Nel nome del sangue. Il trattamento delle coppie omogenitoriali nel quadro della legis executio torinese, tra giudice e amministratore (nota a Tribunale di Torino, VII Sez. civile, decreto del 13 luglio 2021 n. 1133/2021 e Corte d’appello di Torino, Sez. Famiglia, decreto del 24 febbraio 2022) 

Alessia Fusco[1]

(ABSTRACT)

Il paper analizza il complesso intreccio dei provvedimenti dell’amministratore e del giudice torinese aventi ad oggetto l’iscrizione anagrafica dei figli nati da coppie omogenitoriali, cercando di rilevare i problemi generati da un mancato intervento del legislatore sul punto.

Sommario:

1. Il trattamento dei figli di coppie omosessuali, a Torino: un puzzle composto da tante tessere – 2. La ratio sottesa alla disapplicazione dell’atto amministrativo dell’iscrizione anagrafica e le argomentazioni del giudice torinese – 3. Lo status filiationis nel limbo. Problemi aperti e soluzioni à la carte. – 4. A proposito del cognome: gli scenari per le coppie omogenitoriali dopo C. cost. sent. n. 131 del 2022. – 5. Quali conclusioni, a fronte del silenzio del legislatore?

1. Il trattamento dei figli di coppie omosessuali, a Torino: un puzzle composto da tante tessere

Con sentenza del 24 febbraio 2022, la Corte d’appello di Torino ha rigettato il ricorso presentato da due donne unite civilmente, genitrici di una minore d’età. Tale ricorso ha ad oggetto il decreto emesso dal Tribunale di Torino in data 5 luglio 2021. Le due pronunce, di primo e secondo grado, sono di segno eguale nel ritenere di dover procedere alla disapplicazione dell’atto amministrativo dell’iscrizione anagrafica reso in favore della genitrice non biologica e di non poter entrare nel merito della domanda della ricorrente, che chiede di aggiungere il suo cognome a quello della genitrice biologica. La pretesa che si intende far valere in giudizio – di natura meramente onomastica e, come tale, concernente un c.d. «diritto di status» – non risulta, infatti, scrutinabile sulla base del presupposto dell’illegittimità dell’atto da cui deriva, ossia il riconoscimento compiuto dalla genitrice non biologica.

Prima di passare alla disamina dei motivi su cui si reggono entrambe le decisioni, occorre collocare la vicenda giurisdizionale nel contesto dell’operato reso dall’altra branca della legis executio torinese, l’amministrazione comunale, ché altrimenti la composizione del puzzle mancherebbe di alcune sue tessere fondamentali. A chi si domandi come sia possibile che l’ufficiale dello stato civile del Comune di Torino abbia potuto registrare anagraficamente la genitrice non biologica quale madre della minore senza sollevare obiezione alcuna, va ricordato che non si tratta di un atto isolato di un funzionario alquanto distratto, in linea con la leggendaria disattenzione che connota nella vulgata tale figura istituzionale, ma di una vera e propria prassi consolidatasi negli ultimi quattro anni. Nell’aprile 2018, infatti, l’allora sindaca Chiara Appendino procedeva alla registrazione anagrafica di un bambino con due madri, assumendosi la responsabilità di disattendere l’obbligo per l’ufficiale di stato civile di utilizzare le formule per la redazione degli atti dello stato civile normativamente previste[2]. Non è un caso che appunto un sindaco abbia dato vita a una prassi simile, stante «quel quid in più di stimolo all’apparato politico-legislativo»[3] proprio della carica, idoneo anche a «farsi carico di intervenire adattando procedure e formule alla necessità»[4]. Chi, tra i sindaci e gli ufficiali di stato civile, ha in questi anni adottato tali atti[5] si è basato sull’assenza di un divieto legislativo espresso che i genitori debbano essere di sesso diverso e sulla non ritenuta incompatibilità della filiazione omogenitoriale con l’ordine pubblico. In più, l’ufficiale di stato civile è soltanto incaricato di ricevere le dichiarazioni espostegli; solo nel caso in cui individuasse ragioni giuridiche sufficienti, ex art. 95 del regolamento dello stato civile, potrebbe inviare comunicazione al Procuratore della Repubblica perché questi possa intervenire per annullare o correggere l’atto, qualora se ne profilasse la necessità.

