Stigmatizzare gli sconti per soli arabi è critica politica: la Corte d’Appello di Torino nega il risarcimento del danno al Museo Egizio (nota a Corte d’Appello di Torino, sentenza del 9 giugno 2021, n. 727)

 

Chiara Merlano[1]

(ABSTRACT)

Muovendo dal fondamento costituzionale e convenzionale della libertà di manifestazione del pensiero, il contributo propone un’analisi della recente pronuncia della Corte d’Appello di Torino, che ha ricondotto nell’alveo della critica politica il dissenso espresso dal leader di un partito politico locale nei confronti di un’iniziativa promossa da una nota Fondazione cittadina in favore di una categoria di soggetti. Seguono alcune riflessioni sulla dimensione “soggettivamente” politica di dichiarazioni che, secondo un orientamento giurisprudenziale più recente, sono attratte nel perimetro della critica politica.

1. La libertà di espressione e il diritto di critica: fondamento e limiti del loro esercizio.

Come noto, il diritto di critica trae origine dall’art. 21 Cost., che consacra la libertà di espressione.

Trattasi di un valore cardine della moderna democrazia pluralistica. L’esternazione del pensiero consente, infatti, l’avvio di un dibattito su temi d’interesse comune: è dal libero confronto in seno all’opinione pubblica che nascono e si sviluppano le idee, siano esse politiche, economiche, sociali, religiose, culturali, etc.[2].

Per tale ragione la libertà di cui all’art. 21 Cost. riveste un ruolo chiave nella formazione di un individuo e, di riflesso, della società. Non è arduo ritenere, quindi, che la libertà di manifestazione del pensiero sia il fuoco che alimenta lo scambio di idee, garantendo la dimensione pluralistica delle società contemporanee.

Dove questa libertà è assente, è carente anche l’informazione e, con essa, la formazione dell’individuo, il quale, a sua volta, andrà incontro a difficoltà nell’elaborazione e nella manifestazione di un proprio pensiero critico.

La libertà di cui all’art. 21 Cost. appare, dunque, un bene primario imprescindibile per il mantenimento di ogni altra libertà e diritto.

Come è stato argutamente osservato in dottrina[3], così declinata, la libertà in parola assume una duplice dimensione, individuale e sociale: individuale, poiché, mediante l’espressione di sé, l’uomo si manifesta a ogni altro uomo, ma anche sociale, intesa come pretesa rivolta allo Stato affinché garantisca, attraverso la libera circolazione di notizie, idee e opinioni, il confronto tra i cittadini, stimolando il dibattito pubblico e assicurando il controllo di ogni forma di potere.

Il ruolo che la notizia riveste per l’interesse generale rappresenta con sempre maggiore forza il parametro in funzione del quale l’ordinamento offre una tutela differenziata della notizia medesima[4].

In altre parole, quando la notizia, così come il giudizio e la critica che le sono rivolte, è giudicata rilevante per l’opinione pubblica, alla sua diffusione è accordata una tutela più ampia di quanto non riceva, invece, un contenuto di minore impatto sociale.

Questa modulazione della protezione accordata alla libertà in parola trae origine dalla giurisprudenza europea, specie della Corte di Strasburgo, che ha rappresentato un vero e proprio volano per la magistratura italiana.

Il parametro di riferimento convenzionale è l’art. 10, che appare, rispetto al nostro art. 21, più completo e puntuale nella definizione della libertà in parola nell’interpretazione che ne ha dato la Corte di Strasburgo. Mentre l’art. 21 Cost., previo generale riconoscimento del diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con qualsivoglia mezzo di comunicazione, si diffonde sulla stampa, l’art. 10 Cedu, dopo la consacrazione delle libertà di espressione, opinione e informazione, ne circoscrive i limiti che possono essere introdotti dalla Legge, a condizione che ve ne sia la necessità in ordine “alla sicurezza nazionale, all’integrità territoriale o alla pubblica sicurezza, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, alla protezione della reputazione o dei diritti altrui, per impedire la divulgazione di informazioni riservate o per garantire l’autorità e l’imparzialità del potere giudiziario”.

L’elenco, apparentemente ampio, contempla, in realtà, soltanto interessi di particolare rilievo sociale, che giustificano le limitazioni alle libertà in parola allorché ciò si renda necessario. Un’extrema ratio, dunque, che di fatto riduce le possibilità di costringere tali libertà, evidentemente ritenute di maggiore pregnanza per l’ordinamento europeo.

Ciò non significa, beninteso, che ove tali profili non vengano in rilievo, il pensiero possa essere esternato mediante qualsivoglia forma e contenuto, dovendo tale libertà trovare un equo bilanciamento con gli altri diritti, ugualmente protetti dall’ordinamento tanto nazionale quanto europeo: si pensi, a titolo esemplificativo, alla dignità, all’onore, alla reputazione, alla riservatezza e all’oblio.

Secondo il tradizionale orientamento della Suprema Corte, infatti, il nucleo dei diritti fondamentali, non può mai essere compresso[5]. Se è vero che i diritti appena citati sono passibili di una limitazione, ancorché consistente, è altresì vero che essi non possono subire una soppressione totale e incondizionata in ragione delle libertà di espressione, opinione e informazioni pressoché imperanti nelle società moderne.

S’impone, quindi, di necessità, un bilanciamento tra contrapposti diritti di pari rango, che ha trovato risposta nell’elaborazione, di matrice giurisprudenziale, dei tre noti criteri della verità, rilevanza e continenza.

