Mamadou Moussa Balde: una storia che ci interroga su che cosa sia la detenzione amministrativa

Valeria Ferraris[1]

1. Introduzione.

Il 23 giugno 2021 presso la Moschea Taiba di Torino si è svolta la preghiera funebre inter-religiosa[2] in ricordo di Mamadou Moussa Balde, un cittadino della Guinea di 23 anni morto suicida presso il Centro di Permanenza per i rimpatri (CPR) di Torino, dove si trovava trattenuto in quanto privo di regolare permesso di soggiorno. Moussa Balde non è l’unico morto all’interno del CPR di Torino. Nel luglio 2019 Hossain Faisal, cittadino bengalese, dopo 5 mesi di permanenza nella sezione del CPR denominata Ospedaletto, la medesima in cui si trovava Moussa Balde, muore per un diagnosticato arrestato cardiaco. Non si muore solo nel CPR di Torino, ma anche nel CPR di Brindisi (1 morto nel giugno 2019) e in quello di Gradisca (1 morto nel luglio 2020). Moussa Balde, a differenza di questi e altri morti, aveva avuto una sua tragica notorietà. Il 9 maggio a Ventimiglia era stato vittima di una violenta aggressione da parte di tre cittadini italiani armati di bastoni. Gli aggressori rapidamente identificati erano stati denunciati a piede libero per lesioni aggravate. Mamadou Moussa Balde – dopo un breve passaggio in ospedale da cui viene dimesso con una prognosi di 10 giorni – viene trasferito al CPR di Torino, dove si toglie la vita dopo meno di 15 giorni.

Per quanto è stato possibile ricostruire, Mamadou Moussa Balde è arrivato in Italia nel 2017 lasciando un Paese, la Guinea, non solo tra i paesi più poveri del mondo, nonostante la ricchezza di materie prime, ma anche caratterizzato da un regime repressivo e violento guidato dal Presidente Condé che non ha esitato a modificare la Costituzione per protrarre il suo mandato.

In Italia, a Imperia, inizia un percorso accidentato fatto di successi scolastici (consegue la licenza media, si iscrive alle superiori) ma di instabilità della condizione giuridica e di accoglienza. Non ha un percorso lineare, presenta richiesta di protezione internazionale ma poi cerca di spostarsi verso la Francia, dove si trovano alcuni connazionali. Dalla Francia ritorna, ripresentandosi nel medesimo centro di accoglienza straordinaria in cui era stato precedentemente ospitato ma ne viene allontanato, probabilmente per effetto delle modifiche normative intervenute con il cd. decreto Salvini.

Vive in condizioni di marginalità ed è proprio in questa situazione che si verifica l’aggressione e quella progressione di eventi che lo porta a suicidarsi nella sezione del CPR di Torino nota come Ospedaletto. Quell’area è costituita da un’unica struttura suddivisa in 12 locali di pernottamento che possono ospitare 24 persone. Viene descritta dal Garante Nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale[3] come un luogo privo di spazi comuni in cui “le sistemazioni individuali sono caratterizzate da un piccolo spazio antistante la stanza con un complessivo effetto del tutto analogo a quello di vecchie sezioni di uno zoo”. Tale struttura è utilizzata per l’isolamento sanitario e desta perplessità, sempre secondo il Garante, non solo per la configurazione architettonica ma anche per il regime cui sono sottoposte le persone ivi trattenute e l’assenza di garanzie rispetto alla collocazione all’interno della struttura. In particolare, si rileva l’inaccettabilità di una condizione detentiva che non permette alle “persone ristrette di trascorrere almeno alcune ore della giornata in uno spazio di dimensioni adeguate all’aria aperta senza aver ostruita la vista del cielo” (p.12) e la prassi di collocare le persone in questa struttura per ragioni diverse dall’isolamento sanitario e riconducibili a ragioni di sicurezza o di mantenimento dell’ordine. Come osserva il Garante (p.12) tale prassi presenta molte criticità, mancando una disciplina giuridica che definisca procedura, tempi e modalità di tale collocamento in isolamento.

Ma cosa sono queste strutture che appaiono punitive e operanti in una zona grigia sul piano giuridico e lontane dagli occhi della società?

