsi sulla procedura di interpello espressamente fa riferimento all’Ufficio di Pubblica tutela della Città metropolitana di Torino. “Le linee guida di altri Tribunali per i minorenni prevedono la convocazione, da parte del giudice, del rappresentante dell’Ufficio provinciale della pubblica tutela, che consegna la busta chiusa contenente il nominativo della madre: il rappresentante dell’Ufficio della pubblica tutela viene fatto uscire dalla stanza; il giudice apre la busta e annota i dati della madre, inserendoli in altra busta, che chiude e sigilla, redigendo un verbale dell’operazione; la prima busta viene nuovamente sigillata e, siglata dal giudice con annotazione dell’operazione compiuta, viene riconsegnata al rappresentante dell’Ufficio, a questo punto fatto rientrare e congedato”.
  32. Nel caso in cui la richiesta provenga da Tribunale diverso rispetto a quello del Piemonte e Valle d’Aosta, si è suggerito, attraverso apposita circolare, per ragioni di buon andamento, di procedere per rogatoria attraverso lo stesso Tribunale per i minorenni del Piemonte e Valle d’Aosta. In qualche caso gli altri Tribunali per i minorenni danno incarico ad ufficiali di polizia giudiziaria: in questo caso le operazioni di apertura della busta avvengono con le stesse modalità descritte.
  33. Per la letteratura sull’istituto dell’accesso documentale si segnalano, tra gli altri, G. Arena, La trasparenza amministrativa ed il diritto di accesso ai documenti amministrativi, in G. Arena (a cura di), L’accesso ai documenti amministrativi, Bologna, Il Mulino, 1991, 25 ss.; A. Romano Tassone, A chi serve il diritto d’accesso? (Riflessioni su legittimazione e modalità d’esercizio del diritto d’accesso nella legge n. 251/1990), in Dir. Amm., 1995, fasc. 3.; C. E. Gallo – S. Foà, Accesso agli atti amministrativi, voce in Digesto delle discipline pubblicistiche, con agg. di F. Pavoni, Torino, UTET, 2000; S. Cimini, L’accesso ai documenti amministrativi e riservatezza: il legislatore alla ricerca di nuovi equilibri, in Giust. civ., 10/2005, pp. 407 ss; F. Caringella – R. Garofoli – M. T. Sempreviva, L’accesso ai documenti amministrativi, Milano, Giuffrè, 2007; A. Simonati, I principi in materia di accesso, in M.A. Sandulli (a cura di), Codice dell’azione amministrativa, Milano, 2017, 1208 ss.; V. Parisio, La tutela dei diritti di accesso ai documenti amministrativi e alle informazioni nella prospettiva giurisdizionale, in federalismi.it, 11/2018, 1-36; F. Francario, Il diritto di accesso deve essere una garanzia effettiva e non una mera declamazione teorica, in federalismi.it, 10/2019, 1-27; M. A. Sandulli, Accesso alle notizie e ai documenti amministrativi, in Enc. Dir., agg. IV, Milano, 2020. Si veda anche nota 3.
  34. In S. Foà, La nuova trasparenza amministrativa, op. cit., 75 si evidenzia che con l’introduzione di questi due istituti l’oggetto della trasparenza non è più il procedimento, il provvedimento ed i documenti amministrativi, ma le informazioni relative all’organizzazione, alla gestione e utilizzo delle risorse finanziarie, strumentali ed umane.
  35. Si ricordi che, con riferimento all’accesso documentale, l’art. 24 comma 3 della legge n. 241/1990 esclude la possibilità di procedere ad «un controllo generalizzato dell’operato delle pubbliche amministrazioni».
  36. Per F. Manganaro, Evoluzione ed involuzione delle discipline normative sull’accesso a dati, informazioni ed atti delle pubbliche amministrazioni, op. cit., 746 “L’accesso è la regola il segreto l’eccezione”.
  37. Declinata poi compiutamente con il D.Lgs n. 33/2013 con riferimento all’accesso civico c.d. semplice.
  38. Regola dell’organizzazione ai sensi del D.Lgs c.d. Brunetta n. 150/2009, quale accessibilità totale ai dati ed alle informazioni e presupposto di controllo sociale sull’azione amministrativa in una logica anticorruttiva.
  39. F. Manganaro, Evoluzione ed involuzione delle discipline normative sull’accesso ai dati, informazioni ed atti delle pubbliche amministrazioni, op. cit., 754.
  40. Corollario dei principi di imparzialità e buon andamento ex art. 97 Cost., oltre ad essere espressamente sancito dalle fonti sovranazionali, come gli artt. 41 e 42 della c.d. Carta di Nizza. Per una interessante trattazione del principio di trasparenza amministrativa e del suo sviluppo alla luce della riforma della legge sul procedimento amministrativo del 2005, si veda E. Carloni, Nuove prospettive della trasparenza amministrativa: dall’accesso ai documenti alla disponibilità delle informazioni, op. cit., 573.
  41. Sulla correlazione tra trasparenza e anticorruzione A. Lazzaro, Trasparenza e prevenzione della cattiva amministrazione, 2017.
  42. Per una analisi del principio di trasparenza (non solo in funzione anti corruttiva), tra tutti E. Carloni, Alla luce del sole. Trasparenza amministrativa e prevenzione della corruzione, in Dir. Amm., 2019, 513 per il quale la trasparenza prima di essere strumento contro la corruzione costituisce il mezzo per “favorire la fruizione di servizi, l’informazione dei cittadini su temi di interesse generale, in ultima istanza la partecipazione e l’esercizio dei diritti”. Inoltre G. Arena, Le diverse finalità della trasparenza amministrativa, in F. Merloni, La trasparenza amministrativa, 2008 il quale sostiene che la prospettiva al quale tende la moderna Amministrazione è quella, in un’ottica partecipata e aperta, del “miglioramento del rapporto fra amministrazioni e cittadini ed il rafforzamento della democrazia”.
  43. F. Manganaro, Evoluzione ed involuzione delle discipline normative sull’accesso ai dati, informazioni ed atti delle pubbliche amministrazioni, op. cit., 755, anche con riferimento alla trasformazione delle amministrazioni in un’ottica digitale, che potrà garantire meglio i diritti sociali nei settori più rilevanti quali sanità, istruzione e welfare, perché, superando le barriere fisiche territoriali, “la trasparenza attraverso la digitalizzazione rende fruibili servizi ad un maggior numero di persone”.
  44. S. Foà, La nuova trasparenza amministrativa, op. cit., il quale evidenzia, si veda p. 70, che la trasparenza è mezzo e fine dell’azione amministrativa: “strumento per garantire i diritti dei consociati e strumento a disposizione dell’amministrazione come collante tra principio di legalità e principio di efficienza che, superato il limite dell’alternatività, instaurano un rapporto di integrazione”.
  45. F. Manganaro, Evoluzione del principio di trasparenza, in Studi in memoria di Roberto Marrama, Napoli 2012.
  46. Ai sensi dell’art. 117 comma 2 lett. m) della Costituzione.
  47. Art. 22 comma 4 della legge n. 241/1990.
  48. Come noto la disciplina organica in tema di trattamento e protezione dei dati personali è contenuta oggi nel G.D.P.R. Regolamento generale sulla protezione dei dati UE 2016/679 che all’art. 15 rubricato “diritto di accesso dell’interessato” prevede al comma 1 che “l’interessato ha il diritto di ottenere dal titolare del trattamento la conferma che sia o meno in corso un trattamento di dati personali che lo riguardano e in tal caso, di ottenere l’accesso ai dati personali” e alle informazioni come declinati dalla medesima norma.
