“Ubi societas, ibi ius”. Considerazioni storico-giuridiche su persona, autonomie e società intermedie

Michele Rosboch1

  

1. Premessa.

Un recente saggio di Luca Mannori pubblicato in questa stessa Rivista ha evidenziato l’importanza del concetto di “autonomia” nell’evoluzione storico-giuridica italiana fra XVIII e XX secolo; muovendo dal concetto istituzionale di “autonomia” come facoltà di “governarsi da sé”, ne descrive aspetti del percorso storico fino al dibattito nell’Assemblea costituente2.

Anche oggi la discussione sulle autonomie è di stretta attualità, in un contesto istituzionale in cui si possono individuare – dopo un quarantennio di spinta verso il decentramento e la sussidiarietà – tendenze neostataliste e di ri-accentramento di competenze, con conseguente riduzione del peso dei “corpi intermedi”3.

Di seguito vorrei offrire qualche riflessione in chiave storica, cercando di ricuperare per sommi capi alcune linee di sviluppo e di riflessione del nesso fra diritto e società e – nel suo ambito – fra poteri pubblici e comunità intermedie.

Ci si può riferire, sinteticamente all’espressione “Ubi societas ibi ius”, che si colloca nel cuore della storia giuridica europea: essa individua il nesso inscindibile fra la dimensione sociale (intesa come vita associata con i suoi valori e le sue tradizioni) e la dimensione giuridica.

Com’è noto essa risale alle fonti romane, dove è presente il brocardo: “Ubi homo, ibi societas. Ubi societas, ibi ius. Ergo ubi hoc, ibi ius4: una società si dà una forma giuridica proprio perché nella società stessa vi è una insopprimibile sete di giustizia; il diritto (com’è noto, l’espressione ius ha la stessa radice semantica della parola iustitia😉 è lo strumento per “tenere insieme” una società al fine della giustizia5.

Nella sintetica definizione compaiono i due sostantivi societas e ius. Il primo indica, appunto, la società politica (la polis o civitas), mentre il secondo fa riferimento al diritto, cioè al fenomeno giuridico nelle sue svariate e pluriformi articolazioni.

Le diverse articolazioni della combinazione fra persona (o individuo, come in alcuni periodi storici viene a precisarsi la soggettività giuridica e politica), società (politica) e stato costituiscono un’interessante chiave interpretativa della storia giuridica, caratterizzata da sempre da una costante tensione fra le diverse articolazioni dei poteri pubblici e della società civile6.

2. Il periodo medievale.

La nascita del diritto europeo deriva dall’esperienza giuridica romana. E’ il mondo romano ad “inventare” il diritto, che in realtà esiste da sempre – almeno come coscienza non riflessa – laddove vi sia una comunità di persone che si organizza attraverso una serie di principi e di regole, anche non scritte7.

Spetta al diritto romano il merito di avere formalizzato l’ordine giuridico del vivere associato attraverso l’individuazione di una vera e propria sistematizzazione ed una compiuta elaborazione giurisprudenziale8.

Il mondo medioevale eredita, dal crollo dell’impero romano, l’idea della centralità del diritto e soprattutto il nesso inscindibile fra il diritto e l’assetto sociale nei suoi dinamismi e nelle sue convinzioni.

In realtà l’epoca medioevale è assai lunga (circa mille anni) ed in essa si possono rilevare, al contempo, alcuni caposaldi stabili ed alcuni elementi radicale novità, soprattutto nel periodo bassomedievale: si tratta di un diritto inteso come dimensione profonda della società in quanto ordinata, non caotica ma sostenuta da un insieme di regole – per lo più consuetudinarie – e di prassi diffuse. Le stesse relazioni fra differenti ceti o fra diverse istituzioni rappresentano solide basi giuridiche della complessa società medievale9.

 Qualche parole merita spendere per quella originale manifestazione del diritto che va sotto il nome di consuetudine; senza dubbio, fino alla fine del secolo XI, il diritto medievale è il regno della consuetudine: intesa come “fatto normativo” (secondo la nota definizione di Norberto Bobbio), costituisce cioè un il tessuto connettivo di una comunità umana, nella consapevolezza – pur non formalizzata – di seguire regole obbliganti10.

Com’è noto, anche lo sviluppo del diritto intermedio non viene ad eliminare del tutto il complesso consuetudinario ‘vigente’, ma vi aggiunge una spiccata tendenza alla formalizzazione ed all’armonizzazione del diritto operata nelle università, a partire dall’Alma mater bolognese, con la mediazione dei giuristi attraverso la riscoperta delle fonti del Corpus Iuris Civilis11.

Alle origini dell’assetto giuridico medievale, poi definito “ius commune europeum”,  non si colloca il potere politico: non è lo “stato” (peraltro non ancora formatosi secondo i caratteri propri della modernità) ad intervenire come produttore del diritto; anzi, l’elemento statuale non rientra fra quelli necessari per l’esistenza del fenomeno giuridico12.

