Soluzioni diverse per il finanziamento dell’autonomia differenziata: le ambiguità del disegno di legge Calderoli

Stefano Piperno [1]

Sommario:

1. Il finanziamento dell’autonomia differenziata all’interno delle regole del federalismo fiscale – 2. Il finanziamento dell’autonomia differenziata nel ddl Calderoli – 3. Due o tre modelli di finanziamento possibile

Il finanziamento dell’autonomia differenziata all’interno delle regole del federalismo fiscale

Il disegno di legge recante “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle regioni a statuto ordinario” è stato presentato dal ministro Calderoli al Senato il 23 marzo di questo anno (atto Senato n. 615). Attualmente è in discussione presso la Commissione affari costituzionali del Senato. Il disegno di legge è strettamente collegato alle norme contenute nei commi 788 e 791-804 della legge di bilancio per il 2023 (L. n. 197/2022) che ne costituiscono un presupposto indispensabile.

Un profilo rilevante con cui può essere esaminato il disegno di legge è quello finanziario, ovvero relativo ai meccanismi di finanziamento delle funzioni aggiuntive che possono essere attribuite alle Regioni sulla base di intese bilaterali con lo Stato e all’interno delle quali essi vanno definiti.

Tutte le esperienze internazionali di decentramento politico segnalano infatti come uno dei nodi più delicati del trasferimento di funzioni dal centro alla periferia sia quello finanziario, ovvero la difficoltà di rispettare la regola che “la finanza deve seguire le funzioni” evitando di assegnare risorse finanziarie prima di avere attribuito le nuove competenze, pena il rischio di darne eccessive (come già avvenuto in Italia quando furono istituite le prime Regioni a Statuto Speciale) o in misura insufficiente a coprire il costo dei servizi attribuiti. Il rispetto di questa regola richiede tre passaggi principali: la valutazione preventiva del costo complessivo delle nuove funzioni da trasferire e quindi dell’ammontare delle risorse necessarie per il loro svolgimento; la scelta sul tipo di entrate aggiuntive da attribuire ai governi regionali (entrate tributarie proprie e derivate, compartecipazione a entrate erariali, trasferimenti statali o un mix di tali fonti) per finanziarle e, infine, la definizione dei criteri per la loro distribuzione nell’anno iniziale del trasferimento e, soprattutto, negli anni successivi. Nel nostro caso assumono particolare rilievo le regole per la distribuzione dei trasferimenti perequativi, considerato il vincolo costituzionale dato dai commi 3, 4 e 5 dell’art. 119 della Costituzione. Da questo punto di vista il disegno di legge va analizzato alla luce dell’art. 116 c. 3 della Costituzione che richiede che le forme dell’autonomia differenziata rispettino i principi dell’art. 119 della Costituzione poi esplicitati dalla L. n. 42/2009 “Delega al governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’art. 119 della Costituzione” e dal D. Lgs. n. 68/2011 che ha regolato il sistema di finanziamento delle Regioni a statuto ordinario ma è stato attuato solo molto parzialmente con successivi rinvii delle scadenze originariamente previste.

È però assolutamente necessario ricordarne i tratti essenziali in quanto, curiosamente, essi sono stati spesso dimenticati nel dibattito che si è aperto a partire dalle prime proposte delle Regioni Lombardia, Veneto e Emilia e Romagna e, in questi ultimi mesi, sul disegno di legge Calderoli. Il meccanismo è indubbiamente piuttosto complicato ed è descritto nello schema sintetizzato nella Figura 1. Le risorse tributarie principali che affluiscono alle Regioni, sono l’IRAP (destinata ad essere soppressa dalla delega fiscale), l’addizionale Irpef (che dovrebbe esser sostituita da una sovraimposta dalla delega fiscale) e la compartecipazione all’IVA riferita al territorio regionale. Sono poi previsti trasferimenti perequativi statali per consentire il finanziamento delle due tipologie fondamentali di spesa delle Regioni, quelle necessarie alla fornitura dei Livelli essenziali delle prestazioni (LEP) concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti in tutto il territorio nazionale (Tipo I-LEP) nelle materie della sanità, dell’assistenza, dell’istruzione, dei trasporti pubblici locali relativamente agli interventi in conto capitale, nonché dei livelli “adeguati” del servizio di trasporto pubblico locale, con la possibilità di includere successivamente ulteriori settori (art. 8, L. n. 42/09 e art. 13, D.Lgs. n. 68/2011), e quelle relative alle altre funzioni regionali per le quali non vale questo tipo di garanzia (Tipo II-non LEP). Il finanziamento delle spese di Tipo I è ottenuto attraverso una serie di tributi propri derivati calcolati ad aliquota e base imponibile uniforme (capacità fiscale standardizzata) integrati da un Fondo perequativo verticale capace di coprire il costo standard dei Lep previsti. Lo Stato, cioè, finanzia solo la differenza tra le spese standardizzate e le entrate tributarie che ogni Regione può raccogliere in base alle aliquote base e non a quelle effettive per evitare comportamenti strategici delle Regioni volti alla riduzione del loro sforzo fiscale.