  49. E. Carloni, Nuove prospettive della trasparenza amministrativa: dall’accesso ai documenti alla disponibilità delle informazioni, op. cit., 583.
  50. Argomentato da E. Carloni, Nuove prospettive della trasparenza amministrativa: dall’accesso ai documenti alla disponibilità delle informazioni, op. cit., 585 ss.
  51. Per una disamina del rapporto tra trasparenza e democrazia si veda M.A. Sandulli – L. Droghini, La trasparenza amministrativa nel FOIA italiano. Il principio della conoscibilità generalizzata e la sua difficile attuazione, in federalismi.it https://www.federalismi.it/nv14/articolo-documento.cfm?Artid=43656 .
  52. Per diritto di accesso si intende, ai sensi dell’art. 22 della legge sul procedimento amministrativo “il diritto degli interessati di prendere visione e di estrarre copia di documenti amministrativi”; sono interessati “tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso”: l’interesse si qualifica in quanto riferito all’autore della domanda, collegato al documento e al bene della vita al quale si aspira e all’utilità derivante dalla sua esibizione (in tal senso si veda A. Bohuny, L’accesso ai documenti amministrativi nella legge n. 241/90 riformata, in R. Tomei, La nuova disciplina dell’accesso ai documenti amministrativi, 2005, 731 per il quale “il requisito dell’attualità non sussiste quando l’apprensione del dato conoscitivo contenuto nel documento non consente più l’attivazione di alcuna iniziativa di tutela né sul piano latamente amministrativo, né su quello giurisdizionale, non essendo peraltro configurabili azioni giudiziarie per temuto pericolo”) e, a seguito di opportuna motivazione dell’istante, deve corrispondere ad una situazione giuridica adeguatamente protetta dall’ordinamento, non potendosi configurare in una generica ricerca della legalità e della buona amministrazione; sono controinteressati “tutti i soggetti, individuati o facilmente individuabili in base alla natura del documento richiesto, che dall’esercizio dell’accesso vedrebbero compromesso il loro diritto alla riservatezza”; per documento amministrativo “ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale”. La qualificazione giuridica del “diritto” di accesso è stata a lungo dibattuta. Nel 1999 l’Adunanza plenaria aveva aderito all’orientamento minoritario secondo cui la situazione soggettiva legittimante l’accesso sarebbe un interesse legittimo: così Cons. Stato, Ad. Plen., 2 giugno 1999, n. 16, in Foro amm., 1999, I, 1205. A sostegno di tale tesi era evidenziato il carattere impugnatorio del giudizio avverso le determinazioni amministrative concernenti il diritto di accesso; la previsione di un termine decadenziale per l’esercizio dell’azione; la motivazione contenuta nell’atto con cui la P.A. provvede sull’istanza; l’esigenza di bilanciamento dei plurimi interessi in conflitto. Successivamente, a seguito delle profonde modifiche apportate dalla legge n. 205/2000 e della riforma del titolo V della Costituzione, il Consiglio di Stato ha mutato orientamento affermando la natura di diritto soggettivo del diritto di accesso, con cognizione in sede contenziosa devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo: così Cons. Stato, sez. V, 2 febbraio 2010, n. 442. La questione è stata nuovamente sottoposta all’esame dell’Adunanza plenaria che tuttavia non ha fornito risposta esauriente sulla qualificazione della situazione soggettiva, sottolineando la necessità di concentrarsi sulle finalità sottese alla disciplina piuttosto che alla sua astratta qualificazione giuridica. Il Consiglio di Stato ha infatti affermato che il diritto di accesso ai documenti amministrativi costituisce un potere di natura procedimentale volto in senso strumentale alla tutela di un interesse giuridicamente rilevante. Così Cons. Stato, Ad. Plen., 20 aprile 2006, n. 7, in Foro amm-C.d.S., 2006, 1121.
  53. Oggi è pacifico che, alla luce dei poteri istruttori e decisori del giudice amministrativo, l’accesso possa essere inteso quale diritto soggettivo. Argomento da Cons. Stato, Adunanza Plenaria, 2 aprile 2020, n. 10, in Foro Amm., 2020, 4, 722. In E. Andreis, Diritto di accesso difensivo per la tutela del diritto alla salute del minore (nota a Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza del 10 febbraio 2022, n. 991), Il Piemonte delle autonomie, n. 2/2022 https://www.piemonteautonomie.it/diritto-di-accesso-difensivo-per-la-tutela-del-diritto-alla-salute-del-minore-nota-a-consiglio-di-stato-sez-iii-sentenza-del-10-febbraio-2022-n-991/ si sostiene che il giudizio sull’accesso “sebbene si presenti come un giudizio impugnatorio, avendo ad oggetto un provvedimento di diniego, di differimento o un silenzio dell’Amministrazione formatosi sulla relativa istanza, non ha propriamente natura impugnatoria, essendo piuttosto diretto ad accertare la sussistenza o meno del titolo all’accesso nella specifica situazione. Ciò alla luce dei parametri normativi e indipendentemente dai motivi opposti dall’amministrazione a sostegno del diniego, ovvero dal silenzio da questa mantenuto sull’istanza, che non identificano l’oggetto del giudizio ma costituiscono un presupposto processuale. Il giudice adito è dunque tenuto a valutare nel merito la fondatezza della pretesa ostensiva del ricorrente in considerazione degli elementi da questi addotti a fondamento della stessa. In tal senso, è dunque un “giudizio sul rapporto”, come si evince dall’art. 116 comma 4 c.p.a., che attribuisce al giudice ampi poteri di accertamento e condanna. Se accoglie il ricorso, la sentenza – redatta in forma semplificata – non si limita a disporre l’annullamento dell’eventuale atto di diniego o, nel caso di inerzia, ad accertare l’obbligo del soggetto resistente a consentire l’accesso, ma, come avviene nelle ipotesi di tutela di diritti soggettivi, si pronuncia sulla spettanza del diritto e, sussistendone i presupposti, condanna l’amministrazione ad un facere specifico: quello di esibire i documenti richiesti. Alcuno spazio è dunque lasciato a nuove valutazioni dell’amministrazione circa l’accesso del ricorrente al documento richiesto, né è possibile un riesercizio del potere o una rinnovazione del procedimento, dovendo l’amministrazione dare corso ad una mera condotta materiale, consistente nell’esibizione del documento richiesto”.
  54. Si tratta, come noto, della disciplina contenuta all’art. 24 della legge sul procedimento amministrativo.
  55. Ex multis E. Menichetti, La conoscibilità dei dati, tra trasparenza e privacy, in F. Merloni (a cura di), La trasparenza amministrativa, Milano, Giuffré, 2008, 283; M. Clarich, Trasparenza e protezione dei dati personali nell’azione amministrativa, in Foro. Amm., TAR, 2004, n. 12, 3885. A. Simonati, L’accesso amministrativo e la tutela della riservatezza, Trento, Università degli Studi di Trento, 2002. In giurisprudenza, si vd. Cons. St., sez. III, 21 dicembre 2017, n. 6011; Cons. St., sez. IV, 14 maggio 2014, n. 2472, che ha ricordato come sia “ormai pacifico che, con la modifica della legge n. 241 del 1990, operata dalla legge 11 febbraio 2005, nr. 15, è stata codificata la prevalenza del diritto di accesso agli atti amministrativi e considerato recessivo l’interesse alla riservatezza dei terzi, quando l’accesso sia esercitato prospettando l’esigenza della difesa di un interesse giuridicamente rilevante. L’equilibrio tra accesso e privacy è dato, dunque, dal combinato disposto degli artt. 59 e 60 del decreto legislativo 30 giugno 2003, nr. 196 (c.d. Codice della privacy) e delle norme di cui alla legge nr. 241 del 1990: la disciplina che ne deriva delinea tre livelli di protezione dei dati dei terzi, cui corrispondono tre gradi di intensità della situazione giuridica che il richiedente intende tutelare con la richiesta di accesso: nel più elevato si richiede la necessità di una situazione di “pari rango” rispetto a quello dei dati richiesti; a livello inferiore si richiede la “stretta indispensabilità” e, infine, la “necessità””.
