Osservatorio Corte dei Conti Piemonte e Valle d’Aosta

Presentazione

Rubrica a cura di Luca Geninatti Satè[1] e R. Cicatelli[2]

L’Osservatorio Corte dei Conti si propone, con la medesima cadenza quadrimestrale della Rivista Il Piemonte delle Autonomie, di presentare le decisioni, sia di controllo, sia giurisdizionali, delle sezioni piemontesi e valdostane della Corte dei Conti.

L’obiettivo principale dell’Osservatorio è fornire un contributo alla conoscibilità del diritto vivente, ossia di supportare la comunità dei giuristi e degli interpreti nell’acquisire conoscenza delle pronunce del Giudice contabile, identificandone i contenuti decisori di maggior rilievo.

L’Osservatorio non intende costituire un massimario, né può sostituire il commento e l’analisi critica delle decisioni (che, infatti, continueranno a venire annotate, ove ritenuto utile, nelle altre sezioni della Rivista), ma si propone di avviare una lettura continuativa e trasversale delle deliberazioni della Corte, anche con l’intento di favorire l’elaborazione di sintesi, o visioni d’insieme, in grado di ricavare le più significative linee di sviluppo della giurisprudenza contabile.

Di ciascuna pronuncia vengono riportati riferimenti essenziali e una breve sintesi.

 

Rassegna aprile – luglio 2021

Corte dei Conti – Sezione Regionale di Controllo per il Piemonte

 

Deliberazione 54/2021/SRCPIE/INPR (marzo)

Conferimento di incarichi esterni all’amministrazione

A differenza di quanto previsto in materia di servizi, la disciplina degli incarichi non prevede procedure selettive differenziate a seconda dell’importo della prestazione. Pertanto, l’obbligo di disciplinare e rendere pubbliche le procedure comparative per il conferimento di incarichi di collaborazione risulta generalizzato e non derogabile per la natura meramente occasionale della prestazione o la modica entità del compenso, né sulla base di indici generici che autorizzino l’amministrazione a procedere all’affidamento diretto. Eventuali disposizioni regolamentari dei Comuni formulate prevedendo tali modalità, quantunque in vigore, devono essere disapplicate dall’amministrazione conferente per esplicita contrarietà al dato normativo di rango primario. Il comune denominatore degli apporti professionali classificati come “studio”, “ricerca” o “consulenza” consiste nel fornire all’amministrazione un contributo conoscitivo qualificato che orienta ma non vincola in modo cogente l’azione dell’amministrazione, la quale ha sempre titolo per discostarsi, in tutto o in parte, dalle indicazioni pratiche o concrete che promanino dalle conclusioni tratte dall’esperto. All’opposto, si è in presenza di un “servizio” nel momento in cui la prestazione richiesta dalla pubblica amministrazione, quantunque inserita in un iter procedimentale, vi conferisca un apporto conoscitivo o accertativo che l’organo amministrativo recepisce senza discostarsene e che va a costituire una fase a sé stante imputabile al prestatore con “rischio di impresa” a suo carico. Gli atti da inviare alla Corte in ottemperanza agli obblighi di legge sono da rinvenirsi esclusivamente tra quelli espressamene menzionati dal legislatore (commi 9 e 10 dell’art. 1 L. 266/2005), ossia “le consulenze, gli studi, le ricerche, le spese per relazioni, rappresentanza, mostre, convegni, pubblicità”, ivi compresi gli incarichi “che prevedano spese finanziate da soggetti terzi”. Sono da escludersi, pertanto, dal novero degli atti soggetti a controllo: i c.d. “incarichi individuali di collaborazione coordinata e continuativa”, peraltro ormai vietati dal comma 5bis dell’articolo 7 del D. Lgs. n. 165/2001; gli incarichi ad alto contenuto professionale di cui all’art. 110 TUEL e gli incarichi di diretta collaborazione degli uffici di staff del sindaco di cui all’art. 90 TUEL, trattandosi di funzioni di supporto all’attività di indirizzo e di controllo, alle dirette dipendenze del sindaco, correlate ad un rapporto di lavoro; gli incarichi di componente di organismi di controllo interno e dei nuclei di valutazione e quelli concernenti prestazioni professionali consistenti in servizi o adempimenti obbligatori per legge (quali il ‘medico competente’ ex D.Lgs. n. 81/2008 e l’‘esperto qualificato’ ex D.Lgs. n. 230/1995 in tema di gas radon); gli addetti all’ufficio stampa di cui all’articolo 9 della L. n. 150/2000; gli incarichi di c.d. “supporto al R.U.P.”, disciplinati dall’art. 31 del D. Lgs n. 50/2016. Sono inoltre esclusi dall’obbligo di invio gli atti di spesa relativi ai servizi di architettura e ingegneria, quali incarichi di progettazione, direzione lavori, collaudi, ecc. di cui al D.Lgs.50/2016 se l’oggetto dell’incarico integra i termini dell’appalto di servizi dovendo invero ricadere nella fattispecie di incarichi di studio, ricerca o consulenza allorché l’incarico in questione sia finalizzato a sfociare in pareri, rapporti e/o relazioni destinate a integrare il quadro conoscitivo dell’amministrazione, a tutela dell’ente e della comunità amministrata, in vista o in previsione dell’adozione di atti programmatori, pianificatori, negoziali o provvedimentali dell’ente. Con riferimento agli incarichi per servizi di natura legale sono esclusi dall’obbligo le attività finalizzate o preparatorie a una controversia contro una controparte identificata e gli appalti di servizi legali stragiudiziali, affidati a studi professionali organizzati come operatori economici e chiamati a fornire prestazioni continuative a beneficio delle amministrazioni conferenti, mentre rientrano gli incarichi di vera e propria “consulenza legale”, in cui la possibile controparte processuale risulti ancora indeterminata, e la prestazione del professionista sia volta a supportare l’amministrazione nell’adottare accorgimenti, provvedimenti e prassi, ovvero a rafforzare il patrimonio conoscitivo-esperienziale giuridico del decisore pubblico, come nelle ipotesi in cui lo stesso risulti finalizzato alla redazione di bandi, documenti di gara, atti a rilevanza societaria (come le offerte, sottoscrizioni o dismissioni). Infine, il conferimento di incarichi di prestazione d’opera di natura sanitaria, aventi ad oggetto mansioni tipiche dei dirigenti medici e degli altri professionisti del ramo (infermieri, biologi, ostetrici, tecnici di laboratorio, ecc…), non possono collocarsi nell’ambito degli incarichi di “studio-ricerca-consulenza” e, quindi, non sono soggetti agli obblighi di comunicazione, così come le borse di studio ed assegni di ricerca erogate dalle aziende sanitarie.

