Il binomio Acqua e Agricoltura di fronte al cambiamento climatico: politiche regolatorie e soluzioni tecnico-giuridiche di resilienza

Silvia Mirate[1]

Sommario:

1. Acqua e agricoltura: un binomio in crisi – 2. L’uso agricolo delle risorse idriche nell’intreccio tra finalità economiche ed ambientali – 3. Scarsità idrica e governance amministrativa: alla ricerca di un modello regolatorio efficace – 4. Idroesigenza e soluzioni tecniche, amministrative e regolatorie nel settore agricolo e agroalimentare – 5. Una riflessione conclusiva: dall’approccio dell’emergenza alla strategia di resilienza

1. Acqua e agricoltura: un binomio in crisi

Il territorio nazionale è stato colpito in pochi anni da diversi episodi di siccità ed il Piemonte è tra i territori regionali in maggiore sofferenza.

Il fenomeno della diminuzione delle precipitazioni, nel periodo 1991-2022, registra un calo del 20% rispetto al periodo 1921-1950. Dal 2017 a oggi, situazioni di deficit idrico si sono ripetute quasi ogni anno in molte zone d’Italia. Il C.N.R. ha stimato che una percentuale compresa tra il 6 e il 15% della popolazione italiana vive in aree a rischio di severa o estrema siccità. Il futuro sembra preludere a un’ulteriore intensificazione del fenomeno[2].

In particolare, per la realtà piemontese, l’anno 2022 è stato il peggiore anno sotto il profilo idrologico degli ultimi 65. Si è verificato un depauperamento molto rapido delle falde e si è registrato un calo del 60% dell’acqua immagazzinata nelle Alpi sotto forma di neve, oltre a una diminuzione del 10-15% dell’acqua nei fiumi.

Il Piemonte sta subendo un cambiamento climatico più netto rispetto a quanto avviene mediamente in altre realtà a livello nazionale e internazionale. Emerge dai dati degli ultimi 60 anni un aumento di quasi 2,5 gradi delle temperature massime e di circa 1,5 gradi delle minime, a fronte dell’aumento medio di circa 1 grado fatto registrare a livello globale[3].

Viviamo in un tempo di perdurante e ricorrente crisi idrica; una crisi che, per il suo protrarsi e ripetersi nel tempo, da fase emergenziale si sta ormai trasformando in situazione ordinaria, permanente da affrontare con strumenti gestionali programmatori efficaci, piuttosto che con il ricorso a soluzioni straordinarie. Una crisi, che con i suoi eventi collaterali (quali incendi boschivi, vulnerabilità idrogeologica, e, per quanto concerne segnatamente la realtà padana, incremento del cuneo salino nel delta fluviale del Po) impatta inevitabilmente non solo sull’ambiente e sulle esigenze umane, ma anche, ed in modo fortemente drammatico, sul settore dell’agricoltura.

La scarsità delle risorse idriche incide sulla primaria destinazione del bene acqua al consumo umano, ma inevitabilmente segna in termini di rischio ed eccezionalità anche il settore dell’agricoltura, ove la scarsità della risorsa si traduce in una problematica di emergenza, incidente sulla ricerca delle soluzioni tecniche più adeguate e sulla necessità di politiche regolatorie efficaci[4].

Si tratta di una sfida nuova per l’agricoltura, segnatamente nella realtà piemontese che mai in passato era stata caratterizzata da preoccupazioni legate alla disponibilità della risorsa acqua. Tradizionalmente impostato su colture legate all’abbondanza idrica, il sistema agrario in Piemonte deve ora necessariamente adeguarsi alla realtà imposta dal cambiamento climatico e dalla necessità di trovare un equilibrio fra disponibilità e fabbisogno delle risorse, alla ricerca di meccanismi di tutela e di soluzioni tecniche efficaci in termini di resilienza, lotta agli sprechi e prevenzione dei rischi.

La problematica della scarsità idrica solleva, infatti, la necessità di applicare strategie per l’adattamento al cambiamento climatico, rilevanti sia sul piano delle scelte e degli strumenti all’uopo adottabili, sia sotto il profilo di un adeguamento della normativa in tema di risorse idriche, con connessa ri-organizzazione, o quantomeno migliore e più efficiente organizzazione, delle funzioni amministrative coinvolte.

La siccità, che si trasforma da inevitabile fenomeno naturale con carattere eccezionale a situazione di quasi ordinaria frequenza o quantomeno di persistente ricorrenza, getta il settore agricolo in uno stato di crisi permanente, con trasformazione dell’emergenza della crisi ad un regime di costante sofferenza idrica e di conseguente necessaria resilienza.

Se questo è l’assunto da cui occorre muovere, la domanda da porsi è come affrontare il problema della scarsità delle acque nel settore agricolo? Quali strumenti giuridici possono sostenere ed accompagnare l’agricoltura nel tempo del deficit idrico?

Il contributo affronta tali quesiti, soffermandosi in particolare sui due diversi profili della regolazione e dell’esercizio delle funzioni amministrative nell’impiego della risorsa acqua, con specifico riferimento al settore agricolo, e della ricerca di soluzioni tecniche e di strumenti giuridici necessari per la resilienza del sistema irriguo piemontese di fronte alle problematiche del cambiamento climatico e del fenomeno dell’attuale (e futura) scarsità idrica.

2. L’uso agricolo delle risorse idriche nell’intreccio tra finalità economiche ed ambientali

L’art. 167, co. 1, del Codice dell’Ambiente (d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152) fornisce una chiara indicazione per la selezione di priorità nell’utilizzo della risorsa acqua, per i periodi di siccità o comunque di scarsità, prevedendo che nella regolazione delle derivazioni in atto debba essere assicurata, dopo il consumo umano, la priorità all’uso agricolo[5]. La norma si pone in diretta relazione con quanto sancito in via generale dal precedente art. 144, il quale finalizza primariamente l’uso delle acque al consumo umano, declinandone la tutela in ragione dell’esigenza di «salvaguardare le aspettative e i diritti delle generazioni future a fruire di un integro patrimonio ambientale» (art. 144, co.2, d.lgs. n. 152/2006).

Ne deriva un quadro di protezione complesso e selettivo, che vede all’apice del sistema di tutela e di utilizzo la finalità di salvaguardia dell’ambiente e degli ecosistemi acquatici, anche alla luce del riformato art. 9 Cost., che affida alla Repubblica il compito di tutelare «l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni».

La tutela dell’ambiente, così formulata dall’art. 9, co. 2, Cost., trova poi, com’è noto, il suo completamento nella modifica all’art. 41 Cost., il quale ora dispone che l’iniziativa economica privata non possa svolgersi in modo da recare danno in primo luogo “alla salute e all’ambiente”, demandando alla legge ordinaria di determinare i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata “ai fini sociali e ambientali”.

L’inserimento dell’ambiente e della sua sostenibilità fra i principi fondamentali cui deve informarsi l’azione politica e giuridica dello Stato viene formulato in Costituzione con un’accezione ampia, che comprende anche il riconoscimento della rilevanza degli ecosistemi, fra cui quello acquatico, e dell’esigenza di protezione della biodiversità, proponendo una tutela ambientale a carattere oggettivo, riconosciuta in sé, come sistema, e non solo come utilità connessa alla salubrità e alla salute umana[6].

La tutela dei corpi idrici, in termini di vivibilità dell’ambiente, del rispetto del patrimonio acquatico, della flora e della fauna, dei processi geomorfologici e degli equilibri idrogeologici guida, dunque, l’utilizzo razionale delle acque, che nel disegno legislativo, viene, come già detto, finalizzato in primo luogo al consumo umano.