  56. Si tratta del Regolamento UE 2016/679, oggetto di un completo approfondimento dottrinale a cura di F. Pizzetti, Protezione dei dati personali in Italia tra GDPR e codice novellato, Torino, 2021. Secondo Corte cost., 21 febbraio 2019, n. 20 la privacy deve oggi essere intesa come “diritto a controllare la circolazione delle informazioni riferite alla propria persona”. Sulla stessa linea L. Califano, Trasparenza e privacy nell’evoluzione dell’ordinamento costituzionale, in Giorn di storia cost., 2016, n. 31, 83, osserva che per effetto della progressiva evoluzione ordinamentale il diritto alla riservatezza strettamente inteso (right to be left alone) si è trasformato in “diritto alla protezione dei dati personali, configurando così un nuovo diritto, in grado di tutelare i flussi informativi connessi ai dati personali in ogni settore pubblico e privato”.
  57. Si veda in questi termini Corte Cost., 21 febbraio 2019, n. 20 in cui si riconosce la dimensione soggettiva del principio [ndr. di trasparenza], inteso come diritto dei cittadini a conoscere le informazioni amministrative, che si colloca, per ammissione della stessa Corte, a pari rango con il diritto alla protezione dei dati. Per un commento B. Ponti, Il luogo adatto dove bilanciare. Il “posizionamento” del diritto alla riservatezza e alla tutela dei dati personali vs il diritto alla trasparenza nella sentenza n. 20/2019, in Ist. Del fed., 2019, 541.
  58. S. Foà, La nuova trasparenza amministrativa, op. cit., 87.
  59. Il riferimento è ovviamente all’accesso civico e all’accesso civico generalizzato. Sui rapporti tra accesso documentale e accesso civico si veda Cons. St., sez. VI, sentenza del 10 settembre 2013, n. 5515 commentata da E. Cogo, Il Consiglio di Stato si pronuncia per la prima volta sui rapporti tra accesso ai documenti amministrativi ed accesso civico, in Il Piemonte delle autonomie, n. 3/2014 https://www.piemonteautonomie.it/il-consiglio-di-stato-si-pronuncia-per-la-prima-volta-sui-rapporti-tra-accesso-ai-documenti-amministrativi-ed-accesso-civico/.
  60. Linee guida ANAC n. 1309/2016.
  61. Linee guida in materia di trattamento dei dati personali, contenuti anche in atti e documenti amministrativi effettuato per finalità di pubblicità e trasparenza sul web da soggetti pubblici e da altri enti obbligati (G.U. 134 del 12 giugno 2014). Per un approfondimento AA.VV., Il diritto dell’amministrazione pubblica digitale, a cura di R. Cavallo Perin e D.U. Galetta, Giappichelli, Torino, 2020; R. Cavallo Perin – I. Alberti Atti e procedimenti amministrativi digitali, in Il Diritto dell’amministrazione pubblica digitale, a cura di a cura di R. Cavallo Perin e D.U. Galetta, 2020.
  62. Per approfondire F. Costantino, Lampi. Nuove frontiere delle decisioni amministrative tra open e big data, in Dir. Amm. 2017, 799.
  63. Art. 24 comma 6 lett. d) della Legge n. 241/1990.
  64. S. Foà, La nuova trasparenza amministrativa, op. cit. 87.
  65. Si ricordi che per dato personale, ai sensi dell’art. 4 del G.D.P.R. Regolamento generale sulla protezione dei dai UE 2016/679 “qualsiasi informazione riguardante una persona fisica identificata o identificabile («interessato»); si considera identificabile la persona fisica che può essere identificata, direttamente o indirettamente, con particolare riferimento a un identificativo come il nome, un numero di identificazione, dati relativi all’ubicazione, un identificativo online o a uno o più elementi caratteristici della sua identità fisica, fisiologica, genetica, psichica, economica, culturale o sociale”.
  66. Considerando 154 del G.D.P.R. Per un approfondimento sul diritto di accesso ai documenti delle istituzioni e dell’Unione europea fin dalle sue origini M.T.P. Caputi Jambrenghi, Lineamenti sul diritto di accesso ai documenti amministrativi nell’ordinamento comunitario, in Riv. Trim. di dir. Comunitario, 1997, 705; L. Limberti, La natura giuridica del diritto di accesso resta “sospesa” tra principio democratico e poteri di autoorganizzazione delle istituzioni comunitarie, in Riv. it. di dir. Pubblico comparato, 1996, 1227, A. Sandulli, L’accesso ai documenti amministrativi nell’ordinamento comunitario, in Giorn. Dir. Amm., 1996, 448; C. Tommasi, Il diritto di accesso ai documenti dell’Unione europea: tra partecipazione e controllo diffuso, in Riv. it. di dir. pubblico comunitario, 2019, 839; D.U. Galetta, Trasparenza e governance amministrativa nel diritto europeo, in Riv. it. di dir. pubblico comunitario, 2006, 279; M. Mattalia, Verso un diritto amministrativo europeo sul diritto di accesso ai documenti delle istituzioni dell’Unione europea, in Dir. Amm., 2023, 621.
  67. M. Mattalia, Verso un diritto amministrativo europeo sul diritto di accesso ai documenti delle istituzioni dell’Unione europea, op. cit., 625.
  68. Con riferimento all’accesso difensivo ed in particolare alla possibilità di accedere a tutti gli atti dell’Amministrazione sanitaria relativi alla determinazione a presentare un esposto contro i genitori di un minore – che si erano rifiutati di autorizzare la P.E.G. (gastrostomia endoscopica percutanea), per evitare il protrarsi della malnutrizione del figlio, preferendo continuare con la nutrizione nasogastrica – e ad incaricare il difensore, compresa la relativa corrispondenza e il parere da questi rilasciato per comprendere le ragioni della scelta di alimentare il minore tramite P.E.G. si veda Cons. St., Sez. III, sentenza del 10 febbraio 2022, n. 991, commentata da E. Andreis, Diritto di accesso difensivo per la tutela del diritto alla salute del minore (nota a Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza del 10 febbraio 2022, n. 991), Il Piemonte delle autonomie, n. 2/2022 https://www.piemonteautonomie.it/diritto-di-accesso-difensivo-per-la-tutela-del-diritto-alla-salute-del-minore-nota-a-consiglio-di-stato-sez-iii-sentenza-del-10-febbraio-2022-n-991/, che offre anche una puntuale ricostruzione delle questioni trattate. Si vedano anche Cons. Stato, Adunanza Plenaria, 25 settembre 2020, n. 19, in Foro Amm., 2020, 9, 1690 e Cons. Stato, Adunanza Plenaria, 18 marzo 2021, n.4, in Foro Amm., 2021, 3, 455. Sul punto C. Pagliaroli, Il potere valutativo della P.A. in materia di accesso difensivo: la sentenza dell’adunanza plenaria n. 4/2021, in Il diritto dell’economia, vol. 1, 2022, 219-229. Circa il rapporto tra accesso e difesa civica S. Ingegnatti, Dal riesame in materia di accesso agli atti amministrativi alle funzioni del difensore civico contro la mala gestio della P.A. Come è cambiato il modo di interfacciarsi dell’avvocato con la difesa civica, in Il Piemonte delle autonomie, n. 1/2023 https://www.piemonteautonomie.it/dal-riesame-in-materi-di-accesso-agli-atti-amministrativi-alle-funzioni-del-difensore-civico-contro-la-mala-gestio-della-p-a-come-e-cambiato-il-modo-di-interfacciarsi-dellavvocato-con-la-dif/