Figura 1 Modalità di finanziamento delle diverse tipologie di spesa delle Regioni a Statuto Ordinario e regole di distribuzione del Fondo perequativo secondo lo schema previsto a regime dalla L. n. 42/2009 e il D.Lgs. n. 68/2011. Il modello in vigore e sinora inattuato.

TIPOLOGIA SPESA (Tipo I: spese LEP)

Spese necessarie per il finanziamento fornitura dei LEP (§)

(Tipo II: spese non LEP)

Altre spese regionali

FINANZIAMENTO 1) Irap ° *

2) Quota addizionale^ regionale Irpef *

3) Compartecipazione IVA basata sull’aliquota di equilibrio per la Regione con massima capacità fiscale

4) Altri tributi regionali propri e derivati

5) Quote di un Fondo perequativo verticale (senza vincolo di destinazione a queste spese).

1) Addizionale regionale^ Irpef con aliquota rideterminata in misura tale da garantire la sostituzione di tutti i trasferimenti statali con carattere di generalità e permanenza (aliquota di equilibrio).

2) Altri tributi regionali propri e derivati

3) Quote di un Fondo perequativo orizzontale (senza vincolo di destinazione a queste spese).

REGOLE DI DISTRIBUZIONE DELLE COMPONENTI DEL FONDO PEREQUATIVO PEREQUAZIONE TOTALE

Garantita attraverso il finanziamento totale della differenza tra fabbisogni standard dei LEP e capacità fiscale per le Regioni per mezzo di un fondo perequativo alimentato da una compartecipazione all’IVA. La misura della capacità fiscale è standardizzata per individuare una “regione di riferimento” per l’aliquota base di compartecipazione IVA*.

PEREQUAZIONE PARZIALE

Garantita attraverso la perequazione parziale della capacità fiscale determinata dall’addizionale Irpef^ pro capite per le Regioni che dispongono di un valore sotto media per mezzo di un fondo perequativo orizzontale alimentato da quelle sopra media riducendo le differenze in misura non inferiore al 75 per cento, senza alterarne però, la graduatoria e favorendo le Regioni di minore dimensione demografica

(§) Livelli essenziali delle prestazioni (LEP) che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale sulla base di disposizioni di legge. (°) L’Irap è prevista in via transitoria e potrebbe essere sostituita da una addizionale all’IRES nella delega fiscale. (*) Si intende il gettito ad aliquota e base imponibile uniforme per tutte le Regioni a statuto ordinario. ^ La delega fiscale in discussione prevede la sostituzione dell’addizionale Irpef con una sovraimposta.

Per le spese di Tipo II il meccanismo avrebbe dovuto basarsi sull’entrata derivante dall’addizionale Irpef con un’aliquota di base rideterminata in misura tale da garantire il finanziamento di tutti i trasferimenti statali residui che sarebbero stati soppressi e con la possibilità di modificarla entro limiti determinati. Per garantire un finanziamento adeguato era previsto un Fondo perequativo orizzontale rispetto alla capacità fiscale standardizzata. Le Regioni avevano poi la possibilità di fornire prestazioni aggiuntive sia riguardo alle spese di Tipo I che a quelle di Tipo II con le manovre sui tributi propri e sui margini di variazione delle aliquote a loro concesse sui tributi propri derivati andando oltre la capacità fiscale standardizzata.