 

Deliberazione 55/2021/SRCPIE/VSG (marzo)

Conferimento di incarichi esterni all’amministrazione

Gli enti del SSN, in quanto pubbliche amministrazioni, sono soggetti alla disciplina del D. Lgs n. 165/2001 che, all’articolo 7, comma 6bis, impone di disciplinare e rendere pubbliche le procedure di conferimento di incarichi a soggetti esterni con apposito regolamento interni. Per quest’ultimo non è espressamente previsto, come per gli enti territoriali, un obbligo normativo di trasmissione alla Corte dei conti entro trenta giorni dall’adozione o dalla modifica, ma esso resta comunque suscettibile di controllo e sindacato da parte di essa, specie quando sia richiamato dalle deliberazioni di conferimento di incarichi, soggetti a controllo uti singuli, onde verificare se le disposizioni in esso contenute si presentino conformi all’assetto normativo vigente in materia. A tal proposito, non è conforme alla normativa il regolamento che preveda una deroga alle ordinarie regole di pubblicità, trasparenza e parità di trattamento nell’assegnazione dell’incarico per gli incarichi aventi natura meramente occasionale della prestazione o di modica entità del compenso o per i casi di proroga o rinnovo di incarichi aventi ad oggetto la medesima attività. Nel caso di specie, inoltre, l’assegnazione di un incarico per fornire supporto conoscitivo-esperienziale alla struttura preposta agli acquisti e a coadiuvare la medesima nella predisposizione dei documenti di gara non è conforme al dettato dell’art. 7 citato violando il postulato secondo cui la collaborazione deve essere un rimedio eccezionale per far fronte ad esigenze particolari e straordinarie dell’Amministrazione. Invero, l’oggetto dell’incarico costituisce un bisogno permanente di una pubblica amministrazione che deve essere dotata, al suo interno, di professionalità qualificate in materia, visto che le necessità legittimanti l’incarico conferito (supporto e assistenza nella predisposizione dei bandi di gara), non presentano carattere straordinario. Pur ammettendo l’eccezionalità del bisogno di dotarsi di un supporto legale altamente qualificato, la scelta del professionista motivata unicamente con la notazione per cui lo stesso è “giurista affermato nel settore degli appalti pubblici, nonché legale dell’Ente in controversie giudiziali”, non è in linea con il requisito dell’“unicità della prestazione sotto il profilo soggettivo” richiesto a supporto di un affidamento diretto. Per sopperire alla necessità di un supporto legale costante, in assenza di figure professionali interne, in ogni caso, la soluzione più adeguata (anche sulla base delle linee guida n. 12 emanate in materia di servizi legali da ANAC) va rinvenuta nella creazione di un elenco di consulenti da interpellare a rotazione, suddivisi per settore di competenza, previamente costituito dall’amministrazione mediante una procedura trasparente e aperta, pubblicato sul proprio sito istituzionale. Nel caso di prestazione richiesta ad un esperto giurista con un carattere “misto” tra l’incarico di consulenza (disciplinato ex art. 7 comma 6 del D. Lgs n. 165/2001) e la prestazione del servizio a favore dell’utenza sotto forma di colloqui con i pazienti, ma inserita comunque nell’ambito dei percorsi clinici riabilitativi di portata più ampia e complessa, deve ritenersi qualitativamente prevalente la componente consulenziale e non può farsi rientrare nella nozione di servizio legale soggetto alla disciplina del D. Lgs n. 50/2016.

 

Deliberazione 63/2021/SRCPIE/PAR (marzo)

Estensione del principio di esenzione dal pagamento della TOSAP alle concessioni

L’esenzione dal pagamento della TOSAP disposto dal D.L. n. 34/2020, convertito con modificazioni dalla L. n. 77/2020, recante all’articolo 181 i commi 1, 1bis e 1ter, come modificato dal D.L. 104/2020, è stato voluto dal legislatore per non gravare le categorie produttive maggiormente colpite dall’emergenza epidemiologica da COVID-19. Trattandosi di un’entrata con natura tributaria, l’estensione sic et simpliciter di una misura legislativa incidente su un prelievo tributario a un’entrata patrimoniale che l’ente ritrae quale corrispettivo per l’uso di un bene proprio da parte di un concessionario è impropria in quanto: la norma di esenzione totale o parziale da una debenza tributaria, poiché configura una deroga sostanziale rispetto al principio generale posto dalla legge ordinaria, ha natura speciale ed è di stretta interpretazione non potendo trovare applicazione al di fuori delle ipotesi specificamente e tassativamente indicate dalla normativa di riferimento; i presupposti della tassa sono diversi da quelli del canone concessorio poiché quest’ultimo non tende solo a compensare il disagio recato alla comunità amministrata dall’occupazione di uno spazio normalmente fruibile dalla generalità dei cittadini, bensì anche a remunerare l’amministrazione per l’uso di un immobile rientrante nel proprio demanio o patrimonio indisponibile. Pertanto, per le entrate patrimoniali diverse da quelle tributarie, il criterio che l’ente può adottare per concedere esenzioni parziali o temporanee dal pagamento dei canoni che gli spettano va rinvenuto nella ratio della normativa civilistica, ispirata nell’effettiva disponibilità del bene il cui uso è remunerato dal canone. In particolare, il comma 6bis dell’articolo 3 del D.L. 23 febbraio 2020, n. 6, convertito con modificazioni dalla legge 5 marzo 2020 (inserito per effetto dell’articolo 91 del D.L. 17 marzo 2020, n. 18) ha statuito che “Il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutato ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 del codice civile, della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti”. Inoltre, per le obbligazioni di natura privatistica il Codice civile dispone l’osservanza di clausole generali di correttezza e buona fede tanto nella genesi quanto nella fase esecutiva del rapporto (artt. 1175, 1337 e 1375 c.c.) e gli eventi sanitari ed economici del 2020 non possono non essere tenuti in considerazione per la loro incidenza sull’operatività dei soggetti coinvolti. Parimenti soccorrono principi di parità di trattamento tra gli operatori del medesimo settore economico al fine di verificare se le loro attività siano state interessate, e in che misura, da un divieto di svolgimento durante i periodi di c.d. lockdown.