Il diritto si lega – invece – necessariamente alla presenza di una comunità di consociati ed alla traduzione in termini “formali” delle regole e dei principi riconosciuti validi. In questo senso si può aderire alla fortunata espressione secondo cui l’epoca medievale si caratterizza come “epoca senza stato”13.

Peraltro, proprio nel periodo medievale ci sono numerosi soggetti istituzionali che esercitano un potere in modo “autonomo” (regni, principati, città libere, comuni rurali, istituzioni religiose) nel quadro dell’impero, e della comune appartenenza alla societas christiana, ma nessuno di questi – nemmeno l’Impero – assume un ruolo unificatore e tendenzialmente totalizzante, come sarà quello esercitato dallo stato moderno14.

Nel periodo medievale, accanto al mondo feudale, ma frequentemente in alternativa ad esso, il mondo cittadino rappresenta il volto compiuto del medioevo quale epoca ricca di legami comunitari, che assumono un carattere costitutivo dell’intero ordinamento giuridico e politico.

I vincoli comunitari – sia cetuali, sia religiosi o territoriali – assumono perciò un carattere ordinamentale, costituendo elementi portanti ed insostituibili dell’intero ordine giuridico e politico. In particolare a partire dal secolo XI si sviluppa un multiforme paesaggio di città, a partire dall’Italia e poi anche in numerose altre regioni europee, sorte in molti casi su preesistenti insediamenti urbani ed in altre situazioni con la fondazioni di nuove realtà cittadine, come a l’Aquila e Alessandria15.

In linea generale, il sorgere dei comuni è un fenomeno assai dinamico e complesso, che coinvolge elementi sociali e culturali (il cosiddetto “spirito associativo”), politici (come l’affrancamento dai vincoli feudali e servili) e giuridici, con la formazione di nuovi ordinamenti “autonomi”.

Senza dubbio contribuisce al sorgere dei comuni anche il rinnovato clima di sviluppo dei commerci e delle istituzioni mercantili, che proprio nel rinnovamento degli assetti cittadini troveranno adeguata collocazione e ulteriore spinte16.

Da un punto di vista istituzionale l’organizzazione dei comuni si caratterizza per una sempre maggior complessità, a progressivo presidio della crescente autonomia e delle crescenti prerogative politiche assunte dalle diverse città. Com’è noto, l’evoluzione della vita comunale si può articolare, per ragioni di semplicità espositiva, in tre fasi: da quella iniziale caratterizzata dal governo dei consoli, a quella dei podestà (chiamati a partire dalla fine del secolo XII dall’esterno a risolvere le numerose controversie sorte fra le fazioni comunali) fino a quella “del popolo”, in cui si realizza l’egemonia dei ceti mercantili nella vita cittadina17.

La nascita del comune medievale implica una profonda trasformazione dell’ordine sociale, verso il superamento della società feudale, con un grande sviluppo dei commerci e della borghesia mercantile e con la fioritura all’interno dei comuni delle corporazioni delle arti, a loro volta autonome rispetto al comune e dotate di una propria iurisdictio18.

Si può affermare senza dubbio, con Francesco Calasso che: “La città è al centro della nuova storia: praticamente padrona assoluta della propria sorte, crea con piena libertà i propri ordinamenti, si dà proprie leggi (statuta), esercita la giurisdizione, impone tributi, batte moneta, stringe patti politici ed economici con altre città”19.

Anche in Piemonte si possono ritrovare i caratteri dello sviluppo della civiltà medievale all’insegna di un diffuso pluralismo e del sorgere di numerosi comuni, caratterizzati da livelli diversi di autonomia: fra questi spiccano Asti, Vercelli, Alessandria ed Ivrea20

Si tratta, in linea generale, di un assetto sociale ed istituzionale basato sull’autonomia del diritto nei confronti delle istituzioni politiche e dell’indifferenza del potere politico nei confronti del fenomeno giuridico.

Volendo sintetizzare è possibile affermare che tutto ciò si è realizzato storicamente per la compresenza di tre fattori:

1) Una forte antropologia dei legami. Le cose, le comunità sono legate stabilmente e tale coscienza dei legami comunitari è costitutiva, non è accessoria alla vita del singolo. Il singolo è intrinsecamente inserito in una o più comunità in cui si realizza – secondo gradi diversi – il proprio “perfezionamento”21.

2)  La presenza della tutela e della garanzia di due grandi istituzioni universali: la chiesa e l’impero svolgono sia una funzione ideale di riconduzione unitaria, sia una funzione limite nella decisione dei conflitti più gravi. A tale proposito, Giorgio Falco ha richiamato l’importanza della compresenza equilibrata di chiesa nella civiltà medievale e degli effetti negativi sulla stessa chiesa derivanti dalla crisi dell’impero – e conseguentemente dell’universalismo – dopo la morte di Enrico VI22.

3)  La presenza dello ius commune europeo, di formazione dottrinaria, ma capace di inglobare nell’insieme di principi, concetti e regole anche le espressioni dello ius proprium23.