Verità, rilevanza per l’opinione pubblica e continenza espositiva si aggiungono al limite, espressamente previsto dall’ultimo comma dell’art. 21 Cost., del buon costume[6] e all’esigenza, avvertita dalla Suprema Corte come “finalità immanente del sistema costituzionale[7], di impedire turbamenti dell’ordine pubblico.

I tre criteri si modulano variamente in funzione del pensiero oggetto di esternazione. Per quanto di rilievo ai fini della decisione della Corte d’Appello di Torino, più il tema oggetto di discussione si rivela di interesse per l’opinione pubblica e più esso si troverà, evidentemente, esposto a critiche.

Il diritto di critica, di cui la critica politica costituisce un’appendice, si presenta, quindi, come il naturale corollario della libertà di manifestazione di un pensiero.

La critica non è altro che l’esternazione di un dissenso personale: per sua natura, quindi, non può essere, né può pretendersi, neutra e obiettiva. Chi palesa dubbi e perplessità nei riguardi di un’iniziativa o di un’idea, più o meno condivisa, è portatore di un proprio giudizio valoriale, contrapposto al convincimento di altri o a un fatto certo[8]. Si può muovere una critica, infatti, così a un’opinione come a una notizia: quel che rileva è il giudizio, l’espressione del proprio dissenso motivato su un dato argomento.

Ne discende, allora, un’attenuazione dei tre criteri, in primis quello di verità. Affinché una critica sia lecita e scriminata dall’ordinamento, è sufficiente che essa muova da un fatto vero, ciò sul rilievo che, ove se ne esigesse la verità e, dunque, l’obiettività, se ne eliminerebbe per ciò solo l’essenza[9].

Quanto agli altri due criteri, va osservato come essi risultino reciprocamente dipendenti: maggiore è la rilevanza sociale dell’argomento, minore è l’esigenza di contenere i toni della critica e di mitigarne il dissenso.

Questo esito palesa l’esigenza, avvertita dagli ordinamenti via via come prioritaria, anche a scapito di altri diritti che conseguentemente risultano compressi, di stimolare il confronto tra le opinioni, al fine di favorire la crescita e lo sviluppo non soltanto degli individui, ma della stessa collettività: dove circolano le opinioni, infatti, crescono le idee e si diversificano le soluzioni, a tutto vantaggio della società.

Da qui la tendenza, in seno alla giurisprudenza, a restringere i limiti dei criteri dalla medesima elaborati per favorire la libertà di espressione.

2. L’allentamento dei criteri di verità, rilevanza e continenza nell’esercizio del diritto di critica.

Invero, è invalsa nella giurisprudenza, prima convenzionale e poi italiana, la tendenza a temperare i tre criteri di verità, rilevanza e continenza, arrivando ad ammettere la liceità dei pensieri che “urtano, scioccano o inquietano[10], al fine di promuovere una società aperta e tollerante, specie nei confronti delle opinioni più critiche.

Al riguardo, potrebbe obiettarsi che, in una società liquida come quella dell’Internet 2.0., con la circolazione delle notizie cresca anche la disinformazione e che sarebbe giocoforza contenere, anziché ampliare, la libertà in parola. È indubbiamente un rischio con il quale gli studiosi si stanno confrontando, ma che non s’intende approfondire in questa sede.

Ciò che preme evidenziare, invece, è che la promozione del dibattito pubblico, il quale concorre a determinare la politica nazionale, presuppone l’(es)tensione della libertà di manifestazione del pensiero, specie se critico, sferzante, mordace e penetrante.

La Corte di Strasburgo per prima ha innovato sul punto, ammettendo, che “La libertà di espressione costituisce una delle fondamenta essenziali di tale società [democratica], una delle condizioni sostanziali per il suo progresso e per lo sviluppo di ogni uomo. Sotto riserva del paragrafo 2 dell’articolo 10, vale non solo per le “informazioni” o “idee” che sono favorevolmente accolte o considerate inoffensive o indifferenti, ma anche per quelle che offendono, scuotono o disturbano lo Stato o qualunque settore della popolazione. Così richiedono il pluralismo, la tolleranza e lo spirito di apertura, senza i quali non esiste una società democratica[11].

Sulla scia di tale orientamento, anche la giurisprudenza nazionale ha avviato un ripensamento dei tradizionali limiti approntati alla libertà di espressione, elevando a parametro di modulazione il criterio della rilevanza.

La rilevanza sociale diviene, dunque, il criterio in funzione del quale si attenua il requisito della continenza, ferma la condizione che i fatti sui quali si fonda la critica siano veri. Così, ad esempio, si è sostenuto che: “L’esimente del diritto di critica è configurabile quando il discorso critico abbia un contenuto prevalentemente valutativo e si sviluppi nell’alveo di una polemica intensa e dichiarata su temi di rilevanza sociale – come è quello ravvisabile nel caso di specie, trattandosi di un giudizio che attingeva la destinazione da dare a una struttura pubblica di quella città – senza trascendere in attacchi personali, finalizzati all’unico scopo di aggredire la sfera morale altrui, richiedendosi che il nucleo ed il profilo essenziale dei fatti non siano strumentalmente travisati e manipolati[12].