Lo scorso febbraio, a seguito del decreto della Corte d’appello di Torino e dopo aver ricevuto la lettera del prefetto Raffaele Ruberto, il sindaco Stefano Lorusso ha disposto l’interruzione in via cautelativa delle iscrizioni anagrafiche riguardanti i figli di coppie omogenitoriali[6].

Oggi, a Torino, i figli delle coppie omogenitoriali non possono più essere riconosciuti da entrambi i genitori, a fronte di soggetti che si trovano nella stessa condizione e il cui status filiationis sia stato disposto da un atto di riconoscimento antecedente alla sospensione in via cautelativa disposta dall’attuale sindaco. Casi uguali sono trattati in modo diverso, a voler tacere dei profili di responsabilità in cui potrebbero incorrere gli ufficiali di stato civile che, in questi quattro anni, hanno proceduto a iscrizioni anagrafiche di tal genere.

2. La ratio sottesa alla disapplicazione dell’atto amministrativo dell’iscrizione anagrafica e le argomentazioni del giudice torinese

Le due pronunce del giudice torinese che qui si commentano, suffragate dalle ragioni che ci accingiamo ad analizzare, connotano la genitorialità, nei casi di questo tipo, secondo un’unica accezione possibile: nel nome del sangue, ossia con un fondamento biologico[7]. Come tale, essa è da escludersi per una coppia composta da soggetti di sesso uguale – perlomeno allo stesso titolo, come si avrà modo di esaminare oltre. Per vero, si tratta di un’accezione che risponde a un’interpretazione riduttiva della genitorialità come dimensione condizionata dall’elemento biologico, anziché fondata su un legame di solidarietà sociale e di responsabilità parentale, nel segno della continuità affettiva, significato essenziale del “superiore interesse del minore”. In questa prospettiva, in tema di filiazione, il trattamento giuridico delle coppie omosessuali continua a essere marchiato da un vero e proprio «stigma»[8], normativamente impresso dalla legge n. 76 del 2016[9].

Sia secondo il giudice di prime cure sia secondo il giudice di secondo grado, il riconoscimento effettuato dall’ufficiale dello stato civile nei confronti della genitrice non biologica sarebbe stato reso contra legem e, pertanto, l’atto amministrativo soggiacerebbe alla disapplicazione, in quanto affetto, per l’appunto, da violazione di legge.

Il divieto del riconoscimento in costanza di motivi ostativi previsti ex lege è disposto dall’art. 42 del d.P.R. n. 396 del 2000. In questo caso, la legge violata sarebbe la l. n. 40 del 2004 oggetto, negli anni successivi alla sua entrata in vigore, di numerosi interventi ablativi da parte del Giudice delle Leggi, tranne che, in particolare, in un punto nevralgico: l’esclusione dalla procreazione medicalmente assistita (d’ora in poi: p.m.a.) delle coppie di sesso uguale[10]. L’art. 5 conserva, infatti, sul piano dei requisiti soggettivi, il suo impianto dispositivo originario nel prevedere che, nel rispetto dei presupposti per l’accesso alla procreazione mediante p.m.a., solo coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile ed entrambe viventi possano sottoporsi a p.m.a. Per tabulas si deduce pertanto l’illegittimità del riconoscimento reso nel caso di specie, che pure ha dato vita a orientamenti ermeneutici differenti, di cui il giudice di prime cure dà conto. Sia il supremo consesso di legittimità, sia il Giudice delle leggi, basandosi sul dato testuale della normativa, hanno sostenuto a più riprese l’illegittimità del riconoscimento operato da un genitore meramente intenzionale all’interno di una coppia dello stesso sesso, appunto in assenza di legame biologico. Alcuni giudici di merito, invece, concentrano il focus decisorio sull’interesse sempre e comunque prevalente del minore a ottenere lo status giuridico di figlio, nonostante gli ostacoli legislativi[11].