2. Un passo indietro: quando e come nasce il trattenimento amministrativo.

Il trattenimento amministrativo individua una forma di privazione della libertà personale, come riconosciuto dalla stessa Corte costituzionale[4], legata alla condizione di irregolarità di soggiorno e di poco rilievo risulta la scelta terminologica del legislatore[5] che sembra volta ad evitare l’identificazione con la detenzione penale[6].

Questa forma di detenzione amministrativa viene introdotta nell’ordinamento italiano come misura per il contrasto all’immigrazione irregolare con la legge n. 40 del 1998, nota come legge Turco-Napolitano[7], che si propone di ristrutturare la legislazione sull’immigrazione italiana in tutti i suoi aspetti.

In questo impianto normativo originario la detenzione amministrativa consiste nella possibilità data allo Stato di trattenere cittadini di Paesi Terzi non in regola con le norme relative al soggiorno in Italia per un tempo limitato di 20 giorni, prorogabile di altri 10, in apposite strutture denominate Centri di permanenza temporanea e assistenza (CPTA)[8]. Il trattenimento è finalizzato alla rimozione degli ostacoli che impediscono l’immediato accompagnamento coattivo della persona nel Paese di origine, individuati dal legislatore nella necessità di: 1) soccorrere la persona (come accade alle frontiere marittime); 2) identificare lo straniero (al fine d conoscere verso quale Paese potrà essere espulso) e 3) procurare i documenti di viaggio o il vettore per procedere effettivamente al rimpatrio. Si tratta di una forma di privazione della libertà personale che viene disposta dall’autorità amministrativa, il questore, e sottoposta a controllo dell’autorità giudiziaria, entro 96 ore, come richiesto dall’art. 13 della Costituzione. In questo impianto il trattenimento è una misura non solo breve ma che dovrebbe applicarsi raramente perché in via ordinaria il rimpatrio non avviene mediante accompagnamento coattivo ma si intima allo straniero di lasciare il territorio nazionale entro un termine breve (15 giorni).

Questa sua eccentricità rispetto all’impianto costituzionale delle garanzie relative alla privazione della libertà suscita subito vivaci critiche[9] e il Tribunale di Milano in numerose ordinanze solleva questione di costituzionalità. La Corte con l’unica decisione ad oggi emessa in materia di detenzione amministrativa[10] ritiene non fondata la questione di costituzionalità dell’art. 14 del decreto legislativo 286/1998, ma ribadisce che essa non può in alcun modo essere prevista in deroga alla riserva di legge e di giurisdizione prevista all’art. 13 Cost.

Con una frase che non lascia dubbi la Corte costituzionale afferma: “per quanto possano essere percepiti come gravi i problemi di sicurezza e di ordine pubblico connessi ai flussi migratori incontrollati, non può risultarne minimamente scalfito il carattere universale della libertà personale, che, al pari degli altri diritti che la Costituzione proclama inviolabili, spetta ai singoli non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani”.

Un punto chiave dell’iter argomentativo della Corte si trova nell’interpretazione del dato normativo letterale che richiede la trasmissione dal questore al giudice di tutti gli atti del procedimento: “un simile onere di trasmissione entro il termine di quarantotto ore”, ricorda la Corte, “non può avere altro significato se non quello di rendere possibile un controllo giurisdizionale pieno, e non un riscontro meramente esteriore, quale si avrebbe se il giudice della convalida potesse limitarsi ad accertare l’esistenza di un provvedimento di espulsione purchessia. Il giudice dovrà infatti rifiutare la convalida tanto nel caso in cui un provvedimento di espulsione con accompagnamento manchi del tutto, quanto in quello in cui tale provvedimento, ancorché esistente, sia stato adottato al di fuori delle condizioni previste dalla legge”.

Queste indicazioni relative alla pienezza del controllo giurisdizionale saranno ben presto calpestate dal legislatore.

3. L’evoluzione della detenzione amministrativa.

L’impianto originario della detenzione amministrativa non dura molto. Con la prima importante modifica della normativa (la legge 30 luglio 2002, n. 189, cd. Bossi-Fini) la detenzione amministrativa cessa di essere una misura straordinaria di accompagnamento alla residuale espulsione coattiva. Il legislatore modifica due elementi centrali: in primo luogo generalizza l’impiego dell’espulsione con accompagnamento alla frontiera da parte delle forze dell’ordine in nome di una maggiore efficienza, prevedendo una mera convalida giurisdizionale ex post dell’avvenuto accompagnamento; in secondo luogo, raddoppia la durata dei termini massimi di trattenimento (60 giorni).