Più di recente, i Giudici nazionali hanno sostenuto che la forma è parte integrante della manifestazione del pensiero, al pari del suo contenuto[13]: da ciò deriva che il veicolo di comunicazione e il modo in cui esso viene rappresentato è discrezionale, fermo il limite dell’attacco offensivo e gratuito alla persona[14].

Quando, infatti, l’esternazione trasmodi in un’aggressione violenta e personale, senza alcun collegamento coi fatti oggetto della critica, viene a mancare la finalità di interesse generale che giustifica la legittimità della critica, non essendo ritenuta di alcuna utilità e/o rilevanza per l’interesse pubblico l’offesa individuale: “Ciò che, infatti, rileva e determina l’abuso del diritto [di critica] non è la maggiore o minore aggressività dell’espressione o l’asprezza dei toni, ma la gratuità delle aggressioni non pertinenti ai temi apparentemente in discussione[15].

Su questo terreno si è sviluppato il dibattito intorno al concetto di critica politica.

3. La dimensione “politica” del diritto di critica.

Poiché la critica politica risponde a un interesse sociale, essendo di utilità per la libera discussione su temi d’interesse politico, la giurisprudenza si è mostrata particolarmente incline a mitigare il criterio della continenza, fin quasi ad annullarlo, al fine di favorire il dibattito pubblico e il controllo democratico.

Ancora una volta, a fungere da “apripista” è stata la Corte di Strasburgo, nel caso Oberschich c. Austria: “While it must not overstep the bounds set, inter alia, for “the protection of the reputation of others”, its task is nevertheless to impart information and ideas on political issues and on other matters of general interest. As to the limits of acceptable criticism, they are wider with regard to a politician acting in his public capacity than in relation to a private individual. A politician inevitably and knowingly lays himself open to close scrutiny of his every word and deed by both journalists and the public at large, and he must display a greater degree of tolerance, especially when he himself makes public statements that are susceptible of criticism. He is certainly entitled to have his reputation protected, even when he is not acting in his private capacity, but the requirements of that protection have to be weighed against the interests of open discussion of political issues, since exceptions to freedom of expression must be interpreted narrowly[16].

Tale giurisprudenza è stata ripresa, poi, dalla magistratura nazionale, secondo la quale: “il diritto di critica, quando si svolge in ambito politico, riveste necessariamente connotazioni soggettive e opinabili, dovendosi apprezzare le espressioni utilizzate tenendo conto del preminente interesse generale al libero svolgimento della vita democratica. In questa prospettiva, come anche ritenuto dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (decisione 1 luglio 1997, Oberschich c. Austria), allorquando la critica riguardi un uomo politico, che è un personaggio pubblico, i limiti alla protezione della reputazione si estendono ulteriormente, nel senso che il diritto alla tutela della reputazione deve essere ragionevolmente bilanciato con l’utilità della libera discussione delle questioni politiche[17].

Più di recente, i confini del diritto di critica politica sono stati estesi ulteriormente, ritenendo che l’utilizzo di frasi e immagini “tali da catturare l’interesse anche del lettore e dell’ascoltatore distratti” sia consentito sul terreno dello scontro politico, al fine di garantire il dispiegarsi della dialettica democratica e il formarsi dell’opinione pubblica[18].

E, ancora, si ritiene non necessario che la critica si manifesti nelle sedi istituzionali o in occasione di campagne elettorali, ben potendosi esprimere in maniera estemporanea[19].

Rimane fermo, invece, il requisito della verità su cui si fonda l’esternazione critica, che deve collegarsi a fatti puntuali e circoscritti. Al riguardo, si è ritenuto non ricorrente l’esimente dell’esercizio del diritto di critica politica ove siano usate espressioni aspre e accese “non collegabili a specifici episodi, risolvendosi in una gratuita manifestazione di sentimenti ostili[20].

Così ricostruito il fondamento normativo del diritto di critica, è interessante osservare come questi argomenti siano stati utilizzati dalla Corte d’Appello di Torino, che, con sentenza 9 giugno 2021, n. 727 ha riformato interamente la sentenza emessa dal Giudice di prime cure, non condividendo le conclusioni cui il medesimo era giunto sulla natura istigatoria delle frasi proferite all’indirizzo di parte attorea.

4. La questione di cui alla sentenza n. 727/2021 della Corte d’Appello di Torino.

La Corte d’Appello, con sentenza 9 giugno 2021, n. 727, ha accolto l’appello promosso dal Signor Crippa Andrea avverso la sentenza 20-21 aprile 2020, n. 1375, negando la tutela risarcitoria per danno non patrimoniale da lesione dell’immagine e della reputazione alla Fondazione “Museo delle Antichità Egizie di Torino”, in conseguenza di un video dal medesimo pubblicato sulla propria pagina Facebook, unitamente al post: “Al Museo Egizio ingressi gratuiti per gli arabi. E gli italiani? pagano”.

Tale video, apparso sul noto social network in data 17 gennaio 2018, era stato giudicato in primo grado lesivo dell’immagine e della reputazione della predetta Fondazione, in quanto il Signor Crippa, allora leader del “Movimento dei Giovani Padani”, affiliato al partito della Lega, aveva inscenato una telefonata a un falso centralinista dell’ufficio prenotazioni del noto Museo e, secondo le doglianze attoree, istigato i propri follower a una reazione violenta e offensiva avverso l’iniziativa “Fortunato chi parla arabo”, promossa dalla Fondazione.

