Natura e caratteri del diritto di accesso tra procedimento amministrativo e procedimento tributario

 Ramona Marchetto [1]

 

(Abstract)

Il diritto di accesso ai documenti amministrativi è uno strumento indefettibile per garantire la trasparenza e l’imparzialità delle attività della pubblica Amministrazione e favorire, attraverso la circolazione delle informazioni tra Amministrazione e cittadino, la partecipazione del privato al procedimento.

 

Sommario: 1. Premessa. 2. Il diritto di accesso favorisce la partecipazione e assicura l’imparzialità e la trasparenza. 2.1 Sull’importanza che il privato partecipi alle attività della P.A. 2.2 Sull’importanza che la P.A. sia trasparente. 3. Il diritto d’accesso è la regola ed il rifiuto l’eccezione.  4. Focus: accesso e partecipazione nel procedimento tributario.

 

1. Premessa.

Il presente contributo è volto ad evidenziare alcune peculiarità del diritto di accesso quale espressione del principio di correttezza e lealtà nei rapporti tra pubblica Amministrazione e cittadino.

In diritto amministrativo, l’istituto ha portata generale[2] e conosce compressione esclusivamente in ipotesi specifiche individuate dal legislatore, legate, ad esempio, a motivate esigenze di riservatezza[3]. La sua applicazione è, difatti, garantita tutte le volte in cui è strumentale e funzionale a qualunque forma di tutela, sia giudiziale che stragiudiziale, anche prima e indipendentemente dall’effettivo esercizio di un’azione giudiziale[4]

Nei paragrafi che seguono verranno ripresi alcuni capisaldi del diritto di accesso cristallizzati in numerose pronunce giurisprudenziali.

Concluderà la trattazione un paragrafo dedicato a esplorare i contorni che tale istituto assume nella disciplina tributaria, ove l’accessibilità agli atti è consentita solo a procedimento concluso[5].

 

2. Il diritto di accesso favorisce la partecipazione e assicura l’imparzialità e la trasparenza.

Il diritto di accesso ai documenti amministrativi si pone come strumento indefettibile per garantire la trasparenza e l’imparzialità delle attività della pubblica Amministrazione e favorisce, attraverso la circolazione delle informazioni tra Amministrazione e cittadino, la partecipazione del privato al procedimento[6]. Esso viene indiscutibilmente ricondotto ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che, in base all’art. 117, comma 2, Cost. lett. m), sono riservati alla potestà legislativa esclusiva dello Stato, che ha il compito di garantirli con uniformità in tutto il territorio. E’ ritenuto un’esplicazione del principio di informazione, individuabile non solo nell’art. 21 Cost. ma anche in tutti i principi cui essa è ispirata (di democrazia, di sovranità nazionale, di sviluppo della persona umana, di uguaglianza) e che assolvono una funzione strumentale a quella della libertà di informazione, ed è oltretutto espressione dei valori di buon andamento e imparzialità fissati all’art. 97 Cost.

La legge n. 241/1990, così come modificata dalla legge 11 febbraio 2005 n. 15, destinata ad aprire una nuova stagione sul procedimento amministrativo[7], ne tratteggia due declinazioni. La prima corrisponde all’accesso partecipativo, la seconda a quello conoscitivo.

All’interno del Capo III della L. 241/1990, dedicato alla partecipazione, l’art. 10 dispone per i soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti, per quelli che per legge debbono intervenire nel procedimento, nonché per i controinteressati, il diritto “di prendere visione degli atti del procedimento”, al quale si collega la possibilità di presentare memorie scritte e documenti che l’Amministrazione ha il dovere di valutare laddove siano pertinenti all’oggetto del procedimento. Trattasi del cd. accesso partecipativo. Esso è funzionale ad istaurare un dialogo tra privato e P.A. e ad assicurare l’intervento nel procedimento.

Il Capo V della L. 241/1990, rubricato “Accesso ai documenti amministrativi”, delinea, invece, il cd. accesso conoscitivo, che ben può porsi al di fuori del singolo procedimento, e ne detta principi, contenuto, limiti e modalità[8]. Si tratta del diritto di accesso esoprocedimentale che può essere esercitato dal privato anche al di fuori di un determinato procedimento amministrativo o dalla necessità di esperire qualsiasi rimedio giustiziale o giurisdizionale[9].

In particolare, l’art. 22, comma 1[10], della L. 241/1990, nel definire la nozione di “diritto di accesso”, “interessati”, “controinteressati”, “documento amministrativo” e “pubblica Amministrazione”, fissa in modo indelebile alcuni parametri per troppo tempo rimessi all’interpretazione, spesso restrittiva, dell’Amministrazione. Si pronuncia, inoltre, sulla duplice ed irrinunciabile natura del diritto, che comprende sia la visione che l’estrazione di copia degli atti, superando quella tesi interpretativa di matrice giurisprudenziale secondo la quale, in presenza di determinate garanzie da rispettare per la tutela di eventuali controinteressati o della stessa Amministrazione, il diritto di accesso poteva limitarsi alla possibilità per l’interessato di prendere visione del documento escludendo, tuttavia, la facoltà di acquisirne copia[11].

Ed è proprio l’art. 22 della L. 241/1990, al secondo comma, a valorizzare le finalità di pubblico interesse del diritto di accesso che «costituisce principio generale dell’attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l’imparzialità e la trasparenza».

Partecipazione e trasparenza[12] si presentano, quindi, come un binomio indefettibile per garantire la imparzialità della pubblica Amministrazione e delle sue attività.

Gli stessi concetti sono consacrati oltralpe dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, proclamata a Nizza nel dicembre 2000, agli artt. 41 e 42, nella quale si rinviene proprio la duplice accezione di accesso partecipativo e conoscitivo delineata dalla L. 241/1990. Due gli articoli interessati:

– l’art. 41 che include all’interno del più ampio “Diritto ad una buona amministrazione” il dirittodi ogni persona «di essere ascoltata prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che le rechi pregiudizio» e «di accedere al fascicolo che la riguarda, nel rispetto dei legittimi interessi della riservatezza e del segreto professionale»;

– l’art. 42, rubricato “Diritto d’accesso ai documenti”, che prevede il diritto «di accedere ai documenti delle istituzioni, organi e organismi dell’Unione, a prescindere dal loro supporto».

 

2.1 Sull’importanza che il privato partecipi alle attività della P.A.

La partecipazione del privato al procedimento è stata oggetto di importanti considerazioni, già prima dell’avvento della L. 241/1990. In particolare, è stato osservato come essa possa avere una funzione collaborativa oppure difensiva (di tutela del proprio interesse coinvolto). Nella prima accezione il privato darebbe alla P.A., nell’oggettivo interesse pubblico, gli elementi per un’esaustiva valutazione del caso e concluderebbe di norma con un atto di “osservazioni”, mentre nella seconda variante si esprimerebbe con un atto chiamato “opposizione” (o partecipazione in senso stretto). La stessa dicotomia è stata sottolineata attraverso i connotati oggettivo o soggettivo: l’intervento in senso oggettivo sarebbe offerta di collaborazione, in senso soggettivo pretesa di tutela del privato[13]. Né è stata esclusa la coesistenza di entrambi i profili, poiché ben possono verificarsi situazioni nelle quali il privato intervenendo per fini istruttori e accrescendo la conoscenza dell’Amministrazione, anticipa di fatto al contempo la propria tutela, sia situazioni che nascono con l’intento difensivo del privato e che si traducono poi in un arricchimento dell’istruttoria per merito degli elementi introdotti.

Quel che risulta evidente è che la partecipazione del privato è importantissima per colmare quello stato di asimmetria informativa in cui versano le parti. Grazie alla partecipazione al procedimento, il privato condivide con l’Amministrazione una serie di dati che sono utilissimi per le decisioni dell’Amministrazione. Allo stesso modo, quest’ultima ha la possibilità di anticipare i risultati a cui è pervenuta ai fini di eventuali revisioni o migliori adattamenti alla realtà puntuale. In questo senso può dirsi che il privato partecipa all’istruttoria.

E’ stato osservato che questo scambio si rivelerebbe virtuoso, poiché genererebbe meccanismi collaborativi. Più il privato è collaborativo, più ci si aspetta dall’Amministrazione lo stesso comportamento. Per questo, il concetto di collaborazione sarebbe più incisivo della correttezza, intesa in senso statico, perché implicherebbe l’adesione ad un’idea di correttezza reciproca che si autogenera e rigenera dai rispettivi flussi.