Probabilmente consapevole dell’impossibilità di eseguire coattivamente tutte le espulsioni, il legislatore prevede che in assenza di accompagnamento, l’espellendo sia destinatario di un ordine di allontanarsi dal territorio nazionale la cui mancata ottemperanza costituisce reato, precisamente una contravvenzione per cui però eccezionalmente si prevede l’arresto obbligatorio in flagranza. In sintesi, se lo straniero irregolare non viene accompagnato in frontiera previo trattenimento, potrà essere detenuto a causa della violazione dell’ordine del questore. La privazione della libertà personale comincia a intravedersi come regola nella gestione dell’immigrazione irregolare.

La mancata rispondenza al quadro costituzionale delle modifiche intervenute nel 2002 viene rilevata dalla Corte Costituzionale in due importanti pronunce[11] che sanciscono l’illegittimità della mera convalida ex post dell’accompagnamento coattivo in frontiera e dell’arresto obbligatorio in flagranza per un reato contravvenzionale (che come noto non consente la disposizione di misure cautelari).

Il legislatore non fa attendere la sua risposta con una modifica che suona come una sfida insolente alle decisioni della Corte. Con decreto legge si trasforma la contravvenzione dell’inottemperanza all’ordine del Questore in delitto, risolvendo in questo modo l’impossibilità di disporre misure cautelari. Rende obbligatoria l’udienza di convalida dell’accompagnamento coattivo prima della sua esecuzione, come richiesto dal giudice delle leggi, ma contestualmente sottrae la competenza ai giudici togati (gli stessi che avevano sollevato le questioni di costituzionalità) e la incardina presso il giudice di pace. Come rilevato dalle uniche ricerche che hanno analizzato la giurisprudenza dei giudici di pace di Bari, Roma, Torino[12] in materia di trattenimento nell’anno 2015, il pieno controllo giurisdizionale richiesto dalla Corte Costituzionale nel 2001 trova nell’operato di questo magistrato onorario il suo canto del cigno.

Più di recente a indicare quanto la situazione torinese appaia grave[13], si hanno a disposizione i dati pubblicati dalla Garante dei diritti delle persone private della libertà personale del comune di Torino[14] da cui emerge che la percentuale dei trattenimenti non convalidati sia in media dal 2016 al 2020 sempre inferiore al 3%.

Nonostante le critiche[15], questo impianto rimane e l’evoluzione normativa in materia di trattenimento è guidata da ragioni politiche di poco respiro (possiamo certamente affermare di essere nel campo delle norme manifesto) senza alcuna considerazione rispetto all’efficacia di tale strumento per garantire quello che dovrebbe essere il suo fine: l’effettività dell’espulsione.

La durata (sulla carta) del trattenimento aumenta progressivamente fino a 18 mesi (nel 2011) per poi riportarsi a 90 giorni nel 2014, risalire a 180 nel 2018 e nuovamente scendere a 90 nel 2020 (cfr. tabella 1). Come appare evidente dai dati sotto citati, la durata della detenzione amministrativa è del tutto slegata dalla maggiore efficienza nelle espulsioni e non è un paradosso che in alcuni anni in cui la durata massima di trattenimento era minore (si vedano ad esempio il 1998, 2005, 2014 e 2017) si siano raggiunte le percentuali migliori nel rapporto tra trattenuti ed espulsi[16].

Tabella 1: I numeri della detenzione amministrativa in Italia.

