Politiche idriche adattive nella stagione della scarsità. Dall’emergenza alla regolazione

Emanuele Boscolo[1]

Sommario:

1. Premessa: la stagione della scarsità e la tenuta del “nuovo” diritto delle acque – 2. Lo scenario strutturale del presente: la crisi idrica quale condizione permanente – 3. Dalla gestione della crisi alla regolazione della scarsità

1. La stagione della scarsità e la tenuta del “nuovo” diritto delle acque

Si torna a parlare di acqua. Sembrano tuttavia lontanissimi i tempi in cui la discussione attorno al tema delle acque era polarizzata sulla (fuorviante e sovra-ideologizzata) dicotomia acqua pubblica vs. acqua privatizzata (rectius – al netto di ogni carica polemica – servizio idrico integrato a gestione in house o assegnato tramite gara). A dominare il dibattito pubblico è oggi il tema della siccità: L’estate scorsa le immagini del Po in secca hanno impressionato e la contabilità dei danni è ancora in atto.

La crisi grave idrica dei mesi scorsi, con effetti devastanti per l’ambiente e per l’agricoltura[2], ha riportato in cima all’agenda collettiva la necessità di un convinto rilancio della Strategia per l’adattamento al cambiamento climatico[3] e ha riproposto con forza il tema – ineludibile – dell’adeguatezza della disciplina applicabile alle risorse idriche. Si è reso evidente il dato della scarsità delle acque (soprattutto nel distretto idrografico del Po) e dell’insufficienza delle disponibilità istantanee a soddisfare la domanda proveniente dalle diverse categorie di utilizzatori. Come era facile prevedere, si sono resi immediatamente percepibili anche i corollari della siccità, rappresentati dagli incendi boschivi e dalla risalita del cuneo salino (che nel delta del Po ha raggiunto i quaranta chilometri, con l’effetto di distruggere gli ecosistemi fluviali, di impedire le coltivazioni e di contaminare la falda). Si è poi registrato l’accentuarsi di fenomeni di vulnerabilità idrogeologica (frane, allagamenti, etc.), a riprova di come siccità e alluvioni costituiscono manifestazioni estreme del medesimo fenomeno idrologico e climatologico.

La crisi idrica ha reso bruscamente comprensibile il significato ultimo della concorrenza tra i diversi usi: per assicurare sostegno all’agricoltura (a cui si imputa la quota preponderante dei consumi[4]), si sono imposti ai produttori idroelettrici rilasci dagli invasi montani e riduzioni dei prelievi (proprio quando servirebbe maggior energia da fonti rinnovabili, per ragioni ambientali ma anche macroeconomiche) e sono state assentite deroghe al rispetto dei parametri ambientali nei corpi idrici (ossia deroghe al deflusso ecologico: infra). Anche il settore idropotabile ha mostrato tutta la propria fragilità. In alcuni territori non sono bastate ordinanze sindacali di razionamento e si è reso necessario provvedere ai bisogni idropotabili mediante autobotti, a riprova di come neppure le strutture di emungimento e gli schemi distributivi del servizio idrico integrato (che disperdono sino al 40 % della risorsa) sono attrezzati per affrontare una drastica riduzione delle disponibilità e di come su questo versante, al di là delle razionalizzazioni organizzative per ambiti omogenei (ancora incompiute)[5] e dell’affermazione del modello della società in house, siano necessari soprattutto consistenti investimenti infrastrutturali.

Il diritto delle acque delineato dal d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, a compimento di una parabola avviatasi con la l. 5 gennaio 1994, n. 36 e proseguita con la Direttiva 2000/60/CE (Framework Water Directive)[6], muove dalla “riontologizzazione” giuridica del bene-acqua: le acque sono assunte sostantivamente quale matrice ambientale produttiva di servizi ecosistemici essenziali e non (o non soltanto) in termini strumentali quale mezzo ‘di produzione’, utili (e pubbliche) in quanto suscettibili di sfruttamento. Anche l’invalsa cultura ingegneristico-idraulica che aveva promosso arginature e artificializzazioni lascia spazio all’innovativo paradigma della river restoration: dalla difesa dalle acque alla difesa delle acque. Sono le premesse concettuali della revisione dell’intera dorsale dell’impianto normativo sulle acque, a partire dal regime della demanialità “custodiale” (non appropriativa) di una risorsa da tutelare[7], qualificabile alla stregua di un bene comune (soluzione di inquadramento quest’ultima attenta ai caratteri funzionali della cosa), passando per il primato da riconoscere alla pianificazione di scala distrettuale (optimal size) sulla disciplina concessoria (un tempo perno del sistema), sino a far emergere come le concessioni da strumenti rigidi si stiano trasformando in provvedimenti adattivi (in ragione dell’instabilità delle disponibilità che costringono a parlare di assegnazioni in condizioni di “incertezza certa”).

Rinviando ad altri scritti per una ricostruzione più organica e analitica[8], in questa occasione è opportuno concentrarsi sulle modalità con cui è stata affrontata la stagione di severa scarsità che ha connotato i mesi scorsi. Un frangente emergenziale che ha reso manifesti i limiti di un modello ancora caratterizzato da una inscalfibile rigidità della domanda e la difficoltà nell’assunzione di decisioni selettive pienamente rispettose delle gerarchie valoriali su cui si è costruito il ‘nuovo’ diritto delle acque. La stagione della scarsità impone infatti di verificare la tenuta degli strumenti propri dell’ordinamento settoriale di fronte alla tensione “verticale” tra istanze ambientali e pretese di utilizzo e ai conflitti “orizzontali” tra classi diverse di utilizzatori (l’industria idroelettrica e i consorzi irrigui) e anche tra utilizzatori del medesimo comparto (i risicoltori piemontesi e quelli della Lomellina, per fare un esempio che ha accesso serrate discussioni nei mesi scorsi). Una straordinaria occasione dunque per valutare l’adeguatezza del blocco di norme tecniche, di pratiche e di dispositivi organizzativi elaborati negli ultimi anni dalle autorità distrettuali per la gestione dei periodi siccitosi. Occorre quindi verificare in che misura questi strumenti abbiano concorso ad evitare conflitti allocativi e indagare per quali ragioni si debba ancora registrare un sistematico ricorso al modello di intervento della protezione civile (disciplinato dal d.lgs. 2 gennaio 2018, n. 1), il richiamo al quale rappresenta, in qualche modo, l’indicatore di una incapacità di gestione ordinaria di un fenomeno che – si ripete – non può più essere considerato eccezionale.

2. Lo scenario strutturale del presente: la crisi idrica quale condizione permanente

Nell’analisi della gestione del severo episodio di scarsità idrica verificatosi nei mesi scorsi nel quadrante padano, conseguente agli scarsi apporti nivali del precedente inverno e alla concomitanza di un abnorme aumento delle temperature e di una riduzione delle precipitazioni[9], risaltano una serie di profili.

Il primo. L’art. 167, I comma, del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (Codice dell’Ambiente) esprime un preciso criterio di allocazione selettiva, stabilendo che, ove si renda necessario disporre la regolazione delle concessioni (ossia quando la risorsa idrica sia insufficiente a soddisfare la domanda), l’uso agricolo abbia la priorità su quello produttivo. Si tratta tuttavia di una regola di secondo livello, operante in via sussidiaria rispetto al più generale principio assiologico d’apice orientato alla funzionalizzazione delle acque a garantire in primo luogo il supporto agli ecosistemi acquatici e il soddisfacimento degli insopprimibili bisogni idropotabili (principio che oggi trae ancora maggior forza dalla formulazione riformulata dell’art. 41 Cost., secondo cui l’iniziativa economica è subordinata alla piena sostenibilità degli effetti sull’ambiente). Detto altrimenti, le risorse idriche sono essenziali per l’ambiente e per le esigenze umane (come indica l’art. 144 del Codice dell’Ambiente: il vero ‘perno’ dell’intero impianto normativo) e, solo in condizione di eccedenza rispetto al soddisfacimento di queste funzioni non comprimibili (riflesso di una gerarchia costituzionale sintetizzata nelle formule del diritto all’acqua quale diritto umano fondamentale[10] e del dovere di tutela dell’ambiente espresso dal riscritto art. 9 Cost.[11]), possono essere sfruttate per finalità economiche (agricole, energetiche, produttive, etc.); tra queste, nell’accesso alla risorsa è assicurata prevalenza – come detto – all’uso agricolo.