  69. Art. 24 comma 7 della Legge n. 241/1990.
  70. Un tempo noti come dati supersensibili, tale categoria rientra oggi nella previsione di cui all’art. 9 del G.D.P.R. che si riferisce al trattamento di categorie particolari di dati personali e che al comma 1 dispone che “È vietato trattare dati personali che rivelino l’origine razziale o etnica, le opinioni politiche, le convinzioni religiose o filosofiche, o l’appartenenza sindacale, nonché trattare dati genetici, dati biometrici intesi a identificare in modo univoco una persona fisica, dati relativi alla salute o alla vita sessuale o all’orientamento sessuale della persona”. I successivi commi definiscono le condizioni in forza delle quali tale norma non si applica
  71. Per dato anonimo si intende il dato che in origine, o a seguito di trattamento, non può essere associato ad un interessato identificato o identificabile. Si veda per un approfondimento E. Morelato – S. Niger, Anonimato e protezione dei dati personali, in Diritto all’anonimato. Anonimato, nome e identità personale (a cura di G. Finocchiaro), Cedam, 2008, 206.
  72. E. D’Alterio, Protezione dei dati personali e accesso amministrativo: alla ricerca dell’“ordine segreto, op. cit, 15. In questi termini l’A., richiamando l’art. 92 comma 2 del D.Lgs. 196/2003, ricorda che una “richiesta di accesso qualificato, avente ad oggetto un documento contenente dati relativi alla salute di un terzo soggetto (persino una cartella clinica), potrebbe essere accolta nel caso in cui la richiesta stessa sia concretamente finalizzata alla tutela del diritto alla salute del richiedente”.
  73. In una logica sistematica si faccia presente che, con riferimento all’accesso generalizzato, la riservatezza costituisce limite dell’accesso quando a causa di questo possa derivare all’interessato un concreto pregiudizio alla sfera morale, relazionale e sociale.
  74. Ai sensi dell’art. 93 del D.Lgs n. 196/2003.
  75. Dall’anno in corso è possibile presentare domanda per via telematica compilando l’apposito form accessibile con identità digitale, se posseduta, o allegando documento di identità scansionato in formato pdf.
  76. Si vedano le considerazioni sul punto della sentenza T.A.R. Campania, sez VI, del 12 aprile 2019 n. 2081/2019 citata nel paragrafo precedente.
  77. Ai sensi dell’art. 1 comma 2 bis della Legge 7 agosto 1990, n. 241.
  78. In base all’art. 6 della Legge n. 241/1990.
  79. Art. 10 bis della Legge n. 241/1990.
  80. Si tratta del Regolamento n. 2309 del 28 dicembre 2016.
  81. Si rimanda al prossimo paragrafo per i necessari ragionamenti sul punto.
  82. Il termine è indicato tra virgolette in quanto la scelta di anonimato della madre ha permesso al minore di vivere sviluppando il proprio progetto esistenziale nella famiglia adottiva.
  83. Per un approfondimento si veda il sito del progetto Ser.io dell’Istituto degli Innocenti e della Regione Toscana https://www.istitutodeglinnocenti.it/it/servizi/serio-servizio-per-informazioni-sulle-origini e nello specifico i due studi La ricerca delle informazioni sulle proprie origini: riflessioni e prospettie di sviluppo del progetto Ser.I.O. in https://www.istitutodeglinnocenti.it/sites/default/files/allegati/Rapporto_Ser.I.O_2019.pdf e Identità in costruzione. La ricerca delle informazioni sulle origini nell’adozione: vissuti, sostegno professionale e prospettive di sviluppo in https://www.istitutodeglinnocenti.it/costruzione.pdf
  84. Per quanto riguarda l’esperienza della Città metropolitana di Torino, considerato che si stima che l’Archivio ex IPIM, tra il 1929 ed il 2006, contenga circa 35.000 fascicoli, la media delle richieste di accesso documentale negli ultimi 10 anni è di circa 15 richieste all’anno, mentre le richieste di esibizione delle c.d. buste chiuse presentate dall’Autorità giudiziaria minorile sono in media 13 all’anno (ovviamente a seguito della Sentenza della Corte costituzionale del 2013).
  85. C. Baffi – M. Valente, Cerco chi sono. Alla ricerca delle origini biologiche, op. cit., 49. Sono significative le parole – citate nella medesima pagina 49 – della Professoressa Alessandra Fermani, docente di psicologia sociale all’Università di Macerata in proposito di una complessa interdipendenza tra fattori e contesti: “Quando parliamo di adozione ne dovremo parlare al plurale, parlare di adozioni. Nel percorso identitario conta molto l’individuo che è coinvolto in queste storie. Innanzitutto, l’adozione, pur essendo un fulcro importante nella vita dell’individuo, segna un abbandono, una ferita che in qualche modo va a far parte della costituzione dell’identità per sempre. Ciononostante, appartiene ad una parte solamente della complessità dell’identità. In termini temporali, la sofferenza può rappresentare l’individuo solo per pochissimi mesi di vita, può rappresentarlo per uno o due anni oppure per un numero significativo di anni e questo ovviamente comporta una serie di strategie e coping [ndr. Processo adattativo per gestire gli eventi stressanti] che vengono messe in atto. In più l’individuo come singolo mette in campo una capacità di resilienza, più o meno sviluppata, che dipende tutta da una serie di percorsi e di vissuti […] che si formano, in senso ecologico, attraverso la coesistenza di microsistemi, mesosistemi ed esosistemi di esistenza, dunque famiglia, gruppo dei pari, come questi due si mettono insieme e che tipo di cultura assorbe e in quale società vive questa persona. Che tipo di ambiente sociale ha vissuto il genitore o la figura che ha fatto da tutore se non c’è stata una piena adozione o un’adozione istituzionalizzata. La ricerca delle origini è molto forte e molto significativa. Non mi stupisce che venga effettuata a volte in un secondo momento, soprattutto nelle adozioni riuscite da un punto di vista dell’attaccamento. Questo perché si innescano dei meccanismi psicologici di responsabilità reciproca in cui il figlio adottato, per non ferire i genitori adottivi e per non dare loro anche solo la parvenza di non essere riconoscente per il fatto di aver avuto una famiglia e andare invece alla ricerca dei genitori biologici, spesso aspetta proprio la morte dei genitori senza chiedere nulla. Peraltro, su una costruzione mentale e una rappresentazione talvolta pregiudizievole e non veritiera perché non è detto che i genitori adottivi si sarebbero sentiti screditati nel loro ruolo”.