Anno

Numero di trattenuti nell’anno

Espulsioni eseguite a seguito di trattenimento

% espulsi su trattenuti

Durata massima del trattenimento

1998

5.007

2.858

57,08

30 giorni

1999

8.847

3.902

44,11

30 giorni

2000

9.768

3.134

32,08

30 giorni

2001

14.933

4.437

29,71

30 giorni

2002

17.469

6.372

36,48

60 giorni

2003

14.223

6.830

48,02

60 giorni

2004

16.605

8.944

53,86

60 giorni

2005

16.163

11.087

68,59

60 giorni

2006

12.842

7.350

57,23

60 giorni

2007

9.647

4.459

46,22

60 giorni

2008

11.735

4.473

38,12

60 giorni

2009

12.112

5.019

41,44

180 giorni

2010

8.646

3.548

41,04

180 giorni

2011

7.735

3.880

50,16

18 mesi

2012

7.944

4.015

50,54

18 mesi

2013

6.016

2.749

45,69

18 mesi

2014

4.986

2.771

55,58

90 giorni

2015

5.371

2.776

51,68

90 giorni

2016

2.982

1.439

48,26

90 giorni

2017

4.087

2.396

58,62

90 giorni

2018

4.092

1.768

43,21

180 giorni

2019

6.172

2.992

48,48

180 giorni

2020

4.387

2.232

50,88

90 giorni

La possibilità di espellere i cittadini stranieri è infatti legata a variabili esogene (gli accordi con i Paesi Terzi, la capacità organizzativa degli apparati dello Stato, i costi sostenibili) difficili da modificare rapidamente e soprattutto con una norma di legge. Per paradosso una detenzione sine die non modificherebbe la situazione proprio perché non è la lunghezza del trattenimento la variabile dirimente.

Una utile riprova la si ha guardando alle nazionalità delle persone effettivamente rimpatriate. Nel 2020, 1865 dei 2232 cittadini di Paesi Terzi rimpatriati sono di nazionalità tunisina, seguiti al secondo e terzo posto da Egitto e Albania (rispettivamente con 63 e 60 persone rimpatriate). La Tunisia è infatti l’unico Paese che nonostante l’epidemia di Covid 19 ha mantenuto aperte le frontiere per i rimpatri. L’anno prima, nel 2019 i tunisini rimpatriati sono 1483 seguiti da nigeriani (323), marocchini (260) egiziani (205) su un totale di 2992 persone. Simili le nazionalità nel 2018 (862 tunisini, 168 marocchini, 163 nigeriani, 139 albanesi su un totale di 1768 persone rimpatriate). In altri termini, sono gli accordi con i Paesi di origine a fare la differenza nei rimpatri e non la lunghezza del trattenimento.

L’amara paradossale considerazione a cui si arriva pensando a Mamadou Moussa Balde è che quel luogo in cui si è tolto la vita molto difficilmente avrebbe prodotto il suo rimpatrio ma avrebbe continuato a produrre l’aggravamento della sua marginalità. Un dato risulta certo, i centri di detenzione amministrativa sono funzionali al rimpatrio solo in alcuni casi e stando ai dati prevalentemente di alcune nazionalità.

4. Le condizioni dei centri di detenzione amministrativa e la loro funzione.

Oltre che sulla funzione dei centri di detenzione amministrativa, la cronaca di quanto accaduto a Mamadou Moussa Balde porta ad interrogarsi su quali siano le condizioni di questi luoghi.

La gestione dei centri di detenzione amministrativa, dopo una fase iniziale[17], è assegnata sulla base di una procedura di appalto di servizi in cui il capitolato fissa il costo massimo pro capite/die. Nel 2011, che possiamo considerare un anno di svolta, tale cifra è fissata a 30 euro. Nell’anno seguente le cifre con cui vengono vinti gli appalti si abbassano: 29, 28, 27 fino ai 21,42 euro del centro di Crotone[18]. Dal 2013 si affacciano sul mercato dei centri di detenzione italiana, enti gestori privati anche esteri (la francese Gepsa, la svizzera Orl s.r.l.). Lo schema che si ripete è sempre lo stesso: l’aggiudicazione dell’appalto avviene grazie al ribasso effettuato nell’offerta economica e in sede di esecuzione del contratto sembrano mancare efficaci controlli da parte della stazione appaltante.

Che i ribassi economici incidano pesantemente sui servizi offerti lo si legge nelle relazioni effettuate dal Garante Nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale.

