Parità di genere e “rime possibili” nel giudizio sulla legislazione elettorale dei Comuni con meno di 5.000 abitanti (nota a Corte costituzionale, sentenza del 16 marzo 2022, n. 62)

Guido Casavecchia[1]

(ABSTRACT)

La sentenza della Corte costituzionale n. 62/2022 ha introdotto la sanzione dell’esclusione dalle competizioni elettorali per quelle liste che, nei Comuni con meno di 5.000 abitanti, non assicurino la parità di genere. La pronuncia predispone, così, uno strumento di tutela effettivo, coerentemente con la giurisprudenza costituzionale in materia elettorale e rime obbligate. Alcuni spunti critici, tuttavia, potrebbero derivare dalla parziale riformulazione della questione sollevata, dalla trattazione congiunta rispetto a due differenti parametri e dall’eventuale incongruenza di una parte della disciplina di risulta.

Sommario:

1. La vicenda: mancata sanzione per i piccoli Comuni – 2. Parziale riformulazione della questione – 3. Discrezionalità legislativa in materia elettorale – 4. Rime possibili – 5. Spunti per un’ulteriore declaratoria di incostituzionalità? – 6. Conclusioni: effettività per la parità di genere

1. La vicenda: mancata sanzione per i piccoli Comuni

Con la sentenza n. 62/2022 la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità – per violazione dell’art. 3, co. 2, e dell’art. 51, co. 1, Cost. – del combinato disposto dell’art. 71, co. 3-bis, del d.lgs. n. 267/2000 e dell’art. 30, co. 1, lettera d-bis e lettera e, del d.P.R. n. 570/1960, nella parte in cui non prevede la sanzione dell’esclusione dalla competizione elettorale, nei Comuni con meno di 5.000 abitanti, delle liste che non assicurino la rappresentanza di entrambi i generi.

Il giudizio è stato instaurato con ordinanza del Consiglio di Stato, III Sez., n. 130 del 4 giugno 2021[2]. Il rimettente era stato chiamato a giudicare avverso la sentenza del TAR Campania n. 6185 del 16 dicembre 2020, che aveva rigettato il ricorso di due elettori e componenti di una lista candidata alle elezioni del 21 e 22 settembre 2020 nel comune di Castello del Matese (CE). I ricorrenti, assumendo che la Sottocommissione elettorale circondariale avesse illegittimamente negato la loro richiesta di ricusare l’unica lista concorrente, composta senza candidature femminili, avevano chiesto: l’annullamento dei provvedimenti di convalida e proclamazione degli eletti; la rettifica dei risultati elettorali; l’assegnazione dei seggi ottenuti dall’altra lista.

Il TAR Campania, tuttavia, aveva respinto il ricorso sostenendo che l’art. 2, co. l, l. c), numero l), l. n. 215 del 2012, pur prevedendo, anche nei c.d. piccoli Comuni, un controllo delle commissioni elettorali a garanzia della rappresentanza di entrambi i generi, non apprestasse misure sanzionatorie. Tale rimedio, inoltre, non sarebbe stato ricavabile analogicamente dalle disposizioni sulla parità previste per le elezioni nei Comuni più grandi, in virtù del carattere speciale della legislazione elettorale.

Il Consiglio di Stato rimettente ricorda che l’attuale quadro normativo prevede tre discipline a tutela del c.d. vincolo della quota di lista, cioè della regola secondo cui “nelle liste dei candidati nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura superiore a due terzi”[3].

Nei Comuni con popolazione superiore ai 15.000 abitanti opera un livello “massimo” di garanzie. Sussistono, infatti, due meccanismi: la riduzione della lista, con la quale si cancellano i nomi dei candidati appartenenti al genere sovra-rappresentato; la rimozione della lista nel caso in cui, all’esito della riduzione, contenga un numero di candidati inferiore al minimo prescritto[4].

Un livello “intermedio” di tutela opera, invece, per i Comuni con popolazione compresa tra 5.000 e 15.000 abitanti. Per essi è prevista la sola riduzione delle liste mediante cancellazione dei candidati appartenenti al genere rappresentato in eccedenza a due terzi, ma non l’eliminazione delle stesse. Vige, comunque, un generale principio secondo cui la riduzione “non può, in ogni caso, determinare un numero di candidati inferiore al minimo prescritto per l’ammissione della lista medesima”[5].

Infine, per i Comuni con meno di 5.000 abitanti, l’unica disposizione di riequilibrio di genere è quella secondo cui «[n]elle liste dei candidati è assicurata la rappresentanza di entrambi i sessi»[6]. Tale formula di principio, tuttavia, secondo il rimettente, è solo implicitamente desumibile dalla rubrica della norma, la quale non la estenderebbe espressamente ai piccoli Comuni[7]. A suo presidio, oltretutto, non sarebbe prevista alcuna sanzione. Infine, la differenza di disciplina rispetto agli altri due tipi di Comuni sarebbe evidenziata dall’assenza della c.d. doppia preferenza di genere[8].

Il Consiglio di Stato, dunque, dubita -sviluppando comuni motivi- della legittimità costituzionale: dell’art. 71, co. 3-bis, t.u. enti locali nella parte in cui non prevede, per i Comuni meno popolosi, la necessaria rappresentanza di entrambi i generi; dell’art. 30, l. d-bis) ed e), d.P.R. n. 570/1960 nella parte in cui non include nel regime sanzionatorio della “esclusione della lista” quelle che, nei medesimi Comuni, violino la rappresentatività di genere.

Preliminarmente, il rimettente esclude di poter operare un’interpretazione costituzionalmente orientata. Infatti, benché l’art. 71, co. 3-bis, t.u. enti locali sembri disporre un obbligo generalizzato a prescindere dal numero degli abitanti del comune, in realtà prevede una riserva di quote solo in quelli con popolazione tra 5.000 e 15.000 unità. Oltre al dato letterale, osterebbe una lettura sistematica della disciplina, poiché solo per le prime due fasce di Comuni vigono misure sanzionatorie[9] e il meccanismo della doppia preferenza di genere.