In condizioni di eccedenza rispetto alla primarietà di tale funzione non comprimibile del patrimonio idrico, il legislatore lascia l’adeguato spazio all’impiego delle acque per finalità economiche (agricole, energetiche, produttive, ecc.) e fra queste riconosce l’uso prioritario, in condizioni di siccità e scarsità, all’agricoltura.

Le molteplici finalità dell’acqua, come bene destinato ad usi potabili, civili, energetici e irrigui sono riconosciute anche dall’Agenda ONU 2030, che al sesto obiettivo individua le azioni necessarie a garantire a tutti la disponibilità e la gestione sostenibile dell’acqua e delle strutture igienico-sanitarie.

Acqua e agricoltura divengono, dunque, anche nell’impianto normativo del Codice dell’ambiente un binomio imprescindibile e, nell’ambito dell’uso a fini economici, funzionalmente prioritario[7]. Un binomio che allo stato attuale è sottoposto a forti criticità, e che necessita di soluzioni normative e tecniche efficaci, in grado di riportare in equilibrio strumenti e finalità, e dunque l’impiego dell’acqua nelle funzioni agricole e agroalimentari.

La ricerca di un equilibrio di settore, nel tentativo di garantire la disponibilità e la fruibilità della risorsa idrica, in primis ai fini potabili e al contempo di favorire quanto più possibile la produzione agricola, è fortemente condizionata dal rispetto di principi fondamentali, imposti a monte dallo stesso legislatore, se non, come già si diceva, dalla stessa Costituzione.

La finalità di tutela ambientale dei corpi idrici e degli ecosistemi ad esso connessi deve essere primariamente considerata e garantita.

Come indicato dalla Commissione europea nell’ambito della Strategia Comune di Attuazione della Direttiva 2000/60/CE (cd. Framework Water Directive), essenziale per tali ragioni è il rispetto, nel contesto di derivazioni da un corpo idrico, del deflusso ecologico (ecological flow o e-flow), inteso come «volume di acqua necessario affinché l’ecosistema acquatico continui a prosperare e a fornire i servizi necessari»[8]. Si tratta di un dato importante che assume il ruolo di parametro atto ad indicare il limite dei prelievi sostenibili, ovvero della quantità di acqua prelevata che consenta di mantenere in buono stato ecologico il corpo idrico.

A tal fine già da tempo in Italia, si è provveduto all’adozione di apposite linee guida ministeriali, a seguito delle quali le autorità distrettuali procedono ad individuare valori-soglia del deflusso ecologico e di conseguenza del regime di prelievo idrico, in coerenza con gli obiettivi ambientali prefissati dai Piani di Gestione distrettuali[9].

Negli ultimi anni, come già osservato in dottrina, il sistema è stato sottoposto ad una sistematica derogabilità, giustificata dall’esigenza di regolare l’ “emergenza” siccità[10].

Posto che non necessariamente di emergenza possa parlarsi di fronte al fenomeno siccità, altamente predittibile in ragione di elementi quali ad esempio la scarsità delle precipitazioni, l’innalzamento delle temperature o la diminuzione del livello dei corsi d’acqua che precedono il realizzarsi di tale situazione, e possono essere agevolmente inseriti in schemi di simulazione altamente affidabili, si è assistito all’introduzione di misure contingenti in deroga alle soglie di rispetto del deflusso ecologico.

In particolare nell’area padana, sulla scorta dell’equazione siccità/emergenza, sono state introdotte misure eccezionali, consistenti nel rilascio forzoso degli invasi, con conseguente limitazione all’utilizzo delle acque in funzione energetica, e in deroghe ai limiti ecologici di prelievo dei corpi idrici.

Le deroghe, costruite in termini di temporaneità, contingenza ed eccezionalità, sono state giustificate con l’obiettivo di evitare la perdita pressoché completa della produzione agricola. In tal senso gli interventi, a livello regionale o ad opera delle Autorità di Bacino distrettuali[11], si iscrivono legittimamente nell’alveo della già citata Direttiva quadro sull’acqua del 2000, la quale al Considerando n. 32, ammette a precise condizioni la deroga del sistema di protezione delle risorse idriche ivi previsto, «di fronte a circostanze impreviste ed eccezionali, in particolare inondazioni o a siccità o a motivi di interesse pubblico di primaria importanza», e all’art. 4, § 6, specifica tale assunto, introducendo la possibilità di deroghe temporanee all’applicazione delle azioni tese al raggiungimento di un buono stato dei corpi idrici qualora ricorrano condizioni eccezionali quali la siccità prolungata.

Per i prelievi, in particolare, le deroghe dettate in ragione dell’emergenza sono state altresì accompagnate – secondo quanto dispone, in particolare per il bacino padano, una direttiva dell’Autorità distrettuale del 2017[12] – dall’obbligo di assumere tutte le misure di razionalizzazione atte a ridurne la portata, e quindi  tutte le possibili strategie di risparmio idrico, contenimento delle perdite ed eliminazione degli sprechi, sempre nell’ottica della successiva ripristinabilità degli ecosistemi ambientali da assicurare anche per il tramite di soluzioni di adeguamento ex post da recepire nei piani e nei successivi atti di regolazione.

La direttiva, peraltro non vincolante, è stata attuata nel territorio piemontese con la predisposizione di nuovi criteri e modalità di deroga agli obblighi al rilascio del deflusso in alveo. La Regione Piemonte, con D.G.R. 22 dicembre 2021, n. 27-4395, ha approvato le “Linee di indirizzo regionale per la gestione dinamica degli scenari di scarsità idrica”, che estende al territorio regionale, in un’ottica adattiva al verificarsi degli eventi critici di scarsità e siccità, la possibilità di accedere alla deroga dei rilasci, a condizione che sia riconosciuta, nei sottobacini interessati, la carenza di disponibilità di risorsa, la quale determina i differenti livelli di severità della siccità, cui sono legate le azioni e i comportamenti da osservarsi da parte dei titolari delle derivazioni irrigue[13].

Il deficit idrico, coniugato ad assenza di precipitazioni significative a livello regionale, elevate temperature medie, afflusso nevoso ai livelli minimi storici, riempimento dei principali invasi inferiore alla norma, abbassamento consistente dei livelli dei laghi e significativa depressione delle falde superficiali viene affrontato in termini di gestione di una situazione critica cui adattare un regime amministrativo ad impronta marcatamente derogatoria.

Ciò risulta ben chiaro con la recente emanazione sul piano nazionale del cd. Decreto Siccità, adottato con d.l. 14 aprile 2023, n. 39, convertito con modificazioni in l. 13 giugno 2023, n. 68, e recante “Disposizioni urgenti per il contrasto della scarsità idrica e per il potenziamento e l’adeguamento delle infrastrutture idriche”. Nel testo, sui cui contenuti si tornerà nel prossimo paragrafo, si concede nell’art. 7 bis alle Autorità di bacino distrettuali la facoltà di rimodulare, «in considerazione dell’urgenza di fronteggiare le gravi conseguenze dovute a fenomeni di siccità prolungata e gli impatti in termini di scarsità idrica» le sperimentazioni sul deflusso ecologico, da aggiornare e completare, ai sensi dell’art. 21 bis del d.l. n. 21/2022, entro il 30 giugno 2025[14].

La rimodulazione viene rimessa alla valutazione tecnico-discrezionale delle autorità distrettuali, senza nuovi oneri per la finanza pubblica, e viene agganciata alla previsione circa il deterioramento dello stato di un corpo idrico, dovuto a circostanze naturali o di forza maggiore, eccezionali e ragionevolmente imprevedibili, come alluvioni violente e siccità prolungate, che viene ritenuto accettabile sotto il profilo dell’obiettivo di qualità ambientale alle condizioni descritte dall’art. 77, comma 10, del Codice dell’Ambiente[15].