 

Deliberazione 68/2021/SRCPIE/PRSE

Intempestività della presentazione del piano di riequilibrio finanziario pluriennale

Il Piano di riequilibrio finanziario pluriennale previsto dall’articolo 243-bis del TUEL deve essere predisposto nel termine perentorio di 90 giorni dalla data di esecutività della deliberazione consiliare di ricorso alla procedura. L’esecutività, di cui al comma 5 dell’art. 243 bis TUEL, deve essere letta in combinato disposto con i commi 3 e 4 dell’art. 134 Tuel e, pertanto, nei casi ordinari, il termine perentorio decorre dalla data di avvenuta esecutività della deliberazione, ovvero decorsi dieci giorni dalla deliberazione, ai sensi del comma 3, mentre nei casi eccezionali, di cui al comma 4, dalla data della deliberazione, ovvero immediatamente. La Corte non ritiene applicabile la sentenza n. 34/2021 della Corte costituzionale, in ordine al disposto dell’art. 243-bis, comma 5, in quanto la statuita violazione costituzionale dei principi dell’equilibrio di bilancio e della sana gestione finanziaria dell’ente, in presenza di un nuovo mandato conferito agli amministratori dal corpo elettorale, si realizza solo quando una nuova amministrazione sia subentrata alla guida dell’ente e la medesima amministrazione, chiamata a farsi carico della pesante eredità, ricevuta dalle precedenti gestioni, non sia stata messa nella condizione di predisporre il Piano per l’assegnazione di un termine che decorre da epoca anteriore al suo insediamento, termine tra l’altro sganciato dal momento in cui la nuova amministrazione acquisisce, solo con la sottoscrizione della relazione di inizio mandato, piena contezza della situazione finanziaria e patrimoniale dell’ente e della misura dell’indebitamento. Nel caso di specie, infatti, non vi sono stati mutamenti nella compagine dell’amministrazione civica risultando che tutte le delibere pertinenti il Piano sono state adottate sempre dagli stessi amministratori pur con le difficoltà dovute alla ricostruzione della situazione finanziaria e patrimoniale dell’ente dovuta ad una non corretta gestione precedente. La scadenza del termine perentorio di cui all’art. 243-bis, comma 5, produce “ipso iure” gli effetti di cui all’art 243-quater, comma 7, del TUEL connessi alla mancata presentazione del piano. In presenza del vizio procedurale sul termine, da cui è derivata, tra l’altro, l’assenza di istruttoria ministeriale, il Collegio non può entrare nel merito del Piano, valutandone, se del caso, l’asserita congruità. In assenza dei requisiti di rito per l’ammissibilità dell’esame nel merito, il Collegio si trova infatti impossibilitato ad effettuare un puntuale controllo economico – finanziario degli obiettivi di risanamento e delle misure di salvaguardia. Ciò in quanto l’accertamento della tardività del Piano configura una condizione di inammissibilità del medesimo, ostativa ad una pronuncia sul merito.

 

Deliberazione 76/2021/SRCPIE/PRSE

Composizione dell’avanzo di amministrazione e gestione di cassa a seguito di ricezione di legato testamentario da parte dell’ente

La ricezione di un legato testamentario da luogo, in sede di incasso, a un ordinativo d’incasso contenente, tra gli altri dati obbligatori, il vincolo di destinazione derivante dal trasferimento disposto dal testatore, costituendo una giacenza di cassa vincolata. In tal modo l’ente mantiene un controllo puntuale degli utilizzi delle somme pervenute, provvedendo nel caso a effettuare utilizzi e ricostituzioni dei vincoli in base a quanto disposto dall’articolo 195 del TUEL e dai punti 10.1 e 10.2 del principio contabile (allegato 4/2 al D. Lgs n. 118/2011). Non è conforme alla normativa, pertanto, l’aver impegnato l’importo del legato per poi cancellarlo dai residui e trasferirlo, in ottemperanza ad un accordo intervenuto con l’erede, nella quota vincolata del risultato di amministrazione, ai sensi dell’articolo 187, comma 3ter del TUEL, le cui lettere c) e d) consentono l’inserimento nella quota vincolata delle entrate accertate derivanti da trasferimenti erogati a favore dell’ente per una specifica destinazione determinata (lettera c), ovvero derivanti “da entrate accertate straordinarie, non aventi natura ricorrente, cui l’amministrazione ha formalmente attribuito una specifica destinazione” (lettera d). Tale irregolarità, oltre a comportare la violazione dei principi di correttezza e comprensibilità dei documenti contabili previsti dall’allegato 1 del d.lgs. n. 118 del 2011, può potenzialmente costituire una minaccia per la corretta gestione del bilancio, con conseguente esposizione dell’Ente ad una gestione irregolare della cassa, determinata dal disallineamento tra la consistenza contabile e la consistenza reale delle disponibilità finanziarie necessarie al pagamento delle spese sostenute per il perseguimento dei propri fini istituzionali, con l’inevitabile violazione degli artt. 180, comma 3, lettera d) e 185, comma 2, lettera i) del TUEL, ovvero delle norme che impongono allo stesso Ente di indicare negli ordinativi di incasso e nei mandati di pagamento la natura vincolata delle entrate e delle correlate spese.