Inoltre, la disciplina censurata non sarebbe disapplicabile per violazione dell’art. 23 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea[10], in quanto parametro privo di efficacia immediata e diretta, essendo rimessa al legislatore nazionale la scelta degli strumenti più idonei da apprestare.

Quanto alla non manifesta infondatezza della questione, il giudice a quo ricorda la giurisprudenza costituzionale in materia elettorale, nella quale l’ampia discrezionalità del legislatore è sindacabile entro margini ridotti, ma comunque ammessa, sotto il profilo della proporzionalità in senso stretto[11].

Quanto al merito, si lamenta il contrasto con l’art. 51, co. 1 Cost., la cui natura precettiva, e non meramente programmatica, impone alla Repubblica di predisporre misure dirette a colmare le diseguaglianze di genere nella partecipazione politica[12]. A tal proposito, si rammentano vari interventi promozionali, tra cui l’introduzione di c.d. azioni positive[13] e sistemi di “quote”[14]. Tuttavia, solo per le elezioni comunali permane una differenziazione di regime in base alle dimensioni dei Comuni, riservando a quelli minori l’ingiustificata disparità di trattamento censurata. A tal proposito, l’assenza di un meccanismo sanzionatorio non sarebbe motivata dall’eventuale difficoltà di individuare candidati in piccoli contesti abitativi. Infatti, non sussiste un obbligo di candidare persone residenti nello stesso Comune[15], nè eventuali carenze demografiche dipenderebbero dal loro genere.

Oltretutto, la ratio della l. n. 215 del 2012, ampiamente intervenuta in tale materia, “sarebbe compromessa dalla mancata previsione di misure di tutela proprio nelle realtà demograficamente più svantaggiate, in cui è oggettivamente più difficile valorizzare il patrimonio umano e professionale delle donne”[16].

Inoltre, con un interessante utilizzo di dati statistici, il Consiglio di Stato ricorda che i piccoli Comuni rappresentano “centri propulsivi di assoluta importanza nella vita del Paese”, pari a oltre due terzi degli agglomerati urbani, in cui risiedono quasi dieci milioni di persone[17].

In secondo luogo, il ricorrente eccepisce la violazione dell’art. 3 Cost., prius logico-giuridico dell’art. 51 Cost. Sarebbero, infatti, irragionevoli sia l’assenza di un vincolo nella formazione delle liste elettorali dei piccoli Comuni, sia la carenza di tutele avverso le violazioni del principio di parità di genere. A tal proposito, la discriminazione si realizzerebbe sotto due profili: tra il genere maschile, storicamente più rappresentato, e quello femminile; all’interno del solo genere femminile, a seconda che si tratti di Comuni con più di 5.000 abitanti, in cui sono assicurati rimedi effettivi, e piccoli Comuni, in cui “le donne rischiano di rimanere escluse dalla vita politica”[18].

Il vulnus coinvolgerebbe altresì il buon andamento della pubblica amministrazione, benché l’art. 97, co. 2 Cost. non venga espressamente menzionato quale parametro di giudizio[19].

Infine, analoghe considerazioni varrebbero, ex art. 117, co. 1 Cost., in ordine alla violazione del divieto di discriminazione contenuto negli artt. 14 CEDU e 1 Prot. addiz. n. 12 CEDU[20].

L’Avvocatura dello Stato ha, invece, concluso per l’inammissibilità delle questioni in quanto l’addizione richiesta introdurrebbe una “sanzione” rimessa al solo legislatore, priva di efficacia retroattiva.

In subordine, si eccepisce l’infondatezza delle questioni. Infatti, la scelta di non prevedere quote di candidati di un genere, nè sanzioni a tutela degli strumenti di riequilibrio, costituirebbe il frutto di una precisa volontà legislativa, in considerazione delle difficoltà socio-demografiche insite nelle realtà più piccole. In particolare, la possibilità di candidare persone residenti in altro comune, al fine di riequilibrare il genere sotto-rappresentato, potrebbe condurre a candidature slegate dal territorio amministrato. Dunque, secondo la difesa dello Stato, nelle piccole realtà si dovrebbe ammettere una maggiore flessibilità nei meccanismi elettorali.

A dimostrazione dell’effettività del principio di parità di genere anche in assenza di specifiche sanzioni, l’Avvocatura osserva che “le donne rappresentano circa il trenta per cento dei componenti dei Consigli comunali”[21] dei piccoli Comuni.

Infine, la violazione dell’obbligo di rappresentanza di entrambi i generi sarebbe comunque presidiata dalla sanzione politica, nella disponibilità degli elettori, di non premiare le liste che non vi si conformino.

2. Parziale riformulazione della questione

Processualmente parlando, la motivazione della Consulta muove da un’interessante (ma, forse, non così rigorosa) rimodulazione del verso della richiesta additiva formulata dal rimettente[22].

La Corte constata, infatti, che l’interpretazione offerta delle disposizioni censurate non è sempre stata condotta con limpida distinzione tra l’ipotesi della radicale assenza di un obbligo di rappresentanza di entrambi i generi[23], e quella di ineffettività dello stesso, conseguente alla mancata previsione di meccanismi sanzionatori per la sua violazione[24].

Secondo la Consulta, la prima delle citate disposizioni deve essere interpretata nel senso che opera per tutti i Comuni con meno di 15.000 abitanti, e quindi anche per quelli con popolazione inferiore a 5.000 unità. Tale soluzione discende dal dato testuale e dalla rubrica dell’articolo (“Elezione del Sindaco e del Consiglio comunale nei Comuni sino a 15.000 abitanti”). Inoltre, è implicitamente prospettata dalla stessa ordinanza di rimessione, laddove afferma che la rubrica del citato articolo “consente con certezza di estendere la sua efficacia ai Comuni che presentino tale densità anagrafica”, così lamentando l’ulteriore mancanza di una misura sanzionatoria a sua tutela.

Per tale motivo, la Corte ritiene che, “in termini più aderenti al dettato normativo, il rimettente si dolga, in realtà, del carattere di mera affermazione di principio del vincolo della necessaria presenza di candidati di entrambi i sessi, e della mancanza di una misura, anche minima, idonea ad assicurarne l’effettività”[25].