Specie nella pronuncia del giudice di seconde cure, colpisce la sicurezza con cui si dà conto della soluzione offerta alla domanda di giustizia posta dalle reclamanti[12]. Prova ne sia che, con un’affermazione alquanto sorprendente, il giudice battezza la scelta legislativa su cui basa il suo giudizio «costituzionalmente legittima»[13], probabilmente dimenticandosi che non spetta al giudice comune entrare nel merito del giudizio di costituzionalità sulle leggi, posto che, peraltro, neanche il giudice costituzionale è abilitato dall’ordinamento a dare la patente di costituzionalità alle scelte legislative.

Per vero, grandi perplessità sono destate dall’uso che i giudici torinesi compiono di altre pronunce per sostenere la propria decisione. Il problema giuridico che interessa il caso di specie è stato oggetto più volte, in alcuni suoi aspetti, delle decisioni di altri giudici, in particolare del giudice costituzionale e del giudice della Corte europea dei diritti dell’uomo.

A un’analisi attenta delle pronunce che qui ci occupano, in particolare della decisione del giudice di seconde cure, si ravvisa in alcuni punti un uso non del tutto esatto di questi precedenti. Essi sono sì tenuti in considerazione – e così non potrebbe non essere, attesa l’incidenza concreta nelle dinamiche ordinamentali delle decisioni dei due giudici cui ci riferiamo – ma sorprende l’uso distorto che il giudice torinese ne fa o l’uso che non ne fa.

Nel dichiarare infondato il reclamo, la Corte d’appello si rifà interamente a una sua decisione non risalente, avente ad oggetto le medesime questioni[14].

Nel valutare i principi che regolano la genitorialità delle coppie omogenitoriali – rectius, l’esclusione della genitorialità per la via legittima o per la via naturale in favore del genitore intenzionale – sulla scorta di quanto già operato dal giudice di primo grado, il giudice del reclamo ravvisa il mancato contrasto con quanto statuito dalla giurisprudenza europea di Strasburgo e cita, sul punto, alcuni precedenti, tra cui Mennesson e Labassee c. Francia. Con riferimento a questa pronuncia, con riguardo all’interesse del minore, la Corte, autocitandosi, argomenta che «la Corte europea, pur rilevando che il mancato riconoscimento del rapporto di filiazione è destinato a incidere sulla vita familiare del minore, ha escluso la configurabilità di una violazione del diritto al rispetto della stessa, ove sia assicurata in concreto la possibilità di condurre un’esistenza paragonabile a quella delle altre famiglie»[15]. Analogamente, il giudice di prime cure, citando un precedente del Tribunale di Pisa, aveva già precisato che «la stessa Corte EDU in più occasioni (Menesson c. France, Labasse c. France, Foulon et Bouvet c. France, parere consultivo del 10 aprile 2019) ha affermato la discrezionalità, ampia, trattandosi di questioni eticamente sensibili, degli stati membri che non possono essere obbligati a riconoscere il rapporto di filiazione, in caso di genitore non biologico, mediante l’iscrizione dell’atto di nascita del bambino nel registro dedicato, ben potendo individuare (gli stati) altri strumenti giuridici, come l’adozione, per tutelare l’interesse del bambino secondo il dettato dell’articolo 8 CEDU»[16]. Leggendo l’addentellato decisorio con riferimento a Strasburgo, sembrerebbe che per la questione del riconoscimento in favore del genitore intenzionale la Corte europea userebbe il passepartout del margine di apprezzamento e adotterebbe una soluzione quasi pilatesca, temperata dall’assicurazione in concreto, per il figlio, di condurre un’esistenza paragonabile a quella delle altre famiglie. Peccato, però, che, a un’attenta disamina, il livello minimo della tutela si estrinsechi nella tutela «del diritto del figlio al riconoscimento giuridico della genitorialità biologica quale aspetto della sua identità personale»[17]: prova ne sia il seguito che Mennesson c. France ha avuto nell’ordinamento interno, con un esito non scontato, stante l’avvenuto riconoscimento della genitorialità legale della sig.ra Mennesson, madre intenzionale, con sentenza della Cour de Cassation del 4 ottobre 2019[18]. Un precedente da usare con estrema cautela, pertanto, e da leggere per esteso, anche alla luce delle successive decisioni interne; certamente, da non usare in chiave “riduttiva”[19].