 

Deliberazione 76/2021/SRCPIE/PRSE

Accantonamento a FCDE dei residui relativi all’IMU

I comuni sono autorizzati, in linea di principio, a non formare accantonamenti relativi a tasse e imposte e altri proventi accertati per cassa, in quanto tale tipologia di entrate non dovrebbe dare luogo alla formazione di residui poiché l’accertamento dovrebbe coincidere con il versamento delle stesse nella disponibilità dell’ente; in forza di un simile meccanismo, l’entrata accertata per cassa non dovrebbe mai comportare la formazione di residui. Se è presente un residuo, esso deriva necessariamente da un accertamento non per cassa ma, di norma, dall’esecuzione di verifiche e da attività di accertamento di evasione o di mancati pagamenti; in tale ultimo caso, trattandosi di crediti la cui esazione potrebbe in concreto non realizzarsi in qualche misura, i principi di veridicità e prudenza nella redazione del bilancio e del rendiconto impongono di operare una svalutazione mediante il FCDE. L’IMU ha un presupposto di imposta legato a una situazione di capienza patrimoniale, riconducibile al possesso di un bene immobile. Pertanto, potrebbe essere sostenibile quale scelta discrezionale, non sindacabile, di un ente di non costituire FCDE sull’IMU accertata, in quanto destinata -prima o poi- a essere recuperata in ragione della capienza del cespite in base al quale è calcolata. Pertanto, in presenza di residui IMU, soggetti quindi ad accantonamento in quanto necessariamente non “accertati per cassa”, ai fini di escludere in tutto o in parte la svalutazione del credito, è necessario che l’ente evidenzi gli elementi di fatto idonei a giustificare che la capienza del cespite-presupposto di imposizione costituisca in concreto una solida garanzia di realizzabilità del credito. Ove poi si riscontrino, come nel caso di specie, percentuali di riscossione nel quinquennio assolutamente contenute e con tendenza al peggioramento, la semplice esistenza (quand’anche verificata all’attualità) di beni immobili in possesso dei soggetti passivi di imposta non può giustificare l’assenza di accantonamenti prudenziali di svalutazione dei crediti in questione.

 

Deliberazione 77/2021/SRCPIE/PAR

Riconoscimento, oltre al rimborso delle spese sostenute e rendicontate, di una indennità per oneri e spese non documentabili a soggetti collocati in quiescenza con

L’articolo 5, comma 9, del decreto-legge n. 95 del 2012 vieta alle pubbliche amministrazioni di attribuire a soggetti, già lavoratori privati o pubblici, collocati in quiescenza, incarichi di studio e di consulenza, incarichi dirigenziali o direttivi, cariche in organi di governo delle amministrazioni o degli enti e società controllati, salvo siano a titolo gratuito e, per i soli incarichi dirigenziali e direttivi, ferma restando la gratuità, con il limite di durata di un anno, vietando sia la proroga che il rinnovo al fine di realizzare risparmi di spesa, tanto è vero che rimane consentita l’attribuzione a titolo gratuito. Pertanto, il conferimento di incarichi, in enti e società controllate, a soggetti già titolari di pensione, conferimento riconosciuto, sulla base della formulazione letterale dell’art. 5 comma 9 del d.l. n. 95/2012, solo qualora l’incarico sia a titolo gratuito, comporta il divieto di corresponsione di un compenso ai medesimi soggetti, destinatari dell’incarico e già collocati in quiescenza. La norma riconosce tuttavia il rimborso spese in presenza di “spese sostenute e rendicontate” che costituisce elemento diverso e distinto rispetto ad un “compenso” per lo svolgimento dell’incarico erogato invero quale corrispettivo a fronte di una prestazione e variamente qualificato come remunerazione e simili. La norma non può essere interpretata nel senso di consentire di poter includere nel concetto di rimborso spese anche la previsione del riconoscimento di un’indennità senza eludere il divieto di conferire un incarico a titolo oneroso al soggetto collocato in quiescenza. Tale esclusione deve ritenersi estesa anche alle indennità erogabili a titolo di compensazione, nella specie, di oneri e spese non facilmente documentabili, sulla base di un’interpretazione rigorosamente incentrata sul dato testuale che espressamente si riferisce alla necessità della rendicontazione di eventuali rimborsi di spese e che deve indurre a ritenere inammissibili operazioni ermeneutiche volte ad ampliare la base di calcolo includendo nella stessa, oltre al rimborso spese sostenute e rendicontate, voci quale un’ indennità la quale si atteggerebbe come ontologicamente distinta dalla previsione del riconosciuto rimborso. Peraltro, ammettere indennizzi e/o ristori compensativi di oneri e spese non facilmente documentabili, equivarrebbe al riconoscimento di un regime di indennità forfettaria, affine ad un compenso prestabilito, indipendente dalle spese che vi abbiano dato causa e che non solo sarebbero non debitamente documentate e/o documentabili ma che, soprattutto, si sottrarrebbero, giocoforza, all’onere della ineludibile rendicontazione fissato, al contrario, in modo inderogabile dalla legge. Tali rimborsi, peraltro, devono essere supportati dal rispetto di due specifiche condizioni: il limite dell’importo rimborsabile, per la cui determinazione la norma demanda ad ogni singola Amministrazione di prestabilire limiti e criteri di eleggibilità delle spese e delle singole voci ammissibili a rimborso, restando esclusa, in ogni caso, la possibilità di attribuire rimborsi forfettari; l’onere della puntuale rendicontazione.