Questo schema di finanziamento è però rimasto quasi completamente inapplicato in quanto, da un lato, sono stati definiti solo i LEP relativi ai fabbisogni sanitari, chiamati LEA, per ripartire il Fondo sanitario, mentre tutti i residui trasferimenti settoriali statali sono rimasti in vigore e il meccanismo di perequazione orizzontale per le spese di Tipo II non è stato avviato. Di fatto, il sistema attuale è ancora basato sul D.lgs. n. 56/2000 che si fonda principalmente su una compartecipazione al gettito IVA nominalmente attribuita alle singole Regioni e poi tra di loro redistribuita a livello orizzontale. Nel corso degli anni il nuovo sistema è stato continuamente rinviato sino all’approvazione del PNRR che ha previsto l’attuazione della L. n. 42/09 entro il primo quadrimestre del 2026, prevedendo scadenze intermedie nel Dicembre 2023 per la definizione dei trasferimenti statali alle Regioni da fiscalizzare e nel Dicembre 2025 per la individuazione dei LEP e dei fabbisogni standard per le materie che riguardano i diritti civili e sociali. Successivamente, la legge di bilancio per il 2023 (c.791, L. n. 197/2022) ha ulteriormente spostato la scadenza finale al 2027 ma ha anche previsto la definizione dei LEP entro un anno dall’approvazione del disegno di legge Calderoli. A tale fine è stata istituita una Cabina di regia presso il Consiglio dei Ministri che entro 6 mesi dovrà effettuare una ricognizione normativa sulle materie da devolvere individuando quelle riferite ai LEP e determinando i LEP stessi anche con l’ausilio della Commissione tecnica sui fabbisogni standard e subordinatamente al vincolo degli equilibri generali di finanza pubblica (c.793, L. n. 197/2022). Entro i successivi sei mesi la Cabina di regia predisporrà uno o più schemi di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri con cui sono determinati, anche distintamente, i LEP e i correlati costi e fabbisogni standard nelle materie e funzioni aggiuntive da trasferire riferibili ai LEP. Gli schemi sono sottoposti a intesa con la Conferenza delle Regioni e trasmessi al Parlamento per ricevere un parere prima dell’approvazione. Peraltro, se la Cabina di regia- che nel frattempo ha visto l’istituzione a suo sostegno di un comitato tecnico scientifico di 61 autorevoli esperti con funzioni istruttorie – non concluderà la sua missione entro i tempi previsti sarà sostituta da un Commissario che dovrà svolgere il suo compito entro i successivi sei mesi per completare le attività non perfezionate. Non è questa la sede per approfondire questa procedura, ma colpisce sia la sua relativa velocità[2] sia il ridotto ruolo del Parlamento, come è stato rilevato da diversi costituzionalisti[3].

Partendo dal quadro di riferimento finanziario vigente occorre chiedersi se lo schema di finanziamento per il regionalismo asimmetrico contenuto nel disegno di legge Calderoli possa collocarsi al suo interno o apra lo spazio per lo sviluppo di un modello alternativo.