L’emergenzialità diventa così condizione normativa che consente una perdurante derogabilità dei limiti del deflusso ecologico, con una sorta di delega aperta rimessa alla discrezionalità tecnica delle autorità distrettuali nel bilanciamento fra tutela ambientale e risoluzione dei problemi derivanti dalla scarsità delle risorse idriche.

Da quanto finora detto emerge chiaro come contingenza ed eccezionalità stiano di fatto governando l’attuale esercizio delle funzioni amministrative di settore e l’intervento dei diversi attori ivi coinvolti.

L’attivazione di una governance in grado di superare l’emergenza con una visione pianificatoria d’insieme, rivolta alla tutela qualitativa e quantitativa delle risorsa acqua e del suo impiego nel settore agricolo e agroalimentare, pare allo stato attuale sostituita da un modello regolatorio fondato sul presupposto dell’emergenza come regola di un intervento che, sotto il profilo delle competenze e delle funzioni amministrative, si consolida in una extra-ordinarietà che diviene regola[16].

3. Scarsità idrica e governance amministrativa: alla ricerca di un modello regolatorio efficace

La crisi idrica sofferta nel 2022 ha evidenziato una tendenza alla gestione amministrativa emergenziale, che sul piano normativo ha trovato una sua specifica tipizzazione fin dal 2018, con il d.lgs. 2 gennaio 2018, n. 1 (cd. Codice della protezione civile). In particolare all’art. 16, il rischio da deficit idrico è stato inserito fra le ipotesi di intervento della protezione civile, con conseguente possibilità, ai sensi del successivo art. 24, di deliberare da parte del Consiglio dei Ministri, previa valutazione del Dipartimento della protezione civile e su richiesta o d’intesa con il Presidente della Regione o Provincia autonoma interessata lo stato di emergenza di rilievo nazionale, cui segue la nomina di commissari straordinari, con i relativi poteri extra ordinem.

Come già si è ricordato, nell’anno 2022, il lungo periodo di siccità, caratterizzato dalla eccezionale scarsità di precipitazioni pluviometriche e nevose, ha determinato nella quasi totalità del territorio piemontese una grave situazione di deficit idrico con forti ripercussioni sulla vita sociale, economica e produttiva. La situazione è stata evidenziata nel rapporto denominato “Crisi idrica 2022”, elaborato e trasmesso dalla Regione Piemonte a supporto della richiesta di dichiarazione dello stato di emergenza, ai sensi dell’art. 24, co. 1, del d.lgs. N°1/2018. Con deliberazione del 4 luglio 2022, il Consiglio dei Ministri ha provveduto a dichiarare lo stato di emergenza fino al 31 dicembre 2022, e conseguentemente il Presidente della Regione è stato nominato Commissario delegato per la realizzazione degli interventi urgenti finalizzati alla gestione della crisi idrica[17].

Anche a livello nazionale la disciplina dell’emergenzialità condiziona, nell’anno 2022, le soluzioni normative concernenti il quando dell’intervento diretto a gestire i rischi derivanti dal deficit idrico, con l’introduzione di una dichiarazione dello stato di emergenza a carattere preventivo, da emanarsi prima che lo stato di siccità evolva in una situazione di reale emergenza. L’art. 15, del d.l. 9 agosto 2022, n. 115, ha, infatti, inserito il seguente capoverso all’art. 16 del Codice della protezione civile del 2018 sopra citato: “(a)llo scopo di assicurare maggiore efficacia operativa e di intervento, in relazione al rischio derivante da deficit idrico la deliberazione dello stato di emergenza di rilievo nazionale di cui all’art. 24 può essere adottata anche preventivamente, qualora, sulla base delle informazioni e dei dati, anche climatologici, disponibili e delle analisi prodotte dalle Autorità di bacino distrettuali e dai centri di competenza di cui all’art. 21, sia possibile prevedere che lo scenario in atto possa evolvere in una condizione emergenziale»[18].

L’emergere della crisi ha altresì contribuito a svelare la problematica della sovrapposizione e conseguente frammentarietà delle competenze nel settore idrico.

Le difficoltà di coordinamento che si sono verificate trovano le loro ragioni in molteplici aspetti, che vanno dalla complessa articolazione delle competenze, diversificata su base territoriale e funzionale, al frequente intreccio che travalica i confini territoriali; e al coinvolgimento di interessi pubblici diversi che conformano in chiave differente l’esercizio delle funzioni e le scelte gestionali. Si pensi alla partecipazione contestuale nel governo dell’acqua di attori eterogenei per natura e finalità, quali la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Comitato interministeriale per la transizione ecologica, il Ministero dell’ambiente, la conferenza Stato-regioni, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, le regioni, gli enti locali, i consorzi irrigui e, con un ruolo teoricamente dominante e di chiusura del sistema, le autorità di bacino distrettuale[19].

L’organizzazione delle competenze si presenta, infatti, particolarmente delicata anche per gli obiettivi che ciascun ente si propone nella gestione delle proprie attività nel settore.

Basti porre mente alla giustapposizione di un ruolo tecnico, peraltro non sempre accompagnato da effettivo potere decisionale, delle autorità di bacino, che come obiettivo primario devono avere la tutela qualitativa e quantitativa delle acque, ad un ruolo principalmente orientato a finalità gestionali di carattere economico-sociale qual è quello degli enti di governo d’ambito e dell’Autorità di regolazione per Energia, Reti e Ambiente (ARERA), fino al particolare ruolo dei consorzi irrigui, enti di antica istituzione su cui torneremo, orientati principalmente al prelievo e alla gestione comune della risorsa derivante dal singolo corpo idrico interessato e concernente il solo comprensorio rientrante nella propria operatività.

In ragione di tali frammentazioni ed eterogeneità, da più parti in dottrina si auspica lo sviluppo di un modello di governance amministrativa del settore idrico che tenga conto di un approccio olistico, con un modello integrato di gestione della risorsa a livello locale, regionale e nazionale, che possa poggiare su regole e principi normativi e di organizzazione amministrativa che consentano di ricomporre le necessità di gestione e di tutela delle acque nel rispetto dei diversi servizi (sociali, ambientali, economici, ecc.) e dei differenti usi (irrigui, idroelettrici, industriali, artigianali, commerciali, ecc.) nell’ottica di una tutela effettiva sul piano qualitativo e quantitativo[20].

La necessità di un coordinamento nel settore è di recente emersa nel contesto del già menzionato Decreto Siccità del 2023, che, seppur ancora nell’ottica di una gestione emergenziale delle risorse idriche, tenta la strada dell’indirizzo e del coordinamento fra le competenze amministrative coinvolte.

Il testo del decreto legge (n. 39/2003) è stato modificato e integrato dalla legge di conversione (n. 68/2003), ed è entrato in vigore lo scorso 14 giugno 2023. Nella versione definitiva la normativa si compone di 18 articoli e tocca vari aspetti della disciplina per il contenimento e il contrasto della crisi idrica, con previsioni che direttamente riguardano anche il settore agricolo.

Il decreto istituisce all’art. 1, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, una cabina di regia per la crisi idrica, presieduta dal Presidente del Consiglio dei ministri, avente compiti di indirizzo, coordinamento e monitoraggio per il contenimento e il contrasto della crisi idrica. L’attenzione al territorio emerge con la legge di conversione, la quale ne estende la composizione anche al Presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome o ad un Presidente di Regione o Provincia autonoma da lui delegato. Alla Cabina di regia viene attribuito il potere di effettuare una ricognizione delle opere e degli interventi di urgente realizzazione che sono necessari per far fronte nel breve termine alla crisi idrica e che possono essere realizzati da parte del Commissario straordinario nazionale, istituito dal successivo art. 3[21]. Viene altresì prevista la facoltà di individuare gli interventi funzionali al potenziamento della capacità idrica suscettibili di esecuzione tramite forme di partenariato pubblico privato, pure se non ancora inseriti nella programmazione triennale dei lavori pubblici di cui al Codice dei contratti pubblici. La problematica del coordinamento con le Autorità di bacino distrettuali ha determinato l’introduzione, nel testo modificato dalla legge di conversione, di un riferimento al potere di queste ultime di essere coinvolte in ipotesi di inerzia o di ritardo nella realizzazione degli interventi. Restano, tuttavia, piuttosto indefinite le modalità di tale intervento e collaborazione.