Si tratta, osserva la Corte, di una scelta promozionale, discrezionale e pienamente legittima, in favore dei cittadini di origine, lingua e cultura araba, i quali avrebbero potuto beneficiare di uno sconto sul biglietto di ingresso al Museo.

Parimenti legittima, secondo la riformata sentenza di secondo grado, è l’opposizione del leader del “Movimento dei Giovani Padani”, esternata mediante la rappresentazione di un video, accompagnato da imperativi quali: “Condividiamo questa vergogna” e “Facciamogli sentire cosa ne pensiamo”.

Secondo la Corte d’Appello di Torino non v’è dubbio che la critica politica possa esprimersi anche mediante una messinscena, in quanto l’avverbio “liberamente” di cui all’art. 21 Cost. dev’essere necessariamente accostato a “ogni mezzo di diffusione”, a condizione, s’intende, che la modalità prescelta non sia tale da alterare la verità dei fatti, circostanza che, peraltro, viene esclusa nel caso in esame[21].

Proprio attorno al requisito della verità muove il ragionamento della Corte. Occorre, infatti, distinguere tra contenuto e forma del messaggio veicolato: mentre il contenuto dev’essere rispondente ai fatti, la forma può variare ed essere anche scenica, con l’unico limite di non manifestare “un’intrinseca valenza decettiva e ingannevole idonea per sé sola ad alterare, snaturandolo e falsificandolo, il contenuto del messaggio veicolato[22].

Nel caso di specie oggetto di critiche è l’iniziativa promossa dalla Fondazione appellata, spiegata fedelmente dal falso centralinista. Risulta rispettato, quindi, a giudizio della Corte, il canone della verità.

Inoltre, i Giudici osservano come il tema sia di indubbio rilievo per l’opinione pubblica, trattandosi dell’iniziativa “di un’importante e prestigiosa agenzia culturale cittadina avente, proprio per questo, un oggettivo impatto sociale e lato sensu politico[23].

Secondo la Corte, la critica mossa dall’appellante avrebbe, quindi, natura politica, essendo stata realizzata nell’ambito della campagna elettorale per le elezioni politiche del 4 marzo 2018 ed essendo il tema dei migranti il tema centrale del programma dei partiti di centrodestra, di cui l’appellante era esponente.

La circostanza che a parlare fosse un personaggio politico, per di più nel contesto di una campagna elettorale in atto, induce i Giudici a ritenere ancor più giustificato l’uso di “un linguaggio caratterizzato da tipiche procedure semiotiche (…) notoriamente finalizzate non solo a convincere razionalmente il corpo elettorale, ma anche a persuaderlo facendo appello alla sua emotività[24].

La magistratura sembra, quasi, persuasa a ritenere la propaganda elettorale una sorta di pubblicità commerciale[25] e conseguentemente leciti, oltre che tollerati, sloganellittici, suggestivi, allusivi, ridondanti, coloriti, esornativi, altisonanti e tendenti a esagerare e a enfatizzare la portata di una certa notizia o di un certo evento d’interesse pubblico[26], specie se veicolati tramite i social media, i quali, per loro natura, si prestano a forme comunicative più rapide, concise e attrattive.

Questo passaggio sembra alludere, invero, più al diritto di satira[27] che a quello di critica politica. Tuttavia, non è necessario richiamarsi a tale secondo aspetto: la giurisprudenza, infatti, ha già mostrato di riconoscere ampi margini alla critica politica, ammettendo il ricorso a un elevato grado di esagerazione e, persino, di provocazione[28] .

La Corte d’Appello di Torino evidenzia, poi, che, pur trattandosi di un’aspra e pungente critica nei riguardi dell’iniziativa promossa dalla Fondazione, la telefonata con il falso centralinista offre la possibilità ai consociati di meglio conoscere i requisiti e gli scopi della promozione, quasi a difesa dell’iniziativa stessa e in contrapposizione al dissenso manifestato dall’appellante, che rimane, quindi, una voce isolata.

Peraltro, avendo il falso centralinista difeso la vendita promozionale riservata ai soggetti di origine, lingua e cultura araba, non avrebbe potuto ledere l’immagine del Museo.

Da ultimo, i Giudici osservano che la critica sarebbe stata diretta all’iniziativa e non alla Fondazione, non trasmodando, quindi, in un attacco personale e avendo, invece, uno stretto collegamento coi fatti criticati, oltre che, come già osservato, un’indubbia finalità di interesse generale.

Da ciò deriva, quindi, che anche gli imperativi di accompagnamento al video di denuncia – “Condividiamo questa vergogna” e “Facciamogli sentire cosa ne pensiamo” – sarebbero perfettamente continenti e coerenti con l’intera vicenda di causa, senza che possa attribuirsi all’appellante la responsabilità dell’“incivile e scellerato florilegio di ingiurie, contumelie, minacce e offese telefoniche e telematiche” che seguirono all’indirizzo della Fondazione per mano di “qualche stupido hater”[29].

In ragione di ciò, la Corte d’Appello di Torino ha negato la sussistenza di una lesione dell’immagine e della reputazione della Fondazione appellata, ascrivendo la condotta del leader del “Movimento dei Giovani Padani” al legittimo esercizio del diritto di critica politica.

5. La dimensione “politica” della critica nel caso deciso dalla Corte d’Appello di Torino.

Siano, da ultimo, consentite alcune brevi osservazioni sui profili politici della critica avanzata dal leader del “Movimento dei Giovani Padani”.