A quest’ultimo proposito, è tuttavia rimasto alquanto sottotraccia come nelle ordinanze adottate, ad esempio, dal Presidente della Giunta regionale lombarda[12] e, prima ancora, negli atti a carattere generale assunti dalle autorità distrettuali (Autorità di Bacino Distrettuale del Po[13] e Autorità di Bacino Distrettale delle Alpi Orientali[14], in primis), a fronte della necessità di garantire la disponibilità idropotabile ma anche di sostenere quanto più possibile la produzione agricola, si è reso necessario adottare decisioni che hanno esplicitamente contemplato – questo è il punctum dolens – la derogabilità dei parametri minimi di portata essenziali per le funzioni ecologiche nei corpi idrici.

In un regime di forti pressioni generate dagli utilizzi, il principio di primarietà delle esigenze connesse alla tutela ambientale trova un presidio essenziale nel vincolo di mantenimento in ciascun corpo idrico, a valle delle derivazioni, del deflusso ecologico (ecological flow), ossia nel rispetto del parametro, preordinato a limitare prelievi non sostenibili, indicativo del mantenimento in alveo della quantità d’acqua necessaria al perseguimento dello stato ecologico almeno ‘buono’ nel corpo idrico (o meglio nel sub-bacino) sotteso. L’introduzione di tale valore-soglia da parte dalle autorità distrettuali in attuazione delle linee guida dettate da un decreto ministeriale 30/1994[15] è il risultato della piena maturazione della consapevolezza delle interdipendenze tra profili quantitativi e qualitativi (dimensione considerate in passato separatamente e oggetto di blocchi normativi formatisi in tempi diversi). Il deflusso ecologico ha la funzione di definire il regime idrologico coerente con il raggiungimento degli obiettivi ambientali che i Piani di Gestione distrettuali (approvati negli anni scorsi) hanno preventivamente assegnato a ciascun elemento del reticolo idrico e viene calcolato mediante sofisticate matrici di calcolo che (al di là di lievi differenze nelle formulazioni tecniche proposte) combinano fattori ambientali e idraulici[16].

La curvatura ambientale del diritto delle acque elaborato negli ultimi vent’anni costituisce il dato connotativo di sistema, eppure, tra le pieghe di articolati provvedimenti emergenziali (e di disciplina delle emergenze[17]), è stata preconizzata la sacrificabilità del deflusso ecologico nei corpi idrici, accettando quindi di porre (seppur temporaneamente) in sofferenza ecosistemi acquatici e umidi lasciati privi delle condizioni di sostegno alla biocenosi. È innegabile che introduzione di deroghe, per quanto temporanee, al deflusso ecologico presupponga l’accettazione di impatti sulle comunità biologiche che colonizzano i corpi idrici e la perdita di capitale naturale. Specie ove si assumesse un approccio di deep ecology, si potrebbe sostenere che i valori ambientali siano stati relegati in una condizione difettiva di mera ottatività. Va tuttavia subito detto che non si è trattato di decisioni illegittime, sulle quali è opportuno tornare con approccio non emotivo per ricordare come già la direttiva 2000/60/CE (la Framework Water Directive, ossia la direttiva quadro da cui discendono le coordinate di fondo del sistema: FWD) indica al Considerando 32 che “a precise condizioni, vi possono essere motivi per dispensare dall’obbligo di prevenire un ulteriore deterioramento o di conseguire un buono stato, se il mancato raggiungimento dei risultati è dovuto a circostanze impreviste o eccezionali, in particolare inondazioni o siccità o a motivi di interesse pubblico di primaria importanza” e, all’art. 4, § 6, prevede la possibilità di deroghe temporanee all’applicazione delle azioni tese al raggiungimento di un buono stato in particolari corpi idrici al ricorrere di condizioni eccezionali quali la siccità prolungata. La deroga (per definizione transitoria) è tuttavia subordinata alla preventiva adozione di ogni possibile misura (pianificatoria e operativa) volta alla razionalizzazione degli utilizzi e all’immediato ripristino del primato delle istanze ambientali alla cessazione del frangente emergenziale[18]. La disposizione europea è ripresa in termini pressochè letterali dall’art. 77, X comma, del Codice dell’Ambiente. E’ dunque interessante osservare come tali principi siano stati declinati nel caso concreto e quali soluzioni sono state praticate in una condizione di protratta severa scarsità.

Le misure contingenti per resistere alla siccità si sono risolte, essenzialmente, in ordini di rilascio forzoso dagli invasi (in compressione dell’uso energetico) e in deroghe ai limiti ecologici di prelievo dai corpi idrici. Se il primo ordine di misure è indicativo dello scorrimento verso un modello concessorio flessibile e ha trovato giustificazione nell’art. 167 cit., rispetto ai prelievi in deroga si pongono due domande: per sopperire a quali esigenze realmente eccezionali e imprevedibili siano tollerabili deroghe compressive degli equilibri ambientali e, ancora, a quali condizioni misure “estreme” di questa matrice siano ammissibili e da quali cautele debbano essere accompagnate.

Le autorità distrettuali hanno ritenuto ammissibile le deroghe sull’assunto che la siccità costituisse un evento eccezionale e, soprattutto, ragionevolmente non prevedibile (per usare il lessico della FWD), con l’obiettivo di evitare la perdita pressoché completa della produttività agricola nel quadrante padano. Uno scenario che indubbiamente andava scongiurato ma che manteneva una connotazione di matrice economica, perciò non assimilabile alle situazioni di carenza suscettibili di privare gli insediamenti della fornitura idropotabile. Va rimarcato che le misure eccezionalmente finalizzate a consentire prelievi flusso-alteranti tese a dare sostegno ad una agricoltura esangue sono state disposte in deroga rispetto allo schema rigidamente gerarchico che colloca in posizione eminente (e quindi – almeno tendenzialmente – non scalfibile) il mantenimento dei flussi essenziali per la vita acquatica. Da questa prima considerazione circa il giudizio di eccezionalità traspare come la frizione tra la ragion pratica e il canone allocativo codicistico, improntato ad un rigido schema gerarchico, trovi nei frangenti eccezionali un (opportuno) temperamento mediante il ricorso alla tecnica del bilanciamento, secondo la quale nessun interesse si erge in posizione “tiranna” e si assume l’obiettivo della salvaguardia almeno di un nucleo essenziale dell’interesse sacrificato, non identificato nel caso in esame con il deflusso ecologico ma piuttosto con la temporaneità della perturbazione dovuta alla marcata riduzione di flusso. E’ allora utile passare a domandarsi a quali condizioni – sempre sulla scia della FWD e dell’art. 77 del Codice dell’ambiente – siano subordinabili i prelievi in deroga. All’eccezionalità – come indicato dalla FWD – si aggiunge un giudizio di meritevolezza ed è proprio questa la linea su cui pare riattestarsi il canone allocativo gerarchico. Limitandoci all’esempio del bacino distrettuale padano, va rimarcato come l’Autorità distrettuale abbia da tempo subordinato con una apposita “direttiva”[19] (peraltro non vincolante) la concessione della deroga alla impegnativa condizione che siano state preventivamente assunte tutte le misure di razionalizzazione volte a ridurre i prelievi; proprio su quest’ultimo versante la Regione Piemonte è intervenuta in termini paradigmatici una prima volta nel 2021[20] e quindi, in piena crisi, ancora nel luglio 2022[21] per elencare le misure di razionalizzazione atte a consentire l’esenzione del prelievo irriguo dall’obbligo di rispetto del deflusso ecologico. E’ interessante notare – a conferma di come lo schema gerarchico sia stato comunque per quanto possibile tenuto in considerazione – che eventuali deroghe tese a garantire l’uso idropotabile non sono invece sottoposte ad alcuna condizione. In altri termini, l’eccezionalità della situazione idrologica è intesa non solo come deviazione dallo scenario idrologico atteso ma anche come inarginabilità del fattore di crisi, tale da rendere insufficienti tutte le misure preventivamente adottate per ridurre i fattori di idrodipendenza (e la previsione di un tale presupposto opera anche alla stregua di una condizionalità in grado di assumere una forte valenza incentivale[22]). La “direttiva” pone poi l’accento sulla ripristinabilità delle funzioni ambientali (sulla scorta di una valutazione predittiva degli impatti e delle risposte ecosistemiche) e la valutabilità ex post (ossia la verificabilità degli effetti anche in vista del recepimento delle soluzioni di adeguamento nei piani e negli atti di regolazione).

