Prendere sul serio le indicazioni del difensore civico regionale. Un invito per istituzioni e studiosi in occasione del dibattito sul regionalismo differenziato

Enrico Grosso[1]

È stata recentemente pubblicata la relazione annuale al Consiglio Regionale del difensore civico, avv. Augusto Fierro, sugli accertamenti da lui espletati nell’esercizio della sua funzione, sui risultati ottenuti e sui rimedi organizzativi e normativi che intende proporre per il superamento delle criticità riscontrate.

La relazione, dettagliatissima e assai analitica, è una vera e propria miniera d’oro di dati statistici, di riflessioni, di proposte, sullo stato dell’arte della tutela dei diritti in Piemonte e, più in generale, sulle condizioni di salute della comunità regionale, sotto il profilo del legame e della coesione sociale, della condivisione di valori e principi di convivenza, del rapporto tra individualismo e solidarietà. Essa costituisce una stimolante base di partenza per tutti gli studiosi che, in una prospettiva multidisciplinare, volessero indagare più a fondo sui benefici (e sui danni) che l’autonomia regionale (sia sotto il profilo normativo, sia sotto quello organizzativo) produce oggi in concreto nel tessuto socio-economico e politico del territorio piemontese.

Costituisce inoltre (o almeno, dovrebbe costituire) uno degli indispensabili strumenti conoscitivia partire dai quali impostare e sviluppare il dibattito pubblico sulle ragioni e sui contenuti specifici della richiesta di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, che anche la Regione Piemonte ha deciso di presentare al governo, ai sensi dell’art. 116 u.c. della Costituzione. La c.d. “differenziazione” non è, e non deve essere, un esercizio astratto di rivendicazioni politiche, o peggio ancora una riserva di munizioni da campagna elettorale, ma un prezioso e delicato strumento organizzativo da utilizzare con lungimiranza e consapevolezza tecnica, nella prospettiva della creazione di assetti istituzionali più efficienti, più equi, idonei a garantire una migliore gestione dei servizi, una più avanzata garanzia dei diritti, una più efficiente gestione e distribuzione delle risorse, una più forte tutela dell’uguaglianza. È questa l’ottica con la quale, in questo numero della Rivista, cominciamo a proporre un’analisi – settore per settore – del documento approvato dal Consiglio Regionale il 6 novembre 2018 con il quale la Regione ha individuato le materie su cui chiedere l’attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia. L’idea, che si svilupperà nei numeri successivi con un’ulteriore serie di contributi, è quella di fornire una complessiva “guida alla lettura” della delibera, allo scopo di farne emergere i principali nodi tecnici e di suscitare una più approfondita riflessione sulla razionalità complessiva della proposta.

Vedremo se e in quale misura la politica vorrà fare tesoro, nel momento in cui il dibattito sulla differenziazione entrerà nel vivo, dei preziosi stimoli provenienti dalle considerazioni del difensore civico. L’art. 8 della L.R. n. 50/1981 prescrive, al comma 2, che la relazione sia «sottoposta a discussione del Consiglio regionale». Solo nei prossimi mesi, dopo l’insediamento del nuovo Consiglio, poteremo valutare se maggioranza ed opposizioni sapranno opportunamente saldare tale discussione a quella, più generale, sui nuovi assetti organizzativi che il Piemonte si appresta a rivendicare nei confronti dello Stato. Per quanto compete a noi, sembra opportuno mettere in luce fin d’ora alcuni degli spunti su cui sarebbe saggio lavorare.

L’impostazione complessiva del documento è di straordinario interesse. Esso infatti non si limita a registrare e mettere a disposizione del dibattito pubblico una serie di purinteressantissimi dati sui principali settori di criticità nella difesa “in concreto” dei diritti fondamentali, o almeno di quelli inseriti nel perimetro di competenza della difesa civica. Quest’ultima resta ovviamente limitata – ai sensi dell’art. 90 dello Statuto – alla «tutela amministrativa dei cittadini» nei confronti dei soggetti «individuati dalla legge» i quali«esercitano una funzione pubblica o di interesse pubblico» (la L.R. n. 90/1981, nello specificare chi siano tali soggetti, attribuisce al difensore civico il potere di intervenire nei confronti «degli uffici dell’Amministrazione Regionale, degli Enti pubblici regionali e di tutte le Amministrazioni pubbliche che esercitino deleghe regionali, limitatamente al contenuto di tali deleghe», con ciò ovviamente circoscrivendo l’azione della difesa civica ai settori amministrativi direttamente o indirettamente attribuiti alla specifica competenza della Regione).