Sono state poi introdotte alcune disposizioni di semplificazione procedurale, riguardanti la progettazione e la realizzazione di interventi infrastrutturali nel settore idrico (si veda l’art. 4, ove si fa riferimento a molteplici ipotesi, tra cui le infrastrutture idriche destinate a uso potabile e irriguo, la sicurezza e la funzionalità delle dighe, la gestione delle reti di monitoraggio dei corpi idrici)[22].

Con specifico riferimento al settore agricolo, il decreto inserisce, all’art. 6, fra gli interventi di edilizia libera previsti dall’art. 6, co. 1, del T.U. in materia edilizia (d.P.R. n. 380/2001) anche la realizzazione delle vasche di acque piovane per impiego agricolo, realizzabili pure mediante un unico bacino. Limitatamente al periodo considerato di natura emergenziale (e quindi fino alla durata in carica del Commissario straordinario nazionale di cui all’art. 3 fino al 31 dicembre 2023, prorogabile al 31 dicembre 2024), la facoltà di esecuzione senza alcun titolo abilitativo è estesa anche agli interventi inerenti all’esercizio dell’attività agro-silvo-pastorali, che non comportino alterazione permanente dello stato dei luoghi con costruzioni edilizie e altre opere civili, come indicati nel punto A. 19 dell’Allegato A (Interventi ed opere in aree vincolate escluse dall’autorizzazione paesaggistica) del d.P.R. n. 31/2017, «a condizione che gli stessi siano funzionali alle attività agro-silvo-pastorali, realizzati in scavo direttamente sul suolo agricolo, a fondo naturale, senza arginature emergenti dal suolo e senza l’impiego di conglomerati cementizi o altri materiali di natura edilizia»[23].

Viene altresì disciplinato l’utilizzo acquee reflue depurate in agricoltura (artt. 7 e 9), sulla cui disciplina si tornerà a breve, con l’occasione di svolgere una breve riflessione sulle soluzioni tecniche che nel settore agricolo e agroalimentare possono, nell’ambito della cornice normativa attualmente vigente, essere implementate in un’ottica di resilienza alla situazione idrica attuale e futura.

4. Idroesigenza e soluzioni tecniche, amministrative e regolatorie nel settore agricolo e agroalimentare

L’utilizzo della risorsa idrica in agricoltura involge problematiche peculiari.

L’acqua è una risorsa che nel settore agricolo e agroalimentare diviene mezzo tecnico della produzione, ma al contempo resta una risorsa naturale, non producibile industrialmente, da dividere e condividere con altri usi e finalità (civili e industriali, potabili e ricreativi, ecc.)[24].

In agronomia, si sottolinea costantemente come ridurre gli sprechi ed aumentare l’efficienza attraverso una buona gestione irrigua siano misure che possono concorrere a determinare una produzione agricola costante, e finanche ad incrementarla.

Nei più recenti studi agronomici si introducono concetti come l’impronta idrica, intesa quale metrica per misurare la quantità di acqua utilizzata per produrre beni e servizi lungo l’intera catena di approvvigionamento[25]. Questo indicatore, può essere misurato per un singolo processo, come la coltivazione del mais; per la realizzazione di un prodotto, come una maglietta di cotone; per il carburante che utilizziamo nella nostra auto. L’impronta idrica può anche indicare quanta acqua venga utilizzata in uno specifico bacino fluviale.

Il settore agricolo, ed in particolare quello agroalimentare, impiega l’indicatore dell’impronta idrica, seppur con le dovute accortezze circa stima e applicazione. Al fine di evitare facili interpretazioni del volume di acqua espresso da questo indicatore, gli studi indicano come si sia via via chiarita l’esigenza di una sua opportuna e più trasparente comunicazione, nelle diverse forme di acqua (blu, verde, grigia) che la compongono.

L’acqua verde è la quantità di acqua proveniente dalla pioggia utilizzata dalla coltura; l’acqua blu è quella utilizzata prevalentemente per l’irrigazione e proviene da fonti idriche sotterranee o superficiali. Infine, l’acqua grigia è la quantità di acqua necessaria per ripristinare e diluire una contaminazione ad essa apportata.

In ambito agroalimentare, declinare l’impronta in queste tre forme di acqua consente di stabilire il giusto peso sulla risorsa idrica utilizzata per produrre un alimento. Diventa, pertanto, più semplice comprendere come una data impronta idrica, che impiega una maggiore quantità di acqua verde, sarà maggiormente sostenibile di quella che presenta una quota maggiore di acqua grigia o blu. La sostenibilità di un determinato prodotto agricolo non è funzione solo del valore che identifica quella specifica quota di impronta idrica, ma piuttosto, dell’insieme delle componenti che definiscono l’indicatore.

Attenendoci più propriamente al settore agricolo, un ambito in cui nuove pratiche e politiche possono incidere significativamente sui miglioramenti dell’efficienza idrica è l’irrigazione delle colture. Le condizioni di aridità o semi-aridità impongono il ricorso all’irrigazione, cui è destinato attualmente quasi l’80% dell’acqua utilizzata in agricoltura in Italia e in Europa, come emerge da un rapporto della European Environment Agency[26].

L’Agenzia ha in particolare osservato come l’irrigazione non debba necessariamente comportare un consumo idrico elevato. Miglioramenti dell’efficienza idrica possono ottenersi sia mediante una migliore resa del trasporto dell’acqua, che si traduce in una percentuale più alta di acqua estratta che arriva ai campi, sia mediante l’efficienza dell’utilizzo nei campi stessi, in cui si ha un rapporto più favorevole tra l’acqua realmente utilizzata da una coltura e il quantitativo totale dell’acqua che vi giunge.

La questione non è soltanto di natura tecnica, relativamente ai differenti metodi d’irrigazione che possono essere impiegati, ma involge anche scelte di politica amministrativa e di gestione normativa del settore agricolo, a livello nazionale ed europeo.

Le politiche amministrative hanno, per esempio, un ruolo cruciale nell’indurre il settore agricolo all’adozione di pratiche di irrigazione più efficienti. Opportuna è l’introduzione, anche nell’ambito della Politica Agricola Comune, di pacchetti d’intervento a sostegno delle misure di efficienza, com’è attualmente previsto nella PAC 2023-2027, che fra gli interventi dello Sviluppo Rurale prevede impegni specifici per un uso sostenibile dell’acqua con pagamenti annuali per ettaro a favore di agricoltori, singoli e associati, e di enti pubblici che adottino gli impegni collegati alla definizione di un bilancio idrico colturale. Anche nel Piano strategico nazionale, l’obiettivo di accrescere la resilienza e l’adattamento del settore agricolo ai cambiamenti climatici prevede interventi che sostengono l’adozione di pratiche utili a favorire il risparmio idrico o a migliorare l’efficienza d’uso della risorsa acqua.

Al contempo la previsione di una tariffazione dei servizi idrici, che favorisca gli utenti più efficienti, potrebbe essere altro strumento rilevante per garantire gli obiettivi di tutela del bene acqua, come indicati dalla stessa Direttiva quadro 2000/60/CE.

La stessa valutazione sulla tipologia delle tecniche di irrigazione più efficienti da adottare nel contesto attuale involge necessariamente aspetti regolatori.

Un’opportuna gestione delle acque reflue in agricoltura può, ad esempio, costituire un importante strumento per soddisfare la domanda idrica del comparto, lasciando una maggiore disponibilità di acque dolci per altri utilizzi, come le utenze domestiche, o per altre finalità, in primis la tutela ambientale.