Il secondo. L’approccio gestionale delle condizioni di siccità “codificato” negli atti delle autorità distrettuali, oltre un certo segno, è stato ritenuto comunque insufficiente e alla presa d’atto della perdurante severità della carenza idrica e al profilarsi di un quadro emergenziale suscettibile di mettere a rischio anche la fornitura idropotabile in maniera estesa – su richiesta delle regioni interessate (Regioni Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Lombardia, Piemonte e Veneto) – è conseguita la declaratoria di stato di emergenza da parte del Consiglio dei Ministri il 4 luglio 2022[23]. Tale declaratoria ha legittimato l’emanazione di ordinanze da parte del Capo del Dipartimento della protezione civile in deroga “a ogni disposizione vigente” (e quindi anche alla gerarchia degli usi ed ai limiti alle deroghe al deflusso ecologico). Il Capo del Dipartimento della protezione civile ha quindi effettivamente emanato una propria ordinanza del 19 luglio 2022, con la quale ha nominato commissari per l’emergenza i presidenti delle Regioni sopra citate, attribuendo loro ingenti risorse per l’attivazione di programmi straordinari (attuabili anche grazie alla deroga ad un nutrito novero di norme, partitamente elencate) finalizzati a garantire nell’immediato l’approvvigionamento tramite autobotti e tramite forme alternative di emungimento da falda o da corpi idrici (per il consumo idropotabile ma – va nuovamente sottolineato – anche per il segmento zootecnico del settore agricolo)[24].

La sistematica tendenza al ricorso al modello della protezione civile nelle crisi idriche ha assunto da ultimo carattere programmaticamente strutturale per effetto dell’art. 15 del d.l. 9 agosto 2022, n. 115 (“decreto aiuti bis”, conv. in l. 21 settembre 2022, n. 142), con cui è stata operata la tipizzazione dalla figura dello stato di emergenza idrica nazionale[25]. L’alternativa della protezione civile conferma – se ancora ve ne fosse bisogno – come al ricorrere della necessità di interventi urgenti si riproponga come una costante la ricerca di deroghe in primo luogo procedurali (conferenze dei servizi semplificate, gestioni commissariali[26], etc.), tese ad evitare le rigidità dei percorsi approvativi dei progetti e realizzativi delle opere[27], con il risultato che l’apparato della protezione civile (nazionale e regionale) mantiene la funzione di strumento privilegiato di gestione (iper)semplificata anche di interventi realizzativo-infrastrutturali[28]. Sul piano dei contenuti, la misura urgente assunta nello scorso luglio, essenzialmente orientata alla formulazione da parte delle regioni di un primo lotto di interventi indifferibili (ma anche di investimenti per il medio periodo[29]), è indicativa di come l’intero sistema degli schemi idrici debba essere urgentemente riadeguato alla condizione di scarsità, con ricerca di nuove fonti di approvvigionamento, connessione tra gli acquedotti, etc. Le ragioni del ritardo infrastrutturale sono molteplici ma certamente il sistema soffre di una pluridecennale carenza di investimenti[30]: è quindi significativo che, a margine dell’intervento urgente e derogatorio, siano state “dirottate” verso il settore idrico risorse del PNRR[31], anch’esse beneficianti di una corsia procedurale accelerata di spesa e di realizzazione[32], e il Piano nazionale degli interventi nel settore idrico 2020-2029, ancora tralatiziamente suddiviso nelle due sezioni “acquedotti” e “invasi” (i primi con competenze delle AGATO e i secondi con competenze del Ministero delle Infrastrutture) è stato sostituito dal Piano nazionale di interventi infrastrutturali e per la sicurezza nel settore idrico, che unisce in un unico strumento programmatorio e di pianificazione le precedenti sezioni e assume tra le proprie finalità l’incremento della resilienza dei sistemi dei sistemi idrici ai cambiamenti climatici e la riduzione le dispersioni di risorse idriche; al Piano nazionale si aggiunge il programma europeo React-Ue (con risorse dedicate prioritariamente al Mezzogiorno).

Il terzo. Se sino ad ora abbiamo trattato dei conflitti tra funzioni e utilizzi della risorsa idrica, non si può non fare un cenno anche alla situazione conflittuale che si è manifestata all’interno del mondo agricolo, con forti tensioni tra compagini rurali di territori diversi. Entro il settore agricolo (comunque in innegabile ritardo nel passaggio a colture meno idroesigenti e a sistemi di irrigazione “di precisione”), si sono registrate tensioni ogniqualvolta si è reso necessario allocare risorse idriche non più sufficienti a soddisfare la domanda irrigua (estremamente concentrata nel tempo) in direzione di areali in cui le colture presentavano maggiori probabilità residue di giungere a maturazione. Decisioni razionali ma comunque ‘tragiche’ (per parafrasare Trimarchi – Bobbit[33]), che hanno segnato la perdita di raccolti in interi distretti. Decisioni che avevano ad oggetto la distribuzione tra gli utilizzatori dell’acqua derivata da una presa (dalla quale la possibilità di attingimento si riduce a causa della siccità e delle conseguenti misure limitative). Conflitti di questa natura insorgono entro il sistema consortile, in quanto le decisioni selettive (di “secondo livello”, a valle della regolazione “primaria” della concessione) sono assunte dagli organi tecnico-rappresentativi dei consorzi[34], al centro di contestazioni e parsi non sempre attrezzati rispetto allo scenario inusitato della gestione di un razionamento dagli effetti esiziali (e ad accentuare la conflittualità hanno concorso anche il ritardo nell’adozione di piani di gestione degli scenari di razionamento che dovrebbero “oggettivare” e “predeterminare” le scelte allocative e l’atteggiamento in qualche caso protezionistico assunto dalle Regioni in caso di consorzi nterregionali). Indubbiamente si tratta di decisioni non “neutrali”, non banalizzabili alla stregua di mere operazioni materiali sui dispositivi idraulici del reticolo consortile che si diparte dai grandi canali. Decisioni che necessitano della previsione di più rigorose garanzie procedurali e, prima ancora, dell’approvazione di protocolli tesi da rendere prevedibili (e pienamente giustiziabili) scelte fortemente selettive.

In termini più generali, i ricorrenti conflitti tra i gestori degli invasi montani (le grandi società idroelettriche) e i consorzi irrigui di pianura (si può ricordare il caso emblematico del Lago di Idro, che ha opposto a lungo la Provincia Autonoma di Trento e la Regione Lombardia, ovvero la tormentata vicenda della sperimentazione dei livelli di regolazione del Lago Maggiore) e le tensioni innescate dalle scelte consortili con impatti diretti sul settore risicolo costituiscono – a ben vedere – una inedita forma di manifestazione sito-specifica del conflitto climatico (una categoria sino ad ora impiegata per descrivere vicende comunque legate al surriscaldamento globale, di tutt’altra scala e soprattutto lontane da noi[35]), con cui dovremo confrontarci sempre più spesso e i cui costi, in termini di richieste di indennizzi e di sostegni per sostituzioni di colture, ricollocazione di manufatti, etc. rischiano di assumere dimensioni insostenibili. Un conflitto a cui si associa una domanda di giustizia ambientale e di azionabilità delle pretese all’accesso alla risorsa (una competenza nuova per i Tribunali delle Acque) da cui dipendono interi segmenti economici.

3. Dalla gestione della crisi alla regolazione della scarsità

La siccità costituisce una condizione naturale ma in questi mesi è risultata evidente anche una gestione deficitaria della risorsa. In una sola stagione si è scoperta la necessità di un “governo” delle acque (ben più di una disciplina normativa ed anche di una governance) in grado di esercitare un’azione di matrice regolatoria dell’allocazione di una risorsa essenziale, la cui scarsità costituisce un indicatore inequivocabile della più generale (e ben nota) crisi climatica, in cui si rinviene la causa delle riduzioni delle precipitazioni invernali e primaverili (rispetto alla climatologia di uno specifico territorio) e delle temperature roventi (secondo un trend reso manifesto dalle statistiche, che danno evidenza della brusca accelerazione del fenomeno nell’ultimo decennio). Il sistema eco-idraulico alpino (con ghiacciai perenni a lento rilascio e accumuli nei grandi laghi prealpini e nelle falde degli acquiferi sotterranei) in un solo anno sembra avere perso i propri caratteri di elevata efficienza idraulica, a cui la mano sapiente dell’uomo ha aggiunto nei secoli una ramificata trama di canalizzazioni.

Abbiamo parlato sin qui di crisi idrica (è il sintagma invalso nel discorso pubblico, in parallelo alle concomitanti crisi energetica ed epidemica). La risposta di ultima istanza è stata – come detto – la decretazione dello stato di emergenza e l’attivazione degli strumenti propri del sistema della protezione civile. Una risposta per definizione esterna al diritto delle acque, invocata – è bene evidenziarlo – anche per favorire l’accesso a immediati sostegni finanziari per il mondo agricolo[36] (mentre risposte allocative definitive appaiono obiettivamente difficili attuare in tempi rapidi anche a mezzo di deroghe alle norme procedurali ordinarie).