Già l’analisi di tali dati potrebbe offrire alcune fondamentali risposte sulle aree di maggiore debolezza, sia sul piano normativo che su quello organizzativo, degli attuali assetti amministrativi regionali. Ma la relazione ci propone molto di più. Essa stimola anche la riflessione sulle linee di tendenza che da quei dati si possono evincere. In particolare, offre uno spaccatosul modo in cui i cittadini autori di istanze al difensore civico si rappresentano il perimetro di tutela dei lori diritti fondamentali, soprattutto quelli di origine economico-sociale, e in definitiva sulla concezione che la comunità piemontese ha di sé stessa.

Proprio su quest’ultimo punto si insiste, in particolare, nell’introduzione, che trae spunto dalle indicazioni ricavabili dal contenuto delle singole richieste di intervento per rilevare «l’esistenza di una antinomia tra quei cittadini che si fanno carico di interessi ed aspettative legati al bene comune ed altri che appaiono mossi da una visione narcisista del rapporto con le istituzioni e che, per questa ragione, contribuiscono a mettere a rischio la tenuta culturale, prima ancora che economica, dei diritti sociali». Anche a questo aspetto sarebbe bene dedicare un surplus di riflessione, per chiedersi se dietro le richieste di differenziazione si celi una concezione “solidaristica” delle relazioni sociali, ovvero una mera attitudine individualistica e rivendicativa, orientata a un modello sociale competitivo e sostanzialmente egoistico.

L’analisi statistica delle richieste di intervento ci restituisce l’immagine di una crescente criticità nella capacità dei servizi pubblici regionali di offrire una adeguata garanzia dei diritti sociali soprattutto nel settore della tutela della salute e dei c.d. “servizi alla persona”. È a quest’area (che raggruppa i settori della sanità in senso stretto, dell’assistenza e dell’aiuto alle disabilità) che si riferisce, ovviamente, la stragrande maggioranza delle domande di intervento pervenute al difensore civico (più del 70%, del resto ampiamente prevedibile, data l’estensione delle competenze dell’amministrazione regionale in materia socio-sanitaria). Le altre aree di intervento riguardano le richieste di partecipazione al procedimento amministrativo (circa il 5%), quelle in materia di finanze e tributi (3,2%),di accesso alla casa popolare, di trasporto pubblico locale (intorno all’1,5%). Di impatto numerico nettamente minore (non più dell’1%) sono le richieste che coinvolgono la materia ambientale e della tutela del territorio.

Se si passa a un’analisi fine dei dati presentati, ci si accorge che il nodo problematico nettamente prevalente riguarda la c.d. “presa in carico” delle persone non autosufficienti. La più rilevante situazione di conflitto tra il cittadino e l’amministrazione sembra generarsi a seguito della decisione, da parte delle strutture sanitarie e socio-sanitarie, di dimettere – evidentemente per ragioni inerenti alla scarsità di posti-letto e all’impossibilità di aumentarne il numero a causa della corrispondente scarsità di risorse–pazienti perlopiù anziani, in condizioni di non-autosufficienza, affetti da patologie croniche e bisognosi di assistenza continua. Il conflitto si ingenera a seguito dell’opposizione dei famigliari all’atto di dimissione, ovvero, una volta ricoverato il paziente presso istituti di cura privati accreditati, a seguito della doglianza avverso la richiesta – da parte dei suddetti istituti – del pagamento delle relative rette di ricovero. Altre doglianze, riconnesse alla medesima problematica, riguardano la dilatazione dei tempi necessari per l’attivazione di prestazioni domiciliari o semi-residenziali e la conseguente formazione di sempre più lunghe liste di attesa, ovvero i criteri di valutazione, da parte delle competenti commissioni multidisciplinari (U.V.G., U.V.A., U.M.V.D.) circa l’effettiva sussistenza e persistenza nel tempodelle condizioni di non-autosufficienza.

Lo stesso difensore civico, nella sua qualità di garante per il diritto alla salute affidatogli dalla L.R. n. 19/2018, nel 2018 aveva inviato ai Presidenti del Consiglio e della Giunta regionale una relazione straordinaria, segnalando con allarme questo crescente ambito di problematicità e invitando così gli attori del sistema sanitario regionale a intervenire sul nodo della “presa in carico”, sia con riferimento alla necessità che il sistema sanitario regionale sia pienamente coerente con i LEA fissati dalla normativa nazionale, sia con riferimento all’obbligo, da parte dei Direttori Generali delle ASL, di decidere tempestivamente sui ricorsi gerarchici formulati avverso i summenzionati provvedimenti di dimissioni, cui troppo sovente i suddetti vertici apicali si sottraggono, sia infine con riferimento all’eccessivo numero di casi di superamento dei c.d. “valori soglia” di durata del ricovero presso case di cura convenzionate, ossia di casi in cui, spesso proprio a causa della “opposizione alle dimissioni”, la durata del ricovero superi il numero massimo di giorni previsto, e i famigliari si vedano pertanto recapitare richieste di pagamento delle rette di ricovero per i giorni successivi.