La risposta normativa deve essere in tal senso quella di rendere agevole, e ovviamente controllato sotto il profilo ambientale, il ricorso all’utilizzo delle acque reflue depurate ad uso irriguo.

La stessa Agenda ONU 2030, all’interno dell’Obiettivo 6 dedicato alla disponibilità e gestione sostenibile dell’acqua, segnala il traguardo di «6.3 Migliorare entro il 2030 la qualità dell’acqua eliminando le discariche, riducendo l’inquinamento e il rilascio di prodotti chimici e scorie pericolose, dimezzando la quantità di acque reflue non trattate e aumentando considerevolmente il riciclaggio e il reimpiego sicuro a livello globale».

In tale ottica il recente Decreto Siccità 2023, già richiamato al paragrafo precedente, prevede in proposito all’art. 7 un procedimento autorizzatorio unico, «al fine di fronteggiare la crisi idrica, garantendone una gestione razionale e sostenibile», mediante il riutilizzo a scopi irrigui in agricoltura delle acque reflue depurate, prodotte dagli impianti di depurazione già in esercizio alla data di entrata in vigore dello stesso decreto. Si tratta di un’autorizzazione che sostituisce ogni altra autorizzazione, parere, concerto, nulla osta e atto di assenso necessario, comunque denominato, da rilasciare da parte della regione o della provincia autonoma territorialmente competente fino al 31 dicembre 2023, nel rispetto delle prescrizioni minime indicate all’Allegato A del decreto e con la partecipazione procedimentale dell’agenzia regionale per la protezione ambientale e dell’azienda sanitaria territorialmente competenti, nonché di ciascuna amministrazione interessata. L’istanza di autorizzazione unica deve essere presentata dal gestore dell’impianto di depurazione, unitamente al piano di gestione dei rischi connessi al riutilizzo dell’acqua, con la collaborazione dei responsabili del trasporto e dello stoccaggio delle acque reflue. A ciò si aggiunge la previsione dell’art. 9, che, novellando l’art. 127 del Codice dell’Ambiente, specifica che i fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue sono sottoposti alla disciplina dei rifiuti solo alla fine del complessivo processo di trattamento effettuato nell’impianto di depurazione.

Considerando poi il bacino padano, e in particolare il territorio piemontese, è possibile svolgere ancora qualche riflessione sul rapporto fra tecniche di irrigazione, cambiamenti climatici e possibili soluzioni anche di natura giuridica.

La caratteristica territoriale di pianura circondata da montagne ha sempre determinato nel nord Italia, e dunque in Piemonte, una ricca disponibilità morfologica della risorsa acqua, che, nel settore agricolo, si è tradotta nella diffusione di metodi di irrigazione per scorrimento superficiale e sommersione[27]. La scelta di specie coltivate e di prodotti tipici si è di conseguenza tradizionalmente attestata su produzioni fondate sull’abbondanza irrigua (riso, mais, ecc.).

Il sistema agroalimentare piemontese, per natura e per tradizione dipendente dall’irrigazione, si trova, come già più volte si è detto, ad affrontare ora le conseguenze del cambiamento climatico, con una drastica diminuzione dei livelli di piovosità (l’anno 2022 è drammaticamente esemplare), l’abbassamento del livello delle falde acquifere (anche al di sotto del 25%), la mancanza di neve in montagna e un progressivo svuotamento dei bacini idrografici. Soprattutto l’aumento delle temperature (anche di due gradi superiori nella stagione estiva), con conseguente incremento dell’evapotraspirazione e il ricorrere di periodiche siccità inevitabilmente incide sull’agroecosistema piemontese, modificandone caratteristiche ambientali e aspettative di produzione.

La ricerca agronomica tende in proposito a concentrarsi su due aspetti: la scelta di colture di resilienza, in grado di resistere e di beneficiare dell’acqua disponibile (come ad esempio il mais, con possibile introduzione di cicli colturali anticipati e accorciati) e la preferenza per sistemi irrigui ad alta efficienza (impiego di “pivot” e “rainger”, rispetto al più diffuso e tradizionale ricorso all’irrigazione per scorrimento e sommersione)[28].

Sotto quest’ultimo profilo, pare interessante evidenziare il potenziale ruolo che potrebbero assumere i consorzi irrigui. Enti privati di interesse pubblico, di antica costituzione e tradizione, i consorzi irrigui in Piemonte gestiscono l’irrigazione, facendosi carico a livello collettivo sia della gestione delle opere (manutenzione, nuove realizzazioni, ecc.) sia delle acque (definizione dei turni di adacquamento, delle portate concesse agli utenti, ecc.).

Con l’entrata in vigore della legge regionale n. 21/1999, si è avviato un processo di riorganizzazione e di accorpamento, che ha portato dagli oltre seicento organismi con dimensione territoriale molto eterogenea agli attuali 36 comprensori irrigui, corrispondenti a realtà omogenee sotto il profilo orografico e irriguo. Si è prevista così l’istituzione di un unico consorzio per ogni comprensorio irriguo, con la conseguente divisione fra consorzi irrigui di primo grado, già gestori dei relativi comprensori, e consorzi di secondo grado, costituiti da consorzi di primo grado, nonché da enti pubblici e privati e da altri soggetti interessati alla realizzazione e alla gestione di opere e servizi di interesse comune.

Le forme di gestione comunitaria delle risorse idriche in ambienti rurali sono molto risalenti e diffuse quasi ovunque, ed in questo senso la realtà piemontese si iscrive pienamente in tale modello[29].

Il ruolo dei consorzi irrigui, tradizionalmente focalizzato sulla fornitura dell’acqua, potrebbe ampliarsi di fonte all’attuale necessità di applicare sistemi irrigui diversi dallo scorrimento, capaci di ottimizzare la resa idrica, ottenendo un miglior risultato in termini di irrigazione e fertilizzazione. La co-progettazione e la co-gestione dell’irrigazione mediante sistemi quali rainger e pivot, che necessitano, per ottimizzare la propria efficacia nell’irrigazione (anche di soccorso) e nella fertilizzazione, di impattare su di un’area di grandi dimensioni, con conseguente esigenza di accorpamento dei campi agricoli, potrebbe essere affidata alle realtà consortili.

I consorzi irrigui, nell’ottica della gestione comune della risorsa acqua ad uso agricolo, potrebbero così acquisire non solo l’attuale e più classico ruolo di fornitori della risorsa idrica, ma anche di attori nella progettazione e nella messa in opera delle più moderne tecniche d’irrigazione.

Si tratterebbe dell’assunzione di un nuovo compito di natura tecnica che risponde ad un interesse pubblico fondamentale di fronte alle esigenze di resilienza del sistema irriguo piemontese nell’attuale (e futura) stagione di scarsità. Un compito che, peraltro, potrebbe pienamente rientrare tra le funzioni che la legge regionale n. 21/1999 all’art. 46 riserva ai consorzi di irrigazione, laddove al co. 1, lett. a) si riferisce in senso ampio all’ «esercizio dell’irrigazione in forma collettiva».

5. Una riflessione conclusiva: dall’approccio dell’emergenza alla strategia di resilienza

La relazione fra acqua e agricoltura è oggi al centro di grandi trasformazioni.

Nella realtà del nord Italia, e segnatamente in Piemonte, l’impatto del cambiamento climatico è destinato ad incidere in modo radicale sulla cultura e sulla coltura di un sistema tradizionalmente votato all’abbondanza idrica. Il sempre più probabile alternarsi di futuri scenari di siccità e di relativi periodi di abbondanza determina la necessità di un approccio resiliente, in termini di scelte agronomiche, ma anche di attuazione di politiche amministrative e di soluzioni giuridiche atte ad affrontare la questione in termini di gestione coordinata, efficace e comune del bene acqua.