Sempre per corroborare i principi statuiti in tema di genitorialità di coppie dello stesso sesso, la Corte d’appello si richiama ad adiuvandum alla sentenza n. 230 del 2020 della Corte costituzionale, sul punto dell’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale avente ad oggetto le norme ostative all’indicazione di due donne unite civilmente quali genitrici nell’atto di nascita formato in Italia, stante il ricorso alla p.m.a. all’estero. A ben vedere, si tratta di una mera pronuncia di rito, nel segno dell’inammissibilità, che pare essere però usata come una pronuncia di infondatezza, che comunque non precluderebbe un nuovo scrutinio della normativa indubbiata. Come nitidamente rilevato nei confronti di altre due pronunce del giudice costituzionale a riguardo, le nn. 32 e 33 del 2021[20], anche in questo caso la decisione non importerebbe alcuna modifica del quadro normativo vigente; pertanto, se ne comprende poco un richiamo operato in questi termini.

3. Lo status filiationis nel limbo. Problemi aperti e soluzioni à la carte

Quali rimedi, dunque, per il genitore intenzionale? De iure condito, l’interesse del minore alla genitorialità del genitore non biologico non sarebbe pregiudicato, almeno in apparenza. I giudici italiani fanno ricorso, in questi casi, all’istituto dell’adozione in casi particolari[21]. Ne deriva che, in seno a una coppia di genitori dello stesso sesso, uno, quello biologico, sarebbe genitore naturale, mentre all’altro toccherebbe acquisire lo status di genitore attraverso l’adozione. Una situazione genitoriale alquanto variegata, che comporrebbe una genitorialità a doppio titolo – naturale, da un lato, adottivo, dall’altro. Tale soluzione è contemplata anche nella nostra vicenda dai giudici in entrambi i gradi di giudizio. È utile ricordare, però, che l’adozione assicura la tutela del best interest of the child «a condizione che le modalità previste dal diritto interno garantiscano l’effettività e la celerità della sua messa in opera, conformemente all’interesse superiore del bambino», secondo quanto rileva la giurisprudenza europea[22]; sia consentito dubitare, a riguardo, che i tempi delle procedure italiane di adozione risultino adeguati. Non può inoltre essere trascurato come, di recente, anche il Giudice delle leggi, nell’ambito di un procedimento in via incidentale, accogliendo sul punto le indicazioni fornite dal giudice rimettente, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, abbia rilevato come l’istituto dell’adozione in casi particolari mostri una serie di falle sistemiche di non poco conto[23]. Non a caso, nei mesi scorsi la Consulta ha dichiarato costituzionalmente illegittima la norma della legge n. 184 del 1983 che prevedeva che l’adozione in casi particolari non fa sorgere alcun rapporto civile tra l’adottato e i parenti dell’adottante[24].

Altra via percorribile è quella dei riconoscimenti effettuati all’estero. Nella pronuncia del giudice di prime cure si legge, in conclusione delle motivazioni, che vanno comunque rispettati i riconoscimenti resi all’estero, se ammessi[25]. La ratio di ciò avrebbe rango costituzionale e risiederebbe nel rispetto degli obblighi internazionali, ex art. 117 I co., che produrrebbe l’obbligo di trascrizione nei confronti dell’atto estero che riconosce il legame di filiazione. Ciò causerebbe un’ulteriore situazione à la carte, nella materia dei riconoscimenti, ingenerando ulteriori disparità di trattamento tra il genitore intenzionale che abbia provveduto al riconoscimento all’estero – e che, in Italia, si troverebbe pertanto munito dello status di genitore naturale – e il genitore intenzionale che si veda negare il riconoscimento in Italia e, per soddisfare la sua pretesa genitoriale, debba percorrere la via giuridica dell’adozione in casi particolari.