Il finanziamento dell’autonomia differenziata nel ddl Calderoli

Nel disegno di legge vi sono alcuni articoli che trattano del finanziamento dell’autonomia differenziata. L’art. 5 reca disposizioni di principio sull’attribuzione delle risorse finanziarie, umane e strumentali necessarie per l’esercizio da parte delle Regioni delle nuove funzioni. Tali risorse sono determinate da una Commissione paritetica Stato-Regione, disciplinata all’interno delle Intese Stato-Regioni. Esso va però letto insieme all’art. 4 che riconosce una differenza nelle procedure di trasferimento delle funzioni concernenti materie o ambiti di materie riferibili ai LEP (Tipo I) e le altre non riferibili ai LEP (Tipo II). Le prime possono essere effettuate solo dopo la individuazione dei medesimi LEP e dei relativi costi e fabbisogni standard che sono determinati con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, secondo le disposizioni di cui all’art. 1, commi da 791 a 801, della legge 29 dicembre 2022, n. 197, nelle materie o negli ambiti di materie indicati con legge. Viceversa, per le altre funzioni può essere effettuato con le modalità procedure e i tempi indicati nelle singole intese. Mentre quindi per le funzioni (aggiuntive) di Tipo I si prevede il parametro oggettivo dei costi e dei fabbisogni standard non vi sono indicazioni più precise sulle modalità da seguire per valutare il “costo storico” delle funzioni di Tipo II in ciascuna regione. Si può presumere che, almeno inizialmente, questo dovrebbe essere basato sull’ammontare dei fattori produttivi (lavoro, attrezzature mobili e immobili) presenti nei diversi territori e della spesa ad essi riconducibile, operazione non sempre facile come si è visto nelle precedenti esperienze di trasferimento di funzioni amministrative alle Regioni. Basti pensare alla individuazione delle specifiche missioni e azioni di bilancio da considerare all’interno delle materie da trasferire (UPB, 2013b), alla scelta del periodo di riferimento per la stima del costo (l’ultimo anno o una media pluriennale) o a quella sul valore di bilancio da utilizzare (stanziamenti, impegni, pagamenti)[4]. Va però anche considerato il rischio di un aumento dei costi a causa della frammentazione servizi prima forniti in maniera unitaria dallo Stato e non necessariamente compensati dalle economia di integrazione (UPB, 2013b) [5].

Il disegno di legge prevede poi (art. 5, c. 2) che il finanziamento integrale delle funzioni attribuite- senza quindi distinguere tra quelle di Tipo I e di Tipo II- partendo dalle valutazioni della Commissione paritetica, avvenga solo attraverso compartecipazioni al gettito di uno o più tributi erariali a livello regionale. Si richiama, a questo proposito, il 4° comma dell’art. 119 della Costituzione che parla di “gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio”. Non vi sono quindi riferimenti espliciti al D. Lgs. n. 68/11, né ad altre forme di finanziamento possibile come i tributi propri autonomi e derivati, le addizionali o una compartecipazione basata su una riserva di aliquota.

L’art. 7 del disegno di legge prevede poi che la Commissione paritetica debba annualmente valutare gli oneri finanziari derivanti per ciascuna Regione dall’esercizio delle funzioni e dall’erogazione dei servizi connessi alle nuove attribuzioni secondo quanto previsto dall’intesa, operazione assai delicata rispetto all’impatto che potrà avere sulle future modalità di finanziamento e che, comunque, non si capisce bene come si inserirebbe all’interno delle procedure di finanziamento ordinario stabilite dal D. Lgs. n. 68/11. Emergono altre due criticità. In primo luogo, non è chiaro se nella relazione tecnica prevista nelle intese, sia nello schema preliminare che nel testo definitivo (art. 2, comma 3) sia compresa già una prima valutazione delle loro implicazioni finanziarie, dato che questa viene rinviata al lavoro successivo delle Commissioni paritetiche nell’art. 5. In secondo luogo, manca qualsiasi riferimento a momenti di coordinamento tra le diverse intese bilaterali e di orientamento per le Commissioni paritetiche quasi che una operazione di questa delicatezza possa essere svolta senza un quadro di indirizzi univoci. Nel complesso, ci si avvicina molto agli schemi di finanziamento delle Regioni a statuto speciale basati su compartecipazioni contrattate periodicamente attraverso Commissioni bilaterali paritetiche, con un modello a carattere negoziale.

Vi è poi l’art. 8 che prevede che dal finanziamento delle intese non debbano derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Ciò significa che una volta fatta la ricognizione dei LEP presenti nelle funzioni aggiuntive è molto probabile che emergono dei vincoli finanziari alla copertura completa dei fabbisogni legati ai loro costi standard non coperti dalla capacità fiscale regionale attraverso trasferimenti perequativi. In pratica nei primi anni si potranno soddisfare i LEP solo parzialmente attraverso le risorse già destinate dallo Stato a quei servizi (Banca d’Italia, 2023). In sintesi, non si parte dai fabbisogni per determinare i finanziamenti, ma dalle risorse attualmente stanziate e evidenziate nella ricognizione che saranno ripartite pro quota e potranno arrivare al finanziamento completo dei LEP solo nel medio lungo periodo. Va sottolineato che a volte il processo descritto sembra riferirsi solo ai LEP relativi alle materie in cui si prevede un meccanismo di differenziazione ma appare ovvio che il sistema dei LEP debba essere definito in maniera unitaria con riferimento anche alle funzioni già svolte dalle Regioni incluse le residuali, tra cui, ad esempio, quelle relative all’assistenza e i relativi LEPS, nonché tenendo conto dei servizi che sono gestiti in condivisione da parte di più livelli di governo (i c.d. LEP multilivello).