Questo risultato, a parere della dottrina amministrativista, è stato possibile grazie all’avvento della L. 241/1990 che ha avvicinato l’Amministrazione al cittadino, svecchiando in qualche misura la posizione di supremazia che condannava il privato ad una condizione di soggezione. Con la L. 241/1990 si sarebbe attuata una rivoluzione di principio e sarebbero state create occasioni per nuovi modelli partecipativi o collaborativi. Di più, la partecipazione, per volontà del legislatore, sarebbe diventata collaborazione tra Amministrazione e cittadino per l’esercizio della funzione amministrativa, in grado di evidenziare il ruolo della persona all’interno del procedimento. Tanto che si è arrivati a dire che la collaborazione è un mezzo per realizzare e promuovere i valori della persona-cittadino che si impone come obiettivo istituzionale in sé dell’Amministrazione, indipendente dalla sua veste di autorità e dalla posizione di supremazia che il monopolio decisionale le conferisce[14].

Ecco, allora, che accanto alle due visioni di partecipazione sopra abbozzate e che corrisponderebbero alle funzioni istruttoria (mezzo servente alle esigenze del procedimento e tendente a precisare meglio i fatti) e garantistica (tutela delle posizioni anticipata rispetto a quella giurisdizionale), se ne aggiungerebbe una terza: strumento di partecipazione democratica, ossia legittimazione democratica del potere. Questa teoria è stata però avversata sulla base dell’argomento che la L. 241/1990 non darebbe a chiunque ed in qualsiasi procedimento la possibilità di far sentire la propria voce, poiché renderebbe possibile l’intervento solo per alcuni soggetti attraverso la comunicazione dell’avvio del procedimento e non per tutte le materie[15].

Più incisive rimarrebbero, pertanto, le prime due concezioni, anche se non esenti da critiche[16]. A parte il dibattito sulle tesi esposte (partecipazione / democrazia, partecipazione / contraddittorio, partecipazione / istruttoria), vi è un dato indefettibile: con la L. 241/1990 si è spostato l’interesse dal provvedimento finale all’esercizio della funzione[17], alla sua correttezza e alla maggior tutela dei soggetti (e loro interessi) coinvolti. Con tutta evidenza è emerso che il soggetto svolge un ruolo utilissimo per l’Amministrazione tutte le volte in cui contribuisce alla ricostruzione del fatto, fornendo elementi che la stessa Amministrazione, tenuta ad un accertamento d’ufficio, dovrebbe ricercare[18]. Sembra corretto affermare che gli istituti della partecipazione e del contraddittorio, da vedersi in maniera separata o in simbiosi, divengono fondamentali canali per collegare cittadino e Amministrazione e per far transitare elementi utili che possono essere dati, fatti, notizie o anche solo interessi[19].

Non va negato, tuttavia, che a volte la cooperazione può trasformarsi in un onere per il privato, la cui inosservanza provoca delle conseguenze negative, espressamente previste dal formante legislativo. Nulla osta, infatti, a che, configurato in capo al responsabile del procedimento l’onere di accertare i fatti necessari alla decisione, sussista in alcuni casi anche un dovere di cooperazione del privato. Si pensi all’ipotesi in cui il privato sia invitato a rendere o rettificare una dichiarazione e non ottemperi: il responsabile sarà legittimato a emettere un atto negativo di chiusura del procedimento[20].

Più gravi, poi, i casi in cui il privato alteri la realtà fuorviando l’azione amministrativa mediante stratagemmi o raggiri. Alla mancata collaborazione o alla collaborazione dannosa il diritto amministrativo ritiene poi applicabile l’art. 1227 c.c., in base al quale se il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento non è dovuto. Allo stesso modo, se il soggetto pregiudicato ha contribuito al verificarsi dell’evento dannoso, vi sarà preclusione a porre a carico dell’Amministrazione i danni che l’amministrato, tenendo una condotta corretta e cooperativa, avrebbe potuto evitare.

 

2.2 Sull’importanza che la P.A. sia trasparente.

Sulla stessa scia rivoluzionaria si pone un altro decisivo cambio di rotta. Il principio di segretezza viene sostituito dal principio di trasparenza o pubblicità, che deve reggere, secondo l’art. 1 della L. 241/1990, l’operato della P.A. Esso mira a rendere noto l’oggetto dell’interesse pubblico perseguito e il contenuto delle varie attività. Il principio ha dietro di sé basi costituzionali riscontrabili nel diritto ad essere informati, nel diritto di difesa (artt. 24 e 113 Cost.), nel principio di buon andamento (art. 97 Cost.); è applicato nel procedimento amministrativo mediante l’obbligo di motivazione, la comunicazione di inizio del procedimento, l’accesso agli atti e ai documenti ed altre disposizioni legate alla trasparenza quali quella di rendere pubblico il responsabile dell’istruttoria.

Esso è strettamente collegato ad altri principi di diretta estrinsecazione della carta costituzionale. Si pensi al principio di ragionevolezza, di proporzionalità, di economicità, di semplicità, di celerità, di efficacia, di pubblicità, al principio inquisitorio, al divieto di non aggravare il procedimento, nonché al principio di buona fede e della tutela dell’affidamento.

Tutti principi che devono permeare il rapporto Stato – cittadino e che trovano espressione, seppur con diverse connotazioni anche in altri rami del diritto.

Primo fra tutti il principio di ragionevolezza, strettamente legato al principio di eguaglianza, di imparzialità e di buon andamento, che è una vera e propria clausola generale dell’azione amministrativa, comunemente applicato, non solo nell’ordinamento europeo e negli Stati a diritto amministrativo, ma anche negli Stati dove, perlomeno, secondo la ricostruzione tradizionale, non vi è diritto amministrativo[21]. La ragionevolezza e le sue applicazioni correnti (pertinenza, necessità, proporzionalità, adeguatezza) permettono di superare l’inesistenza di una gerarchia precisa tra principi fornendo un metodo per dirimere i conflitti, uno fra tanti proprio quello tra il diritto di accesso e l’interesse alla riservatezza.

Anche il principio di proporzionalità, solitamente inteso come sottocategoria della ragionevolezza o della buona fede, deve essere per l’agire dell’Amministrazione un vero e proprio faro. Esso presuppone che i soggetti, a parità di utilità, utilizzino gli strumenti o pongano in essere i comportamenti che recano meno pregiudizio all’altra parte. 

La trasparenza, e quindi il diritto di accesso, agevola anche la soddisfazione del principio inquisitorio in base al quale la P.A. ha l’obbligo di svolgere l’istruttoria e di giungere ad una esatta e completa ricostruzione dei fatti e degli interessi. Più il privato è a conoscenza, più può collaborare con la P.A.

Lo stato dell’arte attuale vede, grazie a questi strumenti, lo Stato avvicinarsi al cittadino non per concessione ma per espressione della propria funzione, in applicazione proprio di quei principi importantissimi di diretta estrinsecazione della carta costituzionale.

L’indiscusso merito della L. 241/1990 è quello di aver fissato una rete formale (e sostanziale) di garanzie[22] e di aver enunciato principi che nell’intento dei commentatori avrebbero, poi, dovuto essere applicati in modo sistematico anche nelle altre discipline, ferme le deroghe espresse già contenute nel corso della legge stessa e delle quali in questo commento si avrà occasione di parlare[23]. Essa non ha tuttavia formalizzato un approdo, così come non ha incasellato rigidamente la sorte del procedimento[24] ma ha iniziato una stagione in continuo divenire, come ne sono prova i nuovi istituti che vedono sempre una maggiore consapevolezza e partecipazione dei privati alle attività della P.A. Si pensi all’accesso civico e generalizzato, di cui alla D. Lgs. 14 marzo 2013 n. 33, così come modificato dal D. Lgs. 25 maggio 2016 n. 97, attraverso i quali si è voluto disegnare un nuovo concetto di trasparenza intesa come «accessibilità totale dei dati e documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, allo scopo di tutelare i diritti dei cittadini, promuovere la partecipazione degli interessati all’attività amministrativa e favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche»[25].

 

3. Il diritto d’accesso è la regola ed il rifiuto l’eccezione.

Copiosa giurisprudenza afferma che il diritto di accesso è regola e il rifiuto eccezione, circoscritto ai limiti che il legislatore ha voluto conservare a salvaguardia di interessi pubblici fondamentali[26].

Anche la tecnica legislativa esprime il cambio di rotta: il diritto di accesso, prima lasciato a singole leggi specifiche[27], diventa con la L. 241/1990 previsione generale, i cui limiti vengono formulati in modo netto con l’intento di evitare valutazioni discrezionali.

Vi sono due ordini di limiti: il primo di natura oggettiva e il secondo di natura soggettiva. Su questo ultimo, si evidenzia come la nuova formulazione dell’art. 22 accolga una portata diversa di “interessato” stabilendo che può esercitare il diritto di accesso colui che sia titolare di un interesse diretto ed attuale corrispondente ad una «situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso», laddove il testo previgente consentiva l’accesso ai documenti amministrativi a chiunque ne avesse interesse per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti[28].

Quanto ai parametri oggettivi, l’articolo 22 rimanda all’art. 24[29] e detta due importanti previsioni sulla forma dei dati[30] e la temporalità dell’esercizio del diritto, dalle quali occorre partire.