Come si è evidenziato, le principali problematiche risiedono nella necessità di superare il profilo prettamente emergenziale che ancora caratterizza i più recenti interventi normativi e di conseguenza l’esercizio delle funzioni amministrative di settore, per tentare di costruire un sistema giuridico-amministrativo di gestione stabile e costante delle risorse idriche, che, tenendo conto del possibile ripetersi di scenari di scarsità, sia in grado di assicurarne l’accesso per i diversi usi (consumo umano, agricolo, energetico, industriale, ecc.), mantenendo al contempo, se non addirittura elevando, la protezione dell’ambiente, degli ecosistemi idrici e della biodiversità[30].

Aumentare l’efficienza nell’utilizzo dell’acqua, garantire approvvigionamenti e forniture sostenibili per affrontare la carenza idrica, implementare una gestione delle risorse integrata a tutti i livelli, proteggere gli ecosistemi legati all’acqua sono solo alcuni dei traguardi che l’Obiettivo 6 dell’Agenda ONU 2030 si pone e ci impone.

Integrare queste imprescindibili finalità nella realtà normativa e amministrativa territoriale significa anche ripensare la gestione della risorsa idrica in termini unitari, integrati ed ecosostenibili. Una particolare attenzione in tal senso può essere riservata al ruolo partecipativo delle comunità locali e dei consorzi irrigui, in un’ottica di co-progettazione e di co-gestione, fondamentale nell’epoca di scarsità e resilienza che gli effetti del cambiamento climatico ci inducono a vivere.