  86. Per una bibliografia di riferimento, tra gli altri: G. Alpa, M. Bessone, L. Boneschi (a cura di), Il diritto alla identità personale, 1981; Basilica, Identità personale: itinerario di un’idea, in Legalità e giustizia, 1991, 282; A. Barbera, Art. 2, in Commentario della Costituzione. Principi fondamentali, Artt. 1-12 (cura di G Branca), Bologna, 1975, 55; G. Bavetta, Identità (diritto alla), in Enciclopedia del Diritto, vol. XIX, Giuffrè, Milano, 1970; C. M. Bianca, La famiglia, 2006, 313; C. M. Bianca, Diritto civile, 1, La norma giuridica, i soggetti, 1984, 137; A. Cerri, Identità personale, in Enciclopedia giuridica, vol XXV, 1995; A. De Cupis, Il diritto all’identità personale, 1949; A. De Cupis, La persona umana nel diritto privato, in Il foro italiano – vol 79, 1956, 77; A. De Cupis, I diritti della personalità, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da A. Cicu e F. Messineo, Milano, 1961; A. De Cupis, La verità nel diritto (Osservazioni in margine a un libro recente), in Il foro italiano – vol 75, 1952, 223; M. Dogliotti, Tutela dell’onore, identità personale e questioni di compatibilità, in Giust. Civ., 4/1980, 969; G. Finocchiaro, Identità personale (diritto alla), Digesto, discipl. Privatistiche, Sez. civ., Agg., 2010; G. Finocchiaro, Diritto all’anonimato. Anonimato, nome, identità personale, in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia, (diretto da F. Galgano), 2008; M. Fioravanti, Art. 2, Roma, 2017, 68; A. Gambaro, Diritti della personalità, in Riv. Dir. Civ., 1989, 421; F. Modugno, I “nuovi diritti” nella giurisprudenza costituzionale, Giappichelli, Torino, 1995; A. Morelli, Persona e identità personale, in BiolLaw journal, n. 2/2019; A. Randazzo, Diritto all’identità personale e valori costituzionali. Le linee di un modello, traendo spunto da Luigi Pirandello, in dirittifondamentali.it, n. 3/2021, http://dirittifondamentali.it/2021Randazzo_Diritto all’ identita-personale-e-valori-costituzionali.pdf , 363;A. Pace, Il c.d. diritto alla identità personale gli art. 2 e 21 della Costituzione, in Il diritto alla identità personale (a cura di G. Alpa, M. Bessone, L. Boneschi), 1981, pp. 36 ss.; G. Pino, Il diritto all’identità personale. Interpretazione costituzionale e creatività giurisprudenziale, 2003; E. Raffiotta, Appunti in materia di diritto all’identità personale, in www.forumcostituzionale.it , 2010; A. Scalisi, Il valore della persona nel sistema e i nuovi diritti della personalità, Milano, 1990; L. Trucco, Introduzione allo studio dell’identità individuale nell’ordinamento costituzionale italiano, Torino, 2004; P. Zatti, Il diritto alla identità personale e l’applicazione diretta dell’art. 2 Cost., in Il diritto alla identità personale (a cura di G. Alpa, M. Bessone, L. Boneschi), 1981, 53; V. Zeno-Zencovich, Identità personale, in Digesto delle Discipline privatistiche – sez. Civile, Vol IX, Torino, 1993, 545.
  87. Tra gli altri vale la pena citare A. Scalisi, Il valore della persona nel sistema e i nuovi diritti della personalità, op. cit., 26 che dopo aver inquadrato il tema dei c.d. nuovi diritti della personalità, si domanda se, nel rapporto tra diritti del soggetto e norma, alla luce del giusnaturalismo o del giuspositivismo “i diritti del soggetto – di cui i diritti della personalità ne sarebbero una specie – prevalgano sulla norma o se al contrario questa prevale su di essi” (pag. 10). La conclusione alla quale arriva l’A. è che “il diritto – per quanto sia un fenomeno umano […] e assolva la funzione di rendere possibile la coesistenza degli uomini di una società – non può non trovare la sua legittimazione che nelle istanze profonde dell’uomo e della sua personalità: nell’istanza di essere, nell’istanza di dignità, nell’istanza di libertà”.
  88. Art. 1 della Legge 31 dicembre 1996, n. 675 “Tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali” che, nel definire le finalità della legge, stabilisce che “il trattamento dei dati personali si svolga nel rispetto dei diritti, delle libertà fondamentali, nonché della dignità delle persone fisiche, con particolare riferimento alla riservatezza e all’identità personale” e, poi, art. 1 del D.Lgs 30 giugno 2003 “Codice in materia di protezione dei dati personali”.
  89. In tal senso G. Pino, L’identità personale, Trattato di biodiritto, 2010, p. 306 il quale afferma che “l’identità personale è il risultato, continuamente rivedibile, di un processo: un processo di identificazione”.
  90. Si tratta del D.Lgs. n. 916/2003 “Attuazione della direttiva 2000/78 per la parità di trattamento in materia di occupazione e condizioni di lavoro e della direttiva n. 2014/54/UE relativa alle misure intese ad agevolare l’esercizio dei diritti conferiti ai lavoratori nel quadro della libera circolazione dei lavoratori”. Cfr. E. RAFFIOTTA, Appunti in materia di diritto all’identità personale, in www.forumcostituzionale.it , 2010, 11; A. Morelli, Persona e identità personale, in BiolLaw journal, n. 2/2019, 51.
  91. A. De Cupis, La verità nel diritto (Osservazioni in margine a un libro recente), op. cit., 223.
  92. G. Finocchiaro, Identità personale (diritto alla), Digesto, discipl. Privatistiche, Sez. civ., Agg., op. cit. 724.
  93. A. De Cupis, I diritti della personalità, in Trattato di diritto civile e commerciale, op. cit. 403.
  94. A. Randazzo, Diritto all’identità personale e valori costituzionali. Le linee di un modello, traendo spunto da Luigi Pirandello, op. cit., 368.
  95. Arg. da F. Remotti, Contro l’identità, Roma-Bari, 2001, 54.
  96. V. Zeno-Zencovich, Identità personale, op. cit., 294.
  97. G. Pino, Il diritto all’identità personale. Interpretazione costituzionale e creatività giurisprudenziale, op.cit., 43.
  98. S. Niger, Il diritto all’identità personale, in Diritto all’anonimato. Anonimato, nome e identità personale (a cura di G. Finocchiaro), Cedam, 2008, 116.
  99. R. Tommasini, L’identità dei soggetti tra apparenza e realtà: aspetti di una ulteriore ipotesi di tutela della persona, in G. Alpa, M. Bessone, L. Boneschi (a cura di), Il diritto alla identità personale, op. cit., 82.
  100. M. Dogliotti, Tutela dell’onore, identità personale e questioni di compatibilità, op. cit., 969 ss.
  101. F. Modugno, I “nuovi diritti” nella giurisprudenza costituzionale, op. cit., 13.
  102. C. M. Bianca, La famiglia, op. cit. 313.
  103. G. Pino, Il diritto all’identità personale. Interpretazione costituzionale e creatività giurisprudenziale, op.cit., 14 il quale sottolinea che il concetto di cultura giuridica non vada confuso con quello di tradizione giuridica, che denota gli elementi di continuità e omogeneità all’interno di una o più organizzazioni giuridiche ormai consolidati.