Oggetto dell’accesso sono i documenti amministrativi, intesi come ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni e non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti dalla P.A. e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale, ivi compresi, dunque, gli atti adottati da altre autorità o soggetti, siano essi pubblici o privati[31]. Vi rientrano, infatti, anche gli atti di diritto privato formati dalla P.A. nonché quelli redatti dai privati, se utilizzati nei processi decisionali pubblici[32]. Nessuna limitazione si registra qualora l’atto si presenti in forma “elettronica” o abbia perso la consistenza del documento cartaceo per trasformarsi in una registrazione puramente informatica[33].

L’accesso deve essere preordinato alla conoscenza di documenti già preesistenti[34] ed individuabili e non può essere utilizzato allo scopo di promuoverne la costituzione di nuovi. In poche parole gli atti devono già essere formati, salvo quanto previsto in materia di accesso a dati personali da parte della persona a cui i dati si riferiscono. Non può richiedersi alla P.A. di elaborare documenti nuovi o proiezioni su dati in suo possesso[35].

Ci si è chiesti se anche gli atti preparatori al provvedimento finale fossero accessibili: la risposta deve essere positiva. Il privato può avere infatti interesse ad accedere per verificare anche solo se sono stati emanati: ad es. se il diniego di un’autorizzazione presuppone e richiama un parere, l’accesso permette di verificare l’esistenza stessa del parere ed attaccare per tale ragione il provvedimento conclusivo[36].

Ancora, come occorre regolarsi nei casi in cui la P.A. neghi l’accesso asserendo l’indisponibilità dell’atto o l’impossibilità di rinvenire la documentazione richiesta negli archivi? La giurisprudenza ha affrontato tale casistica ritenendo che, per evidenti ragioni di buon senso, «l’esercizio del relativo diritto o l’ordine d’esibizione impartito dal giudice non può che riguardare i documenti esistenti e non anche quelli non più esistenti o mai formati, spettando alla P.A. destinataria dell’accesso indicare, sotto la propria responsabilità, quali sono gli atti inesistenti che non è in grado d’esibire», restando in capo alla P.A. l’obbligo di darne pienamente conto esplicitando in modo dettagliato le ragioni concrete di tale impossibilità[37]. Una via d’uscita per la P.A. potrebbe essere quella di addurre, se le circostanze lo consentono, il limite fisiologico legato alla temporalità materiale della detenzione dei documenti di cui prima si accennava, fissato dal comma 6 dell’art. 22[38].

Passando ai limiti per materia, l’art. 24, rubricato «Esclusione dal diritto di accesso», espone quattro categorie, due delle quali, tranchantes, attengono i documenti coperti da segreto di Stato e i documenti amministrativi dei procedimenti selettivi contenenti informazioni di carattere psicoattitudinale relativi a terzi.

Per le altre due categorie, il limite viene, invece, in parte attutito con il rimando alle norme specifiche che regolano la materia. Si tratta dei procedimenti tributari e dell’attività della pubblica Amministrazione diretta all’emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione. Esse sono accumunate dal fatto di scontare – con le stesse condizioni – anche la non applicazione di tutte le norma sulla partecipazione, sulla base della previsione dell’articolo 13 della L. 241/1990[39].

Altre ipotesi di esclusione sono previste dall’art. 24, comma 6, che prevede la possibilità per il Governo di individuare casi di sottrazione all’accesso di documenti amministrativi per esigenze di tutela alla sicurezza, alla difesa nazionale, alla  politica monetaria e valutaria, all’ordine pubblico, nonché in ordine ai documenti che riguardano la contrattazione collettiva nazionale di lavoro, oppure la vita privata e la  riservatezza di persone fisiche,  persone  giuridiche,  gruppi,  imprese  e  associazioni. 

Salva la possibilità della P.A. di individuare, ex art. 24, comma 2, con proprio regolamento le categorie di documenti da esse formati o comunque rientranti nella loro disponibilità sottratti all’accesso, «una volta acclarata in concreto la riconducibilità di un documento» a tali categorie «il divieto di ostensione è cogente nei confronti della stessa P.A., alla quale non è consentito con propria valutazione discrezionale “desecretare” il documento medesimo»[40].

Il comma 5 dello stesso articolo, precisa, poi, che i documenti sono considerati segreti solo nell’ambito e nei limiti di tale connessione. E’ cura sempre della P.A. fissare per ogni categoria di documenti, anche l’eventuale periodo di tempo per il quale essi sono sottratti all’accesso.

In sintesi, dalla panoramica esposta, emerge che il legislatore abbia voluto tratteggiare un interesse ad accedere ai documenti diretto, concreto ed attale e precisamente:

–            diretto, perché personale, appartenente alla sfera dell’interessato e non riferibile a un controllo generalizzato dell’operato delle pubbliche amministrazioni, che rimane precluso ai sensi del comma 3 dell’art. 24 L. 241/1990[41];

–            concreto, perché collegato a ragioni esposte nell’istanza e legato al bene della vita coinvolto dall’atto o documento[42];

–            attuale[43], perché il documento coinvolto abbia spiegato o sia idoneo a spiegare effetti diretti o indiretti nei confronti del richiedente.

Quindil’interesse all’accesso deve corrispondere a una situazione giuridica tutelata e collegata[44], la cui valutazione, secondo le recenti decisioni dei giudici amministrativi, va effettuata analizzando la situazione sostanziale, valutando gli interessi contrapposti, le esigenze che si intendono salvaguardare nella fattispecie concreta e ricercando le possibili modalità pratiche che possano conciliare le opposte pretese.

In particolare, il diritto di accesso «non può essere negato ove sia sufficiente fare ricorso al potere di differimento»[45]. Oggi il differimento, che va motivato al pari del rifiuto, si presenta come un buon compromesso nelle situazioni in cui la conoscibilità degli atti possa turbare il regolare svolgimento dell’azione amministrativa e va preferito al diniego qualora sia sufficiente per evitare lesioni di altri interessi in gioco. Dell’istituto si fa largo uso nei procedimenti tributari nei quali esso diventa regola senza eccezioni e dei quali fra poco si tratterà.

Va da sé che alcune situazioni più che altre comportano valutazioni accurate, si pensi a tutte le volte in cui il diritto di accesso si scontra con la riservatezza del terzo[46]. Nella nuova formulazione della L. 241/1990 è codificata la prevalenza del diritto di accesso sull’interesse alla riservatezza dei terzi, tutte le volte in cui l’accesso sia esercitato prospettando l’esigenza di difesa di un interesse giuridicamente rilevante, ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 24 che si pone come irrinunciabile baluardo.

Come ribadito dal Consiglio di Stato: «L’equilibrio tra accesso e privacy è dato, dunque, dal combinato disposto degli artt. 59 e 60 del decreto legislativo 30 giugno 2003, nr. 196 (c.d. Codice della privacy) e delle norme di cui alla legge nr. 241 del 1990: la disciplina che ne deriva delinea tre livelli di protezione dei dati dei terzi, cui corrispondono tre gradi di intensità della situazione giuridica che il richiedente intende tutelare con la richiesta di accesso: nel più elevato si richiede la necessità di una situazione di “pari rango” rispetto a quello dei dati richiesti; a livello inferiore si richiede la “stretta indispensabilità” e, infine, la “necessità» [47].

Dottrina e giurisprudenza pongono l’accento anche sulla motivazione in questi casi dell’istanza, che dovrà essere redatta in modo più rigoroso rispetto alla richiesta di documenti che attengono al solo richiedente[48].

 

4. Focus: accesso e partecipazione nel procedimento tributario.

 

La previsione dell’art. 24 della L. 241/1990 riferita ai procedimenti tributari esclude il diritto di accesso «facendo salve le particolari norme che li regolano»[49].

Da sempre il Consiglio di Stato ritiene che la citata disposizione vada tuttavia interpretata nel senso che «l’inaccessibilità degli atti del procedimento tributario è temporalmente limitata alla fase di pendenza del procedimento stesso, non rilevandosi esigenze di segretezza nella fase che segue l’adozione del provvedimento definitivo»[50]. Pertanto, secondo tale giurisprudenza, il contribuente potrà presentare una nuova istanza una volta concluso il procedimento[51].

Merita però chiedersi: vi è una norma nel diritto tributario che regoli compiutamente il diritto di accesso così come inteso nel diritto amministrativo? Parrebbe di no.

Certo ciò non significa che trasparenza e partecipazione non siano valori che anche il legislatore tributario ha inteso perseguire. Tuttavia è possibile affermare, a buona sintesi delle considerazioni che si esporranno, che essi sono stati declinati in modo del tutto peculiare.

Per comprendere bene la portata dell’assunto, occorre allargare l’ambito di indagine al rapporto Amministrazione finanziaria – contribuente.