La parte della relazione dedicata alle questioni sanitarie è di gran lunga la più ampia. Essa dà ampio risalto anche ad altri temi di grande risonanza (dalla questione dei TSO, a partire dalla vicenda della morte di Andrea Soldi, a quella dell’adempimento degli obblighi vaccinali). Il difensore civico mostra di interpretare il suo ruolo nel senso della massima apertura a ogni forma “sostanziale” di intervento, anche eventualmente al di fuori dei limiti formali della sua competenza istituzionale, attraverso una coraggiosa interpretazione dei principi di sussidiarietà e adeguatezza. L’obiettivo dichiarato nella relazione è quello di garantire «che in tutti i Comuni del Piemonte i cittadini possano continuare a fruire e utilizzare il servizio» di difesa civica. Sotto questo profilo, dal documento dell’avv. Fierro traspare un’attenzione particolare alla garanzia dell’effettività del suo ruolo, e un’interpretazione magis ut valeant delle competenze in concreto affidategli.

Tutte le questioni qui sommariamente ricordate (per una più dettagliata ricognizione delle quali si rimanda ovviamente alla lettura della relazione) pongono con prepotenza il problema della crescente difficoltà, da parte del sistema socio-sanitario regionale a offrire una risposta pienamente adeguata alla domanda complessiva (e di conseguenza al bisogno) di cura e assistenza. Il difensore civico piemontese prende sul serio la funzione a lui affidata, ossia la tutela dei diritti fondamentali della persona e l’esercizio concreto di attività idonee a promuovere un bilanciamento e un contrappeso – a garanzia di tali diritti – nei confronti dei pubblici poteri. La relazione annuncia l’intenzione, da parte del difensore civico, di «dedicarsi con rinnovate energie» a tale compito, attraverso una nuova attività di vigilanza e monitoraggio, anche in collaborazione e coordinamento (se del caso) con gli organi di vigilanza delle ASL, con i NAS, con gli Enti Locali.

La domanda che più interessa in questa sede, in riferimento alle attuali debolezze del sistema socio-sanitario regionale denunciate dal difensore civico, è se nella formulazione delle richieste di ulteriori competenze legislative ed amministrative contenute nella delibera regionale che ha dato avvio alla proposta di differenziazione ex art. 116 comma 3 Cost. si intravedano elementi di «razionalità rispetto alla scopo», idonei a rispondere efficacemente alle reali carenze messe in evidenza. È su questo nodo problematico che si sofferma, in particolare, lo scritto di Francesco Pallante contenuto in questo numero della Rivista, cui si rinvia.

Una sezione rilevante della relazione è poi dedicata agli interventi contro le pratiche discriminatorie. Particolare sensibilità viene manifestata, dal difensore civico, nei confronti della piaga del c.d. “antiziganismo”, ossia dell’ostilità preconcetta nei confronti delle popolazioni di origine sinti e rom. Il problema delle difficoltà di convivenza con tali popolazioni, e delle possibili “fratture interne” alla società che esse possono ingenerare, non viene affatto sottovalutato. Sotto questo profilo, la relazione contiene mature ed equilibrate riflessioni sulle cause remote e prossime delle condizioni di degrado ed esclusione in cui versano perlopiù le comunità in oggetto, sulle strategie di risposta proposte e fornite nel tempo, sulle criticità che, sovente, tali politiche hanno creato o acuito. Il difensore civico non arretra di un millimetro di fronte alla constatazione della crescente impopolarità di qualsiasi proposta di politiche inclusive nei confronti di tali gruppi, e analizza con lucida determinazione i doveri istituzionali emergenti dalla normativa costituzionale, convenzionale ed europea, a tutela del principio di non-discriminazione. Denuncia la non conformità al diritto costituzionale del persistente stato di segregazione di fatto in cui vivono molte comunità sinti e rom, nonché l’illegittimità delle azioni indiscriminate di sgombero forzato dei campi.