Di conseguenza, l’originaria richiesta di dichiarare incostituzionale l’art. 71, co. 3-bis t.u. enti locali “nella parte in cui non prevede la necessaria rappresentanza di entrambi i generi nelle liste elettorali nei Comuni con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti”, che dovrebbe (forse) essere dichiarata inammissibile per carenza di sforzo interpretativo del rimettente, in quanto la soluzione prospettata è già desumibile da un’attenta lettura del testo[26], ovvero per incongruenza tra quanto chiesto e la motivazione a sostegno[27], è invece riformulata dalla Corte. Oggetto della questione diventa, così, il “combinato disposto degli artt. 71, comma 3-bis, t.u. enti locali e 30, primo comma, lettere d-bis) ed e), del d.P.R. n. 570 del 1960, nella parte in cui non è prevista l’esclusione delle liste che non assicurano la rappresentanza di entrambi i sessi nei Comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti”[28].

Tale soluzione, che estende alla prima ipotesi censurata quanto richiesto solo per la seconda, è certamente apprezzabile ai fini di una completa tutela offerta ai candidati, nonché di una più robusta estensione della garanzia dell’esclusione delle liste. Infatti, al carattere di mera affermazione di principio si accompagna l’introduzione di una misura idonea ad assicurarne l’effettività.

Tuttavia, ciò può porre dubbi circa la larghezza delle maglie del giudizio della Corte in punto inammissibilità e la reale necessità, o meno, di riferire al combinato disposto, e non solo alla seconda disposizione, una tutela che per le altre fasce di Comuni si desume solo da quest’ultima.

Inoltre, dall’eventuale rigorosa inammissibilità del primo oggetto della questione non ne sarebbe, forse, discesa alcuna incongruenza o incompatibilità logico-sistematica della complessiva disciplina. I due piani sono indipendenti e autonomi in quanto si riferiscono (come, oltretutto, affermato dalla stessa Corte) a profili differenti e non contraddittori: l’eventuale assenza, quale mera affermazione di principio, di un obbligo di rappresentanza di entrambi i generi, viceversa già sussistente; l’ineffettività dell’obbligo stesso, sanata dall’aggiunta richiesta.

3. Discrezionalità legislativa in materia elettorale

Passando alla motivazione, la Corte respinge[29] l’eccezione di inammissibilità della questione fondata sul presunto indebito intervento additivo di una “sanzione” rimessa al legislatore, la quale oltretutto non avrebbe efficacia retroattiva e nel giudizio a quo (che, dunque, eliderebbe la rilevanza della questione, tipica del carattere incidentale del processo sulle leggi[30]).

L’argomentazione dell’Avvocatura dello Stato, si fonda, tuttavia, sull’erroneo presupposto che l’aggiunta auspicata introduca una vera e propria misura sanzionatoria sottoposta ai principi di riserva di legge e irretroattività ex art. 25 Cost. Il rimedio dell’esclusione della lista dalla competizione elettorale rappresenta, invece, una mera conseguenza del mancato rispetto di un requisito di ammissibilità della stessa. Dunque, la qualificazione di tale misura come lato sensu “sanzionatoria” assume un significato diverso rispetto a quello attribuito alle sanzioni penali o aventi natura punitiva in senso stretto[31].

Quanto al merito della questione, la Corte premette che svilupperà una comune argomentazione dell’incostituzionalità rispetto agli artt. 3, co. 2 e 51, co. 1 Cost. Infatti, i dubbi sollevati si risolvono in una “unitaria censura di violazione dell’obbligo costituzionale di promozione, mediante appositi provvedimenti, delle pari opportunità tra donne e uomini nell’accesso alle cariche elettive, nonché di irragionevolezza e di non proporzionalità della scelta espressa nelle disposizioni denunciate”[32].

Successivamente, prima di accertare la fondatezza delle censure, la Consulta ricorda che il legislatore gode di ampia discrezionalità nel disciplinare la materia elettorale, nella quale si esprime “con un massimo di evidenza la politicità della scelta legislativa, che è pertanto censurabile solo quando risulti manifestamente irragionevole”[33]. Tale principio vige, altresì, nel sindacare i mezzi adottati nell’attuare il disegno costituzionale di effettiva parità nell’accesso alle cariche elettive[34].

In tal modo la Corte motiva – condivisibilmente – il margine del proprio sindacato in una materia altamente sensibile, ponendosi lungo la linea tracciata dalla propria giurisprudenza.

Quanto all’impegno di promuovere la parità di accesso alle cariche elettive, si ricorda che il legislatore è variamente intervenuto, accompagnando i differenti strumenti con articolate prescrizioni a tutela della loro effettività[35]. A contrario, tale discrezionalità è dimostrata proprio dal diverso sistema di misure predisposto in base alla grandezza dei Comuni, qui in parte censurato.

Tuttavia, nemmeno l’ampia libertà del legislatore sfugge “ai limiti generali del rispetto dei canoni di non manifesta irragionevolezza e di necessaria coerenza rispetto alle finalità perseguite”[36], cui va aggiunto lo specifico limite della promozione delle pari opportunità ex art. 51, co. 1 Cost.

Per tali motivi, la Corte afferma che la disciplina censurata contempla una pur minima misura di promozione e “non discriminazione”[37], la quale tuttavia non è assistita da alcun rimedio avverso la sua violazione, così rendendola ineffettiva[38].

Inoltre, la riscontrata incostituzionalità non può essere contemperata con le esigenze della rappresentatività le quali, secondo l’Avvocatura dello Stato, sarebbero minate dalle difficoltà di reperire un sufficiente numero di candidati in piccole realtà demografiche. Infatti, per rispettare l’obbligo prescritto è sufficiente la non gravosa presenza di un solo candidato di genere diverso. Inoltre, le medesime difficoltà si potrebbero porre ai fini del raggiungimento del numero minimo di candidati per ogni lista, dal mancato rispetto del quale, tuttavia, consegue comunque la sanzione della ricusazione della stessa[39].