Il diritto tributario soffre di cambiamenti continui, a volte macroscopici, a volte quasi impercettibili. Se confrontiamo le dinamiche attuali contribuente/Fisco con quelle passate, ciò che emerge è non solo un mutamento nel rapporto, ma forse l’evidenza di un vero e proprio rapporto. Lo stato dell’arte odierno è il derivato di scelte legislative che hanno inciso profondamente nel sistema tributario tanto da sconvolgere anche il ruolo dei soggetti.

Basti pensare che dall’unità di Italia alla seconda guerra mondiale può dirsi che l’obbligo del cittadino si concentrasse in un unico adempimento: pagare i tributi. Incombevano sull’Amministrazione, infatti, tutti gli oneri relativi al rapporto, con la sola eccezione della presentazione della dichiarazione dei redditi, che tuttavia esistente dal 1864, veniva fatta una volta nella vita e confermata con il silenzio. Epocale fu il cambiamento di rotta imposto negli anni cinquanta dalla riforma Vanoni, che introdusse l’obbligo della dichiarazione annuale dei redditi anche per i casi di condizioni economiche invariate. Tale adempimento, almeno per le attività produttive, presupponeva la tenuta di una chiara e precisa documentazione. Dalla seconda metà degli anni settanta in poi il moltiplicarsi dei tributi e della platea dei contribuenti spinse lo Stato ad adottare un sistema di autotassazione in base al quale i contribuenti iniziarono ad essere autonomi nel liquidare le imposte. La collaborazione dei contribuenti diventò una strada efficace per perseguire un consistente abbattimento dei costi connessi al prelievo tributario. D’altro canto il loro maggior sforzo – ai quali si chiedeva sempre di più in termini di adempimenti, precisione e conoscenza delle leggi – veniva in parte ricompensato dalla nascita di alcuni istituti volti a valorizzarne la tutela e il dialogo con l’Amministrazione. Il sistema raffinato che oggi noi conosciamo è lo sviluppo di queste primitive tendenze. 

Al pari del diritto amministrativo, anche il diritto tributario conosce due componenti o accezioni della partecipazione: quella che consente al contribuente di rappresentare all’Amministrazione finanziaria nel corso del procedimento, attraverso un contraddittorio con finalità “difensive”, elementi di fatto e di diritto utili per giungere ad un’obiettiva determinazione della materia imponibile (intesa in senso lato) e quella definita servente, che si ravvisa in tutte quelle situazioni nelle quali il contribuente è chiamato dall’Amministrazione finanziaria a fornire documenti, dati e notizie per consentire all’ufficio procedente un più agevole e completo reperimento di elementi utili al controllo e, eventualmente, all’accertamento. La prima sembrerebbe riferirsi ad ipotesi di intervento spontaneo o, comunque, non necessario, e suole denominarsi partecipazione/contraddittorio mentre la seconda, a natura necessaria, si riporta al concetto della partecipazione/collaborazione.

In realtà, le due visioni, frutto di un sistema se così può definirsi disorganico, potrebbero risultare tra loro meno distanti di quanto percepibile a prima vista. E’ stato difatti osservato che anche la collaborazione può risolversi a favore del contribuente perché, allo stesso modo del contraddittorio, porta all’attenzione dell’Amministrazione elementi e dati che aiutano il perseguimento dell’obiettivo finale: arrivare ad una quanto più precisa ricostruzione del reddito. E’ la prospettiva delle norme che cambia: di consueto nella partecipazione/contraddittorio le disposizioni sono dirette a consentire l’intervento del contribuente, ponendo in capo all’Amministrazione dei veri e propri obblighi all’invito. Si faccia il caso dell’accertamento emesso sulla scorta del contenuto induttivo di elementi indicativi di capacità contributiva, ex art. 38, comma 5, del D.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, per il quale l’Amministrazione è tenuta a chiamare al contraddittorio il contribuente prima dell’emissione dell’avviso, pena l’illegittimità dell’accertamento. Da parte sua il contribuente non ha un obbligo a comparire: non vi sono, infatti, dirette sanzioni in senso proprio, per il mancato intervento. Nella partecipazione a titolo di «collaborazione», invece, le norme attribuiscono agli Uffici il potere di richiedere dati, informazioni e documenti al contribuente nell’esercizio dell’attività di controllo e sono corredate dal corrispondente obbligo del contribuente a fornirli. Si pensi agli inviti al contribuente a fornire dati e notizie ai sensi degli artt. 32 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e 51 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633. Ciò ha portato a dire che le situazioni di obbligo e quelle di potere/facoltà sono, nelle due diverse forme partecipative, esattamente opposte.

Quel che appare chiaro è gli istituti della partecipazione/collaborazione e del contraddittorio, intesi come occasioni di dar voce al contribuente, potrebbero tendere ad un fine comune ancorché realizzato con modi e tempi diversi. In via generale, nel corso del procedimento tributario si vedono dapprima momenti in cui si esplica la collaborazione del contribuente – si pensi all’istruttoria nella quale l’Amministrazione raccoglie i dati anche attraverso le summenzionate richieste formali – e, poi, momenti finalizzati a favorire il contraddittorio, inteso come condivisione dei dati raccolti dall’Amministrazione (e di eventuali suoi primi giudizi) e possibilità di introduzione di eventuali elementi di segno opposto da parte del contribuente. Ma non mancano deviazioni da questo schema, poiché ben potrebbe succedere che l’Amministrazione chiami a contraddire il contribuente su dati già in suo possesso, omettendo quindi l’iter della richiesta.

Queste occasioni potrebbero, a volte, mancare poiché nel nostro ordinamento, non esiste, almeno nel formante legislativo, un principio generale che sancisce la partecipazione e il contraddittorio nei procedimenti tributari. Ed è forse questa la distanza con il diritto amministrativo nel quale, come si ricordava, tali istituti sono introdotti espressamente dalla L. 241/1990, unitamente al diritto di accesso, negato, come si diceva, in sede tributaria fintanto che perdura il procedimento.

Certo il diritto tributario conosce istituti nei quali emerge chiaramente la volontà di un dialogo tra le parti – si pensi all’interpello, all’accertamento con adesione, alla mediazione, alla conciliazione giudiziale, alla stessa autotutela – e lo Statuto dei diritti del contribuente, L. 27 luglio 2000, n. 212, ha seguito questa direzione introducendo alcuni importanti principi, anche se, allo stato attuale, non sembra potersi affermare una incontrovertibile applicazione del diritto alla partecipazione nel procedimento, né del diritto al contraddittorio.

Ancora, nello Statuto dei diritti del contribuente vi sono istituti chiaramente volti alla trasparenza, nella sua accezione di conoscibilità dell’operato della PA.

In particolare, il riferimento è all’articolo 2, rubricato «Chiarezza e trasparenza delle disposizioni tributarie» che prevede che le leggi e gli altri atti aventi forza di legge che contengono disposizioni tributarie devono menzionarne l’oggetto nel titolo e che la rubrica delle partizioni interne e dei singoli articoli deve menzionare l’oggetto delle disposizioni ivi contenute; all’articolo 5, ai sensi del quale l’Amministrazione finanziaria deve assumere idonee iniziative volte a consentire la completa e agevole conoscenza delle disposizioni legislative e amministrative vigenti in materia tributaria, anche curando la predisposizione di testi coordinati e mettendo gli stessi a disposizione dei contribuenti presso ogni ufficio impositore. La conoscibilità dei dati, d’altra parte, deve essere agevolata attraverso gli strumenti telematici, tali da consentire aggiornamenti in tempo reale e deve spingersi a tutte le circolari e le risoluzioni emanate, nonché ad ogni  altro atto o decreto che dispone sulla organizzazione, sulle funzioni e sui procedimenti. Ancor più incisivo, l’art. 6 che prevede che la conoscenza delle informazioni e dei dati rilevanti, soprattutto se riferiti al singolo contribuente in modo specifico, deve anche essere effettiva, completa, chiara e tempestiva e introduce alcune forme di contraddittorio preventivo obbligato[52].

De jure condendo, sarebbe tuttavia auspicabile arrivare ad una disciplina dettagliata dell’accesso partecipativo anche nel diritto tributario, che valorizzi le esigenze di riservatezza specifiche date dalla materia.

 

 

 

 


 


[1]  Dottore di ricerca in Scienze Giuridiche.

 

[2] Tanto che la giurisprudenza suole precisare che «l’accesso è la regola ed il rifiuto è l’eccezione, da dimostrare sempre e comunque con chiara, esauriente e convincente motivazione». Così T.A.R. Toscana, Sez. I, 10 febbraio 2017, n. 200, che richiama T.A.R. Torino, Sez. I, 23 maggio 2014, n. 932, disponibili sul sito istituzionale https://www.giustizia-amministrativa.it.

 

[3] T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III, 5 novembre 2009 n. 10838, disponibile sul sito istituzionale https://www.giustizia-amministrativa.it.

