La differenziazione possibile nella materia ambiente
Rosario Ferrara[1]
Il presente contributo contiene alcune riflessioni di carattere più generale sullo spazio e sui limiti entro cui, anche in Piemonte, potrebbero essere conferite ulteriori condizioni di autonomia ex art. 116 u.c. in materia ambientale.
I. Prima di inoltrarci in alcune osservazioni di maggior dettaglio, e precisando da subito che ognuno dei “quesiti” proposti richiederebbe una particolare e circostanziata riflessione, sembrano necessarie, o comunque opportune, alcune preliminari considerazioni di massima.
a) La “materia” ambiente viene, per così dire spacchettata secondo due profili, pur funzionalmente connessi, nell’art. 117 Cost.: al secondo comma, alla lettera s), si riserva infatti allo Stato ogni competenza legislativa esclusiva nel settore della “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali, laddove lo stesso art. 117 Cost., al terzo comma, fa rientrare nell’ambito delle materie di competenza concorrente la “valorizzazione dei beni culturali ed ambientali”, in merito alla quale lo Stato può meramente determinare “i principi fondamentali della materia”.
b) L’art 116 Cost, che espressamente introduce un possibile modello di “federalismo differenziato”, prevede, fra l’altro, che la suddetta tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali possa essere una della tre materie, fra quelle riservate alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, relativamente alla quale, a conclusione del procedimento aggravato che la norma stessa disciplina, possano essere attribuite ad una regione “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia”. Il che lascia intendere, a tutti gli effetti, che il costituente reputa che le politiche nel campo ambientale possano giocare un ruolo strategico nei processi di riassetto e riorganizzazione della troppo complessa e complicata rete delle relazioni intersoggettive fra lo Stato centrale e le autonomie territoriali.
c) Quasi alla stregua di un conseguente corollario delle considerazioni davvero preliminari e di larga massima fin qui esposte, si deve egualmente rammentare che la Corte costituzionale ha da subito affermato (cfr. già Corte cost., n. 407/2002) che la tutela dell’ambiente è più un “valore” che una materia oppure, più di recente, che essa è materia e valore (ex multis, Corte cost., n. 66/2018 e n. 69/2018). E, da ciò, il giudice delle leggi fa coerentemente discendere la conseguenza per cui le competenze in campo ambientale sarebbero riferibili, trasversalmente, a tutti i soggetti del sistema multilivello, anche in considerazione del fatto (cfr. l’art. 11 del TFUE) che “le esigenze connesse con la tutela dell’ambiente devono essere integrate nella definizione e nell’attuazione delle politiche e azioni dell’Unione nella prospettiva di promuovere lo sviluppo sostenibile” (e dunque anche delle politiche degli Stati membri).
Da ultimo, anche l’art. 118 Cost., con la regola della c.d. chiamata in sussidiarietà, gioca un ruolo fondamentale nei processi di potenziale ristrutturazione, “a Costituzione invariata”, della trama complessiva delle relazioni Stato/regioni, secondo quanto si ritrae dalla giurisprudenza costituzionale (per tutte Corte cost., n.303/2003) nel senso che una diversa allocazione delle potestà amministrative, oltre la dimensione “minima” del comune, e quindi presso altri soggetti (ad esempio in capo alla regione) comporta, quasi per un effetto di trascinamento automatico, anche il passaggio, del tutto conseguente, presso questo stesso soggetto, del potere legislativo e/o normativo.
II. Dal quadro generale di riferimenti appena delineato si fanno discendere alcune conseguenze messe efficacemente in luce dalla giurisprudenza costituzionale, e segnatamente dai leadingcases prima ricordati.
Se la protezione dell’ambiente è un valore, e anzi, per meglio dire, un valore ed una materia, allora la riserva di competenza legislativa esclusiva prevista in favore dello Stato non deve essere intesa in modo assoluto, poiché, in quanto valore (o meglio come valore/materia), anche gli altri soggetti del sistema multilivello, e quindi in primo luogo le regioni, sono chiamati ad operare in funzione del raggiungimento di risultati e di obiettivi di valore quanto più elevati possibili. Molti di tali obiettivi paiono del resto agevolmente riconducibili ad una o più materie di cui al terzo comma dell’art. 117 Cost., e dunque alla competenza concorrente fra Stato e regioni (governo del territorio, alimenti, grandi reti energetiche, ecc.) quando non siano addirittura ascrivibili alla competenza di tipo residuale/esclusiva delle regioni (cave e miniere, ad esempio).