3. Verso l’epoca moderna.

Il diritto e la società medievale (una società senza stato, resa possibile da una antropologia fondata sui legami, da una garanzia delle istituzioni universali e dalla presenza della costruzione mirabile del diritto comune) entra in crisi verso la metà del 130024.

In quel periodo si avvia un processo di disarticolazione delle certezze che avevano retto l’Europa nel periodo medievale, permettendo ad essa – tra le altre cose – di includere in una nuova compagine sociale un imponente flusso migratorio come quello delle invasioni barbariche, rendendolo fattore di ricchezza della civiltà europea.

Il passaggio dal medioevo all’epoca moderna, frutto di numerose cause storiche, politiche ideologiche e giuridiche, rappresenta un momento di notevole sommovimento della storia europea, in cui si possono rilevare – nello stesso momento – elementi di tradizione insieme ad elementi di forte novità, anche in ambito giuridico ed istituzionale25.

Con riferimento al nostro punto di osservazione, occorre rilevare – in primo luogo – il diffondersi di una diffidenza nella stessa “natura delle cose”: le cose hanno tradito la civiltà medievale (basti pensare alle calamità naturali o alla terribile peste del 1347); anche dalle comunità, però, è giunto un tradimento delle premesse di libertà verso cui si erano rivolti i legami cittadini e le autonomie comunali, fino a quel momento in grado di costituire un involucro protettivo posto a garanzia degli abitanti delle diverse civitates; basti pensare, in proposito, alle frequenti lotte fra i comuni italiani – ed interne ai comuni stessi – che insanguinano soprattutto il XIII ed il XIV secolo, che segnano la crisi del particolarismo e del pluralismo nel tardo medioevo.

Alla crisi del particolarismo comunitario si affianca la crisi dell’universalismo: chiesa ed impero, infatti, patiscono proprio nel XIV secolo scismi, lacerazioni e divisioni, che ne minano profondamente ruoli e credibilità26.

Viene ad emergere nel corso dell’epoca moderna l’elemento individuale, con una sorta di ‘liberazione’ del soggetto e conseguente, seppur lenta e progressiva, emancipazione dai legami di appartenenza precedenti. Del soggetto individuale si evidenzia – dal punto di vista antropologico – soprattutto la sua capacità volitiva, in grado di creare dal nulla e perciò di modificare l’ordine giuridico e politico dato fino a quel momento per costituito e per scontato27.

Su questo inizio di disarticolazione dell’unità politica e culturale medioevale si inseriscono due fenomeni storici di rilievo straordinario ed epocale: la scoperta dell’America e la Riforma protestante. Anch’esse contribuiscono a scardinare antiche certezze, come la centralità europea o l’unità religiosa del continente: è la fine della res-publica christiana ed il momento del sorgere delle condizioni favorevoli alla nascita dello Stato moderno28

Con l’inizio del XVI secolo si afferma il ruolo del principe: alla nascita dell’individualismo moderno dal punto di vista antropologico e culturale si affianca la nascita dello stato moderno, per cui la garanzia dell’ordine politico e giuridico non risiede  più in una rete di comunità particolari (pur inserite in un contesto universale), ma piuttosto nell’autorità dello stato e nel potere del sovrano; lo stato moderno si caratterizza dunque per  un accentramento progressivo del potere, favorendo un assetto istituzionale tendenzialmente unitario ed esclusivo, fino ad affermare la supremazia dello stato stesso nei confronti delle diverse articolazioni sociali29.

Peraltro, a ben vedere,  il “vecchio mondo” comunitario dimostra una forza di resistenza straordinaria, grazie alla quale coesistono durante tutta l’epoca moderna istanze accentratrici, unitarie ed esclusive, accanto alle tradizionali organizzazioni feudali, cetuali e locali30.

Com’è noto, infatti, l’istituto giuridico più radicato del mondo medioevale, il feudo, viene abolito in Europa solo con la Rivoluzione Francese: alcune delle strutture giuridiche essenziali del diritto medioevale (incluse le fonti del diritto comune) proseguono – seppure in crisi – fino al secolo XIX31.

Con riguardo all’evoluzione dello Stato moderno ed ai suoi elementi si possono evidenziare: in primo luogo, l’emersione del concetto di “sovranità” (a partire dall’opera di Jean Bodin ed all’evoluzione istituzionale del regno di Francia); in secondo luogo, il sorgere di una sempre più organizzata e capillare amministrazione burocratica, soprattutto a livello militare, fiscale e giudiziario32.

Dopo secoli di relativa ‘indifferenza’ del potere politico nei confronti del diritto, il principe moderno inizia ad intervenire in modo sempre più invasivo nella legislazione: con il secolo XVIII il principe diverrà sovrano “illuminato”, capace di stabilire perfino la conformità o meno di un precetto o di un istituto alla natura33.