Tanto nelle relazioni annuali quanto in report specifici dedicati a visite effettuate in alcuni centri di detenzione amministrativa[19], il Garante rileva criticità che non si risolvono con il passare degli anni relative a scadenti condizioni strutturali e igieniche, inadeguata assistenza medica e tutela della salute, compromissione della libertà di corrispondenza telefonica, “non considerazione delle differenti posizioni giuridiche delle persone trattenute e delle diverse esigenze e vulnerabilità individuali”[20] e infine mancanza di accountability. Si ha di fronte un sistema detentivo che manca di trasparenza, non consente un facile ingresso a scopo di monitoraggio, non registra gli eventi critici che avvengono al suo interno (nonostante l’istituzione del registro[21]) e manca di un regolamento uniforme applicato in tute le strutture come ripetutamente chiesto dal Garante stesso. Tutto ciò rende i centri di detenzione amministrativa “strutture di mero confinamento”[22].

Da ultimo un report scritto proprio a seguito della morte di Mamadou Moussa Balda dalla sezione piemontese dell’Associazione Studi Giuridici Immigrazione (ASGI)[23] evidenzia in riferimento al centro per i rimpatri di Torino gravi carenze nell’assistenza sanitaria, nella qualità e quantità dei pasti, nonché di servizi essenziali quali l’assistenza legale, la possibilità di comunicare con l’esterno e persino la mera possibilità di presentare agli operatori interni le proprie richieste.

E quindi? A cosa serve un luogo di detenzione senza reato e privo sul piano della sostanza delle garanzie in uso in una democrazia liberale per i luoghi di detenzione? Sul punto sociologi e criminologi a livello internazionale si interrogano da diverso tempo[24] alla ricerca della funzione sostanziale e non giuridico-formale della detenzione amministrativa. Una parte della risposta si trova nel ricordare che “la detenzione amministrativa degli stranieri è un elemento del continuum del controllo sociale istituzionale degli stranieri, di cui punizione e degradazione costituiscono momenti essenziali”[25]. Credo che si sia di fronte a un sistema punitivo che non rispondendo agli obiettivi per cui è stato creato, il rimpatrio, si accanisce con i pochi che intercetta per dispensare sofferenza, marcando il punto tra esclusi ed inclusi nella comunità, rassicurando questi ultimi di stare provvedendo alla loro non meglio definita sicurezza.

 