 

Deliberazione 80/2021/SRCPIE/PRSE

Determinazione del Fondo crediti di dubbia esigibilità

Il Fondo crediti di dubbia esigibilità, disciplinato nell’allegato n. 4/2, paragrafo n. 3.3 del d.lgs. 118/2011, nasce con lo scopo di porre una soluzione alle problematiche concernenti l’accertamento e i rischi connessi alla mancata riscossione delle entrate di dubbia e difficile esazione. Per tale motivo, si specifica che sono accertate per intero anche le entrate di dubbia e difficile esazione (fanno eccezione i crediti provenienti da altre amministrazioni, i crediti assistiti da una fideiussione, le entrate accertate per cassa in base ai principi contabili e le entrate riscosse da un ente per conto di un altro, destinate ad essere versate all’ente beneficiario che dovrà accantonare il FCDE) ed in relazione ad esse è costituito il Fondo stanziato in bilancio con lo scopo di sterilizzare spese potenzialmente finanziate con entrate che mai si realizzeranno. È, inoltre, accantonato nel rendiconto, a tutela della veridicità del risultato di amministrazione, e per la sua determinazione il principio contabile ha previsto sia un metodo semplificato operante sino all’esercizio 2018 sia un metodo ordinario. Tra i casi in cui non opera il relativo accantonamento non rientra la circostanza di avere incassato il credito nell’esercizio successivo a quello in relazione al quale andava calcolato l’accantonamento. L’avere incassato il credito nell’esercizio successivo non lo rende, necessariamente e per sua natura, un credito certo.

 

Deliberazione 84/2021/SRCPIE/PRSE

Anticipazione tesoreria non restituita – errata contabilizzazione

La Sezione ha riscontrato un’errata rappresentazione delle componenti del risultato di amministrazione: rilevando che nella parte delle entrate risultano erroneamente conservati residui attivi al 31/12/2019 su un titolo delle entrate che per propria natura non può generare residui attivi. Tale somma, infatti, rappresenterebbe un credito certo, liquido ed esigibile dell’Ente nei confronti del Tesoriere a fronte, al contrario, del ricorso all’istituto dell’anticipazione che di per sé rappresenta invece un’esposizione debitoria. Tale errata contabilizzazione non appare priva di conseguenze, comportando la non corretta determinazione del risultato di amministrazione dell’esercizio 2019 in quanto il valore finale ha incluso una partita contabile (residui attivi su anticipazione di tesoreria) ovviamente non iscrivibile in bilancio.

 

Deliberazione 96/2021/SRCPIE/PAR

Erogazione del compenso incentivante al personale che ha svolto attività di accertamento dell’evasione tributaria nel caso di tardiva approvazione del bilancio di previsione

Ai sensi dell’art. 1, comma 1091, della legge n. 145 del 2018 i Comuni che hanno approvato il bilancio di previsione ed il rendiconto entro il 31 dicembre possono prevedere che il maggiore gettito accertato e riscosso, relativo agli accertamenti dell’imposta municipale propria e della TARI, nell’esercizio fiscale precedente a quello di riferimento, sia destinato, limitatamente all’anno di riferimento, al potenziamento delle risorse strumentali degli uffici comunali preposti alla gestione delle entrate e al trattamento accessorio del personale dipendente. La possibilità di utilizzare il maggiore gettito accertato e riscosso è condizionata all’approvazione del bilancio di previsione entro il 31 dicembre e non anche entro il termine eventualmente prorogato con decreto ministeriale in quanto, ove si optasse per una diversa interpretazione della norma, vale a dire il termine di approvazione del bilancio di previsione prorogato (il 31 marzo), si finirebbe per privare di significato l’espressa apposizione di un termine da parte del legislatore, rimanendone esclusi solo ed esclusivamente quelli che, non avendolo approvato neanche nel termine prorogato, incorrerebbero nella procedura di commissariamento ed eventualmente di scioglimento del Consiglio comunale.

 

Deliberazione 98/2021/SRCPIE/PAR

Applicazione della normativa in materia di fondi erogati a beneficio delle attività economiche a parziale copertura dei costi derivanti dalla TARIP in ragione dello stato di emergenza sanitaria

L’ente interpellante ha istituito un fondo per dare un sostegno alle attività economiche presenti sul territorio mediante l’erogazione di contributi volti a parziale copertura dei costi derivanti dalla TARIP relativa all’anno 2020, ossia a valere su un’entrata propria e gravante sulle imprese. Trattasi di un contributo economico che si aggiunge ai benefici economici ai soggetti esercenti attività il cui esercizio è stato penalizzato dalle misure di contenimento del contagio da Sars-Cov2. L’amministrazione ha posto, tra le condizioni per l’accesso al beneficio, aggiuntivo rispetto a quelli sanciti dai vari “decreti-ristori”, il fatto di essere in regola con i versamenti TARIP al 31 dicembre 2019 e di non essere in posizione debitoria nei confronti del Comune alla medesima data. Con riferimento a quest’ultima condizione, l’amministrazione ne mette in discussione l’opportunità ammettendo che le condizioni debitorie verso sé medesima possano essere giustificabili e/o incolpevoli, sottoponendo alla Corte l’opportunità di eliminare il requisito e ampliare il fondo. Una richiesta in tal senso, tuttavia, rientra nelle scelte gestionali pure mediante le quali l’amministrazione dispone delle risorse proprie non riconducibile pertanto all’interpretazione di “…norme che regolano l’attività finanziaria e patrimoniale dello Stato e degli Enti pubblici…”, né tantomeno riferita ad una norma contenuta in leggi finanziarie, “…in grado di ripercuotersi direttamente sulla sana gestione finanziaria dell’Ente e sui pertinenti equilibri di bilancio…” poiché la disciplina contabile si riferisce solo alla fase che discende dai contenuti decisori sostanziali del procedimento amministrativo, con conseguente inammissibilità della richiesta di parere.