Tutto ciò viene a condizionare anche le vicende delle comunità intermedie e dei corpi sociali: la costruzione dello stato sovrano, sempre più accentrato ed unico protagonista della vita pubblica (fino all’espressione estrema secondo cui “Lo Stato è tutto in tutto”)34 comporta, evidentemente, il venir meno delle prerogative giuridiche e politiche delle società intermedie; in questo senso si può parlare di una vera e propria “cancellazione” moderna delle comunità intermedie operata proprio dalle  nuove entità statuali in nome di astratte affermazioni di principio ed una radicata ripugnanza delle questioni fattuali e concrete35.

Sulla stessa linea, Norberto Bobbio evidenzia che: “Una volta costituito lo Stato, ogni altra forma di associazione, ivi compresa la chiesa, per non parlare delle corporazioni o dei partiti o della stessa famiglia, delle società parziali, cessa dall’aver qualsiasi valore di ordinamento giuridico autonomo”36.

Con l’avvento dello stato moderno si riscontra una riduzione del peso delle società intermedie – con conseguente diminuzione degli ambiti di operatività delle diverse autonomie –  e, successivamente, l’affermazione del primato dello stato sulla società37.

Si tratta di un’abile strategia politico-istituzionale che trova il suo punto di raccordo con la Rivoluzione francese. Essa costituisce un momento di svolta decisiva nella storia europea poiché porta a compimento il percorso iniziato con il costituirsi dello stato moderno38: da un punto di vista istituzionale la Rivoluzione francese rappresenta infatti, in nome dei diritti dell’individuo (non della persona) la totale cancellazione di tutti i corpi intermedi.

La legge più significativa del periodo rivoluzionario è infatti quella di Le Chapelier, approvata dall’Assemblea costituente il 14 giugno 1791, che destituisce di ogni valore giuridico-istituzionale tutte le associazioni ed aggregazioni private, salvo il nucleo famigliare39.

Naturalmente non si tratta di fare nessun tipo di ‘apologia’ della complessità istituzionale di origine medievale, ormai in profonda crisi nel periodo conclusivo dell’Ancien régime, nel quale i presupposti antropologici, religiosi e filosofici posto alla base del precedente ordine giuridico e politico erano in gran parte superati ed immotivati, ma piuttosto di comprendere le ragioni profonde di un cambiamento epocale e delle sue conseguenze politiche, giuridiche e sociali40.

In estrema sintesi si può rilevare come le stesse vicende dello sviluppo degli stati moderni (secondo le diverse declinazioni nazionali e territoriali che assumono in Europa) possono essere lette anche nel confronto accesso e spesso conflittuale fra la volontà livellatrice ed accentratrice dei sovrani e le resistenze dei corpi intermedi e delle loro appartenenze: evidentemente si fronteggiano nel corso dell’epoca moderna diverse concezioni non solo della politica e del diritto, ma anche della stessa antropologia del potere41.

Come già ricordato, il passaggio rivoluzionario dall’Antico regime al secolo XIX segna il trionfo dello stato di diritto, l’abolizione delle “appartenenze” e la costruzione di un nuovo soggetto giuridico individuale: il ‘nudo cittadino, quale unico interlocutore dello stato (senza mediazioni intermedie) e protagonista indiscusso della vita civile, economica e politica42.

Pur con sfumature ed eccezioni il secolo XIX registra l’affermazione dello stato liberale ed una generale svalutazione giuridica dei fenomeni associativi, che pure (pressoché in tutta Europa) registrano nel corso del tempo una nuova vitalità, con la nascita di nuove ed imponenti realtà associate come i sindacati, i partiti e le libere associazioni di vario orientamento culturale o religioso, come messo in rilievo a più riprese da Paolo Grossi43.

Proprio nell’Ottocento l’opera di Alexis de Tocqueville aveva portato alla ribalta del dibattito culturale europeo l’assetto degli Stati Uniti d’America, in cui si poteva registrare la straordinaria vitalità della società civile ed il ruolo propulsore delle società intermedie per lo sviluppo delle democrazia sostanziale44.

Proprio in questo ambito va registrato uno specifico interesse per il ruolo della religione – sottolineato a più riprese anche dallo stesso Tocqueville – e per l’elaborazione da esse compiute dell’importanza del pluralismo sociale ed istituzionale nei confronti dello ‘strapotere’ degli stati45.

La “lezione americana” non fu sempre seguita né compresa pienamente; la crisi dello stato liberale segna il secolo XX, caratterizzato dal dramma dei totalitarismi – sempre caratterizzati da un chiaro disprezzo per la vitalità sociale ed il tentativo di liquidare o statalizzare le manifestazioni intermedie – e dalla difficile ripresa dei diritti dei singoli e delle stesse comunità, a più riprese, dopo la seconda guerra mondiale e dopo la caduta del muro di Berlino46.

In questa direzione, l’elaborazione compiuta da maestri del pensiero occidentale come Hannah Arendt, Robert Nisbet ed Eric Voegelin o dei paesi dell’est europeo, come Vaclav Havel (insieme ad altri intellettuali del movimento Charta’77) ed Alexander Solzenicyn, a proposito della decisiva natura “antitotalitaria” delle genuine aggregazioni umane ha rappresentato in anni difficili un sicuro contributo per la libertà e la democrazia sostanziale47.