La critica all’iniziativa “Fortunato chi parla arabo” della Fondazione “Museo delle Antichità Egizie” di Torino è stata esercitata, pacificamente, da un esponente politico e tanto basterebbe a richiamare la giurisprudenza, ampiamente citata, formatasi sul punto.

Tuttavia, a ben vedere, almeno fino all’epoca più recente, la giurisprudenza, tanto quella nazionale quanto quella convenzionale, opinava che “allorquando la critica riguardi un uomo politico, che è un personaggio pubblico, i limiti alla protezione della reputazione si estendono ulteriormente, nel senso che il diritto alla tutela della reputazione deve essere ragionevolmente bilanciato con l’utilità della libera discussione delle questioni politiche[30].

L’uomo politico sarebbe, quindi, esposto a critiche più acri e penetranti sul presupposto che le sue azioni suscitino ex se un singolare interesse per i cittadini e che la polemica sarebbe finalizzata a risvegliare le coscienze e a stimolare il controllo democratico.

In questa accezione sarebbe giustificata soltanto la critica intesa “ad attaccare l’attività politica del soggetto, allo scopo di favorire il dissenso dell’opinione pubblica rispetto alle scelte e agli indirizzi politici dell’amministrazione pubblica[31].

Nel caso in esame, invece, l’elemento “politico” è proprio di chi avanza e non di chi subisce la critica. Ancora, la critica è manifestata pacificamente nell’ambito di attività politica e al fine di favorire il dissenso di una parte dell’opinione pubblica, ma non rispetto a indirizzi politici dell’amministrazione o di un uomo politico, bensì a un’iniziativa promozionale di una Fondazione culturale cittadina.

Se è vero che l’amministrazione museale eroga un servizio pubblico di tipo culturale, è altrettanto vero che la dimensione politica della critica risiede tutta nelle intenzioni dell’esponente e non nell’attività promossa dal destinatario della medesima, almeno secondo la stessa lettura offerta dalla stessa Corte d’Appello di Torino, che ridimensiona la portata delle affermazioni rese dal leader del movimento politico, ritenendole fondate non su considerazioni etniche, ma di “capacità contributiva”.

Secondo l’assunto della Corte, l’iniziativa promozionale sarebbe in sé discriminatoria, in quanto finalizzata a favorire una categoria di individui a scapito di un’altra e, in quanto tale, pacificamente criticabile in una società democratica e pluralistica. Ecco, allora, che le dichiarazioni dell’esponente sembrano inquadrabili, più che nell’alveo della critica politica, in quello della critica tout court.

Diversamente il perimetro della critica politica, che beneficia di un allentamento del criterio di continenza, in ragione dell’indubbia rilevanza sociale che il tema oggetto di motivato dissenso suscita, risulta ampliato.

Ove però il discorso venga in parte rovesciato, ritenendo che sia il rilievo della notizia a fungere da parametro per la rimodulazione dell’esercizio del diritto di critica e non, come sembrerebbe emergere dall’orientamento maggioritario, il soggetto o il contesto della manifestazione di dissenso, forse la liceità delle esternazioni negative risulterebbe più coerente con la realtà “politica” che oggi pervade il sistema.

In tal senso, sembra orientarsi la giurisprudenza più recente, ove prevale – forse – l’idea che non soltanto l’attività politica tout court, ma altresì quella commerciale e culturale esercitata da soggetti privati possa essere oggetto di critiche indirettamente politiche, sul presupposto che i fatti o le opinioni espresse concorrono a formare l’opinione pubblica e, quindi, interessano la politica in senso lato[32].

Il profilo politica si trasferisce, per così dire, sul soggetto che esterna il proprio libero convincimento su opinioni o fatti d’interesse sociale, in disparte la natura pubblica o privata del destinatario dell’attacco, essendo ritenuta rilevante, ai fini della riconduzione nell’alveo della critica politica, l’attività svolta da chi si fa promotore del dissenso finalizzato a smuovere le coscienze su un tema di rilievo per la politica nazionale, anche mediante il ricorso a schemi propri della pubblicità commerciale.

Sul solco di tale orientamento sembra inserirsi, pertanto, la recentissima pronuncia della Corte d’Appello di Torino, a riprova di un ulteriore avanzamento verso una concezione più libertaria della manifestazione del pensiero, specie se critico e motivo d’interesse per l’opinione pubblica.