Vi è una seconda criticità dovuta al fatto che nel combinato tra legge di bilancio e disegno di legge non si fa riferimento agli obiettivi di servizio come tappa intermedia per raggiungere i LEP da fissare con legge. Ne deriva che la ricognizione della cabina di regia probabilmente si limiterà ad assumere come LEP quelli esistenti o di fatto forniti sul territorio valutandone costi e fabbisogni standard con il vincolo dell’assenza di nuovi oneri per la finanza pubblica e rendendo così difficili politiche di riequilibrio territoriale nella fornitura dei servizi. Del resto questo è quello che è accaduto per il finanziamento dei LEA nel settore sanitario.

Infine, va ricordato l’art. 9 che prevede una sorta di razionalizzazione di tutte le misure perequative e di promozione dello sviluppo economico della coesione e della solidarietà sociale di finanziamento statale basate soprattutto su finanziamenti statali in conto capitale e finalizzate alla rimozione degli squilibri economici e sociali ai sensi del quinto comma dell’art. 119 della Costituzione. L’articolo pare essere una disposizione che mira a offrire qualche garanzia ulteriore per le aree meno sviluppate del paese anche se andrebbe in qualche misura coordinato con le modalità di finanziamento della perequazione infrastrutturale[6].

Complessivamente, l’assenza di ogni riferimento al quadro normativo in essere non chiarisce in che maniera il finanziamento delle competenze aggiuntive sotteso a queste scarne disposizioni debba conformarsi al sistema esistente (e inattuato) di regionalismo simmetrico, oppure possa seguire una sua strada autonoma[7]. Nel primo caso occorrerebbe garantire un unico modello integrato che mantenga sostanzialmente inalterato il suo disegno perequativo. Nel secondo, sarebbe comunque necessario proporne in maniera organica uno alternativo riformando la L.n.42/09. Ovviamente, per ottenere il primo risultato, la riforma dell’ordinamento finanziario regionale per le funzioni extra-sanitarie dovrebbe precedere o per lo meno andare in parallelo con quella relativa al finanziamento dell’ autonomia differenziata[8]. In tale caso il punto di partenza è sempre la distinzione tra i due tipi di funzioni. Per il finanziamento del fabbisogno standard delle nuove funzioni che generano spese di tipo I (LEP) una soluzione potrebbe essere una maggiorazione rispetto all’aliquota base della compartecipazione IVA relativa alla regione autosufficiente combinata eventualmente con una sovraimposta Irpef, sempre riferite ai territori. Questo può valere nell’ anno zero della riforma, ma il problema che si pone è rispetto alla dinamica nel tempo di questa compartecipazione aggiuntiva. Nella logica del modello previsto dal D. Lgs. n. 68/11 lo Stato si impegna infatti a finanziare la differenza tra fabbisogni standard e capacità fiscale standard. Se quindi una Regione con la sua capacità fiscale garantisce i LEP con una spesa inferiore alla spesa standardizzata si approprierà del surplus da efficienza migliorando ulteriormente il livello dei servizi o, eventualmente, riducendo la pressione fiscale regionale. Nel caso invece che non sia in grado di farlo dovrà ricorrere alla sua autonomia tributaria. Per garantire il rispetto di questa regola occorrerebbe una verifica periodica da parte delle Commissioni paritetiche su tutti i parametri del modello perequativo.

Passando invece alle funzioni di Tipo II (non-LEP) si potrebbe garantire il loro finanziamento aggiuntivo o utilizzando l’autonomia tributaria regionale adeguatamente allargata[9] per le Regioni ad autonomia rafforzata o attraverso un meccanismo di addizionale all’Irpef, compensata da una riduzione della componente erariale così come era previsto dall’art 2. del D. Lgs. n. 68/11 in relazione alla soppressione dei trasferimenti specifici statali alle Regioni, o di compartecipazione all’Irpef come nel disegno di legge. Il meccanismo perequativo basato sulla capacità fiscale dovrebbe essere ridefinito tenendo conto della asimmetria creando qualche complicazione. Anche in questo caso si porrebbe l’esigenza di valutarne la dinamica nel tempo.