Ciò che naturalmente rileva, sotto questo riguardo, è un duplice limite, se così può essere definito: quando pure le regioni si trovino a legiferare in una materia che sia di loro competenza (anche se di tipo residuale e/o esclusiva) in ogni caso non potrà essere intaccato, o violato, il principio della esclusività, o comunque della condizione di primato, riservata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato dall’art. 117, secondo comma, lettera s) Cost. nel settore dell’ambiente; in questo senso, il potere legislativo regionale che si dispiega del tutto legittimamente in campi e settori funzionalmente connessi con l’ambiente in senso stretto potrà mirare ad introdurre standard più elevati di protezione ambientale, rispetto a quelli nazionali, nell’ovvio e contestuale rispetto dei principi e delle regole del diritto originario e derivato della UE. Ossia, si potrà, quando ciò appaia sotto ogni profilo possibile (legittimo ed opportuno), derogare al rialzo e al meglio, e mai al ribasso, gli standard, valori e parametri, introdotti dal legislatore nazionale in sintonia con il diritto della UE.
E, naturalmente, non possono essere dimenticate, o anche solo sottovalutate, le possibilità che ci vengono offerte dall’art. 118 Cost., così come interpretato dal giudice delle leggi.
III. Circa i quesiti specifici che attengono alla materia ambiente, per ognuno dei quali (come già detto) sarebbero necessarie indagini di maggior dettaglio, anche se difficilmente si potrebbe verosimilmente pervenire ad elaborare, rebus sic stantibus, risposte davvero affidabili, si può comunque suggerire e supporre quanto segue.
La disciplina del procedimento amministrativo rientra tra le competenze di tipo esclusivo dello Stato in quanto riconducibile all’art., 117, secondo comma lettera m) Cost. (livelli essenziali delle prestazioni dei diritti civili e sociali). A ciò si aggiunga quanto disposto dall’art. 29 della l. n. 241/1990: anche là ove la regione possa disciplinare procedure amministrative nelle materie di sua competenza non potranno comunque essere abbassati i livelli di garanzia (contraddittorio, ecc.: art, 29, comma 2-quater, l. n. 241/1990), in sintonia anche con l’art. 41 della Carta di Nizza.
In merito poi alla l. n.132/2016, è la legge dello Stato che istituisce il sistema nazionale a rete per la protezione dell’ambiente che, a sua volta, interfaccia con l’agenzia europea della protezione dell’ambiente. Le agenzie regionali sono istituite con leggi regionali. Non conosco gli eventuali tentativi di limitare il potere disciplinare delle regioni da parte dello Stato…sicché.
Circa i procedimenti di Via e Vas occorre far riferimento al T.U. ambientale (d.lgs. n. 152/2006, così come successivamente modificato e integrato), con il quale sono state recepite le direttive UE in materia, anche di ultima generazione.
Le regioni hanno l’obbligo di disciplinare i procedimenti di VIA e di VAS ed è nel contesto di tali normative che potrebbero essere messe in campo, verosimilmente, alcune misure di semplificazione amministrativa. Circa poi una diversa selezione dei progetti di competenza regionale, una diversa tipologia di rapporti fra il “centro” e le amministrazioni regionali potrebbe già essere avviata nelle sedi deliberative tradizionali, quali la conferenza Stato regioni.
In ordine alla materia dei rifiuti, sulla quale vengono formulati quesiti vari, anche molto minuti, il tratto unificante alla cui luce l’intero quadro delle competenze (e del riparto di queste fra lo Stato e le regioni) potrebbe essere ripensato è proprio rappresentato dalla c.d. blue Economy, ossia dall’economia circolare per la quale siamo già al terzo “pacchetto” di misure e normative della UE, “pacchetto” al quale anche il governo ed il Parlamento paiono essere particolarmente interessati.
Anche sulla gestione delle acque vale in primo luogo il riferimento al cit. d.lgs. n. 152/2006. Non parrebbero esserci difficoltà ad incrementare le competenze regionali in merito alla determinazione (al quantum, verrebbe da pensare) dei canoni rivieraschi e dei bacini imbriferi montani.