Parallelamente si afferma nella seconda metà del XX secolo – nelle democrazie costituzionali più evolute – il valore positivo delle “formazioni sociali” e la riforma degli stessi ordinamenti del welfare state nell’ottica del decentramento di funzioni e dell’applicazioni a diversi livelli del cosiddetto “principio di sussidiarietà”48.

4. Cenni conclusivi.

Nella situazione di oggi, in cui si ripropone, nella società globalizzata e nel contesto degli attuali conflitti la questione del ruolo e del valore delle comunità intermedie, quale ambito ineludibile per lo sviluppo armonico della libertà, come coltura delle virtù e come antidoto allo strapotere degli apparati e delle tecnologie invasive49: in tal senso si colloca anche l’attuale dibattito italiano di riforma del terzo settore e la ridefinizione del ruolo di stakeholder importanti, come le fondazioni di origine bancaria, quale attori di rilievo della società civile50.

Di rilievo è, infine, la riflessione compiuta intorno ai temi della sussidiarietà e della big society, che necessitano però di ulteriori sviluppi e integrazioni nell’attuale mutato contesto politico e sociale51.

Certamente la situazione attuale interroga profondamente anche le stesse comunità intermedie – al di là delle forse ormai superate contrapposizioni fra individualismo e comunitarismo – in ordine al proprio ruolo ed all’urgenza di non rappresentare chiusure di orizzonti, ma ambiti sempre più efficaci di libertà, come evidenziato di recente da Giulio Cianferotti a proposito del “paradigma personalista” del XX secolo52.

1 Professore associato di Storia del diritto italiano ed europeo nell’Università di Torino; l’articolo riprende i contenuti di una lezione tenuta nell’ambito della II edizione della “Winter School-L’arte della politica” sul tema “Ubi societas ibi ius. Persona, società e Stato nell’esperienza giuridica europea”.

 

2 L. Mannori, Autonomia. Tracciato di un lemma nel vocabolario amministrativo italiano dal Settecento alla Costituente, in “Il Piemonte delle Autonomie”, 1 (1-2014), pp. 26-37.

 

3 Ricostruisce in chiave storica il concetto di “autonomia” P. Grossi, Un diritto senza Stato (La nozione di autonomia come fondamento della costituzione giuridica medievale), in Assolutismo giuridico e diritto privato, Milano, Giuffrè, 1998, pp. 275-292. Sulla situazione attuale, rimando al contributo in questa rivista di G. Pastori, Le autonomie territoriali nell’ordinamento repubblicano, in “Il Piemonte delle Autonomie”, I (1-2014), pp. 52-60.

 

4 Mi limito a richiamare per tutti S. Romano, L’ordinamento giuridico: studi sul concetto, le fonti e i caratteri del diritto, Pisa, Mariotti, 1917 (su cui e. Ripepe, La teoria dell’ordinamento giuridico, in treccani.it) ed U. Santarelli, Ubi societas ibi ius. Scritti di storia del diritto, a c. A. Landi, Torino, Giappichelli, 2010. Fondamentale anche F. Calasso, Medio evo del diritto. I. Le fonti, Milano, Giuffrè, 1954.

 

5 Per Thoms Hobbes, invece, ius deriva da iussum, evidenziando così il momento autoritativo e di “potere” del fenomeno giuridico: cfr. In generale N. Bobbio, Giusnaturalismo e positivismo giuridico, Bari-Roma, Laterza, 2011.

 

6 Per alcune considerazioni generali, P. Hirst, dallo statalismo al pluralismo: saggi sulla democrazia associativa, Torino, Bollati Boringhieri, 1999 e N. Matteucci, organizzazione del potere e libertà, Torino, Utet, 1988.

 

7 Significativo R. Sacco, Antropologia giuridica. Contributo ad una macrostoria del diritto, Bologna, Il Mulino, 2007.

 

8 In sintesi, per tutti, R. Orestano, Introduzione allo studio del diritto romano, Bologna, Il Mulino, 1987.

 

9 Per un percorso complessivo, A. Padoa Schioppa, Storia del diritto in Europa, Dal medioevo all’età contemporanea, Bologna, Il Mulino, 2007.

 

10 N. Bobbio, La consuetudine come fatto normativo, Torino, Giappichelli, 2010; Con riferimento al periodo medievale  cfr. anche L. Prosdocimi, Ricerche sull’aspetto consuetudinario del diritto dai commentatori alla scuola storica, Milano, Giuffrè, 1956-1961 e Santarelli, La normativa statutaria nel quadro dell’esperienza giuridica bassomedievale, in Ubi societas, cit., pp. 793-806.

 

11 Per tutti, E. Cortese, Le grandi linee della storia giuridica medievale, Roma, Il Cigno Galileo Galilei, 2000.

 

12 A. Cavanna, Storia del diritto moderno in Europa. 1. Le fonti e il pensiero giuridico, Milano, Giuffrè, pp. 19-136; efficace sintesi in M. Caravale, Storia del diritto nell’Europa moderna e contemporanea, Bari-Roma, Laterza, 2012, pp. 3-94.