  1. Dottoranda di ricerca in Diritti e istituzioni nell’Università degli Studi di Torino.
  2. Si veda, tra i molti contributi sul tema, Esposito C., La libertà di manifestazione del pensiero nell’ordinamento italiano, in Rivista Italiana per le scienze giuridiche, 2011; Luciani M., La libertà di espressione, una prospettiva di diritto comparato, in www.astrid-online.it; Luciani M., La libertà di informazione nella giurisprudenza costituzionale italiana, in Pol. dir., 1989; Manetti M., La libertà di manifestazione del pensiero, in AA. VV., I diritti costituzionali, a cura di Nania R. e Ridola P., Torino, Giappichelli, 2006, vol. II, cit., 767 ss.; Mazziotti M., Appunti sulla libertà di manifestazione del pensiero nell’ordinamento italiano, in AA. VV., Scritti in onore di Crisafulli V., Padova, Cedam, 1985, II, 517 ss.; Orofino M., Art. 21 Cost: le ragioni per un intervento di manutenzione ordinaria, in www.astrid-online.it; Pace A., Problematica delle libertà costituzionali, Parte speciale, Cedam, Padova, 1992; Pace A. – Manetti M., Articolo 21, in Commentario della Costituzione, a cura di Branca G. e continuato da Pizzorusso A., Bologna – Roma, Zanichelli – Il Foro Italiano, 2006; Paladin L., Libertà di pensiero e libertà di informazione: le problematiche attuali, in Quad. cost., 1987, 5 ss.; Pino G., Teoria e pratica del bilanciamento: tra libertà di manifestazione del pensiero e tutela dell’identità personale, in Danno e Responsabilità, 6/2003, p. 577 ss.
  3. Vigevani G. E., Libertà di espressione, onore e controllo del potere. viluppi del diritto di critica politica, tra giudice nazionale ed europeo, in www.federalismi.it, n. 3/2015, pp. 3-4. Si veda anche Vigevani G.E., Libertà di espressione e discorso politico tra Corte europea dei diritti e Corte costituzionale, in Zanon N. (a cura di), Le corti dell’integrazione europea e la Corte costituzionale italiana, Esi, Napoli, 2006, pp. 459 ss.
  4. Resta G, Dignità, persone, mercati, Torino, 2014, p. 237.
  5. I problemi che tale operazione pone sono ben enucleati da Pino G., Conflitto e bilanciamento tra diritti fondamentali. Una mappa dei problemi, in Etica & Politica, 1/2006.
  6. Cuniberti M., Il limite del buon costume, in Cuniberti M, Lamarque E., Tonoletti B., Vigevani G.E., Viviani Schlein M.P., Percorsi di diritto dell’informazione, Torino, Giappichelli, 2011, 33 ss.; Guarneri A., Buon costume, in Dig. disc. priv. (Sez. civ.), Torino, UTET, 1988, 121 ss.; Terlizzi G., Buon costume e ordine pubblico (in diritto comparato), in Dig. disc. priv. (Sez. civ.), Torino, UTET, 2016, 15 ss..
  7. C. Cost., 16 marzo 1962, n. 19. Cfr. anche C. cost., 6 luglio 1966, n. 87; C. cost., 17 aprile 1969, n. 84; C. cost., 4 maggio 1970, n. 65.
  8. È nota la distinzione, anch’essa di elaborazione giurisprudenziale, tra giudizi di fatto e giudizi di valore. Si veda, ad esempio, Cass. pen., sez. V, 24 gennaio 2019, n. 7340: “In tema di diffamazione, ai fini del riconoscimento del diritto di critica occorre distinguere, come anche precisato dalla giurisprudenza della Cedu, fra i fatti su cui si esercita la critica e i giudizi di valore in cui si sostanza l’opinione critica: mentre i primi devono basarsi su di un nucleo veritiero e rigorosamente controllabile, i giudizi di valore non sono suscettibili di dimostrazione perché la critica, quale espressione di opinione meramente soggettiva, ha per sua natura carattere congetturale che non può, per definizione, pretendersi rigorosamente obiettiva e asettica. Piuttosto, i limiti immanenti della critica sono costituiti dalla rilevanza sociale dell’argomento (interesse pubblico) e dalla correttezza dell’espressione, che non deve comunque trascendere in gratuiti attacchi personali, pur potendosi ammettere toni anche aspri e forti, purché pertinenti al tema in discussione”.
  9. Sul punto, Cass. pen., sez. V, 14 ottobre 2015, n. 6463: “In tema di diffamazione a mezzo stampa, anche nell’esercizio del diritto di critica, deve essere rispettato il requisito della verità: ciò con riferimento non al contenuto valutativo della critica, ma al suo presupposto fattuale. (…) In altre parole, la rispondenza al vero del fatto criticato costituisce il presupposto sul quale l’attività di critica si innesta, per l’ovvio motivo in base al quale criticare un fatto non vero, non solo costituisce un inescusabile danno nei confronti del soggetto cui ingiustamente si attribuisce un comportamento non tenuto, ma integra anche gli estremi della falsa comunicazione nei confronti dei destinatari della notizia di critica-cronaca, che, dunque, vedono, di riflesso, frustrato il loro diritto di essere correttamente informati”. È minoritario, invece, l’orientamento secondo cui l’interesse all’informazione legittimerebbe una critica a fatti ancora da verificare, purché la rappresentazione di quei fatti come probabile o possibile sia ragionevole. Sul punto, si veda Catalisano G., Libertà di espressione e critica politica, in www.ambientediritto.it, p. 6, il quale cita Cass. pen., sez. V., 7 febbraio 2001, n. 31037.