Altre aree di attenzione della relazione riguardano le discriminazioni connesse all’esclusione delle persone con disabilità psichiche dal mondo del lavoro, quelle legate alla violazione del principio della parità di genere nell’accesso alle cariche elettive, e soprattutto quelle relative all’accesso alle prestazioni sociali da parte degli stranieri. Questo tema è di particolare attualità, oggi, su tutto il territorio nazionale, e anche in Piemonte sono stati segnalati casi di pratiche discriminatorie attuate mediante atti amministrativi promossi da Enti locali, motivati con l’esigenza di salvaguardare i diritti dei «cittadini italiani residenti».

La relazione contiene infine alcuni “focus” di approfondimento, sganciati da specifiche richieste di intervento da parte di singoli cittadini, su talune rilevanti tematiche di ordine generale che coinvolgono le relazioni civiche e il rapporto tra i cittadini e le istituzioni. Mediante tali interventi, il difensore civico adempie al compito attribuitogli dalla legge di segnalare – anche attraverso considerazioni e analisi di carattere generale – i «rimedi organizzativi e normativi di cui intende segnalare la necessità». Egli si sofferma in particolare sugli istituti di democrazia partecipativa, al dichiarato scopo di interrogarsi «su quali possano essere gli ostacoli culturali frapposti al coinvolgimento delle persone nei processi di democrazia partecipativa ed all’esercizio libero e consapevole dei propri diritti e doveri». A tal fine, la relazione presenta un confronto tra la legislazione vigente, in tale materia, nelle Regioni Piemonte, Toscana ed Emilia-Romagna. L’approccio alla questione non è affatto meramente descrittivo. Al contrario, il difensore civico prende apertamente posizione a favore di uno sviluppo dei processi di “democrazia attiva” che non li riduca a meri processi di disintermediazione e di smantellamento delle normali relazioni rappresentative. Inoltre, la relazione pone l’attenzione con determinazione e fermezza sulla questione delle c.d. “asimmetrie informative”, lasciando opportunamente intendere che, affinché la c.d. democrazia diretta non si risolva in una mera impostura, ma al contrario contribuisca attivamente all’esercizio «libero e consapevole» dei diritti di cittadinanza, è indispensabile un forte investimento in conoscenza, formazione, informazione.

Dalla lettura della relazione annuale del difensore civico emerge dunque, in conclusione, una serie di indicazioni di estremo interesse, che sarebbe un grave errore sottovalutare, trascurare o mettere da parte. Le singole parti del documento si “tengono insieme” con coerenza, a partire da una chiara scelta di campo, a sua volta sorretta da una riflessione lucida e consapevole sui principali ostacoli che, anche nella nostra Regione, limitano di fatto il godimento dei diritti fondamentali della persona, impedendo così, per parafrasare l’articolo 3 della Costituzione, il pieno sviluppo della personalità e l’effettiva partecipazione di tutti i cittadini alla vita della comunità di cui fanno parte.

Il difensore civico mostra di aver tratto dalla sua esperienza, e di voler trasmettere alle istituzioni cui la relazione si rivolge (il Consiglio regionale in primo luogo, ma anche il Parlamento nazionale, cui il rapporto, per legge, viene inviato), un’idea precisa del contesto sociale entro cui si esercita la garanzia dei diritti affidati al suo presidio, nonché delle criticità economiche, normative e organizzative che alla pienezza di tale garanzia sono di ostacolo. Non solo egli prende profondamente sul serio il suo compito, ma affida un analogo compito a tutti coloro che intenderanno, a partire da tale base, riflettere sulle possibili linee di sviluppo della protezione dei diritti in Piemonte. In primo luogo, alle istituzioni politiche (regionali e sovraregionali), che alla “rimozione degli ostacoli” sono costituzionalmente preposte. E in secondo luogo agli studiosi, dai quali ci si attende un’adeguata riflessione scientifica sulle modalità possibili dello sviluppo economico, politico e sociale del Paese.

La nostra Rivista è nata, cinque anni fa, con lo scopo di mettere insieme risorse intellettuali di diversa provenienza e formazione, allo scopo di fornire più raffinati elementi di analisi e sviluppare un dibattito più ricco e fecondo sullo stato dell’autonomia regionale, delle sue politiche pubbliche, delle relazioni tra la società e le istituzioni. Il resoconto annuale del difensore civico offre a tutti noi l’occasione di sviluppare ulteriormente il nostro pensiero su tali temi. È un’occasione che non va sprecata, per continuare a contribuire, come “Il Piemonte delle Autonomie” ha fatto in questi anni, a sostenere la formazione di un’opinione pubblica attenta, informata e consapevole.

 



[1] Professore ordinario di diritto costituzionale, Dipartimento di Giurisprudenza, Università degli Studi di Torino