Infine, sotto il profilo motivazionale, la trattazione unitaria rispetto a due parametri distinti, conduce a sviluppare in poche battute, e in modo congiunto rispetto a entrambi[40], un ulteriore aspetto d’illegittimità, non strettamente legato alla disparità di opportunità tra generi nell’accesso alle cariche elettive, quanto piuttosto all’irragionevole trattamento tra aspiranti candidati del medesimo genere in Comuni di dimensioni diverse. Solo per alcuni di essi, infatti, sussistono effettive tutele (nei Comuni più grandi), mentre per altri no. Ciò, tuttavia, sembra coinvolgere non tanto le pari opportunità tra generi diversi (art. 51, co. 1 Cost.), quanto le tutele offerte al medesimo genere nella stessa competizione elettore, scaglionate in virtù del criterio dimensionale del comune di appartenenza (art. 3 Cost.). Dunque, forse, ai fini di una maggiore separazione tra i due parametri, nonché di un’autonoma valorizzazione di entrambi i generi in tutti i Comuni, la Corte avrebbe potuto svolgere separatamente tale argomentazione.

4. Rime possibili

Sotto un diverso profilo, la Corte vaglia l’ammissibilità dell’intervento richiesto per porre rimedio all’accertato vulnus: l’estensione del regime sanzionatorio della “esclusione della lista”.

La soluzione individuata “non può dirsi costituzionalmente obbligata, considerata la varietà dei mezzi a disposizione del legislatore per promuovere la parità di genere e, in particolare, per sanzionare la violazione degli obblighi posti a tale fine”[41]. Tuttavia, l’assenza di un’unica soluzione c.d. a rime obbligate non è più d’ostacolo, a fronte di violazioni di diritti fondamentali, all’esame nel merito della questione, anche in una materia riservata alla discrezionalità del legislatore. Ciò in virtù della “presenza nell’ordinamento di una o più soluzioni costituzionalmente adeguate, che si inseriscano nel tessuto normativo coerentemente con la logica perseguita dal legislatore”, nonché di una valutazione condotta attraverso “precisi punti di riferimento e soluzioni già esistenti”[42].

Dunque, applicando tali criteri al caso di specie, in modo coerente con la propria giurisprudenza e l’interpretazione dottrinale che ha parlato di “rime possibili” quale superamento della rigidità delle rime obbligate[43], la Corte approda a una sentenza additiva della sanzione richiesta.

Tale misura, infatti, è già presente nella restante parte della disciplina in esame[44]. Inoltre, essa si inserirebbe coerentemente nel tessuto normativo, in quanto non altererebbe il complessivo sistema della misure di promozione, che manterrebbe gradualità in base alle dimensioni dei Comuni[45].

Sotto diverso profilo, con una formula spesso utilizzata pur a fronte di un contestuale intervento additivo-manipolativo, la Consulta ricorda che resta salva “la possibilità per il legislatore di individuare, nell’ambito della propria discrezionalità, altra –e in ipotesi più congrua– soluzione”[46]. Ci si domanda, tuttavia, con quale probabilità essa verrà colta. Infatti, sembra permanere un’area di spontanea -e legittima- inerzia parlamentare. Essa potrebbe discendere da due motivi: l’immediata applicabilità dell’intervento già effettuato dalla Corte, altresì già costituzionalmente conforme, che non richiede di rintracciare un’altra soluzione[47] la quale, oltretutto, potrebbe essere sospetta d’incostituzionalità; il sempre più diffuso desiderio di fuga dall’assunzione di decisioni politiche[48].

Quanto al fondamento dell’addizione richiesta alla Corte, attenta dottrina[49] ha rilevato che il rimettente non ha esplicitamente svolto alcun argomento a sostegno della scelta della sanzione individuata anziché dell’aggiunta di altre egualmente possibili, che parimenti si rinvengono nell’ordinamento (es. sanzioni pecuniarie o riduzione senza ricusazione).

Anche sotto questo aspetto, dunque, probabilmente sussiste una parziale carenza motivazionale nell’ordinanza di rinvio, alla quale comunque la Consulta ha -condivisibilmente- sopperito.

Infine, ricorrendo alla tecnica dell’assorbimento dei parametri di giudizio, la Corte non ha analizzato l’ulteriore questione sollevata in riferimento all’art. 117, co. 1, Cost., per violazione degli artt. 14 CEDU e 1 Prot. addiz. n. 12 CEDU[50].

5. Spunti per un’ulteriore declaratoria di incostituzionalità?

Quanto all’affermazione della Corte secondo cui la sanzione individuata si inserisce in modo coerente nel complessivo quadro normativo, senza alterare il carattere graduale delle misure previste in ragione degli scaglioni dimensionali dei Comuni, potrebbe -forse- dubitarsi.

Infatti, alla luce di una lettura sistematica, l’intervento additivo sembra comportare una disciplina di risulta potenzialmente disallineata: nei Comuni con più di 15.000 abitanti operano sia la riduzione dei nomi dei candidati, sia la cancellazione della lista nel caso di mancato raggiungimento del numero minimo richiesto; nei Comuni intermedi vige la sola riduzione dei candidati; ai piccoli agglomerati è stata ora estesa la sanzione prevista per il solo scaglione più elevato.

Dunque, la sanzione per le liste candidate nei centri con meno di 5.000 abitanti potrebbe risultare maggiormente incisiva e sproporzionata rispetto a quella per i Comuni di fascia intermedia, in cui -paradossalmente- le esigenze di tutela della parità di genere dovrebbero essere maggiormente (o, almeno, egualmente) presidiate, poiché coinvolgono un bacino più ampio di cittadini.

Inoltre, l’ineffettività del sistema previsto per la sola fascia intermedia di Comuni -dunque a prescindere da alcun confronto con le altre due- è già stata esplicitamente rilevata dalla Corte nella sentenza qui annotata, laddove esclude di poter utilizzare tale disciplina quale alternativa soluzione “a rime possibili”[51].

Com’è stato attentamente osservato[52], sotto quest’ultimo profilo la Consulta pare aver implicitamente rinunciato alla formula dell’illegittimità costituzionale consequenziale[53], che avrebbe potuto utilizzare per ovviare all’esplicitata inadeguatezza della disciplina intermedia. In ossequio all’ampia discrezionalità politica in materia elettorale, ha preferito invitare il legislatore a modificarla. Tuttavia, in virtù dei dubbi sopra esposti, ciò potrebbe non verificarsi.