Nel caso di specie, rimane da capire, però, quale sorte giuridica spetti all’atto del riconoscimento ex se, in quanto atto civilistico. In ossequio al principio della resistenza degli atti dello stato civile, il riconoscimento in favore della genitrice non biologica è pienamente valido e lo status filiationis della minore non risulta compromesso neanche su questo piano. Gli effetti civilistici del riconoscimento potrebbero essere travolti qualora fosse accolta un’impugnazione per difetto di veridicità, proponibile, a norma dell’art. 263 c.c., da «chiunque vi abbia interesse» e, ai sensi dell’articolo successivo, anche da un curatore speciale nominato dal giudice su istanza del magistrato del Pubblico Ministero. Si tratta di un mezzo che, nell’osservanza del termine quinquennale di prescrizione dell’azione, sarebbe esperibile nei confronti di tutti i riconoscimenti compiuti dal 2018 a oggi, secondo la prassi inauguratasi a seguito del primo riconoscimento eseguito dalla sindaca Appendino, con conseguente pregiudizio dello status filiationis dei minori interessati. Una voragine di non poco conto.

4. A proposito del cognome: gli scenari per le coppie omogenitoriali dopo C. cost. sent. n. 131 del 2022

La vicenda esaminata origina da una mera questione onomastica. Se le due genitrici non avessero adito l’autorità giurisdizionale per richiedere l’aggiunta del cognome della genitrice intenzionale, perlomeno in questa occasione non si sarebbe aperto il vaso di Pandora che ha condotto all’interruzione in via cautelativa dell’iscrizione anagrafica dei figli delle coppie omogenitoriali. Di recente, come noto, il Giudice delle leggi si è definitivamente pronunciato (almeno con riferimento alle coppie eterosessuali) su alcuni aspetti relativi alla questione dell’attribuzione del cognome paterno e/o materno; pare quindi opportuno domandarsi se e quali conseguenze la sentenza n. 131 del 2022 rechi per le coppie omogenitoriali.

Il quadro normativo entro cui la coppia omogenitoriale si era mossa nel luglio 2021 per richiedere l’aggiunta del cognome della genitrice intenzionale era quello delineatosi a seguito del precedente arresto con cui la Corte costituzionale, nel 2016, aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma desumibile da una serie di disposizioni contenute in fonti di rango primario e secondario, che disponeva l’attribuzione automatica al figlio del solo cognome paterno. La dichiarazione di illegittimità interessava appunto la parte della norma che escludeva che i genitori potessero esprimere di comune accordo la volontà di attribuire anche la denominazione cognominale materna, in aggiunta a quella paterna[26]. Nel nostro caso, acquisito lo status di genitrice a seguito del riconoscimento operato dall’ufficiale dello stato civile, insieme con l’altra genitrice la mamma intenzionale della minore si era rivolta all’autorità giurisdizionale, competente a ricevere le richieste di aggiunta del secondo cognome per i figli nati fuori dal matrimonio, ex art. 262, IV co., c.c.. Ora, stante il mutato quadro normativo a seguito dell’ultima pronuncia della Consulta, ancora una volta si deve osservare che le coppie omogenitoriali non possono beneficiare in alcun modo degli ulteriori passi avanti compiuti in relazione all’eliminazione dell’automatismo nell’attribuzione del cognome paterno, mancando il fondamento che consente la costruzione dell’edificio onomastico, ossia il riconoscimento. L’illegittimità di quest’ultimo, nel caso delle coppie omogenitoriali, per come dichiarata dal giudice nel caso che qui ci occupa, non può che comportare il sacrificio di quest’ulteriore situazione connessa alla genitorialità, che viene meno invece per il figlio naturale riconosciuto contestualmente da entrambi i genitori, che oggi assume in automatico i due cognomi, salvo diverso accordo tra i genitori nel senso di attribuire il cognome di uno solo dei due. Per le coppie omogenitoriali, l’effetto del conferimento del cognome del genitore intenzionale potrebbe essere comunque conseguito qualora questi, per acquisire lo status di genitore, ricorresse all’istituto dell’adozione in casi particolari: in tal caso, il genitore adottivo potrebbe trasmettere il suo cognome. Anche in relazione a quest’aspetto, va osservato come anche la situazione giuridica soggettiva di carattere onomastico germinerebbe da una genitorialità a doppio titolo: naturale, per il genitore biologico, adottiva per il genitore intenzionale: un patchwork poco armonico.