  104. Espressione di A. Gambaro, Diritti della personalità, in Riv. Dir. Civ., 1989, 421.
  105. G. Pino, Il diritto all’identità personale. Interpretazione costituzionale e creatività giurisprudenziale, op.cit., 16. Secondo questa prospettiva l’A., citando P. Cendon, La motivazione della sentenza e le divagazioni del giudice, in (a cura di P. Cendon) La responsabilità civile. Saggi critici e rassegne di giurisprudenza, 1988, 207, ritiene che vi sono dei fattori di tipo obiettivo per giustificare la diffusione del diritto all’identità personale nella cultura giuridica italiana: tra povertà di riferimenti codicistici e abbondanza di implicazioni costituzionali insieme a fattori come l’affacciarsi di forme sempre nuove di aggressione e prerogative da tutelare [ndr. Il riferimento è alle sempre più sottili e imprevedibili insidie derivate dalle tecnologie dell’informazione e della comunicazione], lo scarso tecnicismo del problema, le frequenti oscillazioni della giurisprudenza, le discussioni ininterrotte in dottrina.
  106. M. Fioravanti, Art. 2, op. cit., 68.
  107. G. Pino, Il diritto all’identità personale. Interpretazione costituzionale e creatività giurisprudenziale, op.cit., 43-44, il quale aggiunge che probabilmente tale diritto era presente nella cultura giuridica italiana come crittotipo, ossia come nozione implicita, annidandosi nella penombra di altri diritti della personalità quali il diritto al nome e il diritto all’immagine, per trovare la sua autonomia solo in un periodo storico particolare (la fine degli anni settanta) allorché sono maturate le condizioni culturali, sociali e istituzionali idonee a favorirne l’emersione.
  108. G. Finocchiaro, Identità personale (diritto alla), Digesto, discipl. Privatistiche, Sez. civ., Agg., op. cit. 724.
  109. G. Pino, Il diritto all’identità personale. Interpretazione costituzionale e creatività giurisprudenziale, op.cit., 65: la giurisprudenza precedente (il riferimento è in particolare a Cass. Civ. Sez I., 13 luglio 1971, n. 2242) negava la tutela dell’interesse all’identità personale, di solito denominato “verità storica” nella misura in cui non si fosse presentato coperto dall’ala protettiva del diritto al nome o all’immagine.
  110. Per una completa e approfondita analisi di come si sia affermato ed evoluto il diritto all’identità personale, si vedano il già citato G. Pino, Il diritto all’identità personale. Interpretazione costituzionale e creatività giurisprudenziale, op.cit. e S. Niger, Il diritto all’identità personale, op.cit., 113 ss.
  111. In giurisprudenza si è parlato di volta in volta di “proiezione della persona, in riferimento alla collocazione nel contesto delle relazioni sociali” (Tribunale di Roma, 27 marzo 1984, in Giur. It., 1985, 13); di “interesse a veder rispettata la sua immagine di partecipe alla vita associata”, e di “dimensione socio-politica del soggetto” (Pret. di Verona, ord. 2 giugno 1980, in Foro It., 1980, 123); di diritto di ciascuno a essere come si è “nel suo contesto umano e sociale” (Tribunale di Roma, 7 novembre 1984, in Giur. It., 1985); di caratteri che “compendiano e connotano la personalità di un soggetto nella vita di relazione” (Tribunale di Roma, 15 settembre 1984, in Giur. It., 1984); di immagine della persona “in riferimento alla sua collocazione nel contesto delle relazioni sociali” (Pret. Roma, 27 marzo 1984, in Giur. It., 1985, 2046). Si veda inoltre con riferimento a “non vedere alterate le sue convinzioni ideologiche e politiche” (Pret. Torino, 30 maggio 1979, in Giur. It, 1980, 969) e circa la coincidenza del diritto al nome e del diritto alla identità personale in quanto “il primo è segno di identificazione strumentale alla connotazione complessiva di un soggetto nella sua vita di relazione” (Trib. Milano, 19 giugno 1980, in Giur. It., 1080, 90.
  112. A ben vedere, sostiene G. Pino, Il diritto all’identità personale. Interpretazione costituzionale e creatività giurisprudenziale, op.cit., 151-152, “la vicenda giurisprudenziale del diritto all’identità personale presenta alcune rilevanti differenze rispetto a quella del diritto alla riservatezza, sia dal punto di vista delle tecniche argomentative impiegate in sede giudiziaria, sia da un punto di vista […] sociologico. Dal punto di vista delle tecniche argomentative, la giurisprudenza del diritto alla riservatezza era caratterizzata da uno sforzo di ricostruzione sistematica di ampio respiro: il giudicante, dopo un accurato esame di codici e gazzette ufficiali, illustrava nella motivazione i molteplici specifici riferimenti normativi (costituzionali, civilistici, penalistici, processualistici, internazionalistici) del diritto alla riservatezza. Nel caso del diritto all’identità personale, invece, la giurisprudenza ha compiuto una operazione argomentativa di tipo del tutto diverso, basando il nuovo diritto in via diretta, immediata, e talvolta esclusiva, sull’art. 2 Cost., disposizione dal contenuto ampio e indeterminato, e applicata in via diretta ai rapporti interpretativi, lasciando tendenzialmente a margine il piano della eventuale rilevanza legislativa del diritto”. Sotto il profilo sociologico “il diritto alla riservatezza intende offrire una garanzia di inviolabilità contro una condotta generalmente avvertita come sgradevole e tendenzialmente morbosa, cioè l’instaurarsi tra le faccende private altrui: il diritto alla riservatezza è la reazione giuridica contro una forma di curiosità non dotata di particolare valore sociale. Il diritto all’identità personale, invece, si contrappone ad alcune attività che in linea di principio sono considerate di elevato valore sociale: la cronaca e la critica […]; senza una opportuna ponderazione, la tutela giuridica dell’identità personale potrebbe prestarsi a proteggere (non una legittima sfera di riserbo e di intimità individuale, ma) l’idiosincrasia e la volontà – magari da parte di chi ricopre un ruolo pubblico – di sottrarsi al giudizio critico altrui”.
  113. Si veda G. Pino, Il diritto all’identità personale. Interpretazione costituzionale e creatività giurisprudenziale, op.cit., 135-136 che sintetizza le principali posizioni emerse: da un lato quella della configurabilità dei diritti della personalità come diritti soggettivi; dall’altro quella che si limita a considerare interessi giuridicamente protetti tutelabili solo se collegati direttamente o indirettamente ad una norma di legge, infine la posizione che ammette la tutela della personalità nel dovere di astensione (clausola generale di tutela della personalità).
  114. Pretore di Roma del 6 maggio 1974, commentata in Giurisprudenza italiana, 1975, I, 2, 514-519. Tuttavia, G. Pino, Il diritto all’identità personale. Interpretazione costituzionale e creatività giurisprudenziale, op.cit., 67 sottolinea criticamente che “il pretore non fa alcuno sforzo per individuare un possibile referente normativo” per tale diritto.