In alternativa, la Corte avrebbe potuto -forse- perseguire la sperimentata tecnica dell’auto-remissione dei residui profili di incostituzionalità, benché tenda a ricorrervi in modo estremamente parsimonioso e sulla base di criteri di difficile individuazione, legati alle specificità ed esigenze del caso concreto[54].

In ogni caso, la permanenza di tali due dubbi profili (ineffettività della disciplina intermedia e irragionevolezza-sproporzione del quadro complessivo) potrebbe, forse, essere oggetto di un seguito giurisprudenziale.

6. Conclusioni: effettività per la parità di genere

Il dato più rilevante della sentenza in commento è il suo porsi coerentemente lungo un maggiore rafforzamento dell’effettività del principio di parità di genere all’interno delle assemblee nei piccoli Comuni, altresì collegandovi in modo apprezzabile gli approdi sul giudizio in materia elettorale e rime possibili.

L’attenzione della Consulta per le garanzie d’accesso paritario alle cariche elettive e, in generale, per la realizzazione dell’uguaglianza di genere, è stata più volte pregevolmente testimoniata, nonché concordemente rilevata dalla dottrina[55].

Potrebbero, comunque, residuare due spunti per ulteriori affermazioni di principio da perseguire.

In primo luogo, la Corte (anche nel P.Q.M.), il rimettente e la legislazione in sé utilizzano spesso indistintamente i termini “genere” e “sesso”, benché sempre più studi tendano a differenziare i due concetti[56].

In secondo luogo, un passaggio motivazionale che in futuro potrebbe essere oggetto di interessanti sviluppi giurisprudenziali, riguarda il riferimento del Consiglio di Stato alla parità di genere quale declinazione del buon andamento della Pubblica Amministrazione[57], qui non approfondito poiché la questione non è stata espressamente sollevata in riferimento al parametro dell’art. 97, co. 2 Cost. Parte della dottrina ha affermato che un’equilibrata presenza dei generi offre la possibilità di sfruttare a pieno il patrimonio umano, culturale e sociale dell’ente, così informando positivamente l’intera azione amministrativa[58].

In ogni caso, spiccano sia la celerità con la quale la questione è stata trattata dalla Corte (poco più di sei mesi da quando è stata sollevata), sia il voluto risalto che ne è stato dato tramite il ricorso allo strumento del Comunicato stampa[59].

Tali due aspetti, probabilmente, sono stati dettati dalla particolare attenzione della Consulta per la materia, nonché dall’avvicinarsi delle elezioni comunali del 13 giugno 2022, all’esito delle quali la nuova sanzione è stata applicata (per quanto noto) una sola volta su tutto il territorio nazionale. Si tratta dell’esclusione, per assenza di candidature femminili, della lista “Movimento Politico Libertas” comminata dalla Commissione elettorale circondariale di Tivoli per la competizione nel Comune di Casape (RM)[60].

Quanto al Piemonte, simili procedimenti hanno avuto esito negativo in numerosi casi in cui il Partito Gay LGBT+ ha presentato richiesta di ricusazione di liste avverse[61]. Avverso tali dinieghi pendono ora relativi ricorsi presso il TAR Piemonte.

Infine, benché la presente sentenza rivesta una portata centrale nelle tappe in materia di affermazione del principio di parità di genere ed effettiva attribuzione di strumenti a ciò volti, non va sottovalutato il lungo percorso ancora da compiere. In particolare, recenti vicende testimoniano la persistenza di alcune dubbie discipline elettorali regionali[62], nonché la necessità che siano i partiti stessi[63], e i loro componenti, a dare una prima attuazione a reali forme di incentivo alla partecipazione paritaria.