  1. Professoressa associata in Diritto amministrativo presso il Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari dell’Università degli Studi di Torino.
  2. F. Caporale, Acqua e scarsità: dall’emergenza come regola alla regola dell’emergenza, in questa Rivista, 2023, 1, 5 e ss..
  3. Tali valutazioni sono state espresse dal Direttore generale dell’Arpa (Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente) nel recente convegno “La risorsa idrica in Piemonte”, tenutosi l’1 e 2 marzo 2023, presso l’International Training Centre di Torino, su iniziativa della Regione Piemonte. In proposito cfr. Le azioni In Piemonte contro l’emergenza idrica, https://www.regione.piemonte.it/web/pinforma/notizie/azioni-piemonte-contro-lemergenza-idrica.
  4. Al riguardo E. Boscolo, Politiche idriche adattive nella stagione della scarsità. Dall’emergenza alla regolazione, in questa Rivista, 2022, 3, 97 e ss..
  5. Nell’uso agricolo è ricompresa, ai sensi dell’art. 167, co. 1, d.lgs. n. 152/2006, anche l’attività di acquacoltura di cui alla l. 5 febbraio 1992, n. 102. Per un’applicazione in termini Cass. civ., sez. un., 28 dicembre 2011, n. 29108, che dalla priorità dell’uso agricolo così prevista nella norma deriva l’assunto secondo cui «ove sulla medesima acqua siano previste due concessioni di derivazione – l’una, più antica, a scopo idroelettrico, e l’altra, più recente, a scopo irriguo – è legittimo il provvedimento con il quale l’Amministrazione concedente, verificata la scarsità delle acque, dà la precedenza all’utenza irrigua, stabilendo nel contempo a carico del concessionario favorito un obbligo risarcitorio verso il concessionario penalizzato (nella specie, il rimborso delle somme pagate per rifornirsi di energia elettrica)».
  6. In tema, fra i molteplici contributi, L. Imarisio, La riforma costituzionale degli articoli 9 e 41 della Costituzione: un (prudente)ampliamento di prospettiva del diritto costituzionale dell’ambiente, in questa Rivista, 2022; M. Delsignore, A. Marra, M. Ramajoli, La riforma costituzionale e il nuovo volto del legislatore nella tutela dell’ambiente, in Riv. giur. ambiente, 2022, fasc. 1, pp. 1 e ss.; F. Fracchia, L’ambiente nell’art. 9 della Costituzione: un approccio in “negativo”, in Il diritto dell’economia, 2022, fasc. 1, pp. 15 e ss.; G. Sobrino, Le generazioni future «entrano» nella Costituzione, in Quaderni Costituzionali, 2022, pp. 132 e ss.; M. Cecchetti, La revisione degli articoli 9 e 41 della Costituzione e il valore costituzionale dell’ambiente: tra rischi scongiurati, qualche virtuosità (anche) innovativa e molte lacune, in Forum di Quaderni Costituzionali, 2022, pp. 285 e ss..
  7. Per una più ampia trattazione del tema R. Cavallo Perin, voce Agricoltura, in Enc. Dir., I Tematici, III, 2022, 24 e ss., ove estesi riferimenti bibliografici; G. A. Primerano, Il carattere multifunzionale dell’agricoltura tra attività economica e tutela dell’ambiente, in Dir. amm., 2019, 4, 837 e ss..
  8. Per maggiori approfondimenti si veda il Technical Report, 2015, 086, della Commissione Europea, Ecological Flows in the implementation of the Water Framework Directive, Guidance Document No. 31. Di recente nella letteratura scientifica, M. Leone, F. Gentile, A. Lo Porto, G. F. Ricci, A. M. De Girolamo, Ecological Flows in southern Europe: Status and trends in non-perennial rivers, in Journal of Environmental Management, 2023, vol. 342.
  9. Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Decreto n. 30/STA, 13 febbraio 2017, “di approvazione delle Linee Guida per l’aggiornamento dei metodi di determinazione del deflusso minimo vitale al fine di garantire il mantenimento nei corsi d’acqua del deflusso ecologico a sostegno del raggiungimento degli obiettivi di qualità ambientale dei corpi idrici definiti ai sensi della Direttiva 2000/60/CE”.
  10. In proposito E. Boscolo, Politiche idriche adattive nella stagione della scarsità. Dall’emergenza alla regolazione, in questa Rivista, 2022, 3, 99 e ss..
  11. Si vedano, ad esempio, l’ordinanza del Presidente della Giunta Regionale, 24 giugno 2022, n. 917, dichiarazione dello stato di emergenza regionale, di cui all’articolo 24, comma 9, del decreto legislativo 2 gennaio 2018, n. 1 (codice della protezione civile) e all’articolo 21 della legge regionale 29 dicembre 2021, n. 27 (disposizioni regionali in materia di protezione civile), derivante dalla carenza di disponibilità idrica nel territorio della Regione Lombardia configurabile come rischio di protezione civile ai sensi dell’articolo 3, comma 1, della l.r. 27/2021; Autorità di Bacino Distrettuale per il Po, deliberazione della Conferenza Istituzionale Permanente 4/2017, Direttiva per l’introduzione del deflusso ecologico a sostegno del mantenimento/raggiungimento degli obiettivi ambientali fissati dal Piano di gestione del distretto idrografico; Autorità di Bacino Distrettuale delle Alpi Orientali, deliberazione della Conferenza Istituzionale Permanente, 2/2017, Direttiva per la determinazione dei deflussi ecologici a sostegno del mantenimento/raggiungimento degli obiettivi di qualità ambientali fissati dal Piano di gestione del distretto idrografico delle Alpi Orientali.
  12. Autorità di Bacino Distrettuale per il Po, deliberazione della Conferenza Istituzionale Permanente 4/2017, Direttiva per l’introduzione dei deflussi ecologici a sostegno del mantenimento/raggiungimento degli obiettivi ambientali fissati dal Piano di Gestione del distretto idrografico, di cui si veda in particolare l’art. 7, rubricato Deroghe temporanee, il quale prevede al comma 2 che le deroghe temporanee al rispetto degli obblighi relativi al rilascio del deflusso in alveo, a valle delle sezione di prelievo delle derivazioni irrigue, siano ammissibili quando il livello di severità idrica, definita dalle attività di analisi meteo – climatiche dell’Osservatorio Permanente sugli utilizzi idrici nel Distretto del fiume Po, determini, o rischi di determinare, gravi carenze nell’approvvigionamento irriguo, essendo comunque già state poste in atto tutte le possibili strategie risparmio idrico, contenimento delle perdite ed eliminazione degli sprechi.
  13. D.G.R. 22 dicembre 2021, n. 27-4395 Attuazione del Piano regionale di Tutela delle Acque (PTA) di cui alla DCR n. 179-18293 del 2 novembre 2021. Approvazione delle Linee di indirizzo regionali per la gestione dinamica degli scenari di scarsità idrica; cui è seguita la D.G.R. 21 giugno 2022, n. 40-5262 Ulteriori Linee di indirizzo regionali per la gestione dinamica degli scenari di scarsità idrica, a fronte dell’attuale carenza di disponibilità idrica sul territorio piemontese ad integrazione della D.G.R. n. 27-4395 del 22.12.2021.
  14. Ai sensi dell’articolo 21-bis del decreto-legge 21 marzo 2022, n. 21 (Misure urgenti per contrastare gli effetti economici e umanitari della crisi ucraina), convertito, con modificazioni, dalla legge 20 maggio 2022, n. 51: « 1. Al fine di contribuire a soddisfare il fabbisogno nazionale di prodotti agricoli nonché di consentire di riesaminare e adattare gli strumenti attuativi vigenti per garantire la gestione integrata quali-quantitativa e la razionale utilizzazione delle risorse idriche, considerando l’impatto dei cambiamenti climatici e assicurando al contempo la tutela degli equilibri naturali e la continuità dei servizi ecosistemici offerti da un sistema fluviale sano e resiliente ai territori e alle produzioni agroalimentari italiane, le Autorità di bacino distrettuale procedono al completamento delle sperimentazioni sul deflusso ecologico entro il 30 giugno 2025, finalizzato all’aggiornamento dei deflussi ecologici a valle delle derivazioni, nel rispetto degli obiettivi ambientali fissati dal piano di gestione e di quanto disposto dagli strumenti normativi e attuativi vigenti a livello europeo, nazionale e regionale. 2. Le Autorità di bacino distrettuali procedono al monitoraggio e alla raccolta dei dati nonché alle sperimentazioni, nell’ottica dell’ottimizzazione della gestione idrica nel rispetto della tutela ambientale, delle esigenze d’uso, delle opportunità fruitive e delle valenze locali del territorio, in considerazione degli effetti positivi degli interventi volti al risparmio idrico, realizzati mediante la riduzione delle perdite e l’adozione di strumenti di contabilizzazione dei consumi, nonché dell’implementazione della capacità di invaso dei bacini idrici esistenti e di nuova realizzazione. 3. Dall’attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. Le amministrazioni interessate provvedono agli adempimenti previsti dal presente articolo con l’utilizzo delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente».
  15. Recita l’art. 77, co. 10, del D.Lgs. 3 agosto 2006, n. 152: «Il deterioramento temporaneo dello stato del corpo idrico dovuto a circostanze naturali o di forza maggiore eccezionali e ragionevolmente imprevedibili, come alluvioni violente e siccità prolungate, o conseguente a incidenti ragionevolmente imprevedibili, non dà luogo a una violazione delle prescrizioni della parte terza del presente decreto, purché ricorrano tutte le seguenti condizioni: a) che siano adottate tutte le misure volte ad impedire l’ulteriore deterioramento dello stato di qualità dei corpi idrici e la compromissione del raggiungimento degli obiettivi di cui all’articolo 76 ed al presente articolo in altri corpi idrici non interessati alla circostanza; b) che il Piano di tutela preveda espressamente le situazioni in cui detti eventi possano essere dichiarati ragionevolmente imprevedibili o eccezionali, anche adottando gli indicatori appropriati; c) che siano previste ed adottate misure idonee a non compromettere il ripristino della qualità del corpo idrico una volta conclusisi gli eventi in questione; d) che gli effetti degli eventi eccezionali o imprevedibili siano sottoposti a un riesame annuale e, con riserva dei motivi di cui all’articolo 76, comma 4, lettera a), venga fatto tutto il possibile per ripristinare nel corpo idrico, non appena ciò sia ragionevolmente fattibile, lo stato precedente tali eventi; e) che una sintesi degli effetti degli eventi e delle misure adottate o da adottare sia inserita nel successivo aggiornamento del Piano di tutela».