 

[4] Ancora T.A.R. Toscana, Sez. I, 10 febbraio 2017, n. 200:  «l’interesse all’accesso va valutato in astratto, senza che possa essere operato, con riferimento al caso specifico, alcun apprezzamento in ordine alla fondatezza, plausibilità o ammissibilità della domanda giudiziale che gli interessati potrebbero eventualmente proporre sulla base dei documenti acquisiti mediante l’accesso e quindi la legittimazione alla pretesa sostanziale sottostante (tra le tante e per tutte: TAR Catania, Sez. VI, 12.5.2016, n. 1285)». Nello stesso senso Id. Sicilia, Catania, Sez. IV, 6 febbraio 2017, n. 266, disponibile sul sito istituzionale https://www.giustizia-amministrativa.it.

 

[5]  Così in una recentissima sentenza del Consiglio di Stato, Sez. IV, 6 novembre 2017, n. 5127 (che richiama pronunce della stessa sezione 13 marzo 2014, n. 1211; 26 settembre 2013, n. 4821 e 11 febbraio 2011, n. 925): «l’inaccessibilità degli atti del procedimento tributario è temporalmente limitata alla fase di pendenza del procedimento stesso, non rilevandosi esigenze di segretezza nella fase che segue l’adozione del provvedimento definitivo». Nello stesso senso, Consiglio di Stato, Sez. IV, 13 novembre 2014, n. 5588; T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II ter, 8 marzo 2017, n. 3250; T.A.R. Calabria, Catanzaro, Sez. II, 8 marzo 2016, n. 469; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VI, 14 gennaio 2016, n. 171, disponibili sul sito istituzionale https://www.giustizia-amministrativa.it.

 

[6] La dottrina sul diritto di accesso è sterminata. Senza pretesa di esaustività, si leggano A. romano (a cura di), L’azione amministrativa, Torino, 2016; E. Casetta, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2015; G. Sgueo, Il diritto di accesso agli atti, in Giornale Dir. Amm., 2014, 3, 282 e ss.; R. Leonardi, Il diritto di accesso ai documenti amministrativi: a proposito dei soggetti attivi per un’azione amministrativa trasparente, ma non troppo, in Foro amm. TAR, 2012, 2155 e ss.; M. Mancini Proietti, Il diritto di accesso alla documentazione amministrativa tra tutela della privacy e tutela del segreto di Stato, in Nuova rassegna di legislazione, dottrina e giurisprudenza, 2012, 1237 e ss.; A. Massera, I criteri di economicità, efficacia e efficienza, in Codice dell’azione amministrativa, a cura di M.A. Sandulli, 2011, 50 e ss.; G. Ianni, Accesso agli atti amministrativi e procedimento tributario: entro quali limiti opera l’esclusione di cui all’art. 24 comma 1 lett. b) L. 7 agosto 1990 n. 241?, in Giur. Merito, 2009, 484 e ss.; F. Merloni – G. Arena (a cura di), La trasparenza amministrativa, Milano, 2008; F. Caringella – R. Garofoli – M.T. Sempreviva, L’accesso ai documenti amministrativi, Milano, 2007; V. Cerulli Irelli, La disciplina generale dell’azione amministrativa: saggi ordinati in sistema, Napoli, 2006; G. Arena, Trasparenza amministrativa, in Dizionario di diritto pubblico, a cura di S. Cassese, 2006, 5945; F. Pubusa, Diritto di accesso ed automazione: profili giuridici e prospettive, Torino, 2006; F. Manganaro – A.R. Tassone, I nuovi diritti di cittadinanza: il diritto d’informazione, Torino, 2005; R. Caranta – L. Ferraris – S. Rodriguez, La partecipazione al procedimento amministrativo, Milano, 2005; F. Caringella, L’accesso ai documenti amministrativi. Profili sostanziali e processuali, Milano, 2005; M. Ainis, Informazione, potere, libertà, Torino, 2005; AA.VV., La pubblica amministrazione e la sua azione: saggi critici sulla legge n. 241/1990 riformata dalle Leggi n. 15/2005 e n. 80/2005, Torino, 2005: R. Proietti, L’accesso ai documenti amministrativi, Milano, 2004; C. Celone, Accesso, segreto investigativo, silenzio-rifiuto, omissione di atti d’ufficio: interferenze tra diritto amministrativo e diritto penale, in Foro amm. TAR, 2002, 3349 e ss.; S. Bellomia, Il diritto di accesso ai documenti amministrativi e i suoi limiti, Milano, 2000; C.E. Gallo – S. Foà, voce Accesso agli atti amministrativi, in Dig. disc. pubbl., Agg., vol. IV, Torino, 2000, I, 55 e ss.; M.A. Sandulli, voce Accesso alle notizie e ai documenti amministrativi, in Enc. dir., Agg., voL. IV, Milano, 2000, 8 e ss.; M. Clarich, Diritto di accesso e tutela della riservatezza: regole sostanziali e tutela processuale, in Dir. proc. amm., 1996, 444 e ss.; G. Arena, voce Trasparenza amministrativa, in Enc. giur., voL. XXXI, Roma, 1995; F. Figorilli, Alcune osservazioni sui profili sostanziali e processuali del diritto di accesso ai documenti amministrativi, in Dir. proc. amm., 1994, 257 e ss..

 

[7] La legge 241/1990 si intitola «Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi». La riforma operata dalla L. n. 15/2005 investe pressoché la totalità delle norme della L. n. 241/1990, tanto che, alcuni autori hanno osservato come «lascia perplessi, tuttavia, la scelta di tecnica legislativa di mantenere vigente (apportandovi rilevanti modifiche) l’originario testo della L. n. 241/1990, anziché promuovere l’abrogazione, implicita o esplicita, della stessa legge a fronte dell’approvazione ed entrata in vigore di una nuova compiuta legge sul procedimento amministrativo. E tale considerazione pare ancora più rilevante tenuto conto della circostanza che l’originario testo della L. n. 241/1990, certamente meritevole di apprezzamento positivo sotto il profilo della organicità delle norme che la componevano e della coerenza sistematica delle stesse, negli anni, è stato sottoposto a ripetuti interventi che hanno di fatto aggredito l’organicità del sistema normativo originario», L. Ferlazzo Natoli e F. Martines, La L. n. 15/2005 nega l’accesso agli atti del procedimento Tributario. In claris non fit interpretatio?, in Rass. Trib., 2005, 5, 1490.

 

[8] Alle norme della L. 241/1990 si affianca la disciplina di dettaglio contenuta nel D.P.R. 12 aprile 2006 n. 184.

 

[9] Si intuisce da subito come l’area dell’accesso conoscitivo sia più ampia rispetto a quella del procedimento e vada oltre il legame con la comunicazione di avvio del procedimento. Il privato può avere interesse ad acquisire infatti copia del provvedimento in relazione a un processo già pendente in sede civile, penale, amministrativa, tributaria oppure anche acquisire un documento in vista di un procedimento futuro. T.A.R. Toscana, Firenze, Sez. I, 23 gennaio 2017, n. 119, si esprime così: «la giurisprudenza è ormai concorde nel ritenere che la situazione giuridicamente rilevante che giustifica l’accesso agli atti amministrativi non si esaurisce nel c.d. accesso defensionale, ossia in quell’accesso propedeutico alla maggior tutela delle proprie ragioni in giudizio – già pendente o da introdurre – ovvero nell’ambito di un procedimento amministrativo (T.A.R. Emilia-Romagna, Parma, 9 marzo 2016 n. 79)».

 

[10] Esso fornisce una mappa precisa del diritto di acceso: «1. Ai fini del presente capo si intende: a) per  “diritto  di  accesso”,  il  diritto degli interessati di prendere visione e di estrarre copia di documenti amministrativi;  b) per  “interessati”,  tutti  i  soggetti  privati,  compresi  quelli portatori di  interessi  pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto e  attuale,  corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale e’ chiesto l’accesso; c) per  “controinteressati”,  tutti  i  soggetti, individuati o facilmente individuabili in base alla natura del   documento   richiesto,   che dall’esercizio dell’accesso   vedrebbero  compromesso  il  loro  diritto  alla  riservatezza;  d) per   “documento   amministrativo”,   ogni   rappresentazione  grafica, fotocinematografica, elettromagnetica   o   di   qualunque  altra  specie  del contenuto di   atti,   anche   interni   o   non  relativi  ad  uno  specifico procedimento, detenuti   da   una   pubblica   amministrazione  e  concernenti attività di  pubblico    interesse,    indipendentemente    dalla    natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale; e) per  “pubblica  amministrazione”,  tutti i soggetti di diritto pubblico e i   soggetti  di  diritto  privato  limitatamente  alla  loro  attività  di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario».