5. Quali conclusioni, a fronte del silenzio del legislatore?

In via conclusiva, non si può sottacere una certa amarezza che scaturisce a seguito del tentativo di analisi di una vicenda assai intricata in cui, a fronte di interventi rapsodici di giudice e amministratore, rimbomba l’assenza assordante del legislatore[27]. Al principio dei best interests of the child[28], che dovrebbe essere principio regolatore della materia, non è assicurata una tutela che garantisca un trattamento uniforme ai figli di coppie omogenitoriali.

Sul territorio nazionale, infatti, la genitorialità delle coppie omosessuali si profila a geometria variabile, in spregio al principio dell’uguaglianza formale: vi sono, infatti, minori riconosciuti da entrambi i genitori – o in virtù di una prassi come quella torinese, oggi interrotta, o in quanto riconosciuti all’estero – e minori che risultano figli di uno solo di essi, con tutte le conseguenze giuridiche del caso.

L’assenza del legislatore carica il giudice di un compito oneroso, a legislazione invariata, che avrebbe comunque un effetto patchwork e sarebbe rimessa alla sensibilità dell’interprete.

I solleciti al legislatore non mancano e sono indirizzati a più riprese da diversi soggetti. Il 4 luglio di quest’anno il sindaco torinese ha pubblicamente dichiarato che non spetta ai Comuni risolvere la questione ma al Parlamento, nell’interesse dei bambini[29], a fronte dell’annuncio, reso in occasione del Pride dal sindaco della città di Milano, Giuseppe Sala, di voler riavviare le iscrizioni anagrafiche dei figli di coppie omogenitoriali. Numerosi e pressanti sono anche gli inviti che il Giudice delle leggi ha rivolto al legislatore in questi anni. È pur vero che, se, da un lato, non spetta al giudice prendere la parola in via definitiva in relazione a queste fattispecie, dall’altro, poco si comprende l’orientamento generale della Consulta che, talvolta, come in casi relativi a questioni genitoriali di questo tipo, ritiene di dover cedere doverosamente il passo al legislatore[30], mentre, in altri casi, occupa spazi sempre maggiori[31].

Nel frattempo, però, a Torino e in altri Comuni italiani, i figli delle coppie omogenitoriali continuano a essere titolari di uno status filiationis dai contorni non definiti, relegati in un limbo di cui né la legislatio né la legis executio dimostrano di volersi seriamente occupare.