Cercando di allargare la prospettiva, occorre partire dalla consapevolezza che non ci si è trovati di fronte ad un evento straordinario: i segnali della scarsità estiva erano percepibili con largo anticipo e – dato che pare ancora sfuggire a molti – il fenomeno si inscrive entro una tendenza più generale alla progressiva e marcata riduzione delle risorse (il cambiamento climatico – lo si ripete – è già in atto ed è inarrestabile: possiamo solo adottare tempestive ed adeguate misure di adattamento[37]). Non siamo di fronte ad un’emergenza idrica. Siamo di fronte ad una condizione strutturale, con cause climatiche ed effetti idrologici (gli unici di cui ci occupiamo in questa occasione). Il problema si dovrebbe quindi definire, con maggior pregnanza lessicale, scarsità idrica. E la scarsità idrica dovrebbe essere affrontata con misure sistemiche e – aggiungiamo – con strumenti intrinseci al diritto delle acque.

Come andare dunque oltre la visione emergenziale, per alcuni versi consolatoria (le calamità naturali presentano occorrenze relativamente basse e, comunque, passano…), e in che direzione ripensare (e completare) il diritto delle acque per adattarlo alla stagione della scarsità (severa e permanente)?

L’intero sistema idrico (dal segmento delle concessioni di sfruttamento sino a quello della distribuzione domestica) è apparso vulnerabile. Occorre dunque interrogarsi sull’adeguatezza dei dispositivi settoriali (normativi, amministrativi e organizzativi) nel garantire risposte flessibili nell’assegnazione di una risorsa scarsa, con marcati picchi localizzati di insufficiente disponibilità. Adattività pare costituire il concetto-chiave. Adattività come unica possibile risposta strategica all’instabile disponibilità della risorsa naturale, a cui si giustappone un modello socio-economico incline ad esprimere una domanda rigida, derivante da strutture economiche (agro-industriali) e urbane ancora largamente idrodipendenti. Risalta quindi un disallineamento temporale: un picco siccitoso estivo impone misure immediate (come quelle esprimibili nei programmi di protezione civile) mentre la riconversione del sistema economico e insediativo richiede tempi lunghi e consistenti investimenti (demand side measures). Ciò significa che un eccesso di domanda potrà ripresentarsi anche nei prossimi anni e su questo versante non pare all’orizzonte una convinta azione di impulso pubblico nei confronti del sistema produttivo ed agricolo.

Un disallineamento si riscontra anche nel palinsesto degli strumenti giuridici, pensati sull’assunto (rivelatosi illusorio) della stabilità. Basti ricordare che la concessione di derivazione e prelievo da un corpo idrico ha rappresentato, a partire dall’età di mezzo sino alla cristallizzazione normativa tardo ottocentesca (e all’ipostatizzazione con il r.d. 1775/1933)[38], il paradigma di stabilità nelle assegnazioni pubbliche[39], mentre oggi è sempre più spesso necessario intervenire con misure che hanno l’effetto (anche se non sempre il nome) di revoche e flessibilizzazioni dei diritti di prelievo, tanto da suggerire l’elaborazione di una specifica categoria riferibile ad assegnazioni di beni ambientali in condizione di ‘incertezza certa’[40] (e, poiché l’incertezza della disponibilità connota ab origine tali assegnazioni, va sottolineato che i concessionari non avranno diritto ad indennizzi di sorta in caso di non imprevedibili riduzioni dei prelievi[41]).

La condizione di sicurezza idrica (finalità che non possiamo rinunciare a ricercare) pare perseguibile solo grazie ad un modello che incorpori la possibilità di continui interventi di adattamento da praticare (con ragionevole anticipo, grazie alla elevata capacità predittiva degli andamenti meteo-climatici) nelle diverse condizioni di disponibilità in risposta alle mutevoli dinamiche idrologiche (nelle quali, fortunatamente, la componente stocastica è minima). La regolarità delle stagioni idrologiche di un tempo appare ormai lontana. La stabilizzazione di un sistema complesso e strutturalmente instabile presuppone dunque l’esercizio di un’azione multilivello (dalle autorità distrettuali, alle regioni sino all’universo consortile), pubblica ma anche sussidiariamente privata (si pensi al ruolo di autentici strumenti di co-amministrazione che stanno assumendo, dopo la prima stagione pionieristica, i contratti di fiume[42]), orientata al continuo adattamento delle assegnazioni e degli utilizzi ai flussi istantaneamente e localmente disponibili. È questa la risposta, in attesa (sul lato dell’offerta) di soluzioni infrastrutturali non semplici, non immediate e comunque non conclusivamente risolutive, per il governo di un sistema posto di fonte ad una immanente condizione di scarsità e di insufficienza della risorsa a soddisfare con continuità la domanda istantanea (e anche sul lato della domanda – ovviamente – occorrono enormi adeguamenti al nuovo scenario). Prima che, in carenza di un aggiornamento delle politiche idriche (di cui si è stati capaci da lungo tempo in Spagna, per fare un solo esempio), la scarsità idrica riduca in condizione desertica intere parti della penisola (al centro del quadrante mediterraneo ove – come noto – è in atto una brusca accelerazione dei fenomeni climatici).

Occorre tuttavia passare dalla predittività della conoscenza alla precettività delle decisioni.

Il panorama è caratterizzato dal frazionamento e dalla parcellizzazione delle competenze pianificatorie e allocative (tra vari ministeri, autorità distrettuali, regioni ed enti concessori, consorzi ed Egato) e questo certamente non facilita decisioni coordinate ed efficienti. Ma il profilo su cui è opportuno riflettere è rappresentato dalla persistente carenza di una autonoma e definita funzione regolatoria, volta strutturare una correlazione continua e diretta tra il dato conoscitivo delle disponibilità e le condizioni di esercizio e i limiti imponibili alle diverse forme di sfruttamento lungo le aste fluviali. Regolazione è un lemma (polisenso) che rimonta al lessico specialistico del diritto delle acque di derivazione ottocentesca: si parla infatti di grandi laghi regolati (Lago Maggiore, di Como, di Garda) con riferimento alla fissazione dei livelli all’incile (e questa è stata un’altra leva su cui si è agito sin che è stato possibile anche negli ultimi mesi) e del pari si parla di regolazione delle concessioni con riferimento alla definizione imperativa dei moduli derivabili o delle quantità invasabili in periodi di magra. In passato iniziative di regolazione delle concessioni venivano praticate in casi eccezionali e circoscritti. Nel frangente attuale, il lemma dovrebbe assumere una nuova accezione. Non solo la regolabilità dovrebbe divenire il carattere ordinario di ogni concessione di prelievo e sfruttamento ma la regolazione della singola concessione (di invaso, di prelievo, etc.) dovrebbe costituire il riflesso (vincolato) di valutazioni operate a scala idrologica adeguata. In altri termini, si rende necessaria la configurazione di una funzione, da esercitare in maniera continua e dinamica, articolata nei due piani del monitoraggio delle disponibilità e dell’allocazione istantanea delle risorse tra diversi utilizzatori (con tasso di selettività crescente in risposta al manifestarsi di condizioni di scarsità). Assegnazione da operare – si ripete – sulla scorta di un bilanciamento tra esigenze non completamente sacrificabili (quelle ambientali e idropotabili, come detto) e di una gerarchizzazione tra le istanze rivali di sfruttamento economico, secondo il principio ordinatore definito dal già richiamato art. 167 del Codice dell’Ambiente. L’obiettivo da prefiggersi dovrebbe essere la riconduzione della gestione dinamica del singolo rapporto concessorio alla dimensione di risvolto operativo del bilancio di bacino (strumento che descrive le disponibilità, gli apporti e i prelievi lungo la traiettoria del corpo idrico, di cui già si dispone e di cui, mediante l’acquisizione del parere dell’autorità distrettuale, si tiene conto nel solo momento dell’assegnazione concessoria trascurando che il titolo amministrativo struttura un rapporto destinato a protrarsi per anni in condizioni di contesto per definizione mutevoli).