 

13 P. Grossi, L’ordine giuridico medievale, Bari-Roma, Laterza, 1995.

 

14 Cfr. P. Grossi, L’Europa del diritto, Bari-Roma, Laterza, 2007.

 

15 Per tutti, A. Padoa Schioppa, Il diritto nella storia d’Europa. Il medioevo, Padova, Cedam, 1995.

 

16 Cfr. M. Caravale, Ordinamenti giuridici dell’Europa medievale, Bologna, Il Mulino, 1994, pp. 243-276.

 

17 G.S. Pene Vidari, Storia del diritto. Età medievale e moderna, Torino, Giappichelli, 2010, pp. 73-131; per una sintesi sulle vicende storiche piemontesi nell’epoca precedente, a partire dal periodo romano, rimando alla sintesi pubblicata in questa stessa rivista da S. Roda, Torino e il Piemonte in età tardoantica, in “Il Piemonte delle Autonomie”, II (1-2015), pp. 37-39.

 

18 In generale, cfr. P. Costa, Iurisdictio. Semantica del potere politico nella pubblicistica medievale (1100-1433), Milano, Giuffrè, 1969.

 

19 F. Calasso, Comune (Premessa storica), in Enciclopedia del diritto, VIII, Milano, Giuffrè, 1961, p. 169.

 

20 Per tutti, C. Montanari, Gli statuti piemontesi: problemi e prospettive, in Legislazione e società nell’Italia medievale, Bordighera, Istituto internazionale di studi liguri, 1990, pp. 103-207 e G.S. Pene Vidari, Aspetti di storia giuridica piemontese, a c. C. De Benedetti, Torino, Giappichelli, 1997, pp. 9-62. Il comune di Torino, non particolarmente sviluppato in epoca medievale, cresce soprattutto a partire dal secolo XV: cfr. per tutti F. Cognasso, Storia di Torino, Milano, Giunti, 1974.  Mi permetto di rinviare (anche per indicazioni bibliografiche) a M. Rosboch, Invalidità e statuti medievali. Pisa, Bologna, Milano, Ivrea, Roma, Fondazione Mochi Onory per la storia del diritto italiano, 2003.

 

21 Grossi, L’ordine giuridico, cit., pp. 195-201.

 

22 G. Falco, La santa romana repubblica: profilo storico del medioevo, Milano-Napoli, Ricciardi, 1965.

 

23 “Questo sistema del ius commune rappresentò – per così dire – l’architrave dell’ordine giuridico basso-medievale, ma non ne fu l’unico assetto normativo, e non rimase sempre e dovunque uguale a se stesso. La sua variabilità derivò dalla sua storicità … Accanto ed in contrappunto [allo ius commune] ebbero parimenti vigore, nei singoli luoghi e nei diversi tempi, gli iura propria delle diverse realtà istituzionali – Comuni, Corporazioni, Principati e Regna – che ebbero ed esercitarono con forza la loro potestats statuendi che garantiva risposte precise e pronte ai mille problemi che quotidianamente nascevano e dovevano essere altrettanto quotidianamente risolti” (Santarelli, Il ius commune, frutto maturo dell’esperienza giuridica medievale, in Ubi societas, cit., pp. 915-916).

 

24 Sinteticamente Grossi, L’Europa del diritto, cit., pp. 65-87; di rilievo anche H.J. Berman, Diritto e rivoluzione. Le origini della tradizione giuridica occidentale, Bologna, Il Mulino, 1998.

 

25 Per tutti, cfr. i classici studio di J. Huizinga, Autunno del medioevo, Sansoni, Firenze, 1940; P. Hazard, La crisi della coscienza europea, a c. P. Serini, Torino. Einaudi, 1946   e – per l’evoluzione del pensiero giuridico – M. Villey, La formazione del pensiero giuridico moderno, Milano, Jaca Book, 1986.

 

26 Cfr. per tutti H. Daniel Rops, La Chiesa del Rinascimento e della Riforma, Torino, Marietti, 1960.

 

27 N. Matteucci, Alla ricerca dell’ordine politico. Da Machiavelli a Tocqueville, Bologna, Il Mulino, 1984.; cfr. anche R. Nisbet, La comunità e lo Stato. Studio sull’etica dell’ordine e della libertà, Milano, Edizioni di Comunità, 1957.

 

28 Cfr. G. Astuti, La formazione dello Stato moderno in Italia. Lezioni di storia del diritto italiano, I, Torino, Giappichelli, 1967.

 

29 Sinteticamente P. Grossi, Un recupero per il diritto: oltre il soggettivismo moderno, in Persona e Stato, Milano, Fondazione per la sussidiarietà, 2007, pp. 39-52.