  1. Ricercatrice di Diritto costituzionale, Dipartimento di Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Torino.
  2. La storia della prima coppia omogenitoriale torinese che è riuscita a ottenere il riconoscimento alla nascita dalla sindaca Appendino è raccontata da una delle protagoniste in Ghisleni M. (2020), Generazione arcobaleno. La sfida per l’eguaglianza dei bambini con due mamme, Torino, Einaudi.
  3. Così Tavani L. (2018), Il punto di vista degli ufficiali dello stato civile sulle iscrizioni e trascrizioni, in Articolo29.
  4. Ibidem. L’A., dalla sua preziosa prospettiva di ufficiale dello stato civile, evidenzia le difficoltà pratiche presentate dal formulario cui ci si deve attenere, meglio superabili dal sindaco anziché da altro ufficiale dello stato civile.
  5. Una casistica dei Comuni che hanno proceduto all’iscrizione anagrafica è riportata da Lorenzetti A. (2018), La recente giurisprudenza in materia di omogenitorialità tra mutamenti di paradigmi e nuove prospettive di politica legislativa, in Costituzionalismo.it, fasc. 2.
  6. «Obbedisco ma con profonda rabbia e un profondo senso di ingiustizia»: così il Sindaco Lorusso nel comunicato stampa disponibile all’url http://www.comune.torino.it/ucstampa/comunicati/article_1127.shtml
  7. Considerazioni, queste, che concernono strettamente l’orientamento del giudice nel caso di specie. In generale, infatti, si è consapevoli che, nel nostro ordinamento, lo status filiationis non deriva solo da un legame biologico, stante la previsione dell’istituto dell’adozione o adozione piena, che «conferisce all’adottato la posizione esclusiva di figlio degli adottanti» e «crea un vincolo che si sostituisce (corsivo dell’A.) integralmente a quello della filiazione di sangue e che inserisce l’adottato definitivamente ed esclusivamente nella nuova famiglia»: così Bianca C. M. (2017), Diritto civile. 2.1. La famiglia, Milano, Giuffrè, p. 451.
  8. Così Di Masi M. (2020), L’interesse del minore. Il principio e la clausola generale, Napoli, Jovene, p. 219. Cfr. anche Conte L. (2020), La famiglia. Istituti e istituzione nella prospettiva costituzionale, Napoli, Editoriale Scientifica, part. p. 120 ss.
  9. Sulle questioni giuridiche riguardanti i soggetti LGBTQI+, anche in tema di genitorialità, cfr. ora l’ampio studio collettaneo di Pelissero M., Vercellone A. (2022), Diritto e persone LGBTQI+, Torino, Giappichelli.
  10. Cfr. C. cost. sentt. n. 221 del 2019 e 237 del 2019, che non hanno travolto la normativa in questo punto.
  11. Ex multis, C. App. Firenze, 19.04.2019 e C. App. Perugia, 21.11.2019.
  12. A fronte di una certa debolezza dell’addentellato difensivo, che intende perorare la causa sostenuta in sede di reclamo sostenendo il legame eziologico tra il consenso del genitore intenzionale e il verificarsi dell’evento nascita.
  13. C. App. Torino, Sez. Famiglia, decr. del 24 febbraio 2022, p. 6.
  14. Cfr. C. App. Torino, Sez. Famiglia, decr. n. 81/2021 del 15-26.01.2021.
  15. Ibidem, p. 5.
  16. Trib. Torino, VII Sez. civ., decr. n. 1133/2021 del 13.07.2021, p. 3, riprendendo Trib. Pisa del 06.05.2021.
  17. Così Long J. (2019), Il principio dei best interests e la tutela dei minori, in Buffa F., Civinini M.G. (2019), La Corte di Strasburgo, Milano, Key, p. 417.
  18. Dopo la condanna per violazione dell’art. 8 CEDU incassata dalla Francia, si è avviata una procedura per la revisione del caso e l’assemblea plenaria della Cour de Cassation ha esperito, per la prima volta, il rimedio della richiesta di pareri consultivi alla CtEDU ai sensi del Prot. 16, che la Francia ha ratificato. L’intreccio di giurisprudenze è puntualmente ed efficacemente descritto da Russo R. (2019), Il caso Mennesson, vent’anni dopo. divieto di maternità surrogata e interesse del minore. Nota a Arrêt n°648 du 4 octobre 2019 (10-19.053) – Cour de Cassation – Assemblée plénière, in Giustiziainsieme.
  19. …soprattutto, non per suffragare una lettura meramente “biologica” della genitorialità. Sulla portata del parere della Corte EDU in relazione a un’accezione non biologica della genitorialità, cfr. Di Masi M., op. cit., p. 187 ss.
  20. Cfr. Russo R. (2022), Maternità surrogata e trascrizione dell’atto di nascita formato all’estero: il ruolo dei giudici di merito dopo l’intervento della Consulta. Nota a Trib. Milano 23.9.2021, in Giustiziainsieme, 13 gennaio 2022.