  1. Dottorando in Diritti e Istituzioni presso l’Università degli Studi di Torino.
  2. Rum A. L. (2022), Devono essere escluse le liste elettorali che non assicurano la parità di genere. Corte Costituzionale, sentenza n. 62/2022: la dimostrazione tangibile che le battaglie sui valori si possono vincere, in Il Diritto Amministrativo, consultato il 8 giugno 2022; Torretta P. (2021), La parità di genere nelle elezioni dei piccoli Comuni: quali garanzie per l’uguale accesso alle cariche elettive? Note a margine di Consiglio di Stato, Sez. III, ord. 4 giugno 2021, n. 4294, in GenIUS, n. 1/2021, pp. 147 ss.
  3. Art. 73, co. 1, t.u. enti locali, come modificato dall’art. 2, co. 1, l. d), n. 1, l. n. 215/2012. Con le precisazioni che si approfondiranno tra le conclusioni, qui si inizia a segnalare che talvolta la legislazione, la Corte costituzionale e il ricorrente utilizzano indifferentemente i termini “genere” e “sesso”.
  4. Entrambe le sanzioni sono previste dall’art. 33, co. 1, l. d-bis), d.P.R. n. 570/1960, come sostituito dall’art. 2, co. 2, l. b), n. 1, l. n. 215/2012.
  5. Art. 30, co. 1, l. d-bis), d.P.R. n. 570/1960
  6. Art. 71, co. 3-bis, primo periodo, t.u. enti locali.
  7. “Elezione del Sindaco e del Consiglio comunale nei Comuni sino a 15.000 abitanti”.
  8. Art. 71, co. 5 e art. 73, co. 3, t.u. enti locali. Grazie alla doppia preferenza di genere l’elettore può esprimere fino a due preferenze che riguardino candidati di sesso diverso, pena l’annullamento della seconda scelta.
  9. Art. 30, co. 1, l. d-bis) ed e), d.P.R. n. 570/1960.
  10. Art. 23 Carta di Nizza, rubricato “Parità tra donne e uomini”, recita: “La parità tra donne e uomini deve essere assicurata in tutti i campi, compreso in materia di occupazione, di lavoro e di retribuzione. Il principio della parità non osta al mantenimento o all’adozione di misure che prevedano vantaggi specifici a favore del sesso sottorappresentato.” Per monitorare la giurisprudenza sovranazionale sul punto si v. https://fra.europa.eu/it/eu-charter/article/23-parita-tra-donne-e-uomini#case-law-references
  11. Ripercorrono l’evoluzione della giurisprudenza costituzionale in materia: Biondi F. (2020), Come decide la Corte dinanzi a questioni “tecniche”: la materia elettorale, e Imarisio L., Declinazioni della ragionevolezza e paradigmi di coerenza nella giurisprudenza costituzionale in materia, entrambi in Losana M. e Marcenò V. (a cura di), Come decide la Corte dinanzi a questioni “tecniche”, Quaderni del Dipartimento di Giurisprudenza, Università degli Studi di Torino, pp. 31 ss.; Sorrentino E. (2019), La giurisprudenza costituzionale italiana in materia elettorale, in federalismi.it, n. 1/2019.
  12. Sostengono tale tesi i due candidati esclusi, appellanti nel processo a quo, e costituitisi in giudizio, chiedendo l’accoglimento delle questioni. In particolare, sottolineano la natura precettiva e non programmatica dell’art. 71, co. 3-bis, t.u. enti locali, il quale comporterebbe -pur in assenza di un’espressa previsione- l’automatica ricusazione della lista ex art. 30, co. 1, l. e), d.P.R. n. 570/1960.
  13. Circa la natura immediatamente precettiva dell’art. 51, co. 1 Cost., la dottrina è ormai concorde. Da ultimo, traendo spunto dalle elezioni regionali pugliesi del 2020, v. Groppi T. (2020), “La Costituzione si è mossa”: la precettività dei principi costituzionali sulla parità di genere e l’utilizzo del potere sostitutivo del governo nei confronti della Regione Puglia”, in federalismi.it, n. 25/2020; Rodomonte M. G. (2021), A proposito della natura prescrittiva del principio di “parità di accesso alle cariche elettive”. Riflessioni a partire da una recente sentenza del giudice amministrativo sulla carenza di strumenti sanzionatori “reali” nella legge elettorale pugliese, in Osservatorio sulle fonti, n. 1/2021.
  14. Art. 42, d.lgs. n. 198/2006 (Codice delle pari opportunità). Su ciò v. Caielli M. (2008), Le azioni positive nel costituzionalismo contemporaneo, Napoli, Jovene; D’Aloia A. (2004), Argomenti per uno statuto costituzionale delle azioni positive: uno sguardo all’esperienza italiana, in Califano L. (a cura di), Donne, politica e processi decisionali, Torino, Giappichelli; D’ Aloia A. (2002), Eguaglianza sostanziale e diritto diseguale. Contributo allo studio delle azioni positive nella prospettiva costituzionale, Padova, CEDAM.
  15. Il legislatore ha inciso trasversalmente sui sistemi elettorali a diversi livelli: l. n. 215/2012, per i Consigli e Giunte degli enti locali e regionali; l. n. 56/2014 per i consigli metropolitani e provinciali; l. n. 20/2016 per i Consigli Regionali; l. n. 165/2017 per la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica; l. n. 65/2014 per la rappresentanza italiana in seno al Parlamento europeo. Tarli Barbieri G. (2018), Articolo 51, in Clementi F., Cuocolo L., Rosa F., Vigevani G. E. (a cura di), La Costituzione italiana. Commento articolo per articolo, vol. I, p. 328, ricorda anche la l. n. 244/2007, che prevede la necessaria presenza di entrambi i generi nella composizione del Governo, senza tuttavia una quota minima o sanzioni. Tale lacuna, forse, in virtù della medesima problematica sottesa alla disciplina in commento, cioè l’assenza di misure effettive e adeguate a presidio della parità di genere, potrebbe essere oggetto di future censure. Sotto diverso profilo, al sistema delle quote è stata riconosciuta natura di azioni positive per il riequilibrio della parità di genere dalla Corte Cost., sentt. nn. 49/2003 e 4/2010. Su ciò v. i dubbi sollevati da Rossi E., Pizzorusso A. (1999), Le azioni positive in materia elettorale in Italia, in Beccalli B. (a cura di), Donne in quota: è giusto riservare posti alle donne nel lavoro e nella politica?, Milano, Feltrinelli; Scarponi S. (a cura di) (1997), Le pari opportunità nella rappresentanza politica e nell’accesso al lavoro. I sistemi di “quote” al vaglio di legittimità, Trento, Università degli Studi di Trento; M. Cartabia (1996), Le azioni positive come strumento del pluralismo?, in Bin R., Pinelli C. (a cura di), I soggetti del pluralismo nella giurisprudenza costituzionale, Torino, Giappichelli, pp. 77. In generale v. Poggi A. (2002), Sulla riforma dell’art. 51 Cost.: le quote alla prova della democrazia pluralista, in Quaderni Costituzionali, n. 3/2002, pp. 620 ss.; Lorello L. (2017), Quote rosa e parità tra i sessi: la storia di un lungo cammino, in Osservatorio AIC, n. 2/2017.