Cercando di ritrarre qualche indicazione dalla gestione della crisi dell’estate scorsa, in cui la distanza tra le sollecitazioni delle autorità distrettuali e le decisioni degli enti concedenti non è passata inosservata, si pone un problema di allocazione di una tale funzione entro un sistema multilivello, nel quale le autorità distrettuali non hanno attratto a sé le competenze concessorie. Occorre partire dalla necessità di attribuire valore realmente orientativo alla conoscenza aggiornata e oggettivante circa le condizioni dinamiche dei bacini (da ciò l’esigenza di ulteriori investimenti sugli osservatori per il monitoraggio continuo, istituiti su base volontaria presso le autorità distrettuali, in cui trovano opportunamente rappresentanza sia i diversi livelli di governo sia i portatori di interessi[43]). In tale direzione il ruolo delle citate autorità distrettuali, sino ad oggi impegnate innanzitutto in funzioni di pianificazione e depositarie di uno straordinario patrimonio conoscitivo, dovrebbe ulteriormente rafforzarsi, con assunzione della prerogativa di definire, quale corollario diretto dell’apparato analitico-previsionale, l’orientamento dei flussi verso le diverse forme e punti di utilizzo (plurimo) lungo le aste fluviali. E qui si incontra il profilo più problematico.

Pur senza preconizzare la sottrazione di poteri alle autorità concedenti (regioni, provincie, etc.), occorrerebbe quanto meno attribuire alle autorità distrettuali il compito di definire la cornice dinamica delle risorse assegnabili lungo un’asta, a cadenze più dilatate in periodi di piena disponibilità ed a cadenze più ravvicinate (e in termini vieppiù stringenti) nei periodi di carenza severa. Un compito da esercitare mediante modelli procedurali tesi a sollecitare la più ampia partecipazione delle diverse categorie di stakeholders, come le autorità hanno iniziato a fare da tempo. Le autorità distrettuali dovrebbero quindi disporre del potere di trasporre gli scenari circa gli andamenti meteo-idrologici aggregabili in fase conoscitiva in precise direttive di regolazione, valevoli a livello distrettuale e declinabili quindi per sottobacini, in maniera transcalare, dal livello più esteso sino al singolo invaso o derivazione. Ad oggi, allo sforzo di elaborazione di quadri di bacino (ed alla elaborazione di una sofisticata modellizzazione, in cui convergono i retaggi di esperienze e tradizioni che rimontano alle magistrature delle acque e l’innovazione tecnologica nel trattamento di big data) non corrisponde un reale vincolo di assunzione di decisioni coerenti (e tempestive) da parte della galassia degli enti concedenti (ai quali è riservata – si ripete – la regolazione del singolo rapporto concessorio). Gli osservatori si limitano alla pubblicazione di “bollettini”, estremamente ricchi di informazioni ma corredati da indicazioni prive di una qualche precettività e quindi destinate in molti casi a restare desolantemente esornative al prevalere di prudenze o interessi locali.

Nel rispetto di questa regolazione tecnica di bacino (scala ottimale per l’impostazione di eque decisioni allocative), le autorità concedenti (ed anche i consorzi) sarebbero in condizione di esercitare su basi decisamente più attendibili la regolazione dei singoli rapporti concessori – come detto – già oggi adattivi e flessibilizzabili. Se non è profilabile un accentramento della funzione concessoria (soluzione che riproporrebbe le tensioni che accompagnarono l’istituzione delle autorità di bacino[44]), appare ineludibile passare da un fascio di valutazioni puntuali decentrate ad un modello che ponga alla base di ogni decisione le dinamiche dell’intero corpo idrico, le funzioni ambientali e le interdipendenze tra le diverse pretese di utilizzo. Grazie alla enorme capacità di raccolta e trattamento di informazioni provenienti dalla rete idrografica e meteorologica, è possibile già oggi la simulazione di scenari ad ogni livello del bacino e, di conseguenza, non pare azzardato figurare i tratti di una funzione regolatoria di matrice prettamente tecnica (per un segmento addirittura essenzialmente algoritmica), con riduzione al minimo dei margini di apprezzamento discrezionale e piena ripetibilità delle decisioni, fondate sul primato della conoscenza predittiva nonché sull’applicazione di canoni allocativi che hanno il pregio della autoapplicatività. L’oggettività delle decisioni potrebbe costituire in futuro un profilo destinato ad assumere decisiva rilevanza, al prevedibile estendersi del contenzioso di fronte alla giurisdizione speciale delle acque sulla legittimità di decisioni di razionamento, in grado di segnare esizialmente le sorti di interi comparti economici.

In termini più complessivi, l’obiettivo dovrebbe essere andare oltre i “tavoli di crisi” (che rappresentano comunque un tentativo da parte delle regioni di assumere decisioni forti con il coinvolgimento dei diversi attori) e la sequela di provvedimenti emergenziali.

La sfida non è resistere all’emergenza ma imparare a gestire adeguatamente la scarsità, limitando al massimo il ricorso a deroghe ai parametri ambientali e operando con strumenti propri del diritto delle acque.

Solo un cenno all’uso idropotabile per segnalare che nei mesi scorsi moltissimi sindaci hanno dovuto esercitare il potere di ordinanza (a cascata rispetto ai provvedimenti regionali tipizzanti, secondo un modello già sperimentato nel pieno dell’emergenza epidemica) per vietare annaffiature ed altri comportamenti domestici e pubblici dissipativi non più sostenibili (lavaggi automobili e piazzali, riempimento piscine, fontane, etc.). In qualche caso si è reso necessario limitare le forniture notturne e in casi estremi si è dovuto ricorrere alle autobotti per garantire quantitativi minimi a comunità i cui schemi acquedottistici erano privi di disponibilità. In queste ipotesi il potere di ordinanza, in esercizio delle prerogative attribuite al sindaco quale rappresentante della comunità locale (e non quale organo decentrato del Governo) dall’art. 50 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (con conseguente applicabilità della sanzione prevista dall’art. 7-bis del d.lgs. 267/2000), è servito a disciplinare comportamenti, mentre i costi dei mezzi straordinari di fornitura sono stati assunti dai gestori del servizio idrico integrato (con successivo recupero in tariffa) ovvero sono stati sostenuti – come già detto – con fondi straordinari della protezione civile.

Anche su questo versante occorre uscire dalla visione emergenziale. In termini strutturali, occorre rafforzare ulteriormente l’incidenza orientativa dei segnali di prezzo[45]: l’articolazione tariffaria a scaglioni progressivi (increasing blocks)[46] definita dal metodo tariffario approvato da ARERA[47] è tesa a disincentivare consumi eccessivi ma non tutti gli utenti percepiscono la valenza dalla progressività relativamente ridotta del salto di scaglione. Inoltre, per paradosso, in carenza di una tariffa capitaria, le famiglie numerose scorrono verso la fascia tariffaria più elevata per consumi non voluttuari né comprimibili: anziché una funzione disincentivale i questi casi la tariffa finisce per produrre un effetto ingiustamente penalizzante[48]. Occorre inoltre la messa in campo di campagne educative e di iniziative di nudging, sperimentate con successo in molti contesti, a cui affidare l’obiettivo della progressiva (e decisa) riduzione dei consumi non essenziali[49]. Si può anzi affermare sulla scorta di precise evidenze empiriche[50] che le politiche idriche costituiscano uno dei settori in cui, dovendo incidere sulle dinamiche comportamentali degli utenti, siano decisivi gli approcci proposti da tempo dalle behavioral sciences[51].

Certamente per fronteggiare la scarsità servono anche interventi infrastrutturali straordinari. Per la riduzione delle perdite di rete (un autentico scandalo italiano, con livelli di dispersione che in alcune parti del paese raggiungono il quaranta per cento di acqua preventivamente sanificata che non viene recapitata), per la diversificazione delle fonti di approvvigionamento del servizio idrico integrato, l’interconnessione e ridondanza delle reti, l’informatizzazione delle infrastrutture, etc. E’ inoltre innegabile il bisogno di rafforzare, già nel breve periodo, la capacità di raccolta, per trattenere le risorse fluenti prima che ruscellino a valle. Le prime risposte (timidamente) affacciate dalla politica per fronteggiare la crisi, imperniate sulla costruzione di nuovi invasi, anche grazie al riorientamento di parte delle risorse del PNRR (entro cui alle politiche idriche era stata originariamente riservata un’attenzione obiettivamente insufficiente), hanno immediatamente innescato un serrato dibattito tecnico-scientifico, in cui alle esigenze di aumento delle disponibilità invasabili si oppongono istanze ambientali e idrologiche. Gli invasi montani, dai quali è difficile immaginare di poter prescindere, hanno indubbiamente un impatto significativo sul paesaggio e, soprattutto, sulle dinamiche corsuali in quanto, trattenendo i sedimenti, riducono il trasporto solido, con conseguente amplificarsi a valle della tendenza all’erosione spondale. Le dighe – è stato ricordato – costituiscono inoltre un fattore di pressione che concorre al mancato raggiungimento del buono stato ecologico in molti corpi idrici[52]. In alternativa, sarebbe preferibile un consistente investimento sulla capacità di ricarica controllata delle falde, sulla riduzione del ruscellamento delle acque (con interventi sul reticolo minuto, misure NBS quali ad esempio spazi collettivi allagabili senza danni in caso di eccedenze meteoriche[53], etc.) anche mediante de-impermeabilizzazioni e migliorare della qualità fisica e biochimica dei suoli al fine di rafforzare la forma di stoccaggio più naturale ed efficiente e di perseguire un drenaggio urbano sostenibile[54].