 

Corte dei Conti – Sezione Regionale di Controllo per la Valle d’Aosta

 

Deliberazione n. 10/2021

Secondo rinnovo dell’incarico di consegnatario di beni mobili

L’art. 9 comma primo del D.P.R. 254/2002 prevede che l’incarico di consegnatario di beni mobili dell’amministrazione non possa essere ricoperta per oltre due quinquenni. L’atto di conferimento dell’incarico deve essere trasmesso alla Corte dei conti, in caso di ufficio periferico dello Stato, per il controllo successivo di legittimità al fine di garantire una verifica, anche se posteriore e successiva, della legittimità dei provvedimenti adottati, allo scopo di scongiurare il rischio che determinati atti, sia pure trasmessi alle articolazioni deputate all’esercizio del controllo interno di regolarità contabile, possano non essere mai sottoposti ad un controllo esterno ed indipendente. Il secondo rinnovo della nomina non è consentito dalla norma per l’esigenza di assicurare il principio di rotazione degli incarichi dei funzionari pubblici, anche in funzione della prevenzione della corruzione all’interno dei relativi uffici, secondo i principi di cui alla legge 6 novembre 2012, n. 190. La giustificazione di rinnovare la carica di consegnatario per la terza volta consecutiva allo stesso dipendente in ragione della cronica carenza di personale, se non pregiudicando il buon andamento dell’attività amministrativa, non può essere favorevolmente valutato. La stessa ANAC precisa che è possibile derogare alla rotazione in caso di “infungibilità” derivante dall’appartenenza del funzionario a categorie o professionalità specifiche, anche tenuto conto di ordinamenti peculiari di settore, di particolari requisiti di accesso o di mirate disposizioni di legge, che richiedano il possesso di determinati requisiti. Tuttavia, nel caso in cui si tratti di categorie professionali omogenee, non può invocarsi il concetto di infungibilità, pur rimanendo sempre rilevante, anche ai fini della rotazione, la valutazione delle attitudini e delle capacità professionali del singolo. A tal fine, per scongiurare situazioni in cui non sia possibile la rotazione le amministrazioni dovrebbero programmare adeguate (e tempestive) attività di affiancamento, propedeutiche alla rotazione. Del detto limite temporale, connesso alla permanenza massima fissata dalla legge per i rinnovi, l’Amministrazione non può disinteressarsi sull’erroneo presupposto che la limitatezza del personale disponibile possa costituire fattore astrattamente idoneo a superare il preciso dettato normativo. Al contrario, essa deve predisporre strumenti di monitoraggio e di verifica che, costantemente implementati con i dati del personale disponibile e delle relative specialità, consenta di fornire una risposta adeguata alle esigenze di rotazione e formazione, impedendo la costituzione di figure infungibili.

 

Corte dei Conti – Sezione Giurisdizionale per il Piemonte

 

Sentenza 15 aprile 2021 n. 133

Danno erariale da transazione per colpa medica

La scelta dell’Amministrazione di pervenire alla transazione, qualora non sia manifestamente abnorme, irragionevole ed illogica, circostanza esclusa nella presente fattispecie sul rilievo che il contenzioso avrebbe potuto avere con elevatissima probabilità, prossima alla certezza, conseguenze ben più gravose per l’erario, rappresenta un mero fatto storico che costituisce la fonte del danno indiretto patito dall’Amministrazione e non interrompe il nesso causale tra la condotta serbata dal dipendente e l’esborso sostenuto dall’Ente, tenendo conto che il descritto comportamento integra, secondo il noto principio fondato sulla prova di resistenza, l’unico fattore causale in assenza del quale il nocumento patrimoniale non si sarebbe certamente verificato. Pertanto, è da escludersi un sindacato sull’atto di transazione, trattandosi di un mero antecedente oggettivo da cui deriva geneticamente il nocumento erariale contestato, posto che il giudizio di responsabilità è incentrato unicamente sulla condotta tenuta dal medico e non certo sulla valutazione circa l’opportunità o meno di pervenire alla transazione. L’eventuale imputazione di una quota del nocumento all’Ente di appartenenza del convenuto, secondo le regole dell’obbligazione solidale di cui agli artt. 1218 e 1228 c.c. – pur già rilevandosi nel caso di specie che il danno non deriva da un intervento chirurgico il quale involge anche le procedure organizzative e le attribuzioni complessive della struttura sanitaria, creando un contatto sociale qualificato bidirezionale rafforzato, bensì esclusivamente dagli errori diagnostici personali commessi dal convenuto durante le singole visite effettuate sulla paziente in ambulatorio – esula completamente dalla giurisdizione della Corte chiamata alla sola delibazione in merito alla responsabilità amministrativa del convenuto per danno indiretto poiché intercetta il diverso ed autonomo rapporto civilistico nascente tra il medico e la sua Amministrazione a seguito del pagamento dell’importo a titolo risarcitorio, nonché della successiva rivalsa obbligatoria sul dipendente a mente dell’articolo 22 del D.P.R. nr. 3 del 1957. Qualora il convenuto dovesse ravvisare un contributo causale dell’Ente di appartenenza, ovvero una responsabilità paritetica di quest’ultimo nei confronti della paziente, a tenore delle disposizioni civilistiche, ben potrà agire in regresso nei confronti dell’Amministrazione per ripetere la parte che reputa alla medesima addossabile, in un separato giudizio dinanzi al giudice ordinario.

 

Sentenza 22 aprile 2021 n. 137

Incarichi extraistituzionali

Non è compatibile con l’appartenenza al corpo della Polizia di Stato, in assenza di autorizzazione dell’ente, in violazione dell’articolo 53 d.lgs. n. 165/2001, lo svolgimento di una attività extra istituzionale quale l’attività di ricerca di potenziali clienti per lo svolgimento di pratiche di carattere fiscale-tributario.