  16. Come emerge dal combinato disposto degli artt. 55, 56 e 57, d. lgs. n. 267/2000.
  17. Ritenuto in fatto §1.4.
  18. Il ricorrente cita il rapporto dell’Associazione Nazionale Comuni Italiani (ANCI), 5 luglio 2019, intitolato “Atlante dei piccoli Comuni”, disponibile in https://www.anci.it/atlante-dei-piccoli-Comuni/. Viceversa, secondo la Corte, l’Avvocatura dello Stato non apporta alcuna evidenza statistica, sociologica o scientifica che dimostri che in questi Comuni sia superfluo un intervento promozionale del legislatore, con annessa sanzione.
  19. Ritenuto in fatto §1.4.1.
  20. Il Consiglio di Stato ricorda che “L’equilibrata rappresentanza di entrambi i sessi in seno agli organi amministrativi elettivi garantisce l’acquisizione al modus operandi dell’ente, e quindi alla sua concreta azione amministrativa, di tutto quel patrimonio, umano, culturale, sociale, di sensibilità e di professionalità, che assume una articolata e diversificata dimensione in ragione proprio della diversità del genere. Organi squilibrati nella rappresentanza di genere, in altre parole, oltre ad evidenziare un deficit di rappresentanza democratica dell’articolata composizione del tessuto sociale e del corpo elettorale risultano anche potenzialmente carenti sul piano della funzionalità, perché sprovvisti dell’apporto collaborativo del genere non adeguatamente rappresentato” (TAR Lazio, 25 luglio 2011, sent. n. 6673, richiamata da TAR Lazio, sent. n. 4706/21). Su ciò la Scuola Nazionale dell’Amministrazione, ha tenuto (18 gennaio 2021) un Seminario dal titolo “La parità di genere tra imparzialità e buon andamento”, la cui registrazione è disponibile in https://sna.gov.it/diffusione-della-conoscenza/seminari/anno-2021/la-parita-di-genere-tra-imparzialita-e-buon-andamento/.
  21. Corte EDU, sent. Cusan e Fazzo c. Italia, 7 gennaio 2014, ricorso n. 77/07; sent. Willis c. Regno Unito, 11 giugno 2002, causa n. 36042/97; sent. Si Amer c. Francia, 29 ottobre 2009, n. 29137/06.
  22. Ritenuto in fatto §3.2.
  23. Sulla necessaria indicazione del verso della richiesta del giudice rimettente v. Modugno F., Carnevale P. (1990), Sentenze additive, “soluzione costituzionalmente obbligata” e declaratoria di inammissibilità per mancata indicazione del “verso” della richiesta addizione, in Giurisprudenza costituzionale, n. 1/1990, pp. 519 ss.
  24. Primo periodo dell’art. 71, co. 3-bis, t.u. enti locali, secondo cui [n]elle liste dei candidati è assicurata la rappresentanza di entrambi i sessi”, censurato dal Consiglio di Stato nella parte in cui non sarebbe riferibile a detti Comuni.
  25. Art. 30, co. 1, l. d-bis) ed e), del d.P.R. n. 570 del 1960, censurato nella parte in cui, per gli stessi Comuni, non prevede il rimedio dell’esclusione delle liste che non rispettano le regole sulla rappresentanza.
  26. Considerato in diritto §3.
  27. Sull’inammissibilità per carenza di sforzo interpretativo v. Cardone A. (2002), Ancora sulla dichiarazione di manifesta inammissibilità per difetto di interpretazione adeguatrice del giudice a quo, in Giurisprudenza costituzionale, pp. 35 ss.; Boni M. (a cura di) (2006), Inammissibilità per carenza di sforzo interpretativo, Convegni e Seminari della Corte costituzionale, disponibile in https://www.cortecostituzionale.it/documenti/convegni_seminari/STU_292.pdf. In generale: Ruotolo M. (2006), L’interpretazione conforme nella più recente giurisprudenza, in Pace A., Corte costituzionale e processo costituzionale, Milano, Giuffrè, p. 903; Ruotolo M. (2019), L’interpretazione conforme torna a casa?, in Rivista del Gruppo di Pisa, pp. 37 ss.
  28. Il tema è stato prevalentemente studiato analizzando i casi di ultra petitum da parte della Corte costituzionale. Tale effetto, tuttavia, potrebbe essere anche determinato da una disallineata impostazione delle argomentazioni a sostegno di quanto realmente chiesto. V. Esposito M. (1996), Sul principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato nel giudizio incidentale di legittimità costituzionale, in Rivista di diritto processuale, pp. 1127 ss.; Di Maria R. (2008), Il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato nel giudizio di legittimità costituzionale. L’insopprimibile iato fra giudizio principale e giudizio incidentale, in Bindi E., Perini M., Pisaneschi A. (a cura di), I principi generali del processo Comune ed i loro adattamenti alle esperienze della giustizia costituzionale, Torino, Giappichelli, pp. 65 ss.
  29. Considerato in diritto §3.
  30. Considerato in diritto §4.
  31. Sotto diverso profilo (qui non in rilievo ma con il quale si può, forse, instaurare un interessante parallelismo), il giudizio sulle leggi elettorali ha posto dubbi quanto alla rilevanza e pregiudizialità della questione, tradizionalmente escluse in virtù del suo carattere “astratto”, svolto ex post; limite, tuttavia, superato dalla Corte Cost., sentt. nn. 1 del 2014 e 35 del 2017, su cui v. Sobrino G. (2017), Il problema dell’ammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale della legge elettorale alla luce delle sentenze n. 1/2014 e n. 35/2017 e le sue possibili ricadute: dalla (non più tollerabile) “zona franca” alla (auspicabile) “zona a statuto speciale” della giustizia costituzionale?, in federalismi.it, n. 15/2017; Tondi della Mura V. (2017), Ma la discrezionalità legislativa non è uno spazio vuoto. Primi spunti di riflessione sulle sentenze della Consulta n. 1/2014 e n. 35/2017, in Dirittifondamentali.it, n. 1/2017; Anzon Demmig A. (2014), Accesso al giudizio di costituzionalità e intervento “creativo” della Corte Costituzionale, in Rivista AIC, n. 2/2014; Bin R. (2014), “Zone franche” e legittimazione della Corte, in Forum di Quaderni Costituzionali; Staiano S. (2014), La vicenda del giudizio sulla legge elettorale: crisi forse provvisoria del modello incidentale, in Rivista AIC, n. 2/2014; Pesole L. (2014), L’incostituzionalità della legge elettorale nella prospettiva della Corte costituzionale, tra circostanze contingenti e tecniche giurisprudenziali già sperimentate, in Costituzionalismo.it, n. 2/2014; Romboli R. (2013), La costituzionalità della legge elettorale n. 270/2005: la Cassazione introduce, in via giurisprudenziale, un ricorso quasi diretto alla Corte costituzionale?, in Foro italiano, pp. 1836 ss.