Abbiamo visto però che a fronte di queste possibili modalità di finanziamento il disegno di legge parla solo di compartecipazioni al gettito di tributi erariali che potrebbe essere considerato come sistema a regime per finanziare le funzioni aggiuntive. Difficile però, se non impossibile, vederlo compatibile con il finanziamento ordinario delle spese di Tipo I LEP descritto in precedenza, perché nel tempo l’evoluzione del gettito erariale sul quale insistono le compartecipazioni, soprattutto quello riferito alle Regioni più dinamiche del Paese, potrebbe garantire risorse superiori ai fabbisogni standard di spesa riducendo conseguentemente le risorse erariali disponibili per il resto del paese per finalità perequative. Ma questo potrebbe avvenire anche per le spese di Tipo II non LEP per le quali però non è semplice effettuare una valutazione. Una ipotesi prospettata è quella di basarsi sul tasso di crescita della spesa pro-capite media per le stesse funzioni nelle Regioni in cui la fornitura resta affidata allo Stato (UPB, 2023a) ma forse in questo caso si potrebbe utilizzare anche una compartecipazione in quota fissa. In generale, infatti, i problemi del finanziamento delle funzioni asimmetriche sono direttamente collegati alla loro dimensione finanziaria. Molte di esse, specie quelle di Tipo II, hanno infatti natura solo regolativa richiedendo un ammontare limitato di risorse senza creare grossi problemi per il rispetto degli equilibri generali della finanza pubblica. Solo una trasferimento di funzioni rilevanti nel settore dell’istruzione che vede una spesa statale in buona parte “regionalizzabile” pari a oltre 50 miliardi e basato sulle compartecipazioni condizionerebbe notevolmente la politica centrale di bilancio. In tale caso potrebbero essere necessarie aliquote di compartecipazione particolarmente alte con il rischio di trovarsi di fronte a un problema di capienza del gettito dei tributi in compartecipazione per le Regioni con minore base imponibile (UPB, 2023b)[10].

Due o tre modelli di finanziamento possibile

Il disegno di legge Calderoli non chiarisce a quale modello di finanziamento si vuole ricorrere. Se ci si attiene ai suoi contenuti sembrerebbe che sia le funzioni aggiuntive di Tipo I LEP che di Tipo II non LEP saranno finanziate con compartecipazioni al gettito dei tributi erariali (Irpef e/o IVA) per garantire il costo standard delle funzioni LEP e il costo storico di quelle non LEP, mentre per il resto non si capisce bene se si andrà avanti con il modello ordinario richiamato in precedenza o si procederà ad una sua modifica. La scelta di privilegiare le compartecipazioni con quota fissa[11] si riallaccia alle prime proposte di Lombardia e, soprattutto, Veneto finalizzate originariamente alla riappropriazione del c.d. “residuo fiscale”, un concetto chiaro ma di quantificazione controversa (Brosio, Piperno, 2022) e comunque rifiutato dalla Corte costituzionale come possibile criterio di finanziamento (sentenza n. 83/2016).