Il dibattito è solo agli inizi ma il rischio è che si spenga presto.

Almeno sino alla prossima emergenza percepita. Quando il “nuovo” diritto delle acque sarà costretto a passare nuovamente il testimone alla protezione civile.

  1. Professore ordinario di diritto amministrativo nel Dipartimento di Diritto, Economia e Culture dell’Università degli Studi dell’Insubria.
  2. ISPRA, Nota ISPRA sulle condizioni di siccità in corso e sullo stato della risorsa a livello nazionale, luglio 2022, in www.isprambiente.gov.
  3. Decreto Direttoriale del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare Prot. 86/CLE del 16 giugno 2015 con cui è stata approvata la Strategia Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici.
  4. Nel Rapporto ISPRA 323/2020 Le risorse idriche nel contesto geologico del territorio italiano. Disponibilità, grandi dighe, rischi geologici, opportunità si indica che “il settore agricolo utilizza il 60% dell’intera richiesta di acqua, il settore energetico e industriale il 25% e gli usi civili il 15%. Il consumo d’acqua pro-capite vede l’Italia al primo posto in Europa ed al terzo mondo su scala globale dopo Stati Uniti e Canada”.
  5. ARERA (2022) Relazione annuale sullo stato dei servizi e sull’attività svolta 2021.
  6. Commentario alle disposizioni in materia di risorse idriche, a cura di U. Pototschnig – E. Ferrari, Padova, 2000; D. Casalini, Fondamenti per un diritto delle acque dolci, Torino, 2014; A. Pioggia, Acqua e ambiente, in G. Rossi (a cura di), Diritto dell’ambiente, III ed., Torino, 2015, 262; L’acqua e il diritto, a cura di Giorgio Santucci – A. Simonati – F. Cortese, Trento 2011; Acqua, servizio pubblico e partecipazione, a cura di M. Andreis, Torino, Giappichelli, 2015; Acqua. Bene pubblico risorsa non riproducibile fattore di sviluppo, a cura di S. Staiano, Napoli, 2017.
  7. Il soggetto pubblico non è il ‘titolare’ delle acque bensì soltanto il ‘custode’ più efficiente in quanto dotato delle capacità derivanti dall’attribuzione del potere preposto alla funzione di tutela e di allocazione sostenibile e solidale.
  8. E. Boscolo, Le politiche idriche nella stagione della scarsità. La risorsa comune tra demanialità custodiale, pianificazioni e concessioni, Milano, 2012; più di recente, id., Water Resources Management in Italy: Institutions, Laws and Approaches, in Water Law, Policy and Economics in Italy, a cura di P. Turrini – A. Massarutto – M. Pertile – A. Carli, Londra, 2021, 105.
  9. ISPRA, Nota ISPRA sulle condizioni di siccità in corso e sullo stato della risorsa idrica a livello nazionale, cit.
  10. R. Louvin, Aqua Aequa. Dispositivi giuridici, partecipazione e giustizia per l’elemento idrico, Torino, 2018; da ultimo, L. Ferrajoli, Per una Costituzione della Terra, Milano, 2022, 115.
  11. L. Imarisio, La riforma costituzionale degli articoli 9 e 41 della Costituzione: un (prudente) ampliamento di prospettiva del diritto costituzionale dell’ambiente, in questa Rivista, 2022.
  12. Presidente Giunta Regionale della Lombardia, Ordinanza 24 giugno 2022, n. 917 dichiarazione dello stato di emergenza regionale, di cui all’articolo 24, comma 9, del decreto legislativo 2 gennaio 2018, n. 1 (codice della protezione civile) e all’articolo 21 della legge regionale 29 dicembre 2021, n. 27 (disposizioni regionali in materia di protezione civile), derivante dalla carenza di disponibilità idrica nel territorio della Regione Lombardia configurabile come rischio di protezione civile ai sensi dell’articolo 3, comma 1, della l.r. 27/2021
  13. Autorità di Bacino Distrettuale per il Po, deliberazione della Conferenza Istituzionale Permanente 4/2017, Direttiva per l’introduzione del deflusso ecologico a sostegno del mantenimento/raggiungimento degli obiettivi ambientali fissati dal Piano di gestione del distretto idrografico.
  14. Autorità di Bacino Distrettuale delle Alpi Orientali, deliberazione della Conferenza Istituzionale Permanente, 2/2017, Direttiva per la determinazione dei deflussi ecologici a sostegno del mantenimento/raggiungimento degli obiettivi di qualità ambientali fissati dal Piano di gestione del distretto idrografico delle Alpi orientali.
  15. Decreto direttoriale n. 30/STA del 13 febbraio 2017, Linee guida nazionali per l’aggiornamento dei metodi di determinazione del deflusso minimo vitale funzionali al mantenimento del deflusso ecologico a sostegno del raggiungimento degli obiettivi di qualità ai sensi della Direttiva 2000/60/CE del Parlamento e del Consiglio europeo. Tale decreto era stato emanato sulla scorta delle indicazioni della Water Blueprint Strategy, elaborata dalla Commissione Europea nel 2012, aveva fatto emergere l’importanza che la gestione quantitativa della risorsa idrica riveste nel raggiungimento degli obiettivi della Direttiva Quadro Acque 2000/60/CE ed aveva introdotto il concetto di deflusso ecologico (ecological flow o e-flow), inteso come “volume di acqua necessario affinché l’ecosistema acquatico continui a prosperare e a fornire i servizi necessari”. La necessità di formare più solide basi conoscitive per la determinazione del deflusso ecologico ha indotto la Commissione Europea a promuovere nel 2015 la pubblicazione, nell’ambito della Common Implementation Strategy, di apposite linee guida: CIS GUIDANCE DOCUMENT n. 31 – Ecological Flow in the implementation of the water Framework Directive.
  16. Il parametro del deflusso ecologico ha progressivamente sostituito il proprio antecedente costituito dal deflusso minimo vitale, rispetto al quale intercorre una differenza fondamentale: il secondo ha unicamente la valenza minimale di mantenimento degli ecosistemi negli alvei sottesi mentre il primo, più ambiziosamente, garantisce le condizioni per un reale recupero-mantenimento di condizioni ecosistemiche coerenti con le effettive potenzialità di un ecosistema acquatico.
  17. Anche se va rimarcato che il termine emergenza è usato impropriamente con riferimento alla siccità: si tratta infatti di un fenomeno i cui prodromi (scarsità delle precipitazioni, degrado degli acquiferi, etc.) si manifestano con grande anticipo e possono essere adeguatamente considerati in modelli di simulazione pienamente affidabili.
  18. 6. Il deterioramento temporaneo dello stato del corpo idrico dovuto a circostanze naturali o di forza maggiore eccezionali e ragionevolmente imprevedibili, in particolare alluvioni violente e siccità prolungate, o in esito a incidenti ragionevolmente imprevedibili, non costituisce una violazione delle prescrizioni della presente direttiva, purché ricorrano tutte le seguenti condizioni: a) è fatto tutto il possibile per impedire un ulteriore deterioramento dello stato e per non compromettere il raggiungimento degli obiettivi della presente direttiva in altri corpi idrici non interessati da dette circostanze; b) il piano di gestione del bacino idrografico prevede espressamente le situazioni in cui possono essere dichiarate dette circostanze ragionevolmente imprevedibili o eccezionali, anche adottando gli indicatori appropriati; c) le misure da adottare quando si verificano tali circostanze eccezionali sono contemplate nel programma di misure e non compromettono il ripristino della qualità del corpo idrico una volta superate le circostanze in questione; d) gli effetti delle circostanze eccezionali o imprevedibili sono sottoposti a un riesame annuale e, con riserva dei motivi di cui al paragrafo 4, lettera a), è fatto tutto il possibile per ripristinare nel corpo idrico, non appena ciò sia ragionevolmente fattibile, lo stato precedente agli effetti di tali circostanze; e) una sintesi degli effetti delle circostanze e delle misure adottate o da adottare a norma delle lettere a) e d) sia inserita nel successivo aggiornamento del piano di gestione del bacino idrografico”.
  19. Autorità di Bacino Distrettuale per il Po, deliberazione della Conferenza Istituzionale Permanente 4/2017, Direttiva per l’introduzione del deflusso ecologico a sostegno del mantenimento/raggiungimento degli obiettivi ambientali fissati dal Piano di gestione del distretto idrografico, cit., art. 7, rubricato Deroghe temporanee.