In merito alla gestione delle bonifiche e delle discariche può già valere il richiamo all’art. 118 Cost., così come interpretato dalla cit. sentenza di Corte cost. n. 303/2003 (gestione puntuale in capo alla regione, anziché ai comuni con il conseguente potere normativo, per quanto di ragione), a parte il fatto che è già l’art. 117 Cost. a consentire, al sesto comma, la possibilità di delegare alle regioni il potere regolamentare nelle materie di competenza legislativa esclusiva dello Stato.
Ritornando ancora alla materia dei rifiuti (la quale è il punto logico di partenza di ogni futuro discorso sull’economia circolare, come già accennato) non parrebbero esserci difficoltà nel recuperare un quid pluris di competenze in capo alle regioni in connessione con gli art. 195 e 199 del d.lgs. n. 152/2006, anche grazie, se del caso, alla mobilitazione di opportune forme di intesa con lo Stato e/o con altre regioni. Si tratta, fra l’altro, di “richieste” che riguardano soprattutto il potere di elaborare “linee guida”, e dunque di mettere in campo misure di regolazione aventi (prevalentemente) carattere di soft Law e destinate a valere esclusivamente sul territorio regionale.
Se la protezione dell’ambiente è (anche) un valore, come già visto alla luce della giurisprudenza costituzionale, allora non si vede perché la regione non possa concorrere a contrastare gli effetti del riscaldamento globale con misure mirate a produrre effetti sul proprio territorio.
Sembra invece difficile immaginare rebus sic stantibus, a legislazione invariata, un diritto della regione al risarcimento del danno ambientale, anche nella limitata ipotesi che viene ventilata. A prescindere da ogni altro discorso il “federalismo differenziato” di cui all’art. 116 Cost. può svolgersi, fra l’altro, “limitatamente all’organizzazione della giustizia di pace”, nel senso che ogni altra attribuzione nel campo della giustizia viene riservata allo Stato. Sicché, a meno che non si vogliano proporre modelli di “federalismo asimmetrico” (anziché “meramente differenziato”), sembra del tutto ovvio che questo “oggetto del contendere” possa trovare un suo principio di soluzione soltanto mettendo mano alla riforma del d.lgs. n. 152/2006.
IV. Sulla base di quanto fin qui argomentato si può tentare di pervenire ad una conclusione di sintesi.
In primo luogo, sembra che ogni percorso volto ad incrementare l’area delle competenze regionali nel campo ambientale, sulla scorta dell’art. 116 Cost., sia del tutto obiettivamente in salita: non solo infatti il governo della materia è saldamente nelle mani, e nella potestà, del legislatore nazionale ma questo stesso è soprattutto l’interprete e il portavoce “regionale” delle istanze e degli indirizzi di derivazione UE quando non, addirittura, delle organizzazioni internazionali (WTO, FMI, ecc.). Sicché, molto spesso, è lo stesso legislatore nazionale a potersi muovere entro margini di autonomia non particolarmente ampi, o persino ristretti.
D’altro canto, l’art 117 Cost. spacchetta la materia ambiente (che è anche un valore a perseguire il quale tutti i soggetti del sistema multilivello sono chiamati) nei due profili della tutela e della valorizzazione: profili dai confini labili ed incerti, a ben vedere, essendo tuttavia ben evidente che una lettura larga del concetto di “valorizzazione” può già consentire una rimodulazione delle competenze nel settore dell’ambiente in senso più favorevole alle regioni.
E a ciò si aggiunga che anche l’art. 118 Cost. può consentire, alla luce della lettura che ne viene data dalla Corte costituzionale, un rimescolamento dell’ordine delle competenze, ancora una volta in senso più favorevole alle regioni.
Non è questa la sede nella quale trattare dei profili economico-finanziari di ogni operazione che si voglia avviare nella direzione di un modello di federalismo differenziato (tema sul quale cfr., recentemente, S. Piperno, Sui profili finanziari dell’”Atto secondo” del federalismo asimmetrico, in www.csfederalismo.it) potendosi invece concludere con una (pur tenue) provocazione.
Perché non provare a rivendicare un quid pluris di competenze in ordine alla regolazione ed alla gestione dei parchi nazionali ubicati sul territorio regionale, considerata, fra l’altro, la notevole esperienza già maturata nell’amministrazione delle aree protette regionali?
[1] Professore ordinario di Diritto Amministrativo e Diritto dell’Ambiente, Dipartimento di Giurisprudenza, Università degli Studi di Torino.