  10. Corte Edu, 7 dicembre 1976, Handyside c. Regno Unito, n. 5493/72, par. 49, che rappresenta il leading case sul tema. Si veda anche Corte Edu, 23 aprile 1982, Castells c. Spagna, n. 11798/85; Corte Edu, 25 novembre 1996, Wingrove c. Regno Unito, n. 17419/90; Corte Edu, 29 agosto 1997, Worm c. Austria, n. 22714/93; Corte Edu, 19 febbraio 1998, Bowman c. Regno Unito, n. 24839/94; Corte Edu, 20 maggio 1998, Schöpfer c. Svizzera, n. 25405/94; Corte Edu, 18 gennaio 2011, MGN Ltd c. Regno Unito, n. 39401/04; Corte Edu, 12 giugno 2012, Tatár e Fáber c. Ungheria, n. 26005/08 e 26160/08; Corte Edu, 24 luglio 2021, Fáber c. Ungheria, n. 40721/08; Corte Edu, 25 settembre 2012, Trade Union of the Police in the Slovak Republic e altri c. Slovacchia, n. 11828/08; Corte Edu, 12 novembre 2013, Jokšas c. Lituania, n. 25330/7; Corte Edu, 17 dicembre 2013, Peri̇nçek c. Svizzera, n. 27510/08; Corte Edu, 14 gennaio 2014, Ruusunen c. Finlandia, n. 73579/10; Corte Edu, 16 gennaio 2014, Tierbefreier E.V. c. Germania, n. 45192/09; Corte Edu, 15 maggio 2014, Taranenko c. Russia, n. 19554/05; Corte Edu, 16 settembre 2014, Karácsony e altri c. Ungheria, n. 42461/13; Corte Edu, 16 settembre 2014, Szél e altri c. Ungheria, n. 44357/13; Corte Edu, 21 ottobre 2014, Matúz c. Ungheria, n. 73571/10; Corte Edu, 23 aprile 2015, Morite c. Francia, n. 29369/10; Corte Edu, 16 giugno 2015, Delfi c. Estonia, n. 64569/09; Corte Edu, 10 novembre 2015, Couderc e Hachette Filipacchi Associés c. Francia, n. 40454/07; Corte Edu, 26 novembre 2015, Annen c. Germania, n. 3690/10; Corte Edu, 19 gennaio 2016, Kalda c. Estonia, n. 17429/10; Corte Edu, 17 maggio 2016, n. Karácsony e altri c. Ungheria, n. 42461/13 e 44357/13; Corte Edu, 23 giugno 2016, Baka c. UNgheria, n. 20261/12; Corte Edu, 8 novembre 2016, Magyar Helsinki Bizottság c. Ungheria, n. 18030/11; Corte Edu, 8 novembre 2016, Szanyi c. Ungheria, n. 35493/13; Corte Edu, 27 giugno 2017, Medžlis Islamske Zajednice Brčko e altri v. Bosnia ed Erzegovina, n. 17224/11; Corte Edu, 19 aprile 2018, Ottan c. Francia, n. 41841/12; Corte Edu, 17 luglio 2018, Mariya Alekhina e altri c. Russia, n. 38004/12; Corte Edu, 11 ottobre 2018, Tuscia e altri c. Georgia, n. 14237/07; Corte Edu, 16 aprile 2019, Editorial Board of Grivna Newspaper c. Ucraina, n. 41214/08 e 49440/08; Corte Edu, 30 aprile 2019, Kablis c. Russia, n. 48310/16 e 59663/17; Corte Edu, 30 aprile 2019, Elvira Dmitriyeva c. Russia, n. 60921/17 e 7202/18; Corte Edu, 22 dicembre 2020, Selahatti̇n Demi̇rtaş c. Turchia, n. 14305/17; Corte Edu, 25 marzo 2021, n. Matalas c. Grecia, n. 1864/18; Corte Edu, 6 aprile 2021, Handzhiyski c. Bulgaria, n. 10783/14; Corte Edu, 11 maggio 2021, Kilin c. Russia, n. 10271/12; Corte Edu, 21 settembre 2021, Milosavljević c. Serbia (No. 2), n. 47274/19; Corte Edu, 7 ottobre 2021, Hasanov e Majidli c. Azerbaijan, n. 9626/14 e 9717/14; Corte Edu, 7 dicembre 2021, Yefimov e Youth Human Rights Group c. Russia, n. 12385/15 e 51619/15; Corte Edu, 7 dicembre 2021, Standard Verlagsgesellschaft mbH c. Austria, n. 39378/15.
  11. Corte Edu, 7 dicembre 1976, Handyside c. Regno Unito, n. 5493/72, par. 49.
  12. Cass. pen., sez. V, 23 maggio 2019, n. 37864.
  13. Si veda Corte edu, 27 febbraio 2013, Mengi c. Turchia, nn. 13471/05 e 38787/07.
  14. Cfr. Cass. pen., sez. V, 09/12/2020, n. 7995: “In tema di diffamazione, il riconoscimento dell’esimente del diritto di critica, oltre al presupposto necessario della verità del fatto storico attribuito al diffamato, ove tale fatto sia posto a fondamento della elaborazione critica, postula una forma espositiva corretta, strettamente funzionale alla finalità di disapprovazione, e che non trasmodi nella gratuita e immotivata aggressione dell’altrui reputazione, sebbene essa non vieti l’utilizzo di termini che, pur se oggettivamente offensivi, hanno anche il significato di mero giudizio critico negativo, di cui si deve tenere conto alla luce del complessivo contesto in cui il termine viene utilizzato. Il limite che non può essere superato è, peraltro, costituito dal fatto che il “dissenso” non può trascendere le idee che intende sostenere, esorbitare dalla ricostruzione dei fatti e giungere a fondare manifestazioni espressive che diventino meri argomenti di aggressione personale o che si risolvano in false accuse, perché in tal modo si finirebbe con il trascendere in attacchi a qualità o modi di essere della persona lesivi della reputazione altrui”.
  15. Cass. pen., sez. V, 18 maggio 2017, n. 36695.
  16. Corte edu, 1 luglio 1997, n. 20834/92, Oberschlick v. Austria.