 

[11] Così Consiglio di Stato, 15 settembre 2003, n. 5143, in Guida al Diritto, 2003, 40, 104, secondo cui il combinato disposto dell’art. 24, comma 5, e dell’art. 25, comma 1, nel testo previgente della L. n. 241/1990 non consentiva di ritenere che il termine “visione” potesse comprendere anche la nozione di “estrazione di copia”. Oggi tale possibilità non può più essere messa in dubbio. Si legga, T.A.R. Toscana, Sez. I, 10 febbraio 2017, n. 200, laddove afferma che: «è sufficiente che l’istante fornisca elementi idonei a dimostrare in maniera chiara e concreta la sussistenza di un tale astratto interesse che ricolleghi comunque la domanda d’accesso ai documenti richiesti; inoltre, una volta che l’istante abbia dimostrato il proprio interesse, è illegittimo il divieto di estrarre copia e la limitazione dell’accesso alla sola visione degli atti, che spesso non è sufficiente a consentire la tutela in sede giurisdizionale dei propri interessi (cfr., fra le tantissime, Consiglio di Stato, Sez. IV, 26 agosto 2014, n. 4286; T.A.R. Torino, Sez. II, 29 agosto 2014, n.1458, disponibili sul sito istituzionale https://www.giustizia-amministrativa.it)». Conforme, T.A.R. Toscana, Firenze, Sez. I, 23 gennaio 2017, n. 119, disponibile sul sito istituzionale https://www.giustizia-amministrativa.it.Sulla natura composita del diritto, che comporta sia la disamina del documento che la sua estrazione in copia, si leggano anche T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. II, 1 febbraio 2017, n. 186; T.A.R. Puglia, Bari, Sez. II, 14 settembre 2012, n. 1664; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VI, 2 dicembre 2010, n. 26573, disponibili sul sito istituzionale https://www.giustizia-amministrativa.it; Consiglio di Stato, Sez. VI, 19 ottobre 2009, n. 6393, in Giornale Dir. Amm., 2010, 1, p. 66 e segg., con nota di L. Carbone – L. Lo Meo, Modalità di esercizio dell’accesso difensivo; T.A.R. Puglia, Bari, Sez. I, 25 febbraio 2010, n. 678, disponibile sul sito istituzionale https://www.giustizia-amministrativa.it.

 

[12] Trasparenza intesa come possibilità di controllo della rispondenza agli interessi pubblici e ai canoni normativi.

 

[13] Così A. Pabusa, Procedimento amministrativo e interessi sociali, Torino, 1988, 246-247, ove l’autore sottolinea come i due profili siano ben contrapposti nella dottrina tedesca dell’epoca: da una parte vi è la tesi di chi qualifica la partecipazione del privato come «un mezzo fondamentale di conoscenza a favore dell’Amministrazione» (Redeker, Grundgesetzliche Recte auf Verfahrensteilhabe, in NJW, 1980, 1594; Hoppe/Schlarmann, Rechtsschutz bei der Planung von Strassen und andern Verkehrsanlagen, Munchen, 1981, 71 ss.); dall’altra la tesi di chi vede nell’intervento «un mezzo fondamentale di garanzia a favore del privato» e sostiene che la tutela procedimentale rappresenti una sorta di anticipazione di quella processuale (Ule/Laubinger, Verwaltungsverfahrensrecht, Köln, 1979, 194, nota 31). L’autore, dopo aver rilevato come   l’elemento di tutela e quello della collaborazione coesistano e si condizionino a vicenda, mette tuttavia in luce come «la natura oggettiva o soggettiva dell’intervento non può essere valutata se non facendo riferimento alla posizione dell’interventore rispetto alla finalità perseguita dall’Amministrazione agente. Se poi in concreto le posizioni dell’Amministrazione e dei soggetti intervenienti siano convergenti o meno ciò dipende dalle più svariate circostanze di fatto, che tuttavia non rilevano ai fini della determinazione dei requisiti costituenti presupposto per la legittimazione dell’intervento. Più che di concezioni contrapposte – come spesso sono state intese dalla legislazione e dagli interpreti – si tratta di modi diversi dell’intervento in ragione del rapporto di convergenza o meno astrattamente esistente fra le finalità perseguite dal soggetto interveniente e le finalità imposte dalla legge alla pubblica Amministrazione», op. cit., 261-262. 

[14] Così S. Tarullo, Il principio di collaborazione procedimentale, Torino, 2008, 290.

 

[15] Il profilo è stato analizzato da M. Cartabia, La tutela dei diritti nel procedimento amministrativo. La legge n. 241 del 1990 alla luce dei principi comunitari, Milano, 1991, 57, nell’ottica del contraddittorio e dei suoi scopi: garanzia, democrazia, istruttoria.

 

[16] La concezione garantistica pone come indefettibili la presenza della comunicazione di avvio e la facoltà di intervento, finalizzata a tutelare gli interessi privati coinvolti nel procedimento e trova compiutezza nel contraddittorio tra Amministrazione e privato. Il legislatore avrebbe quasi trasferito nel procedimento alcuni istituti propri del processo, come dimostrerebbero le norme sul responsabile del procedimento, sul contraddittorio e sulla necessaria motivazione del provvedimento. Tale impostazione è avversata da coloro i quali ritengono che la L. 241/1990 non abbia voluto incidere sulle funzioni proprie dell’azione amministrativa, prima fra tutte il perseguimento dell’interesse pubblico. In altre parole, dal rapporto tra privato e Amministrazione non emergerebbe un conflitto di interessi in senso proprio da regolare attraverso l’istituto del contraddittorio che è solo ravvisabile nella sede processuale. Meno criticata è l’impostazione che dà maggior risalto alla componente istruttoria della partecipazione, poiché vi è concordia sul fatto che solo con un’istruttoria completa possa aversi una reale garanzia per il privato e per il conseguimento del fine pubblico. S. Cognetti, Normative sul procedimento, regole di garanzia ed efficienza, in Riv. trim. dir. pubbl., 1990,  126 ss.

 

[17] «Il procedimento non è meno importante della decisione anche perché contribuisce a prefigurarla», così G. Corso, L’attività amministrativa, Torino, 1999, 82.

 

[18] Nel procedimento amministrativo, le posizioni del privato e dell’Amministrazione, in specie del responsabile del procedimento, sono ben delineate: è il responsabile che ha l’onere dell’accertamento e che adotta ogni misura per l’adeguato svolgimento dell’istruttoria mentre il privato deve possedere i requisiti di legittimazione e dichiararli. Ciò ha portato a sostenere che sul privato non graviti tecnicamente un onere della prova. In tal senso, G. Corso, op. cit., 99 ss.: «sarà il responsabile ad effettuare la verifica (“d’ufficio”) avvalendosi eventualmente dell’apporto dell’interessato (che verrà invitato a rendere la dichiarazione omessa o a rettificare la dichiarazione erronea o ad integrare la dichiarazione incompleta). Poiché i compiti sono così distribuiti tra l’interessato (che può essere, nei procedimenti d’ufficio, anche un’altra Amministrazione) e il responsabile, è evidente che non grava sull’interessato, nel procedimento amministrativo, un onere della prova (delle condizioni, dei requisiti e dei presupposti) come nel processo civile (ove tale onere grava sull’attore) o nel procedimento penale (ove l’onere della prova della colpevolezza gravita sull’accusa)».

 

[19] Il privato può infatti introdurre nel procedimento anche solo interessi, che si rivelano utili specie quando l’Amministrazione deve prendere decisioni discrezionali contemperando esigenze contrastanti. E’ stato osservato che anche in questi casi si ha un miglioramento qualitativo delle decisioni che potranno tenere maggiormente conto delle necessità del privato. Così S. Tarullo, op. cit., 331, ove si legge che «si assiste così – e non è necessario che ciò avvenga in modo consapevole – ad un miglioramento qualitativo della decisione, intesa come esito provvedimentale; quand’anche non determini un allargamento del materiale “storico” (si pensi al caso citato in cui la partecipazione non evidenzi fatti nuovi rispetto a quelli già acquisiti nel procedimento), la partecipazione favorisce lo “spessore” della determinazione amministrativa, se non altro sub specie di sua maggiore logicità ed aderenza alla trama degli interessi che andrà a regolare». L’autore riconosce che già con anticipo rispetto l’emanazione della L. 241/1990 vi era chi teorizzava la portata della partecipazione, si veda M. Nigro, Il procedimento amministrativo fra inerzia legislativa e trasformazioni dell’Amministrazione (a proposito di un recente disegno di legge), in Dir. proc. amm., 1989, 5.

 

[20] Di questo esempio si è debitori di G. Corso, op. cit., 102.

[21] E’ stato osservato che la ragionevolezza reca con sé margini di soggettività, ed equivale a correttezza ed adeguatezza della funzione. Di converso, la irragionevolezza equivale a “vizio della funzione” che si traduce in vizio di eccesso di potere.

 

[22] R. Ferrara, Introduzione al diritto amministrativo, Roma-Bari, 2008, 115, nel riprendere l’insegnamento di A. de Tocqueville, osserva che senza garanzie di forma non può esprimersi alcuna tutela per i consociati poiché è necessario che i percorsi, le prassi, le regole vengano evidenziati anche in modo materiale: «è la forma la barriera che viene eretta a vantaggio di chi è debole, per arginare la tendenza all’abuso e alla prevaricazione di chi è più forte».