  115. A. Gambaro, Diritti della personalità, op. cit., 521.
  116. S. Niger, Il diritto all’identità personale, op.cit., 121.
  117. Cass. Civ., sez. I, 22 giugno 1985, n. 3769, in Nuova giur. Civ. comm, 1985, 647.
  118. G. Pino, Il diritto all’identità personale. Interpretazione costituzionale e creatività giurisprudenziale, op.cit., 84-85. L’A. cita inoltre, a pag. 88, anche Cass. Civ., I sez., 7 febbraio 1996, n. 978 che, pur collocandosi nel solco della prima decisione, sostituisce alla c.d. concezione pluralista dei diritti della personalità, l’approccio monista: in sintesi il nuovo approccio, si veda pag. 141, “concepisce non singoli diritti della personalità, ma un diritto generale della personalità […] vale a dire un diritto unitario all’autonomo sviluppo della propria personalità, che si articola poi in diversi aspetti o specifiche facoltà”. Secondo la teoria pluralista, si veda pag. 144, le norme costituzionali non si applicano direttamente, ma possono fungere da criterio guida dell’interprete nel procedimento di analogia iuris; secondo la teoria monista invece la tutela della persona si desume direttamente all’art. 2 Cost.
  119. Si veda in tal senso Corte cost. 3 febbraio 1994, n. 13, decisa a seguito di una rettifica dell’atto di nascita (dichiarato parzialmente falso in sede penale), richiesta da parte di una Procura della Repubblica. In seguito a tale rettifica, che avrebbe eliminato il riferimento al padre, un soggetto ha acquistato automaticamente il cognome della madre per effetto delle disposizioni dell’Ordinamento dello stato civile; si veda inoltre Corte cost., 23 luglio 1996, n. 297, pronunciata a seguito di un procedimento riguardante l’imposizione (per effetto dell’atto dell’ufficiale di stato civile a seguito di trascrizione della sentenza di disconoscimento di paternità e in base alle norme che vietavano il riconoscimento di figlio adulterini) del cognome della madre (oltre quarant’anni dopo il parto).
  120. Corte cost. 3 febbraio 1994, n. 13, in Giust. Civ., 1994, 95.
  121. Commenta G. Pino, Il diritto all’identità personale. Interpretazione costituzionale e creatività giurisprudenziale, op.cit., 96 chiarendo che, nella visione della Corte, il nome assolve a varie funzioni: una funzione diretta identificativa (distinzione da altri soggetti) di natura pubblicistica e una funzione indiretta strumentale che evoca la personalità, le convinzioni, le azioni ad esso riconducibili, di natura civilistica.
  122. G. Pino, Il diritto all’identità personale. Interpretazione costituzionale e creatività giurisprudenziale, op.cit., 97 sostiene tuttavia che la sentenza presenti un “corpo estraneo” rappresentato dalla definizione di identità personale come radicatasi già nelle sentenze della Corte di Cassazione: se il diritto all’identità personale è il diritto a non vedersi contestato o travisato il proprio patrimonio culturale, ideologico etc., non è chiaro come il forzato cambiamento del nome determini il travisamento del patrimonio morale della persona (venendo meno solo la funzione identificativa del nome). L’A. sostiene che, in questa prospettiva, il diritto all’identità personale non può essere inteso come diritto ad essere se stessi (come afferma la Corte) ma come diritto a non essere rappresentati in maniera deformante.
  123. Corte cost., 11 maggio 2001, n. 120: si veda A. Gentili, Il diritto all’identità personale nuovamente all’esame della Cort costituzionale, in Le nuove leggi civili commentate, 2001.
  124. Si veda il paragrafo 1 con riferimento all’evoluzione del diritto alle origini biologiche, nel limite del diritto al parto in anonimato e con riferimento al riconoscimento del diritto ad interpellare la donna che ha dichiarato di non essere nominata al momento del parto, da parte del figlio biologico.
  125. C. Ingenito, Il diritto del figlio a conoscere le proprie origini: alla ricerca dell’identità perduta o mai acquisita, in https://iris.uniroma1.it/Ingenito_Diritto_2022.pdf.
  126. A. De Cupis, I diritti della personalità, op. cit., 9.
  127. Arg. da A. De Cupis, I diritti della personalità, op. cit., 9.
  128. Si rimanda alla Convenzione di New York del 1989 (ratificata con legge 27 maggio 1991, n. 176) che agli artt. 7 ed 8 riconosce il diritto dell’individuo a conoscere l’identità dei propri genitori biologici nonché la Convenzione dell’Aja del 29 maggio 1991 (ratificata con legge 31 dicembre 1998, n. 476) che conferma all’art. 30 il medesimo diritto.
  129. M.G. Stanzione, Identità del figlio e diritto di conoscere le proprie origini, op. cit., 114-115.
  130. C. Ingenito, Il diritto del figlio a conoscere le proprie origini: alla ricerca dell’identità perduta o mai acquisita, op cit, 3397.
  131. D’altro canto si evidenzia in P. Ronfani, Conoscenza delle origini e altri problemi dell’adozione nelle prospettive sociologica e antropologica, in Minorigiustizia, 1997, 2, 40 che il segreto intorno alle origini non ha avuto solo la funzione si salvaguardare l’esclusività del rapporto di filiazione adottiva e la riservatezza dei genitori biologici, ma è parso principalmente funzionale al modello di adozione forte messo in discussione già dagli anni settanta nella cultura psicanalitica psicologica e sociologica.
  132. M. Petrone, Il diritto dell’adottato alla conoscenza delle proprie origini, Milano, 2004, 37.
  133. Si veda M. Petrone, Il diritto dell’adottato alla conoscenza delle proprie origini, op. cit., 5 per cui “la scelta non è stata unanimemente condivisa da quanti operano sul campo (psicologi, psicoterapeuti, giudici minorili e associazioni di famiglie affidatarie ed adottive) in quanto la possibilità di ricerca delle origini sarebbe in contrasto palese con la ratio dell’adozione legittimante che, con la cesura di qualsiasi legame con la famiglia di origine (l’art. 27 ultimo comma non è stato modificato dalla riforma del 2001) esalta il ruolo della famiglia adottiva quale unica vera famiglia”.
  134. M. Vitolo, Il concetto di identità nel processo evolutivo, in Minorigiustizia, 1996, n. 4, 8.
  135. M. Petrone, Il diritto dell’adottato alla conoscenza delle proprie origini, op. cit., 38-39.
  136. M. Petrone, Il diritto dell’adottato alla conoscenza delle proprie origini, op. cit., 14.
  137. Secondo J. Long, L’adottato adulto ha diritto a conoscere l’identità dei fratelli biologici, se essi vi consentono, in Nuova Giurisprudenza civile commentata, 2018 “la maggior parte delle richieste di accesso alla documentazione sull’adozione, non hanno ad oggetto le informazioni disciplinate dall’art. 28. La maggioranza, infatti, riguarda la propria storia pre-adozione e le ragioni dell’abbandono”. Si rimanda al par. 1.
  138. Sul principio personalistico si vedano le considerazioni di A. Scalisi, Il valore della persona nel sistema e i nuovi diritti della personalità, op. cit., 42 ss. per il quale “la persona umana è al vertice della gerarchia dei valori giuridici. Più precisamente in ragione soprattutto degli artt. 2 e 3 cost., la persona umana assume carattere qualificante dell’ordinamento giuridico italiano ed emerge a livello dei principi generali del sistema normativo. […]. Tale principio ha un proprio autonomo contenuto definibile e identificabile a priori, senza, cioè, alcun riferimento ad altre norme positive: in quanto tale esso esprime una regola giuridica con valore, appunto, di principio. Il valore della persona opera, dunque, nel sistema come criterio ordinatore delle altre norme dell’ordinamento e, ad un tempo, come precetto giuridico avente una sua immediata valenza normativa sia pure suscettibile di diversa qualificazione a seconda della natura – programmatica o precettiva – che si intende attribuire alla normativa costituzionale”.