  20. D. G. R. 22 dicembre 2021, n. 27-4395 Attuazione del Piano regionale di Tutela delle Acque (PTA) di cui alla DCR n. 179-18293 del 2 novembre 2021. Approvazione delle Linee di indirizzo regionali per la gestione dinamica degli scenari di scarsità idrica.
  21. D.G.R. 21 giugno 2022, n. 40-5262 Ulteriori Linee di indirizzo regionali per la gestione dinamica degli scenari di scarsità idrica, a fronte dell’attuale carenza di disponibilità idrica sul territorio piemontese ad integrazione della D.G.R. n. 27-4395 del 22.12.2021.
  22. Va ricordato che l’Autorità di Bacino Distrettuale per il Fiume Po, nel disciplinare il ricorso al potere di deroga agli obblighi di rilascio volti a garantire il mantenimento in alveo del deflusso ecologico (esercitabile dalle amministrazioni concedenti) quale strumento straordinario di ultima istanza, differenziando a monte tra prelievi irrigui e per usi produttivi, ha previsto solo per i primi che le deroghe – quale extrema ratio atta a postulare danni all’ambiente – siano ammissibili solo ove sia dimostrato che siano “comunque già state poste in atto tutte le possibili strategie risparmio idrico, contenimento delle perdite ed eliminazione degli sprechi”, a sottolineare come la salvaguardia del prelievo agricolo, a cui non vengono richiesti rilasci forzosi, sia ammissibile solo alla condizione non sussistano ancora margini di razionalizzazione negli usi delle risorse. In altri termini, solo un sistema agricolo che abbia prodotto ogni sforzo di razionalizzazione degli usi nella prospettiva di ridurre la propria condizione di idrodipendenza è meritevole di un trattamento differenziato volto a consentire la prosecuzione dei prelievi e degli invasi anche in condizione di scarsità idrica severa.
  23. Nel recente passato si era già fatto ricorso ad ordinanze di protezione civile per fronteggiare situazioni (localizzate) di scarsità idrica: si possono ricordare, tra le altre, l’ordinanza 29 marzo 2019, n. 583, adottata per favorire e regolare il subentro della Regione Siciliana nelle iniziative finalizzate a consentire il superamento della situazione di criticità in atto nel territorio della Città metropolitana di Palermo; l’ordinanza 3 giugno 2019, n. 595, adottata per favorire e regolare il subentro della Regione Marche nelle iniziative finalizzate a contrastare la crisi di approvvigionamento idrico ad uso idropotabile nel territorio della Provincia di Pesaro e Urbino; l’ordinanza 7 agosto 2019, n. 602, recante ulteriori disposizioni di protezione civile finalizzate al superamento della situazione di criticità nel territorio della Regione Lazio; nonché l’ordinanza  18 dicembre 2019, n. 623, recante ulteriori disposizioni di protezione civile per favorire e regolare il subentro della Regione Umbria nelle iniziative finalizzate a contrastare la crisi di approvvigionamento idrico ad uso idropotabile nel territorio della medesima regione. Con la delibera del Consiglio dei ministri 7 marzo 2019 era stata inoltre disposta la proroga dello stato di emergenza in relazione alla crisi di approvvigionamento idrico ad uso idropotabile nei territori della Città metropolitana di Torino e delle Province di Alessandria, di Asti, di Biella, di Cuneo e di Vercelli. Con l’ordinanza 23 aprile 2021, n. 771, sono state emanate ulteriori disposizioni di protezione civile finalizzate al superamento della situazione di criticità determinatasi in conseguenza della crisi di approvvigionamento idrico ad uso idropotabile nei territori della Città metropolitana di Torino e delle Province di Alessandria, di Asti, di Biella, di Cuneo e di Vercelli.
  24. Si veda, ad esempio, l’articolato pacchetto di misure adottate dalla gestione commissariale della Regione Veneto, in www.regione.veneto.it, che vanno dall’approvvigionamento emergenziale di alcuni comuni sino alla riduzione temporanea nella misura del 50% delle prese dal Fiume Adige.
  25. All’articolo 16, comma 1, del decreto legislativo 2 gennaio 2018, n. 1 (Codice della protezione civile) è stato aggiunto il seguente periodo: «Allo scopo di assicurare maggiore efficacia operativa e di intervento, in relazione al rischio derivante da deficit idrico la deliberazione dello stato di emergenza di rilievo nazionale di cui all’articolo 24 può essere adottata anche preventivamente, qualora, sulla base delle informazioni e dei dati, anche climatologici, disponibili e delle analisi prodotte dalle Autorità di bacino distrettuali e dai centri di competenza di cui all’articolo 21, sia possibile prevedere che lo scenario in atto possa evolvere in una condizione emergenziale.». Del resto, va ricordato che anche per fronteggiare il deficit infrastrutturale sul versante della depurazione (che ha portato a plurime condanne da parte della Corte di Giustizia UE) è stato nominato un Commissario governativo, a riprova dello scetticismo generale rispetto alla capacità di settore con strumenti ordinari.
  26. Va ricordato che la soluzione rappresentata dalla nomina di commissari straordinari, ai sensi dell’art. 11 della l. 23 agosto 1988, n. 400, è già stata praticata per realizzare le opere di depurazione necessarie a limitare le conseguenze di procedure di infrazione attivate dalla UE; del pari opera un commissario per il dissesto idrogeologico ed un commissario unico per la depurazione.
  27. In tal senso si erano orientate anche le dichiarazioni del Ministro della Transizione ecologica (Corriere della Sera, 11 luglio 2022, Sulla siccità decenni di errori. Piano in quattro mosse, in cui si preannunciava, tra l’altro, anche l’emanazione di un decreto-legge (poi non emanato) fortemente orientato alla semplificazione procedurale con nomina di un commissario straordinario per il contrasto e la prevenzione della siccità.
  28. Già in sede di attuazione del PNRR al Dipartimento della Protezione Civile erano stati affidati compiti realizzativi in relazione ad un programma di interventi per fronteggiare il dissesto idraulico ed idrogeologico: Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) destina 15,06 miliardi di euro alla tutela del territorio e della risorsa idrica nell’ambito della Missione 2, Componente 4, che si prefigge di garantire la sicurezza, l’approvvigionamento e la gestione sostenibile delle risorse idriche lungo l’intero ciclo, attraverso una manutenzione straordinaria sugli invasi e di completamento dei grandi schemi idrici ancora incompiuti, nonché migliorandolo stato di qualità ecologica e chimica delle acque. In particolare, alla misura M2C4 –L.I. 4.1 «Ottimizzazione degli approvvigionamenti» 2 mld di euro; alla misura M2C4 –L.I. 4.2 «Riduzione perdite e digitalizzazione» 900 mln di euro + 482 mln di euro da altri fondi europei (RAECT-EU); alla misura M2C4 –L.I. 4.4 «Fognatura e depurazione» 600 mln di euro.
  29. Si veda, ad esempio, l’elenco di interventi previsti dalla Regione Piemonte, in www.regione.piemonte.it. Sull’ammontare complessivo di 7,6 milioni di euro, 800.000 euro sono relativi a costi già sostenuti per le autobotti, circa 6,8 milioni per interventi di somma urgenza realizzabili nel breve periodo (interconnessioni di rete, sostituzione e il potenziamento di pompe, opere di progettazione per il potenziamento di sorgenti o di sostituzione della rete idrica, ripristino di pozzi già esistenti e abbandonati, etc.).
  30. M. R. Mazzola, Introduzione al seminario Il problema dell’acqua: siccità, emergenza, programmazione (e il PNRR), in www.astrid-online.it.
  31. Le misure inerenti al servizio idrico sono ricomprese nella seconda missione “Rivoluzione verde e transizione ecologica” (M2) così come declinata nella quarta componente “Tutela del territorio e della risorsa idrica” (M2C4) e in misura residuale nella seconda componente “Agricoltura sostenibile ed economia circolare”. Nello specifico sono previste le due riforme dedicate al settore: 1. Semplificazione normativa e rafforzamento della governance per la realizzazione degli investimenti nelle infrastrutture di approvvigionamento idrico (M2C4 Rif. 4.1). 2. Misure per garantire la piena capacità gestionale per i servizi idrici integrati (M2C4 Rif. 4.2).