  16. Per tali riflessioni F. Caporale, Acqua e scarsità: dall’emergenza come regola alla regola dell’emergenza, cit., 6; E. Boscolo, Politiche idriche adattive nella stagione della scarsità. Dall’emergenza alla regolazione, cit., 97 e ss.; Id., Le politiche idriche nella stagione della scarsità. La risorsa comune tra demanialità custodiale, pianificazioni e concessioni, Milano, Giuffré, 2012.
  17. Cfr. l’ordinanza del Capo del Dipartimento della Protezione civile, 21 luglio 2022, n. 906, nonché l’ordinanza commissariale n. 1/A1600/906 del 9 agosto 2022, con la quale il Commissario delegato ha incaricato la Direzione Ambiente, Energia e Territorio, Settore Servizi Ambientali, per le attività di coordinamento e di controllo relative all’avanzamento degli interventi finanziati.
  18. In proposito, F. Caporale, Acqua e scarsità: dall’emergenza come regola alla regola dell’emergenza, cit., 7 e ss..
  19. Al riguardo ancora F. Caporale, Acqua e scarsità: dall’emergenza come regola alla regola dell’emergenza, cit., 7, il quale ancora rileva come a tale complessità organizzativa si aggiungano ancora «le competenze in materia di servizio idrico, distribuite tra Ministero dell’Ambiente, regioni, Arera, enti di governo d’ambito, comuni, con intersezioni e sovrapposizioni che hanno un impatto fortissimo sul governo delle risorse idriche, sia dal punto di vista quantitativo (i servizi idrici rappresentano la percentuale maggiore di utilizzazioni delle acque) che qualitativo (vista la priorità riconosciuta, nel sistema giuridico, agli usi umani)». Cfr. sul punto gli art. 144, co. 4 e 167, co. 1 del Codice dell’ambiente, D.Lgs. n. 152/2006. Sul tema si vedano, inoltre, F. Caporale, Pubblico e privato nei servizi idrici: snodi critici e prospettive, in Munus, 2019, 747 ss.; F. Caporale, I servizi idrici. Dimensione economica e rilevanza sociale, Milano, Franco Angeli, 2017, 393; nonché M. Renna, L’allocazione delle funzioni normative e amministrative, in Diritto dell’ambiente, a cura di G. Rossi, 2021, 148 ss.; A. Pioggia, Acqua e ambiente, in Diritto dell’ambiente, ivi, 277 ss..
  20. Sul concetto di approccio olistico al governo della risorsa idrica, sotto il profilo del coordinamento dei diversi usi del bene acqua, della sua protezione, dell’erogazione del servizio e di ogni altro aspetto di rilevanza ambientale e urbanistica ivi coinvolto, cfr. già The Dublin Statement and Report of the Conference. International conference on Water and the Environment: Development issues for the 21st century. 26-31 january, Dublin, Ireland, Dublin, 1992
 e United Nations Conference on Environment and Development (UNCED) – Agenda 21 (Rio de Janeiro, 14 giugno 1992). Nella dottrina italiana si veda già U. Pototschnig, Vecchi e nuovi strumenti nella disciplina pubblica delle acque, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 1969, 1009 ss.; e con particolare riferimento al rapporto tra difesa del suolo e tutela delle acque, cfr. A. Farì e E. Fidelbo, Difesa del suolo e tutela delle acque, in Diritto dell’ambiente, cit., 424 ss.. In proposito cfr. altresì M. Ciampittiello, A. Boggero, Un nuovo paradigma di gestione della risorsa idrica in un contesto di cambiamento climatico, in questa Rivista, n. 3, 2022, 115 e ss..
  21. Il Commissario straordinario nazionale di cui all’art. 3 resta in carica fino al 31 dicembre 2023, prorogabile al 31 dicembre 2024. Restano fermi, fino al completamento degli interventi, i compiti e le funzioni attribuiti: ai commissari straordinari nominati ex articolo 4 del d.l. n. 32/2019 (cd. sblocca cantieri), ai commissari straordinari per il dissesto idrogeologico, ai commissari per l’attuazione degli interventi idrici di cui all’art. 1, co. 153, della legge di bilancio 2019, al commissario unico nazionale per la depurazione e al Commissario straordinario di Governo previsto per lo sviluppo dell’irrigazione e la trasformazione fondiaria in Puglia e Lucania. Restano, inoltre, fermi, fino al 31 dicembre 2023, i compiti e le funzioni dei commissari delegati per gli interventi urgenti per la gestione della crisi idrica del 2022, nominati a seguito delle dichiarazioni dello stato di emergenza in relazione alle situazioni di deficit idrico nei territori di Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Lombardia, Piemonte, Veneto, Umbria, Lazio, Liguria, Toscana e Marche.
  22. In particolare all’art. 4 si prevede che, entro il 30 settembre 2023, le Regioni comunichino i progetti di fattibilità e di gestione delle reti di monitoraggio dei corpi idrici. La norma introduce, inoltre, semplificazioni per l’installazione di impianti fotovoltaici flottanti; attribuisce alle Commissioni tecniche PNRR e PNC lo svolgimento delle procedure di valutazione ambientale di competenza statale e dei progetti comunque connessi alla gestione della risorsa idrica, ricompresi nell’allegato II alla parte seconda del Codice dell’ambiente. Viene poi stabilito di sottoporre a procedimento autorizzatorio unico accelerato regionale le opere, gli impianti e le infrastrutture necessarie al superamento delle procedure di infrazione comunitaria sulla depurazione, o comunque connesse alla gestione della risorsa idrica, ricomprese nell’allegato III del Codice dell’ambiente.  A ciò si aggiunge quanto disposto dall’art. 8, che sempre in tema di semplificazione, con riferimento però alla gestione delle terre e rocce da scavo, include nelle attività previste anche la costruzione, lo scavo, la demolizione, il recupero, la ristrutturazione, ed il restauro e la manutenzione di opere per la realizzazione degli invasi.
  23. Il punto A. 19, Allegato A (Interventi ed opere in aree vincolate esclusi dall’autorizzazione paesaggistica), del D.P.R. 13 febbraio 2017, n. 31 (Regolamento recante individuazione degli interventi esclusi dall’autorizzazione paesaggistica o sottoposti a procedura autorizzatoria semplificata) si riferisce ai seguenti interventi: «interventi su impianti idraulici agrari privi di valenza storica o testimoniale; installazione di serre mobili stagionali sprovviste di strutture in muratura; palificazioni, pergolati, singoli manufatti amovibili, realizzati in legno per ricovero di attrezzi agricoli, con superficie coperta non superiore a cinque metri quadrati e semplicemente ancorati al suolo senza opere di fondazione o opere murarie; interventi di manutenzione strettamente pertinenti l’esercizio dell’attività ittica; interventi di manutenzione della viabilità vicinale, poderale e forestale che non modifichino la struttura e le pavimentazioni dei tracciati; interventi di manutenzione e realizzazione di muretti a secco ed abbeveratoi funzionali alle attività agro-silvo-pastorali, eseguiti con materiali e tecniche tradizionali; installazione di pannelli amovibili realizzati in legno o altri materiali leggeri per informazione turistica o per attività didattico-ricreative; interventi di ripristino delle attività agricole e pastorali nelle aree rurali invase da formazioni di vegetazione arbustiva o arborea, previo accertamento del preesistente uso agricolo o pastorale, da parte delle autorità competenti e ove tali aree risultino individuate dal piano paesaggistico regionale».
  24. F. Altobelli, Acqua in agricoltura (e nel cibo che mangiamo): conoscere per agire, in CREAfuturo, n. 5, Settembre 2022, 13 e ss., ove ulteriori riferimenti bibliografici.
  25. F. Altobelli, O. Cimino, F. Natali, S. Orlandini, V. Gitz, A. Meybeck, A. Dalla Marta, Irrigated farming systems: Using the water footprint as an indicator of envinronmental, social and economic sustainability, in The Journal of Agricultural Science, 2018, 156 (5), 711-722.
  26. European Environment Agency, Acqua ed agricoltura, prospettive ed esigenze, 2021, https://www.eea.europa.eu/it/articles/acqua-e-agricoltura-prospettive-ed-esigenze.
  27. Per un’analisi tecnica di tali problematiche si vedano già A. Ciotti, C. Grignani, A. Reyneri, Volume ed efficienza dell’adacquamento nell’irrigazione di spianate a prato, in Rivista di Agronomia, 1992, suppl. n. 4, 641-647. Interessante è anche la lettura del rapporto della Regione Piemonte, Assessorato Agricoltura e Foreste, L’irrigazione in Piemonte, Istituto Ricerche Economiche e Sociali, IRES, Torino, 1973.  Il tema è stato oggetto della recente Inaugurazione del 238° Anno Accademico dell’Accademia di Agricoltura di Torino, tenutasi alla Reggia di Venaria, in data 12 luglio 2023, con prolusione di C. Grignani, Irrigazione delle colture: tra abbondanza e resilienza. Per un’analisi del diritto delle acque italiano dal punto di vista storico L. Moscati, In materia di acque. Tra diritto comune e codificazione albertina, Roma, Fondazione Sergio Mochi Onory per la storia del diritto italiano, 1993, R. Baird Smith, Italian Irrigation. Report on the agricultural canals of Piedmont and Lombardy, Edinburgh-London, Blackwood and Sons, 1852, 2 voll.. Con particolare riferimento al ruolo dei consorzi irrigui, cfr. per il profilo storico S. Gianzana, Le acque nel diritto civile italiano, vol. II, p. II, Torino, Unione tipografico editrice, 1880 e G. Piola, Consorzi e Utenze, in Digesto Italiano, vol. VIII, p. II, Torino, Utet, 1925, 497 ss.; e, relativamente all’esperienza del Consorzio del Canale Demaniale di Caluso, A. A. Caporale, Dal passato al futuro scritti sul Canale di Caluso, I Quaderni delle “Purtasse”, XII, II ed., Caluso, 2019. In tema altresì A. M. Martuccelli, La gestione comune delle acque e degli impianti irrigui: i consorzi, in Riv. dir. agrario, 1989, 3, 499-510; S. Masini, Concessioni di risorse idriche e tutela dall’agricoltura, in Diritto e giurisprudenza agraria e dell’ambiente, 2001, 4, 1, 225-233; L. Castellani, T. Mancuso, S. Massaglia, Aspetti normativi ed economici in materia di gestione e tutela delle risorse idriche ad uso irriguo in Piemonte, in L. Casini, V. Gallerani, D. Viaggi, Acqua, agricoltura e ambiente nei nuovi scenari di politica comunitaria, 2008. Sull’importanza dei modelli cooperativi per la gestione delle risorse idriche negli ambienti rurali, cfr. E. Ostrom, Governing the Commons. The Evolutions of Institutions for Collective Action, Cambridge, Cambridge University Press, 1990.
  28. Per un’ampia riflessione sul tema E. Borgomeo, Oro blu. Storie di acqua e cambiamento climatico, Roma-Bari, Laterza, 2020.