A questo proposito l’Ufficio parlamentare del Bilancio (UPB, 2019, 2023a) ha giustamente evidenziato come vi siano due modelli ipotizzabili a seconda di come viene trattata l’evoluzione dell’aliquota di compartecipazione ai tributi erariali nel tempo. Il primo viene definito “autonomistico” ed è basato su una aliquota di compartecipazione che rimane stabile nel tempo per cui i guadagni di efficienza vengono incamerati dalle Regioni che però si assumono i rischi di una insufficienza di risorse alla quale dovranno fare fronte con la loro autonomia tributaria e, comunque, nel caso delle funzioni di Tipo I LEP dovranno garantirne la fornitura sulla base dei controlli conseguenti ai vincoli previsti dall’ art. 120 della Costituzione. In questo caso i bilanci delle Regioni con autonomia differenziata verrebbero ad avere una sorta di componente di finanziamento specifico per le funzioni aggiuntive basta su compartecipazioni all’Irpef e/o all’IVA, anche se senza formale vincolo di destinazione, sulla falsariga delle Regioni a Statuto speciale. Il secondo viene definito “cooperativo” ed è basato su una revisione periodica delle compartecipazioni in maniera tale da garantire sempre l’uguaglianza tra capacità fiscale e fabbisogni di spesa. Va detto che in questo secondo caso di fatto il sistema di finanziamento delle Regioni delle funzioni asimmetriche non dovrebbe discostarsi molto da quello delle funzioni simmetriche previsto dalla L. n. 42/09 e dal D.Lgs. n. 68/11 che, però, in base alla legge di bilancio dovrà essere completato entro il primo quadrimestre del 2027. In tale caso non si capirebbe la logica di prevedere due modelli con percorsi temporali diversi per il regionalismo asimmetrico e quello simmetrico. In ambedue i casi con l’aumento delle compartecipazioni si restringerebbero gli spazi dell’autonomia tributaria regionale basata su tributi propri e propri derivati. La questione di fondo è legata al fatto che uniformità delle prestazioni e autonomia finanziaria non sono interamente conciliabili. La soluzione, peraltro necessaria, di questo trade off può essere definita solo a livello politico all’interno dei vincoli costituzionali e di quelli generali di bilancio.

In conclusione, il modello di finanziamento dell’autonomia differenziata desumibile dal disegno di legge Calderoli presenta almeno tre alternative (adeguamento alle disposizioni della L. n. 42/09, finanziamento con compartecipazioni con quota fissa, finanziamento con compartecipazioni con quota variabile), in parte combinabili, la cui scelta rappresenta la soluzione di un nodo politico rilevante per il suo futuro percorso parlamentare. Certo, sarà necessario disporre di adeguati meccanismi di coordinamento della finanza pubblica supportati dall’UPB e da strutture tecniche già operanti come la Commissione tecnica per i fabbisogni standard e la SOSE. Chi scrive ha sempre visto con favore l’attuazione delle disposizioni della L. n. 42/09 che aveva garantito un ragionevole compromesso tra uguaglianza e differenziazione sancito anche da una approvazione parlamentare bipartisan che sarebbe bene in qualche modo replicare. Stupisce però che sinora non sia stato predisposto dal governo una sorta di libro bianco in cui presentare alcune simulazioni dei diversi modelli di finanziamento ipotizzabili, operazione certo non impossibile[12], che potrebbe consentire un dibattito pubblico più informato e sereno presentando alternative definite in maniera più trasparente.

Riferimenti

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UPB, 2023a, Audizione dell’Ufficio parlamentare di bilancio sui DDLL n. 615, 62 e 273 (attuazione dell’autonomia differenziata delle regioni a statuto ordinario) Intervento del Consigliere Giampaolo Arachi, testo disponibile in https://www.upbilancio.it/wp-content/uploads/2023/06/Audizione-UPB-autonomia_differenziata.pdf

UPB, 2023b, Audizione dell’Ufficio parlamentare di bilancio sui DDLL n. 615, 62 e 273 (attuazione dell’autonomia differenziata delle regioni a statuto ordinario) Risposta dell’Ufficio parlamentare di bilancio alla richiesta di approfondimenti, testo disponibile in https://www.senato.it/application/xmanager/projects/leg19/attachments/documento_evento_procedura_commissione/files/000/427/073/UPB_risposte_quesiti_autonomia_differenziata.pdf

Viesti G., 2023, Memoria predisposta per la Prima Commissione “Affari Costituzionali” del Senato in occasione della discussione del A.S. 615, d.d.l.”Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delleRegioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, dellaCostituzione”, disponibile in https://www.senato.it/application/xmanager/projects/leg19/attachments/documento_evento_procedura_commissione/files/000/426/849/Prof._Gianfranco_VIESTI.pdf

Zanardi A., 2023, Audizioni sui ddl 615, 273 e 62 Attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario, Memoria per la Commissione Affari Costituzionali del Senato della Repubblica, 1 Giugno disponibile in https://www.senato.it/application/xmanager/projects/leg19/attachments/documento_evento_procedura_commissione/files/000/426/905/Prof._ZANARDI.pdf