  17. Cass. pen., sez. V, 8 febbraio 2008, n. 9084.
  18. Cass. pen., sez. V, 5 luglio 2012, n. 38437, ove si ammette che in un sistema che tuteli a livello costituzionale la libera manifestazione del pensiero di qualsiasi cittadino e la libertà di stampa, la critica degli atti politici e dei comportamenti degli uomini politici “deve essere la più ampia possibile, perché essa garantisce il pieno dispiegarsi della dialettica democratica e consente ai cittadini di formarsi opinioni precise su i vari accadimenti”; conseguentemente, “la critica può anche essere molto aspra, irriverente ed anche ironica, a condizione, però, che siano rispettati i canoni dell’interesse pubblico della notizia e/o vicenda criticata, che i presupposti di fatto esposti a critica siano veri e che vi sia continenza espositiva”.
  19. Cfr. Cass. pen., sez. V, 04 maggio 2006, n. 19509.
  20. Cass. pen., sez. V, 16 dicembre 2020, n. 9566. In senso conforme, “Cass. pen., sez. V, 14 settembre 2020, n. 31263”.
  21. Corte d’Appello di Torino, sez. III civ., 9 giugno 2021, n. 727, par. 4.
  22. Ivi, par. 3.1.
  23. Ivi, par. 3.2.
  24. Ivi, par. 3.3.
  25. In senso conforme, Cass. civ., sez. III, 27 maggio 2019, n. 14370. Sul punto, Luciani M., La libertà di espressione, una prospettiva di diritto comparato, cit., pp. 13-14, il quale richiama le diverse dottrine che hanno variamente ricondotto la pubblicità commerciale chi all’art. 21 Cost., chi all’art. 41 Cost., chi a entrambi.
  26. Corte d’Appello di Torino, sez. III civ., 9 giugno 2021, n. 727, par. 3.3.
  27. Si rammenta che al diritto di satira è riconosciuto un’estensione maggiore in punto verità e continenza. Rispetto al primo dei due criteri enunciati, si veda Cass. civ., sez. III , 22 novembre 2018, n. 30193, secondo la quale: “La satira costituisce una modalità corrosiva e spesso impietosa del diritto di critica, sicché, diversamente dalla cronaca, è sottratta all’obbligo di riferire fatti veri, in quanto esprime mediante il paradosso e la metafora surreale un giudizio ironico su di un fatto, pur soggetta al limite della continenza e della funzionalità delle espressioni o delle immagini rispetto allo scopo di denuncia sociale o politica perseguito”. Quanto al criterio di continenza, cfr., ex multis, Cass. civ., sez. I , 20 marzo 2018, n. 6919, che, dopo aver affermato l’assenza dell’obbligo di verità, aggiunge: “Conseguentemente, nella formulazione del giudizio critico, possono essere utilizzate espressioni di qualsiasi tipo, anche lesive della reputazione altrui, purché siano strumentalmente collegate alla manifestazione di un dissenso ragionato dall’opinione o comportamento preso di mira e non si risolvano in un’aggressione gratuita e distruttiva dell’onore e della reputazione del soggetto interessato”. Per una riflessione critica del diritto in parola, si veda Boggero G., La satira come libertà ad “autonomia ridotta” nello Stato costituzionale dei doveri, in Nomos. Le attualità nel diritto, 1/2020.
  28. Tale orientamento è piuttosto risalente nella giurisprudenza penale: cfr. Cass. pen., sez. V, 13 giugno 2007, n. 27339, ove si ammette che “il diritto di critica si concreta nella espressione di un giudizio o di un’opinione che, nella specie, accertata la verità dei fatti e l’applicabilità del diritto di critica politica, non è violato il limite della continenza, tenuto conto della perdita di carica offensiva di alcune espressioni nel contesto politico in cui la critica assume spesso toni aspri e vibrati e del fatto che la critica può assumere forme tanto più incisive e penetranti quanto più elevata è la posizione pubblica del destinatario”.
  29. Corte d’Appello di Torino, sez. III civ., 9 giugno 2021, n. 727, par. 7.
  30. Cass. pen., sez. V, 08 febbraio 2008, n. 9084. Sul fronte europeo, si veda Corte Edu, 17 luglio 2008, Riolo c. Italia, n. 42211/07.
  31. Catalisano G, Libertà di espressione e critica politica, cit., p. 8, il quale richiama Corte d’Appello di Caltanissetta, 7 luglio 2005.
  32. Tra le più recenti, si veda Cass. pen., sez. V, 19 novembre 2018, n. 3148, fattispecie in cui la Corte ha escluso la configurabilità del reato di diffamazione rispetto a un post pubblicato su un social network – contenente una critica a un’attività commerciale – che, pur caratterizzato da toni aspri e polemici, non era risultato trasmodare in una immotivata aggressione ad hominem; Cass. pen., sez. V , 21 maggio 2018, n. 35791, fattispecie in cui la Corte ha ritenuto scriminata la condotta del Sindaco, il quale aveva espresso su Internet le sue ragioni in merito a una vicenda che coinvolgeva gli interessi opposti dell’amministrazione pubblica e di un privato, dal momento le sue dichiarazioni erano state espresse in maniera appropriata e si fondavano su fatti accertati e di chiaro interesse pubblico.