  139. Letto, in particolare, in combinato disposto con l’art. 3 comma 2 Cost. che stabilisce quale compito della Repubblica quello di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”.
  140. G. Pino, Il diritto all’identità personale. Interpretazione costituzionale e creatività giurisprudenziale, op.cit., 162.
  141. Par. 3.
  142. Sotto questa prospettiva arg. da A. Dell’Antonio, Le problematiche psicologiche dell’adozione nazionale ed internazionale, Milano, 1986, 123: l’evoluzione che ha portato alla riforma dell’adozione del 2001 e gli arresti giurisprudenziali europei e nazionali, evidenziano che oggi, nel solco del diritto alle proprie origini, la narrazione al minore delle vicende significative della sua storia precedente, selezionando opportunamente i fatti rilevanti emersi dalle indagini svolte, condiziona l’immagine di sé che il bambino va costruendo e non può essere disgiunta dalla percezione, reale o indotta, che egli ha della famiglia di origine. Il bambino apprende, venendo a conoscenza del rapporto di filiazione civile e non biologica, ciò che non è: il vuoto che scopre può essere colmato solo con l’accettazione del suo vissuto precedente come parte della propria esperienza vitale.
  143. Par. 1.
  144. Art. 28 comma 7 legge adozione.
  145. Art. 93 comma 2 Codice della privacy.
  146. Per M. Petrone, Il diritto dell’adottato alla conoscenza delle proprie origini, op. cit., 38-39 “La conoscenza è riconducibile ai diritti della persona, quale tassello indispensabile per la costruzione della identità spirituale dell’uomo, posto che il diritto tende, con sempre maggiore attenzione, a garantire, oltre agli interessi primari legati alla sua esistenza fisica e biologica, i valori più elevati della sfera intima, sentimentale e spirituale”. Si veda pure, per un approccio critico, V. Ferrari, Lineamenti di sociologia del diritto, I, Roma, 2000, 315 in cui parla di “paradosso dei diritti fondamentali o umani” con riferimento al processo evolutivo in virtù del quale da un lato essi integrano un movimento transnazionale, universalistico e unificante, improntato alla globalizzazione nel senso tecnico, ma dall’altro lato tendono a moltiplicarsi e specificarsi come diritti alla protezione differenziata delle posizioni sociali specifiche; ciò significa che ogni ruolo può fondatamente rivendicare una posizione giuridicamente distinta, eventualmente di vantaggio, rispetto ad altro. Il processo può essere teoricamente infinito, e traducendosi in una moltitudine di rivendicazioni, causare una moltiplicazione dei diritti in conflitto.
  147. Sotto questa visuale si consideri A. Falzea, I fatti giuridici della vita materiale, in Ricerche di teoria generale del diritto e di dogmatica giuridica, II, Milano, 1997, 394 per cui “l’uomo, con la sua spiritualità, sta al vertice del mondo reale, ma la sua realtà non si esaurisce nella spiritualità. Esso in sé assomma, in peculiare stratificazione, i caratteri specifici delle sottostanti sfere del reale, e di conseguenza i suoi interessi si vanno costruendo dalla sfera infima della materia…; si arricchiscono nella sfera successiva della vita…, diventano ancora più complessi nella sfera ulteriore della vita animata…, per approdare infine alla sfera suprema della vita animica e spirituale…”. Inoltre A. Falzea, I fatti giuridici della vita materiale, in Ricerche di teoria generale del diritto e di dogmatica giuridica, op. cit., 396 “nel fitto intreccio di rapporti tra i fenomeni delle diverse sfere di realtà che si concentrano nell’esistenza dell’uomo opera un fattore di unificazione, rappresentato dalla spiritualità in quanto carattere emergente della realtà umana”.
  148. Art. 93 comma 3 Codice della privacy.
  149. Si tratta del Regolamento n. 2309 del 28 dicembre 2016.
  150. Regolamento dell’Autorità Anticorruzione adottato d’intesa con il Garante per protezione dei dati personali n. 2309 del 28 dicembre 2016. Questa disciplina sembra avere la stessa ratio di Cass. Civ., sez. I, 22838/2016 quando stabilisce che, nel caso di morte della madre biologica a seguito di interpello, si estingue il diritto personalissimo alla riservatezza e pertanto il Tribunale per i minorenni può riferire i soli dati anagrafici della donna garantendo tuttavia adeguata protezione all’identità sociale costruita in vita dalla donna «in relazione al nucleo familiare e/o relazionale eventualmente costituito dopo aver esercitato il diritto all’anonimato”.
  151. Il progetto di legge n. 922 in discussione al Senato va nella direzione di chiarire come gestire le procedure di accesso alle origini, occupandosi anche dei minori non riconosciuti, sebbene non adottati, che potrebbero attivare la procedura di accesso alle informazioni sulle proprie origini. Si veda il documento pubblicato sul sito del Senato https://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/01298090.pdf .
  152. Si veda l’esperienza analoga, dal punto di vista dei problemi riscontrati, dell’Istituto per gli innocenti di Firenze ben documentata in https://www.istitutodeglinnocenti.it/Rapporto_Ser.I.O_2019.pdf, 51 ss.
  153. P. Pistacchi – M. Chistolini, Ascoltare perché, che cosa e come: l’importanza della comunicazione per orientare l’azione professionale nell’accompagnamento alle origini, in R. Pregliasco, Alla ricerca delle proprie origini. L’accesso alle informazioni tra norma e cultura, Carocci Faber, 2013, 139 ss.
  154. Attualmente il lavoro dedicato all’ascolto viene svolto anche grazie alla collaborazione di un’assistente sociale e/o proponendo alle persone di fare un percorso di supporto psicologico gratuito con un’associazione del territorio.
  155. P. Pistacchi – M. Chistolini, Ascoltare perché, che cosa e come: l’importanza della comunicazione per orientare l’azione professionale nell’accompagnamento alle origini, op. cit. 147.
  156. L’art. 45 del Regolamento sull’Accesso generalizzato, civico e documentale della Città metropolitana di Torino, approvato dal Consiglio metropolitano di Torino nella seduta del 2/5/2018, rimanda ad apposito Regolamento la disciplina speciale in parola. Si veda http://www.cittametropolitana.torino.it/cms/risorse/urp/dwd/regolamenti/accesso_atti.pdf
  157. In applicazione dell’art. 24 della legge sul procedimento amministrativo.
  158. Ai sensi dell’art. 117 comma 2 lett. m) della Costituzione la disciplina dei livelli essenziali delle prestazioni costituisce materia soggetta alla legislazione esclusiva dello Stato.
  159. Art. 29 comma 2 ter e art. 29 comma 2 quater della Legge n. 241/1990.
  160. Si rammenta che già oggi le domande di accesso ai fascicoli personali dell’I.P.I.M. vengono presentate in via telematica.
  161. D.Lgs 7 marzo 2005, n. 82.
  162. Il riferimento è a Corte Cost. n. 278/2013 illustrata al par. 1.
  163. Commentato nel par. 4.
  164. C. Ingenito, Il diritto del figlio a conoscere le proprie origini: alla ricerca dell’identità perduta o mai acquisita, op cit, 3397.
  165. Par. 4.
  166. Argomento da S. Foà, La nuova trasparenza amministrativa, op. cit. 87.
  167. Mutuando una espressione usata dalla dottrina per l’istituto dell’amministrazione di sostegno.
  168. Recuperando in tal senso le considerazioni di A. De Cupis, La verità nel diritto (Osservazioni in margine a un libro recente), op. cit., 223.