 

Sentenza 12 maggio 2021 n. 160

Giurisdizione della Corte dei conti in presenza di società partecipate dalla Regione – Utilizzo di sovvenzioni vincolate per finalità diverse

Il rapporto di servizio che radica la giurisdizione della Corte dei conti si configura quando una persona fisica, o anche giuridica, venga inserita a qualsiasi titolo nell’apparato organizzativo pubblico e venga investita, sia autoritativamente che convenzionalmente, dello svolgimento in modo continuativo di un’attività retta da prescrizioni di rilievo pubblicistico, di una funzione strumentale alla prima ovvero di un’attività che comunque compete istituzionalmente alla P.A., anche se di natura privata, così da essere partecipe dell’azione amministrativa attraverso siffatta relazione funzionale capace di calarla all’interno dei meccanismi gestionali dell’Ente. Le funzioni istruttorie demandate convenzionalmente dalla Regione Piemonte alla Finpiemonte S.p.A., a prescindere dalla natura di società “in house” o meno, circa la verifica delle condizioni previste per l’attribuzione di un finanziamento, risultano idonei ad integrare la giurisdizione contabile sul rilievo che gli agenti della società possono essere definiti quali temporanei funzionari di fatto della Regione Piemonte nello svolgimento di una funzione che, altrimenti, avrebbe dovuto essere compiuta dallo stesso Ente con le proprie articolazioni interne.

L’immobile ristrutturato con un finanziamento della Regione per finalità turistiche non può successivamente essere utilizzato per attività di assistenza ai migranti richiedenti asilo in quanto, pur costituendo indubbiamente una finalità legittima e di pubblico interesse, tale attività non è compatibile con la specifica e tassativa destinazione del contributo ricevuto dalla Regione. Infatti, in presenza di finanziamenti di scopo a destinazione rigida vincolata, qualora il soggetto al quale siano stati erogati contributi pubblici, per effetto di sue scelte omissive o commissive incida negativamente sul modo d’essere del programma imposto dalla Pubblica Amministrazione alla cui realizzazione è chiamato a partecipare con l’atto di concessione della sovvenzione, determina uno sviamento dalle finalità perseguite, provocando un danno per l’Ente pubblico. La circostanza che l’ospitalità di migranti presso alberghi non priva tali strutture della loro qualificazione ricettivo-turistica ed alberghiera non è conferente poiché quello che occorre verificare in concreto, senza travalicare il circoscritto perimetro della necessaria ricognizione in materia di contributi pubblici, è esclusivamente l’utilizzo dell’immobile, ristrutturato avvalendosi del contributo regionale, nel rigoroso rispetto del rigido vincolo di scopo previsto per l’erogazione dello stesso.

 

Sentenza 12 maggio 2021 n. 161

Danno erariale da illegittima aggiudicazione

La condotta illecita posta in essere dai componenti della Commissione di gara – nel caso di specie attraverso una modifica del criterio di valutazione dell’elemento prezzo ad offerte ormai aperte e la mancata corretta interpretazione del disciplinare di gara (nel senso che qualora si fosse inteso il termine “sconto” come “prezzo scontato”, la formula originaria non avrebbe prodotto risultati anomali, rispettando il principio della proporzionalità) – con conseguente emanazione di un provvedimento illegittimo da parte dell’amministrazione che ha originato l’illegittimità della aggiudicazione, non necessariamente ed in via automatica determina un pregiudizio erariale, se non per le spese sostenute dall’ente aggiudicatario nel procedimento amministrativo avverso il ricorso dell’offerente illegittimamente escluso.

 

Sentenza 16 giugno 2021 n. 203

Danno patrimoniale derivante dai costi sostenuti dalla Polizia di Stato per gli accertamenti nei confronti di un proprio dipendente

Nella nozione di danno patrimoniale rientrano i danni subiti dall’amministrazione per spese riguardanti le verifiche che, tramite i propri dipendenti, la Polizia di Stato quale Amministrazione di appartenenza del convenuto si è trovata doverosamente a dover disporre, avendo constatato o avuto notizia di comportamenti sospetti del nominato, penalmente rilevanti e suscettibili di arrecare danno o discredito all’Amministrazione stessa. Infatti, la Polizia di Stato avrebbe operato, prima ancora che come organo di polizia giudiziaria, quale Amministrazione pubblica doverosamente interessata alla correttezza ed al buon andamento della propria azione. Inoltre, il danno erariale che viene a determinarsi risulta essere strettamente legato anche alla circostanza che ogni indagine avente ad oggetto comportamenti di soggetti interni alla Polizia di Stato, finisce per distogliere energie investigative rispetto ad altre fattispecie penalmente rilevanti ovvero suscettibili di arrecare danno all’erario per concentrarle nell’ambito dello stesso organismo che detto delicato servizio è chiamato a svolgere. Non rientrano, invero, i costi per le indagini che rientrano, in via ordinaria, nell’ambito di quelli generali che la società sostiene per l’accertamento dei reati e dei danni erariali. Quanto alla determinazione del quantum, è corretto il riferimento alle sole ore di lavoro straordinario e alle indennità accessorie dovute ai dipendenti della Sezione di P.G., in quanto coerente con la distinzione tra i costi generali non ripetibili posti a carico della società per le attività investigative e quelli aggiuntivi determinati dalle ultrattività rese necessarie, in indagini aventi ad oggetto condotte di soggetti interno alla stessa Polizia di Stato.