 

[23] Con riferimento al diritto tributario, è stato sostenuto che l’inapplicabilità delle norme sulla partecipazione amministrativa riguarderebbe le sole attività amministrative finalizzate all’applicazione dei tributi, rimanendo fuori dal divieto gli altri procedimenti previsti ancorché dalle norme tributarie, come ad esempio quelli in materia di variazione del domicilio fiscale, di autorizzazione al pagamento delle imposte mediante cessione di beni culturali, di delimitazione di zone colpite da calamità naturali: «E ciò per il fatto che solo nei momenti di autorità specificamente finalizzati all’applicazione dei tributi l’esigenza partecipativa trova risposte particolari nelle leggi tributarie medesime, in ragione delle peculiarità dei poteri che ivi vengono in questione», così, S. La Rosa, I procedimenti tributari: fasi, efficacia e tutela, in Riv. dir. trib., 2008, I, 803.

 

[24] Il procedimento amministrativo, per quanto debba essere previsto dalla legge, non è in toto determinato o determinabile dalla legge. E’ l’opinione di G. Morbidelli, Il procedimento amministrativo, in Aa.Vv., Diritto amministrativo, Bologna, 2005, Vol. I, 537. L’autore, riprendendo un’immagine di M.S. Giannini, specifica che gli atti e le operazioni poste in essere sono le “cerniere” in cui si incardina il provvedimento. Alcuni autori hanno sostenuto che la funzione (e lo spirito) della L. 241/1990 è di essere proprio legge sul procedimento e non la legge del procedimento. L’asserzione fa leva sulla natura di legge breve, che non stabilisce una disciplina completa ed esaustiva, bensì detta alcuni principi e istituti dell’azione amministrativa, quali la partecipazione e la semplificazione, introduce la figura del responsabile ma si astiene dal codificare e cristallizzare il procedimento. Il suo fine è quello di aggiungere un “minimo comune denominatore” al procedimento già regolato da una serie di principi elaborati a livello giurisprudenziale, per implementare le garanzie dei soggetti coinvolti e allargare lo spazio di verifica e analisi del corretto esercizio della discrezionalità. G. Pastori, Il procedimento amministrativo fra vincoli formali e regole sostanziali, in Aa.Vv., Diritto amministrativo e giustizia amministrativa nel bilancio di un decennio di giurisprudenza, a cura di U. Allegretti, A. Orsi Battaglini, D. Sorace, Rimini, 1987, 805 ss.

 

[25] L’accesso civico di cui all’art. 5, comma 1, del D. Lgs. 33/2013 riguarda gli atti, documenti ed informazioni oggetto di obblighi di pubblicazione e costituisce un rimedio alla mancata osservanza di tali oneri imposti dalla legge, consentendo al privato di accedere ai documenti, dati e informazioni interessati dall’inadempienza. L’accesso generalizzato, ex art. 5, comma 2, del citato D. Lgs. 33/2013, è, invece, un diritto di accesso non condizionato dalla titolarità di situazioni giuridicamente rilevanti ed avente ad oggetto tutti i dati e i documenti e informazioni detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli per i quali è stabilito un obbligo di pubblicazione. Quest’ultimo tipo di accesso si delinea come pienamente autonomo ed indipendente da presupposti obblighi di pubblicazione e come espressione di una libertà che incontra, quali unici limiti, da una parte, il rispetto della tutela degli interessi pubblici e/o privati indicati all’art. 5 bis, commi 1 e 2 del citato D. Lgs. 33/2013, e dall’altra, il rispetto delle norme che prevedono specifiche esclusioni (art. 5 bis, comma 3).

 

[26] Una fra tante, T.A.R. Toscana, Sez. I, 10 febbraio 2017, n. 200.

 

[27] Quali ad esempio la legge urbanistica del 1942, art. 31; artt. 10 e 25 della L. 816/1985 in tema di aspettative, permessi ed indennità degli amministratori locali; L. 349/1986 sullo stato d’ambiente.

 

[28] E’ l’opinione di Ferlazzo Natoli e F. Martines, op. cit., 1490, i quali, tuttavia, mettono in evidenza anche come si tratti di «concetti molto elastici che rischiano di non assicurare una tutela certa ai beneficiari della disciplina sul diritto di accesso». 

 

[29] Art. 24, L. 241/1990: «3. Tutti  i  documenti  amministrativi  sono  accessibili,  ad  eccezione di quelli indicati all’articolo 24, commi 1, 2, 3, 5 e 6».  

 

[30] Art. 24, L. 241/1990: «4. Non  sono  accessibili  le  informazioni  in  possesso  di  una  pubblica amministrazione che  non  abbiano  forma  di  documento  amministrativo, salvo quanto previsto  dal  decreto  legislativo  30 giugno 2003, n. 196, in materia di accesso a dati personali da parte della persona cui i dati si riferiscono».

 

[31] T.A.R. Emilia-Romagna, Parma, Sez. I, 22 febbraio 2017, n. 71; T.A.R. Lazio. Roma. Sez. III ter, 3 febbraio 2017, n. 1832; Consiglio di Stato, Sez. IV, 20 ottobre 2016, n. 4376; Consiglio di Stato Sez. V, 6 luglio 2016, n. 3002; Consiglio di Stato, Sez. VI, 5 marzo 2015, n. 1113; T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. IV, 12 gennaio 2006, n. 28, tutte disponibili sul sito istituzionale https://www.giustizia-amministrativa.it; Consiglio di Stato, Sez. VI, 3 dicembre 2004, n. 8760.

 

[32] T.A.R. Abruzzo, Pescara, Sez. I, 10 settembre 2012, n. 384; T.A.R. Lazio, Sez. II, 17 novembre 2005, n. 11492; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. V, 28 ottobre 2005, n. 17844, tutte disponibili sul sito istituzionale https://www.giustizia-amministrativa.it.

 

[33] Consiglio di Stato, Sez. V, 29 agosto 2011, n. 4829, disponibile sul sito istituzionale https://www.giustizia-amministrativa.it.

 

[34] T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. IV, 6 marzo 2017, n. 424; Consiglio di Stato, Sez. III, 22 aprile 2013, n. 2234 e 2235; Consiglio di Stato, Sez. V, 27 settembre 2004, n. 6326; Consiglio di Stato, Sez. IV, 1 gennaio 2002, n. 231, tutte disponibili sul sito istituzionale https://www.giustizia-amministrativa.it.

 

[35] T.A.R. Piemonte, Torino, Sez. II, 24 aprile 2013, n. 546; T.A.R. Lazio, Latina, Sez. I, 24 maggio 2013, n. 499; T.A.R. Campania, Salerno, Sez. II, 27 settembre 2012, n. 1700; Consiglio di Stato, Sez. IV, 2 aprile 2010, n. 1900; T.A.R. Lazio Roma, Sez, II ter, 9 luglio 2007, n. 6203, tutte disponibili sul sito istituzionale https://www.giustizia-amministrativa.it.

 

[36] Alla categoria dei pareri occorre tuttavia porre attenzione. Ad esempio, «un parere legale è ostensibile quando esso ha una funzione endoprocedimentale, ed è quindi correlato ad un procedimento amministrativo che si conclude con un provvedimento ad esso collegato anche solo in termini sostanziali e, quindi, anche in assenza di un richiamo formale ad esso; mentre può esserne negato l’accesso quando il parere viene espresso al fine di definire una strategia una volta insorto un determinato contenzioso, ovvero una volta iniziate situazioni potenzialmente idonee a sfociare in un giudizio (cfr., ex multis, Cons. St., sez. V, 05/05/2016 n. 1761)», così  T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. I, 31 gennaio 2017, n. 208, disponibile sul sito istituzionale https://www.giustizia-amministrativa.it.

 

[37] Così: T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. III, 22 marzo 2013 n. 758, che richiama Consiglio di Stato, Sez. VI, 13 febbraio 2013, n. 892, entrambe disponibili sul sito istituzionale https://www.giustizia-amministrativa.it, e Consiglio di Stato, Sez. VI, 8 gennaio 2002, n. 67, in Foro Amm., Cons. di Stato, 2002, 145 e ss.

 

[38] Art. 22, L. 241/1900: «6. Il  diritto  di  accesso  è  esercitabile  fino  a  quando  la  pubblica amministrazione ha  l’obbligo  di detenere i documenti amministrativi ai quali si chiede di accedere».

 

[39] Articolo 13, Ambito di applicazione delle norme sulla partecipazione: «1.  Le    disposizioni    contenute nel presentecapo non si applicano nei confronti   dell’attività   della   pubblica    amministrazione   diretta alla  emanazione  di  atti  normativi,  amministrativi   generali,  di pianificazione e   di   programmazione,   per    i   quali  restano  ferme  le particolari norme che ne regolano la formazione.2. Dette  disposizioni  non si applicano altresì  ai procedimenti tributari per i  quali  restano  parimenti  ferme  le particolari norme che li regolano, nonché  ai  procedimenti  previsti  dal  decreto-legge  15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con   modificazioni,   dalla   legge  15  marzo  1991,  n.  82,  e successive modificazioni,  e  dal decreto legislativo 29 marzo 1993, n. 119, e successive modificazioni».