 

30 Si possono segnalare, in proposito, le vicende dei comuni piemontesi in epoca moderna, per i quali si disegnano nuove forme di sviluppo e di autonomia nell’ambito dello stato sabaudo e delle diverse articolazioni feudali e signorili: per una precisa ricostruzione, a partire dalla zona del cuneese, cfr. E. Coscia, Aspetti delle autonomie locali nella provincia di Cuneo in prospettiva storica, in Le autonomie territoriali e funzionali nella Provincia di Cuneo in prospettiva transfrontaliera (alla luce del principio di sussidiarietà), Napoli, Esi, 2011, pp. 63-95; con riferimento alle zone alpine, Partecipazione e autonomia nelle territorialità dell’area alpina occidentale. Profili storici e giuridici, a c. G. Lombardi, Milano, Franco Angeli, 1988.

 

31 Per tutti, A. Musi, Il feudalesimo nell’Europa moderna, Bologna, Il Mulino, 2007.

 

32 Ancora Astuti, La formazione, cit., pp. 36-160; significativo anche L. Mannori-B. Sordi, Storia del diritto amministrativo, Bari-Roma, Laterza, 2001, in specie pp. 1-276. Si vedano anche P.P. Portinaro, Il labirinto delle istituzioni nella storia europea, Bologna, Il Mulino, 2007 e P. Rosanvallon, La società dell’uguaglianza, Roma, Castelvecchi, 2013.

 

33 P. Grossi, Un recupero, cit., pp. 42-46.

 

34 Cfr. Talmon, Le origini della democrazia totalitaria, Bologna, Il Mulino, 2000, p. 176.

 

35 P. Grossi, Le comunità intermedie tra moderno e pos-moderno, a c. M. Rosboch, Genova, Marietti, 2015, pp. 35-79 (con ulteriori indicazioni bibliografiche, pp. 81-93).

 

36 N. Bobbio, Il modello giusnaturalistico, in N. Bobbio-M. Bovero, Società e Stato nella filosofia politica moderna, Il Saggiatore, Milano, 1979, p. 112.

 

37 Significativa ricostruzione in chiave storico-comparatistica in E. Genta, Note su centralismo, autonomie e condizioni di povertà, con uno sguardo su Francia e Inghilterra, in “CDCT working paper”, 36-2015, pp. 1-15.

 

38 Cfr. per tutti P. Gaxotte, La rivoluzione francese, Milano, Mondadori, 1989; considerazioni di rilievo sull’ideologia giacobina in A. Cochin Les Sociétés de pensée et la démocratie, Paris, Plon, 1921 (edito in Italia come Lo spirito del giacobinismo: le società di pensiero e la democrazia. Una interpretazione sociologica della Rivoluzione francese, Milano, Bompiani, 1981), su cui M. Riberi, Auguste Cochin e le società di pensiero: attualità di una problematica, in Sintaksis. Raccolta di studi, a c. M. Rosboch-D. Gigli, 3, Collegno, La locanda del Re Pescatore, 2010, pp. 47-97.

 

39 Grossi, Le comunità, cit., pp. 51-56.

 

40 Fondamentale resta A. de Tocqueville, L’Antico regime e la rivoluzione, a c. G. Candeloro, Milano, Bur, 1998.

 

41 Mi permetto di rimandare a M. Rosboch, Le comunità intermedie fra libertà e potere nella tradizione occidentale, in Grossi, Le comunità, cit., pp. 7-33.

 

42 Per tutti, cfr. Lo Stato moderno in Europa. Istituzioni e diritto, a c. M. Fioravanti, Bari-Roma, Laterza, 2002. Interessanti riflessioni anche in U. Petronio, La lotta per la codificazione, Torino, Giappichelli,  2002.

 

43 Da ultimo in Le comunità, cit, pp. 59-79.

 

44 In particolare A. de Tocqueville, La democrazia in America, a c. G. Candeloro, Milano, Bur,  2003 ; in merito si possono richiamare, fra i moltissimi; A. Jardin, Alexis del Tocqueville 1805-1859, Milano, Jaca Book,1994;L. Diez  del Corral, Tocqueville. Formazione culturale e ambiente storico, Bologna, Il Mulino, 1996e U. Codagelli, Vita di Tocqueville (1805-1859), Roma, Donzelli, 2005, oltre alle considerazioni di Matteucci, Alla ricerca, cit., pp. 193-261.

 

45Mi permetto di rimandare specificamente a M. Rosboch,Il fattore religioso ne La Democrazia in America di Alexis de Tocqueville, in Sintakisis , in Sintaksisi. Raccolta di Studi, I, a c. M. Rosboch-D. Gigli, Cuneo, Saste, 2007,  pp.  29-41; in generale, in chiave europea: E.-W. Böckenförde, Diritto e secolarizzazione. Dallo Stato moderno all’Europa unita, a c. G. Preterossi, Bari-Roma, Laterza, 2007; L. Siedentop, La democrazia in Europa, Torino, Einaudi, 2001 e con diversa impostazione G. Zagrebelsky, Contro l’etica della verità, Bari-Roma, Laterza, 2008.