  21. Così, Trib. Torino, VII Sez. civ., decr. n. 1133/2021 del 13.07.2021, p. 4, secondo cui la tutela dell’interesse del minore sl riconoscimento del legame col genitore intenzionale alle stesse condizioni del genitore biologico «potrebbe avvenire anche secondo altre modalità, come l’adozione, purché questa abbia effetti comparabili alla filiazione e possa essere richiesta e ottenuta immediatamente dopo la nascita». Nel caso in oggetto, cfr. anche il parere della Procuratrice Generale presso la Corte d’appello di Torino reso in data 17.11.2021: «l’unico attuale strumento legislativo azionabile per raggiungere l’obiettivo avuto di mira dalle ricorrenti pare individuarsi nell’art. 44 l. 4.5.1983 n. 184 e cioè l’adozione in casi particolari».
  22. Corte EDU, sent. 16 luglio 2020, D. contro Francia, par. 66.
  23. Cfr. C. cost., sent. n. 33 del 2021, in particolare il punto 5.8 del Cons. in dir.
  24. C. cost., sent. n. 79 del 2022.
  25. In linea con un arresto assai noto del giudice torinese in tema di omogenitorialità femminile: cfr. C. App. Torino, decreto 29 ottobre 2014, con cui si riconobbe la trascrivibilità nell’ordinamento italiano dell’atto di nascita eseguito in Spagna del figlio di una coppia di donne.
  26. A commento di C. cost. sent. n. 286 del 2016, cfr. almeno Malfatti E. (2017), Illegittimità dell’automatismo, nell’attribuzione del cognome paterno: la “cornice” (giurisprudenziale europea) non fa il quadro, in Forum di Quaderni costituzionali; Scagliarini S. (2017), Dubbie certezze e sicure incertezze in tema di cognome dei figli, in Rivista AIC, fasc. 2; Ingenito C. (2017), L’epilogo dell’automatica attribuzione del cognome paterno al figlio (Nota a Corte costituzionale n. 286/2016), in Osservatorio AIC, fasc. 2; Fusco A. (2017), «Chi fuor li maggior tui?»: la nuova risposta del Giudice delle leggi alla questione sull’attribuzione automatica del cognome paterno. Riflessioni a margine di C. cost. sent. n. 286 del 2016, in Osservatorio AIC, fasc. 3 e Frontoni E. (2019), Genitori e figli tra giudici e legislatore. La prospettiva relazionale, Napoli, Editoriale Scientifica, part. p. 73 ss.
  27. «Un Parlamento che ritiene tutto prioritario ma non i diritti di queste bambine e questi bambini», a detta del Sindaco Lorusso, nel già citato comunicato.
  28. Una lettura critica e puntuale del principio è in Lamarque E. (2016), Prima i bambini. Il principio dei best interersts of the child nella prospettiva costituzionale, Milano, FrancoAngeli. Per la definizione dei significati di tale principio nella giurisprudenza della Corte EDU, cfr. Long J. (2019), op. cit.
  29. https://torino.repubblica.it/cronaca/2022/07/04/news/torino_registrazione_figli_coppie_omogenitoriali-356508733/
  30. «Il compito di adeguare il diritto vigente alle esigenze di tutela degli interessi dei bambini nati da maternità surrogata – nel contesto del difficile bilanciamento tra la legittima finalità di disincentivare il ricorso a questa pratica, e l’imprescindibile necessità di assicurare il rispetto dei diritti dei minori, nei termini sopra precisati – non può che spettare, in prima battuta, al legislatore, al quale deve essere riconosciuto un significativo margine di manovra nell’individuare una soluzione che si faccia carico di tutti i diritti e i principi in gioco. Di fronte al ventaglio delle opzioni possibili, tutte compatibili con la Costituzione e tutte implicanti interventi su materie di grande complessità sistematica, questa Corte non può, allo stato, che arrestarsi, e cedere doverosamente il passo alla discrezionalità del legislatore, nella ormai indifferibile individuazione delle soluzioni in grado di porre rimedio all’attuale situazione di insufficiente tutela degli interessi del minore»: così C. cost., sent. n. 33 del 2021, punto 5.9 del Cons. in dir.
  31. Ruggeri A. (2021), La PMA alla Consulta e l’uso discrezionale della discrezionalità del legislatore (nota minima a C. cost. nn. 32 e 33 del 2021), in Consulta Online, p. 221 ss., discute, con toni critici, della «piena fungibilità dei tipi di decisione della Corte», con ripercussioni assai evidenti sul senso stesso della Costituzione.