  1. Ricercatrice di sociologia del diritto nell’Università degli Studi di Torino.
  2. Su questa pagina è disponibile un breve resoconto video dei funerali di Mamadou Moussa Balde.
  3. Garante Nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale (2018), Rapporto sulle visite tematiche effettuate nei Centri di permanenza per il rimpatrio (CPR) in Italia (febbraio-marzo 2018), https://www.garantenazionaleprivatiliberta.it/gnpl/it/dettaglio_contenuto.page?contentId=CNG4042&modelId=10019, p. 5.
  4. Corte Cost. 22 marzo 2001, n. 105.
  5. Il termine deriva dall’esperienza francese, sul punto si veda Grosso E. (2001), Il modello originale: reconduite à la frontièree rétention administrative≫ nell’esperienza costituzionale francese, in Stranieri tra i diritti. Trattenimento, accompagnamento coattivo, riserva di giurisdizione, in Bin R., Brunelli G., Pugiotto A., Veronesi P., Torino, p. 107-126.
  6. Privi di dubbi lascia il caustico commento di Alessandro Pugiotto “una bugia, per quanto scritta in Gazzetta Ufficiale, resta sempre una bugia” in riferimento alla natura non detentiva del trattenimento amministrativo. Si veda Pugiotto A. (2014), “La ‘galera amministrativa’ degli stranieri e le sue incostituzionali metamorfosi”, in Quaderni Costituzionali. n. 3, pp. 573-604,
  7. Poi rifusa nel decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286.
  8. I centri cambieranno nome nel corso degli anni, diventeranno Centri di identificazione ed espulsione (CIE) e nel 2018 Centri di Permanenza per i Rimaptri (CPR). Impossibile negare che le nuove denominazioni abbiano almeno il pregio di chiarire la funzione manifesta del trattenimento.
  9. Tra i molti, Caputo A. (2000), La detenzione amministrativa e la Costituzione: interrogativi sul diritto speciale degli stranieri, in Diritto, immigrazione e cittadinanza, vol. V, 1, pp. 51-62; Pepino L. (2000), Centri di detenzione ed espulsioni (irrazionalità del sistema e alternative possibili), in Diritto, immigrazione e cittadinanza, Vol. V, n. 2, pp. 1-15.
  10. Corte Cost. 22 marzo 2001, n. 105.
  11. Corte Cost 8 luglio 2004, n. 222 e 223.
  12. Per una sintesi dei risultati delle ricerche svolte si veda. Mastromartino F., Rigo E., Veglio M. (2017), a cura di, Lexilium. Osservatorio sulla giurisprudenza in materia di immigrazione del giudice di pace: sintesi rapporti 2015, in Diritto, immigrazione e cittadinanza, n. 2, p. 1-7.
  13. I dati pubblicati dal Garante nazionale indicano un dato nazionale che varia negli anni.
  14. Garante dei diritti delle persone private della libertà personale del comune di Torino (2020), Attività 2020, http://www.comune.torino.it/garantedetenuti/wp-content/uploads/2021/05/Relazione-2020-Garante-.pdf, pp. 246-247.
  15. Di Martino A. (2014), Centri, campi, Costituzione. Aspetti di incostituzionalità dei CIE, in Diritto, immigrazione, cittadinanza, vol. XVI, n. 1, pp. 17-40; Savio G. (2014), I trattenimenti nei CIE alla prova delle giurisdizioni nazionali ed europea: poteri del giudice della convalida e condizioni per la proroga del trattenimento, in Diritto, immigrazione e cittadinanza, vol. XVI, n. 2, pp. 73-84.
  16. Per una disamina di alcuni dati relativa agli anni 2008-2011 si veda Ferraris V. Anastasia S. (2013), La detenzione amministrativa in Italia. Una analisi attraverso i dati, in Antigone, Vol. VIII, n. 1, pp. 110-116.
  17. Sui primi anni di vita dei centri di detenzione amministrativa in Italia si veda Mazza C. (2013), La prigione degli stranieri. I centri di Identificazione e di Espulsione, Roma, Ediesse, p. 72-73.
  18. Medici per i diritti umani (2013), Arcipelago CIE. Indagine sui centri di identificazione ed espulsione italiani, Roma, Infinito edizioni.
  19. Garante Nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale (2018), Rapporto sulle visite tematiche effettuate nei Centri di permanenza per il rimpatrio (CPR) in Italia (febbraio-marzo 2018), https://www.garantenazionaleprivatiliberta.it/gnpl/it/dettaglio_contenuto.page?contentId=CNG4042&modelId=10019; Garante Nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale (2020), Rapporto sulle visite effettuate nei Centri di permanenza per i rimpatri (CPR) (2019/2020), https://www.garantenazionaleprivatiliberta.it/gnpl/resources/cms/documents/b7b0081e622c62151026ac0c1d88b62c.pdf
  20. Garante Nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale (2018), Relazione al Parlamento 2018, https://www.garantenazionaleprivatiliberta.it/gnpl/resources/cms/documents/29e40afbf6be5b608916cad716836dfe.pdf, p. 228.
  21. L’istituzione del registro per gli eventi critici era una delle Raccomandazioni fatte dal Garante nella Relazione al Parlamento del 2019. Cfr. Garante Nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale (2019), Relazione al Parlamento 2019, https://www.garantenazionaleprivatiliberta.it/gnpl/resources/cms/documents/00059ffe970d21856c9d52871fb31fe7.pdf, p. 196.
  22. Garante Nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale (2020), Relazione al Parlamento 2020, https://www.garantenazionaleprivatiliberta.it/gnpl/resources/cms/documents/be66d834b9ac9728d5010b11b1da479b.pdf, p. 270.
  23. Associazione Studi giuridici Immigrazione (2021), Il libro nero del CPR, https://www.asgi.it/asilo-e-protezione-internazionale/libro-nero-del-cpr-di-torino-testimonianze-di-ordinaria-ferocia/
  24. Una sintesi del dibattito la si trova in Campesi G. (2020) Genealogies of Immigration Detention: Migration Control and the Shifting Boundaries Between the ‘Penal’ and the ‘Preventive’ State, vol. 29, n. 4, pp. 527–529.
  25. Ferraris V. Anastasia S. (2012) Editoriale Numero monografico La detenzione amministrativa degli stranieri. Norme e diritti in Europa, Antigone, vol. VII, n.3, p. 7.