46 Per il contesto europeo, cfr. P. Grossi, Il messaggio giuridico dell’Europa e la sua vitalità: ieri, oggi, domani, in “Rivista di storia del diritto italiano”, LXXXVI (2013), pp. 5-21.

 

47 Il riferimento è soprattutto a: H. Arendt, Le origini del totalitarismo, Milano, Mondadori, 1997; V. Havel, Il potere dei senza potere, Milano, La casa di Matriona, 2013; cfr.  Nisbet, La comunità, cit.; A. Solzenicyn, Discorsi americani, Milano, Mondadori, 1976 e Id., Il mio grido, Prato, Piano B, 2015; E. Voegelin, La politica: dai simboli alle esperienze, Milano, Giuffrè, 1993; significativi per il punto di vista americano: C. Taylor, Il disagio della modernità, Bari-Roma, Laterza, 2006; A.C. MacIntyre, Dopo la virtù. Saggio di teoria morale, Milano, Feltrinelli, 1988 e M. Sandel, Giustizia. Il nostro bene comune, Milano, Feltrinelli, 2010.

 

48 Per tutti, G. Lombardi-L. Antonini, Principio di sussidiarietà e democrazia sostanziale: profili costituzionali della libertà di scelta, in “Diritto e Società”, 1 (2003), pp. 155-185 ed I. Massa Pinto, Il principio di sussidiarietà. Profili storici e costituzionali, Napoli, Jovene, 2003, con ampi riferimenti bibliografici.

 

49 Coglie il punto Enrico Berti nell’affermare che: “La globalizzazione ha infatti dimostrato che tutti dipendono da tutti, sia sul piano economico, sia su quello culturale. … La società moderna è talmente complessa che, per il principio di sussidiarietà, ha bisogno di delegare una quantità di poteri a società intermedie, a realtà che provvedano all’amministrazione del bene comune nella dimensione locale. Arriverà un momento in cui lo Stato, con la progressiva perdita dei poteri sia al proprio esterno sia al proprio interno, cesserà di esistere. Che ne sarà allora della società umana? La polis, cioè la società politica, continuerà ad esistere, ma dovrà assumere forme di organizzazione del tutto nuove, che forse oggi ancora non si lasciano prevedere. Certo la direzione in cui si va non può essere che quella di aggregazioni sempre più grandi, destinate a diventare un’unica organizzazione politica di dimensioni mondiali” (E. Berti, Il bene di chi? Bene pubblico e bene privato nella storia, a c. G. Maddalena-A. Di Chiro, Genova, Marietti, 2014, pp. 44-45).

 

50 In sintesi, su questa stessa rivista, M. Dogliani, Il labirinto delle riforme, in “Il Piemonte delle autonomie”, II (3-2014), pp. 1-5 e F. Pizzetti, Il nuovo ordinamento degli enti locali e le regioni: una sfida per il presente e per il futuro anche nella prospettiva di una evoluzione del sistema regionale, Ibidem, II (2-2015), pp. 1-7. A centocinquant’anni dalla scelta centralistica dello Stato unitario paiono opportune alcune riflessioni in ordine all’efficacia o meno di tale impostazione: cfr. per tutti (oltre al ‘classico’ studio di G. Astuti, L’unificazione amministrativa del Regno d’Italia, Napoli, Morano, 1966), G.S. Pene Vidari, Note su unità e unificazione. A 150 anni dall’unificazione legislativa ed amministrativa, in “Rivista di storia del diritto italiano”, LXXVIII (2015), in corso di stampa.

 

51 Importante ricostruzione in A. Poggi, Le autonomie funzionali “tra” sussidiarietà verticale e sussidiarietà orizzontale, Milano, Giuffrè, 2001. In linea generale mi sento di condividere l’osservazione di Gianfranco Miglio: “… debbo dichiararmi fermamente convinto che a nessuno sarà concesso di venire a capo dei problemi veramente fondamentali della convivenza politica contemporanea, se non accettando prima di tutto l’idea che Società e Stato sono realtà l’una all’altra irriducibili, e che anzi … la stabilità di una determinata comunità politica dipende dalla stabilità dell’equilibrio in cui, dentro di essa, Società e Stato si trovano, senza riuscire a sopraffarsi a vicenda” (G. Miglio, I cattolici di fronte all’unità d’Italia, in L’unità d’Italia e i cattolici italiani, Milano, Vita e Pensiero, 1960, pp. 61-62).

 

52 G. Cianferotti,Considerazioni sulla sineddoche della persona nella filosofia italiana e sul dualismo tra soggetto e persona nella civilistica del secondo Novecento, in “Rivista di storia del diritto italiano”, LXXXVII (2014), pp. 399-432 (nella direzione di R. Esposito, Communitas. Origine e destino della comunità, Torino, Einaudi, 1998 ed in ‘dialogo’ con G. Alpa, La persona. Tra cittadinanza e mercato, Milano, Giuffrè, 1992); significativo anche P. Manent, La cité de l’homme, Paris, Flammarion, 1997.