 

Sentenza 17 giugno 2021 n. 212

Danno derivante da conferimento di un incarico esterno prorogato in presenza di figure interne idonee

Il danno connesso all’affidamento di consulenze, relative all’attribuzione di incarichi di studio, ricerca e redazione di pareri a soggetti esterni all’Amministrazione conferente, consistente nello spreco di risorse e nella svalutazione delle professionalità interne all’Ente pubblico, sussiste qualora non venga rispettata uno o più delle seguenti condizioni: rispondenza dell’incarico agli scopi ed all’utilità dell’Ente; eccezionalità e straordinarietà delle esigenze da soddisfare; inesistenza, all’interno della propria organizzazione, delle risorse umane idonee allo svolgimento dell’incarico, o per insufficienza numerica del personale in dotazione o per mancanza della necessaria professionalità del personale disponibile, da accertare per mezzo di una reale ed approfondita ricognizione; elevata qualificazione del soggetto prescelto che deve essere dotato di particolare e comprovata specializzazione anche universitaria, salvo si tratti di contratti d’opera per attività che debbano essere svolte da professionisti iscritti in ordini o albi o con soggetti che operino nel campo dell’arte, dello spettacolo o dei mestieri artigianali, dell’attività informatica nonché a supporto dell’attività didattica e di ricerca, per i servizi di orientamento, compreso il collocamento, e di certificazione dei contratti di lavoro, purché si accerti la maturata esperienza nel settore; indicazione specifica dei contenuti e dei criteri per lo svolgimento dell’incarico; temporaneità dell’incarico con la preventiva fissazione della sua durata; adeguata e puntuale motivazione del provvedimento di conferimento dell’incarico, al fine di consentire il rigoroso accertamento di tutte le condizioni in parola; sussistenza di un ragionevole rapporto di proporzionalità tra il compenso corrisposto all’incaricato e l’utilità conseguita dall’Amministrazione. Nel caso di specie, la Sezione ha ritenuto manifestamente carenti almeno tre delle richiamate condizioni legittimanti: la necessità di svolgere compiti connessi ad esigenze dell’Amministrazione di carattere eccezionale e straordinario, sia nell’ottica quantitativa che qualitativa, il contenuto specifico e circoscritto della consulenza e la temporaneità dell’incarico.

In particolare, nelle Deliberazioni di affidamento degli incarichi non vi è alcun riferimento specifico e tangibile all’effettuazione della necessaria ricognizione preventiva, corredata da oggettivi elementi di riscontro, circa l’effettiva assenza in organico di figure che avrebbero potuto svolgere l’incarico affidato al consulente, né è possibile ravvisare, in concreto, quelle situazioni di carattere peculiare, improcrastinabili, urgenti, eccezionali e straordinarie, che avrebbero potuto giustificare la chiamata di un collaboratore esterno. Anche la circostanza legata all’apertura del nuovo nosocomio, sulla base del quale i convenuti avevano ritenuto di affidare l’incarico esterno, non è determinante e dirimente, sul rilievo assorbente che la realizzazione dell’Ospedale non era un evento imprevisto ed imprevedibile sul versante organizzativo, bensì si trattava di una scelta che era stata assunta e pianificata per molti anni. L’ente avrebbe potuto attivare le attività di formazione e specializzazione dell’ingente personale in servizio in previsione dell’entrata in funzione della struttura, al fine di garantire la presenza al proprio interno, anche nell’ambito di gruppi di lavoro dedicati composti da risorse umane altamente qualificate, di quelle figure professionali essenziali per il funzionamento efficiente e proficuo del nosocomio. Inoltre, se le condizioni concernenti il personale in organico nelle articolazioni esposte all’aggravio derivante dall’apertura del presidio ospedaliero fossero state effettivamente critiche, non sarebbe stata sufficiente la chiamata di un solo collaboratore, per quanto di elevata esperienza e competenza, per colmare le asserite carenze. Si aggiunga che l’incarico ha sempre riguardato una funzione globale a supporto nel comparto delle procedure di gara e dei servizi economali, della preparazione dei capitolati e del controllo sull’esecuzione dei contratti, cui si sono aggiunte ulteriori attività secondarie per effetto di ulteriori deliberazioni con ciò dimostrando che la consulenza affidata non aveva natura specifica e puntuale, nell’ottica della risoluzione di particolari, eccezionali ed inaspettate esigenze dell’Ente committente o della realizzazione di un progetto determinato, ma presentava una vocazione assolutamente generica, quindi del tutto consueta ed abituale, volta a garantire tutte le diverse esigenze contingenti che potevano manifestarsi all’interno dell’Amministrazione. Infine, l’anomala durata pluriennale della consulenza affidata al professionista esterno, che è stata rinnovata senza soluzione di continuità, con un contenuto sostanzialmente identico e ricorrente, viola una delle condizioni legittimanti, ovvero la temporaneità dell’incarico, dalla quale non è possibile prescindere.

 

Corte dei Conti – Sezione Giurisdizionale la Valle d’Aosta

Sentenza 12 luglio 2021 n. 18

Conflitto di interessi e danno erariale

L’incarico di Presidente di un ente regionale e di consigliere di una società fornitrice dell’ente stesso, pur violando la normativa regionale sul conflitto di interesse, non comporta inevitabilmente la prova dell’esistenza di un danno certo e dell’antigiuridicità della condotta del convenuto. Infatti, se dal punto di vista del diritto amministrativo l’esistenza di un conflitto, anche se solo potenziale, alla luce del disposto normativo, incide sotto il profilo dell’esclusione del soggetto componente di un organo che si trova in conflitto di interessi, in tema di responsabilità contabile occorre inevitabilmente verificare l’esistenza di un danno effettivo e certo, se non nel quantum, quantomeno nell’an e del suo collegamento eziologico con la condotta, attiva od omissiva, imputabile al convenuto, non esistendo un assioma tra conflitto di interessi ed esistenza di un danno erariale, a maggior ragione laddove il conflitto di interessi sia meramente potenziale.

 

  1. Professore associato di Istituzioni di Diritto Pubblico presso l’Università degli Studi del Piemonte Orientale “A. Avogadro”.
  2. Dottorando di ricerca in “Autonomie, diritti pubblici, servizi” presso l’Università del Piemonte Orientale Amedeo Avogadro.