 

[40] Consiglio di Stato, Sez. IV, 5 novembre 2012, n. 5615, che richiama Consiglio di Stato, Sez. IV, 28 febbraio 2012, n. 1111, entrambe disponibili sul sito istituzionale https://www.giustizia-amministrativa.it; Id., 9 dicembre 2011, n. 6472, in Rass. trib., 2012, 1557 ss. con nota di M. Bambino, Accesso agli atti dell’Amministrazione finanziaria e tutela del contribuente, nonché in Dir. prat. trib., 2012, I,1039 ss. con nota di V. Cingano, La trasparenza dell’attività amministrativa ed i limiti al diritto di accesso nei procedimenti tributari in rapporto alla correttezza delle relazioni internazionali, nonché anche in Il fisco, 2012, 87 ss. con nota di P. Turis, Escluso il diritto di accesso sugli atti concernenti la c.d. “Lista Falciani”, e in Corr. trib., 2012, 325 ss. con nota di D. Avolio – B. Santacroce, L’acquisizione e l’utilizzabilità dei dati della «Lista Falciani».

 

[41] T.A.R., Sicilia, Catania, Sez. IV, 6 marzo 2017, n. 424, disponibile sul sito istituzionale https://www.giustizia-amministrativa.it.

 

[42] Esclusa la possibilità di addurre il generico e indistinto interesse di qualsiasi cittadino alla legalità o al buon andamento dell’attività amministrativa: T.A.R. Toscana, Firenze, Sez. I, 23 gennaio 2017, n. 119.

 

[43] Previsione introdotta dalla L. 15/2005.

 

[44] T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. II, 1 febbraio 2017, n. 186; T.A.R. Lazio, Latina, Sez. I, 24 maggio 2013, n. 498; T.A.R. Abruzzo, L’Aquila, Sez. I, 20 novembre 2012 n. 785; Consiglio di Stato, Sez. VI, 14 agosto 2012, n. 4566; T.A.R. Toscana, Firenze, Sez. II, 6 novembre 2006, n. 4967, tutte disponibili sul sito istituzionale https://www.giustizia-amministrativa.it.

 

[45] La precedente formulazione dell’art. 24, l. 241/1990, era maggiormente restrittiva: «I  soggetti indicati nell’articolo 23 hanno facoltà  di differire l’accesso ai documenti  richiesti sino a quando la conoscenza di essi possa impedire o gravemente ostacolare lo svolgimento dell’azione amministrativa. Non è comunque ammesso l’accesso agli atti preparatori nel corso della formazione dei provvedimenti di cui all’articolo 13, salvo diverse disposizioni di legge».

 

[46] Si legga tra tanti F. Astiggiano, Illecito trattamento di dati “supersensibili” e risarcimento del danno, in Famiglia e Diritto, 2016, 5, 468 e ss.; C.M. Nanna, Accesso ai dati personali e tutela dei diritti fondamentali nel sistema del d. lgs. 196/2003, in Corriere Giuridico, 2013, 12, 1543 e ss. 

 

[47] Consiglio di Stato, Sez. IV, 14 maggio 2014, n. 2472, disponibile sul sito istituzionale https://www.giustizia-amministrativa.it.

 

[48] Id.: «in particolare, si è osservato che, fuori dalle ipotesi di connessione evidente tra “diritto” all’accesso ad una certa documentazione ed esercizio proficuo del diritto di difesa, incombe sul richiedente l’accesso dimostrare la specifica connessione con gli atti di cui ipotizza la rilevanza a fini difensivi e ciò anche ricorrendo all’allegazione di elementi induttivi, ma testualmente espressi, univocamente connessi alla “conoscenza” necessaria alla linea difensiva e logicamente intellegibili in termini di consequenzialità rispetto alle deduzioni difensive potenzialmente esplicabili (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 15 marzo 2013, nr. 1568)».

 

[49] Su questo tema si confrontino R. Rizzardi, Diritto civile, amministrativo e tributario: le convergenze parallele, in Corr. Trib, 2016, 12, 910 e ss.; E. Manoni, Nessuna esclusione per l’accesso agli atti del procedimento tributario, in Fisco, 2016, 11, 1012 e ss.; P. Burla e R. Babordo, Diritto di accesso agli atti del procedimento di accertamento tributario, in GT – Rivista di Giurisprudenza Tributaria, 2012, 7, 605 e ss.; V. Cingano, La trasparenza dell’attività amministrativa ed i limiti al diritto di accesso nei procedimenti tributari in rapporto alla correttezza delle relazioni internazionali, in Dir. prat. Trib., 2012, I, 1039 e ss.; A.R. Ciarcia, L’accesso partecipativo e l’accesso conoscitivo dal diritto amministrativo al diritto tributario, in Dir. prat. trib., 2011, I, 1153 e ss.; M. Basilavecchia, Nuovi riconoscimenti al diritto di accesso, in Corr. Trib, 2010, 4, 260 e ss.;Id., Impossibile l’accesso agli atti tributari, in Corr. Trib, 2008, 38, 3093 e ss.; F. Graziani, Conciliazione degli interessi del fisco e del contribuente nell’accesso agli atti tributari, in GT – Rivista di Giurisprudenza Tributaria, 2009, 2, 135 e ss.; D. Giugliano, Specialità del diritto di accesso ai procedimenti tributari e recente giurisprudenza amministrativa, in Fisco, 2012, 46, I, 7364 e ss; P. Borrelli, Diritto di accesso del contribuente agli atti del procedimento tributario, in Corr. Trib., 2005, 30, 2377 e ss.

Ancora sulla vicinanza o autonomia del procedimento tributario dal procedimento amministrativo, resti il necessario richiamo alla sconfinata letteratura: G.A. Micheli, Premesse per una teoria della potestà di imposizione, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1967, I, 264 e ss.; Id., Considerazioni sul procedimento tributario di accertamento nelle nuove leggi d’imposta, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1974, 620 e ss.; A. Fedele, A proposito di una recente raccolta di saggi sul procedimento amministrativo tributario, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1971, I, 433 e ss.; A. Fantozzi, Il diritto tributario, Torino, 2003, 241 ss.; F. Gallo, L’imposta sulle assicurazioni, Padova, 1970; L. Salvini, La partecipazione del privato all’accertamento tributario, Padova, 1990; A. Amatucci, Il fatto come fonte di disciplina del procedimento tributario, in Riv. dir. trib., 1998, I, 703 e ss.; P. Selicato, L’attuazione del tributo nel procedimento amministrativo, Milano, 2001; S. Muleo, Contributo allo studio del sistema probatorio nel procedimento di accertamento, Torino, 2000; P. Piantavigna, Osservazioni sul “procedimento tributario” dopo la riforma della legge sul procedimento, in Riv. dir. fin. sc. fin., 2007, I, 45 e ss.; S. La Rosa, op. cit., 803 e ss.; L. Perrone, Riflessioni sul procedimento tributario, in “Studi in memoria di G. A. Micheli”, Napoli, 2010, 81 e ss.; L. Del Federico, Tutela del contribuente ed integrazione giuridica europea. Contributo allo studio della prospettiva italiana, Milano, 2010, 69 e ss.

 

[50] Così Consiglio di Stato, Sez. IV, 6 novembre 2017, n. 5127. Nello stesso senso, Consiglio di Stato, Sez. IV, 13 novembre 2014, n. 5588; T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II ter, 8 marzo 2017, n. 3250; T.A.R. Calabria, Catanzaro, Sez. II, 8 marzo 2016, n. 469; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VI, 14 gennaio 2016, n. 171, disponibili sul sito istituzionale https://www.giustizia-amministrativa.it.

 

[51] Diverso è il caso, in cui alla pendenza del procedimento tributario si accompagnino altre circostanze, quali l’appartenenza del documento alla categoria degli atti trasmessi da parte di una autorità straniera. In tale ipotesi, il principio di trasparenza è posto in correlazione non con le sole esigenze dell’attività amministrativa, bensì con i valori, altrettanto garantiti, di cooperazione internazionale e di prevenzione e repressione delle frodi e della criminalità. Si legga, Consiglio di Stato n. 6472 del 2011, con commento di V. Cingano, op. cit., 1039 e ss.

[52] Art. 6, comma 2, L. 212/2000: «L’amministrazione deve informare il contribuente di ogni fatto o circostanza a sua conoscenza dai quali possa derivare il mancato riconoscimento di un credito ovvero l’irrogazione di una sanzione, richiedendogli di integrare o correggere gli atti prodotti che impediscono il  riconoscimento, seppure parziale, di un credito».