  32. Si vedano in proposito le puntuali osservazioni espresse dalla dalle Sezioni riunite controllo della Corte dei Conti nella Relazione sullo stato di attuazione del piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) del marzo 2022, in cui si denunciano i gravi ritardi infrastrutturali e si evidenza come anche sul versante del servizio idrico integrato si registra un autentico water service divide nello scorrimento verso gestioni unitarie in alcune regioni del Mezzogiorno (con conseguente ritardo anche negli investimenti sulla rete).
  33. G. Calabresi – P. Bobbit, Scelte tragiche, Milano, 1986.
  34. Per restare ad uno dei luoghi in cui è stato più forte il conflitto, si veda, per avere un esempio di (una scarna) regola allocativa, l’art. 60 dello Statuto del Consorzio Sesia Est, che dal Po e dal Lago Maggiore tramite il Canale Cavour, il Canale Regina Elena, di diramatori principali e una fitta rete consortile distribuisce la risorsa irrigua negli estesi quadranti novarese e pavese, ed è gestito dagli organi consortili (quale enti privato di interesse pubblico) sulla scorta di una intesa tra la Regione Piemonte e la Regione Lombardia, secondo cui ”Nei casi di penuria d’acqua, alle dispense irrigue della rete principale vengono applicate riduzioni temporanee che debbono mirare ad essere, nei limiti del possibile, percentualmente uguali per tutte le dispense stesse. Nel caso di eccezionali deficienze dell’acqua disponibile, il Consorzio può adottare misure particolari al fine di ridurre i danni e di conciliare nel modo più opportuno le legittime esigenze delle diverse utenze; rimane fermo l’obbligo del Consorziato al pagamento dei contributi corrispondenti alle portate prenotate.”.
  35. M. Delsignore, Il contenzioso climatico dal 2015 ad oggi, in Giorn. dir. amm., 2022, 265; S. Valaguzza, Liti strategiche e contenzioso climatico, in Riv. giur. amb., 2021, 67; R. Louvin, Spazi e opportunità per la giustizia climatica in Italia, in Dir. pubbl. comp. europ., 2021, 935.
  36. Con l’art. 13 del decreto legge 9 agosto 2022, n. 115 il fondo di solidarietà nazionale per interventi indennitari di cui all’articolo 15 del decreto legislativo n. 102 del 2004 è stato incrementato di 200 milioni di euro per il 2022, di cui fino a 40 milioni di euro riservati per le anticipazioni a vantaggio di imprese che abbiano subito danni da siccità dopo il mese di maggio 2022 in carenza di assicurazioni contro le calamità.
  37. Per tutti, in letteratura, J. Franzen, E se smettessimo di fingere? Ammettiamo che non possiamo più fermare la catastrofe climatica, Torino, 2020.
  38. E. Boscolo, Le concessioni idriche e l’assegnazione di beni pubblici in condizioni di incertezza, in Negoziazioni pubbliche. Scritti su concessioni e partenariati pubblico-privati, a cura di M. Cafagno – A. Botto – G. Fidone – G. Bottino, Milano, 2013, 488.
  39. Non va inoltre trascurato che ogni derivazione determina una profonda alterazione dei delicati equilibri eco-idrologici che connotano il sistema idrico e concorre a diminuirne la capacità di autodepurazione e il tasso di biodiversità. Per paradosso, all’uso eccezionale della risorsa (come si è soliti definire l’uso oggetto di concessione, che sottrae il bene agli usi generali) e al pregiudizio inferto ai funzionamenti ecologici non corrisponde neppure un significativo ritorno finanziario: la scarsa selettività dei canoni tenuti politicamente bassi impedisce infatti una piena remunerazione della risorsa e lascia spazio a impieghi decisamente sub-ottimali. Siamo decisamente lontani dalla corresponsione di canoni allineati ai reali costi ambientali di sottrazione della risorsa (secondo quanto previsto dal decreto del Ministro dell’Ambiente 24 febbraio 2015, n. 39 (Regolamento recante i criteri per la definizione del costo ambientale e del costo della risorsa per i vari settori d’impiego dell’acqua) e solo nelle leggi regionali di ultima generazione in tema di grandi concessioni idroelettriche (ne sono un esempio la l.r. Lombardia 8 aprile 2020, n. 5 e la l.r. Veneto 3 luglio 2020, n. 27) si cominciano ad affacciare in termini espliciti i temi della compensazione degli impatti sugli ecosistemi fluviali e sugli assetti morfologici e fisici dei corpi idrici e dei territori rivieraschi.
  40. E. Boscolo, Le concessioni idriche e l’assegnazione di beni pubblici in condizioni di incertezza, cit., passim.
  41. Cass., ss. uu., 21 dicembre 2005, n. 28268, ove si è affermata la legittimità della riduzione, in carenza di indennizzi, dei quantitativi prelevabili da due bacini sardi in seguito alla determinazione del deflusso minimo vitale; questa posizione è stata riaffermata dalla Cassazione nel recente caso (ACEA – Lago di Bracciano): Cass., ss. uu., 12 gennaio 2021, n. 252.
  42. Strumenti volontari attraverso i quali comunità ‘di luogo’ assumono responsabilità anche gestionali entro uno schema di governo per pacta della risorsa fluviale (L. Bobbio, Produzione di politiche a mezzo di contratti nella pubblica amministrazione italiana, in Stato e mercato, 2000, 111), in esplicazione del principio di sussidiarietà orizzontale: ex multis, da ultimo, A. Formica, Il contratto di fiume quale strumento privilegiato per il contrasto al dissesto idrogeologico, in Riv. giur. urban., 2021, 900; A. Crismani, Spunti e riflessioni sul modello consensuale nella gestione dei beni pubblici ambientali, in Riv. giur. ed., 2021, 47.
  43. Si veda, ad esempio, la Deliberazione dell’Autorità di Bacino distrettuale del fiume Po n. 1 del 13 luglio 2016 recante “Istituzione dell’Osservatorio Permanente sugli utilizzi idrici nel Distretto del fiume Po”.
  44. Tensioni definitivamente sopite da C. cost., 26 febbraio 1990, n. 85. Sulle posizioni regionali allora espresse dalle regioni: U. Pototschnig, La difesa del suolo (ovvero: le Regioni senza difesa), in Le Regioni, 1991, 22.
  45. A. Travi, La disciplina tariffaria nel servizio idrico integrato, in Riv. reg. merc., 2014, 1; S. Vaccari, La regolazione tariffaria del Servizio Idrico Integrato tra ideologie e vincoli normativi, in Munus, 2018, 1247.
  46. M. Atelli, Il ruolo della tariffa nella disciplina del servizio idrico integrato, in Anal. giur. econ., 2010, 221.
  47. MTI-3 (metodo per il terzo periodo tariffario 2020-2023), approvato con delibera 580/2019/R/IDR del 27 dicembre 2019.
  48. E. Boscolo, La funzione tariffaria nel settore idrico tra recupero di efficienza, istanze ambientali e sociali, in Diritto amministrativo e società civile, III – Problemi e prospettive, Scritti in onore di Fabio Roversi Monaco, Bologna, 2020, 447.
  49. Le statistiche indicano un consumo medio pro capite superiore di circa quattro volte il quantitativo minimo giornaliero su cui si definisce la base tariffaria (dal cd. Bonus idrico alla consistenza del primo scaglione tariffario): fonte ARERA (2022) Relazione annuale sullo stato dei servizi e sull’attività svolta 2021.
  50. Sulle quali G. Cavalieri, Scienze comportamentali e impiego di risorse esauribili: le politiche idriche sul consumo domestico di acqua, in Dalle regole ai comportamenti. Conversazioni in tema di amministrazione e persuasione, a cura di M. Cafagno – E. Boscolo – C. Leone – M. Barbera – M. Fazio – G. Cavalieri, Milano, 2022, 179.
  51. Per tutti, Analisi comportamentale delle politiche pubbliche. Nudge e interventi basati sulle scienze cognitive, a cura di R. Viale – L. Macchi, Bologna, 2021.
  52. Centro Italiano di Riqualificazione Spondale (CIFR), Siccità: perché costruire nuovi invasi non può essere la soluzione, luglio 2022, in www.cirf.it.
  53. F. Musco, Nature-Based Solutions. Tecniche e strumenti per le città resilienti, in Equilibri, 2018, 105.
  54. Si pensi anche all’interesse che hanno suscitato i primi interventi di stoccaggio negli ambiti di cava.