  1. Collaboratore dell’IRES, Istituto di Ricerche Economico Sociali del Piemonte e del Centro studi sul federalismo.
  2. Rispetto a quanto è emerso in passato per la definizione dei LEA nella sanità e dei LEP nel campo di alcune funzioni sociali dei Comuni.
  3. Per questi aspetti si vedano Buzzacchi, 2023 e Pallante,2023.
  4. Una indicazione si ottiene dal comma 793 della legge di bilancio per il 2023 (L. n. 197/2022) dove si prevede che “la Cabina di regia presso la Presidenza del Consiglio effettua, con il supporto delle amministrazioni competenti per materia, una ricognizione della spesa storica a carattere permanente dell’ultimo triennio, sostenuta dallo Stato in ciascuna regione per l’insieme delle materie di cui all’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, per ciascuna materia e per ciascuna funzione esercitata dallo Stato” e “individua, con il supporto delle amministrazioni competenti per materia, le materie o gli ambiti di materie che sono riferibili ai LEP, sulla base delle ipotesi tecniche formulate dalla Commissione tecnica per i fabbisogni standard”. In teoria, quindi, le Commissioni paritetiche dovrebbero poter contare sui risultati di questa complessa valutazione.
  5. A rigore si potrebbe addirittura riconoscere ai governi regionali interessati una limitata quota di spese aggiuntive (ad esempio, in percentuale del montante di risorse) a fronte di costi di trasferimento o di possibili diseconomia di scala conseguenti al trasferimento stesso. Si tratta di un modello seguito all’atto del secondo trasferimento di funzioni amministrative dallo Stato alle Regioni effettuato con il D.P.R. 616/77. Difficile ipotizzarlo nelle attuali situazioni della finanza pubblica.
  6. In particolare si veda l’art. 1 c. 815 della L. 178/2020 che ha istituito il fondo per la perequazione infrastrutturale dal 2022 al 2033.
  7. Come esplicitamente previsto dall.art.14 della L. n. 42/09.
  8. Per un approfondimento sulle ipotesi di finanziamento del regionalismo differenziato coerenti con il quadro normativo anche a livello formalizzato si rinvia a Arachi, 2017, Bordignon ,2023, Petretto, 2023, UPB, 2019, 2023a, 2023b, Zanardi, 2023.
  9. Come proposto da Petretto,2023.
  10. Problema segnalato anche dal Servizio del bilancio del Senato in una nota inizialmente pubblicata come non ufficiale; cfr. Servizio del bilancio del Senato, 2013.
  11. Per una posizione nettamente a favore delle compartecipazioni con una quota stabile nel tempo si può fare riferimento ai contributi di alcuni esperti che sostengono le posizioni della Regione Veneto e contestano le critiche di chi lega il modello basto sulle compartecipazioni in quota fissa su base territoriale alla riduzione della solidarietà tra Regioni; cfr. Bertolissi, 2023, Giovanardi, Stevanato, 2020, Giovanardi, 2023. Essi rifiutano anche ogni ipotesi di finanziamento basata sull’autonomia tributaria regionale. Curiosamente, però, gli Autori in questione non richiamano mai esplicitamente il modello previsto dalla L. n.42/09. Opinioni invece nettamente contrarie quelle di Viesti, 2023 e Buzzacchi, 2023.
  12. A partire da una stima della valorizzazione delle ulteriori funzioni attribuibili alle Regioni come era stato fatto per le pre-intese del 2018 e delle successive bozze di intesa del 2019 con Emilia e Romagna, Lombardia e Veneto da dove si poteva vedere che solo il trasferimento completo dell’istruzione avrebbe comportato un aumento significativo dei bilanci regionali. Cfr. Mangiameli et. al., 2020, pp.285-317. Una Commissione con compiti di studio supporto e consulenza in materia di autonomia differenziata presieduta dal compianto Prof. Beniamino Caravita era stata nominata dal Ministro Gelmini nel 2021 (d.m. 25 Giugno 2021) ma la sua relazione finale non ha mai avuto diffusione pubblica.