  32. Sui contorni e l’estensione di tale categoria, anche alla luce della giurisprudenza EDU, v. Viganò F. (2020), Garanzie penalistiche e sanzioni amministrative, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, n. 4/2020, pp. 1775 ss.; Mazzacuva F. (2017), Le pene nascoste, Torino, Giappichelli; Masera L. (2018), La nozione costituzionale di materia penale, Torino, Giappichelli; Rudoni R. (2022), Il principio di legalità delle sanzioni «penali» in una prospettiva costituzionale nazionale ed europea, Bergamo, Ikonos; Bonomi A. (2022), Sanzioni amministrative “di seconda generazione”, principio di proporzione, diritti fondamentali, in federalismi.it, n. 5/2022.
  33. Considerato in diritto §5.
  34. Considerato in diritto §6. La Corte costituzionale cita alcuni precedenti: Corte Cost. sentt. n. 35 del 2017, con note di Massa Pinto I. (2017), Dalla sentenza n. 1 del 2014 alla sentenza n. 35 del 2017 della corte costituzionale sulla legge elettorale: una soluzione di continuità c’è e riguarda il ruolo dei partiti politici, in Costituzionalismo.it, n. 1/2017, pp. 43 ss.; Dickmann R. (2017), La Corte costituzionale trasforma l’Italicum in sistema elettorale maggioritario ‘eventuale’ ma lascia al legislatore l’onere di definire una legislazione elettorale omogenea per le due Camere, in federalismi.it, n. 4/2017; Martinelli R. (2017), La sentenza n. 35/2017 della Corte costituzionale: nota critica, in Forum di Quaderni Costituzionali; n. 1 del 2014, con note di Grosso E. (2013), Riformare la legge elettorale per via giudiziaria? Un’indebita richiesta di “supplenza” alla Corte Costituzionale di fronte all’ennesima disfatta della politica, in Rivista AIC, n. 4/2013; D’Amico M., Catalano S. (a cura di), Prime riflessioni sulla “storica” sentenza n. 1 del 2014 in materia elettorale, Milano, Franco Angeli; n. 242 del 2012, con note di Trucco L. (2012), Voto “estero” nei piccoli Comuni: quorum o non quorum?, in Diritti regionali, 21 dicembre 2012; Ronchetti L. (2013), La rappresentatività nei Comuni con più elettori che abitanti. Qualche postilla a margine della sentenza n. 242 del 2012 sul voto degli italiani all’estero, in Forum di Quaderni costituzionali, 14 marzo 2013, n. 271 del 2010, n. 107 del 1996 e n. 438 del 1993; ord. n. 260 del 2002.
  35. Come già affermato in Corte Cost., sent. n. 4 del 2010, con note di Caielli M. (2010), La promozione della democrazia paritaria nella legislazione elettorale regionale: un altro “via libera” della Corte Costituzionale, in Osservatoriosullefonti.it, n. 1/2010; Leone S. (2010), La preferenza di genere come strumento per ottenere, indirettamente ed eventualmente, il risultato di un’azione positiva, in Giurisprudenza costituzionale, n. 1/2010; Noto C. (2010), La rappresentanza di genere supera indenne il vaglio della Corte costituzionale, in Giurisdizione amministrativa, n. 1/2010; Olivetti M. (2010), La c.d. “preferenza di genere” al vaglio del sindacato di costituzionalità. Alcuni rilievi critici, in Giurisprudenza costituzionale, n. 1/2010; Ferri G. (2010), Le pari opportunità fra donne e uomini nell’accesso alle cariche elettive e la “preferenza di genere” in Campania, in Forum di Quaderni Costituzionali; Califano L. (2010) L’assenso “coerente” della Consulta alla preferenza di genere, in Forum di Quaderni Costituzionali.
  36. Considerato in diritto §6.1. Sono citati il divieto di liste composte da candidati dello stesso sesso, il rispetto di quote di lista variamente congegnate e garanzie nelle preferenze, accompagnate da misure quali: l’esclusione o ricusazione della lista, talvolta preceduta dall’invito a riformularla; l’invalidità della preferenza non rispettosa del vincolo di genere; misure pecuniarie sanzionatorie.
  37. Considerato in diritto §6.1.
  38. Già Corte Cost., sent. n. 49 del 2003 con note di Carlassare L. (2003), La parità di accesso alle cariche elettive nella sentenza n. 49: la fine di un equivoco, in Giurisprudenza costituzionale; Caielli M. (2004), Le azioni positive in materia elettorale: un révirement della Corte costituzionale?, in Giurisprudenza italiana, p. 236.
  39. Considerato in diritto §6.2. Il Consiglio di Stato rimettente parla, con incisività, di un meccanismo che garantisce “impunità a chi, nelle competizioni elettorali che si svolgono in tali enti, intende violarlo”.
  40. Art. 30, co. 1, l. e), d.P.R. n. 570 del 1960.
  41. Considerato in diritto §6.3. nel quale si legge del “frutto di un cattivo uso della sua discrezionalità, manifestamente irragionevole e fonte di un’ingiustificata disparità di trattamento fra Comuni nonché fra aspiranti candidati (o candidate) nei rispettivi Comuni, ai quali non sono garantite, nei Comuni più piccoli, le stesse opportunità di accesso alle cariche elettive che la Costituzione intende assicurare a tutti in funzione del riequilibrio della rappresentanza di genere negli organi elettivi”.
  42. Considerato in diritto §7.
  43. Espressioni tratte da Corte Cost., sentt. n. 63 del 2021 (con note di Tassone B., Brienza L. (2021), Corte costituzionale, indennizzo Inail e concause: una positiva convergenza tra diverse aree del diritto, in Il Foro italiano, n. 6/2021, pp. 1901 ss.) e n. 28 del 2022 (con nota di Quarta E. (2022), La Corte Costituzionale ridisegna l’architettura della pena pecuniaria sostitutiva della pena detentiva, sanando le fratture tra il volto iniquo della stessa e la società civile. (Nota a Corte Cost. Sent. n. 28/2022) Parte I e Parte II, entrambi in Giustizia Insieme, 4 e 5 aprile 2022).
  44. Groppi T. (2022), Il (ri-)equilibrio di genere alla prova della nuova “stagione” della giustizia costituzionale italiana. Il caso dei piccoli Comuni, in federalismi.it, n. 15/2022, pp. 83-93, analizza l’inquadramento della sentenza in commento in tale corso giurisprudenziale, riflettendo sulle potenzialità di un “costituzionalismo trasformatore” di genere. Sulle rime possibili, v. Martire D. (2019), Dalle “rime obbligate” alle soluzioni costituzionalmente “adeguate”, benché non “obbligate”, in Giurisprudenza costituzionale, pp. 696 ss; Tega D. (2021), La traiettoria delle rime obbligate. Da creatività eccessiva, a felix culpa, a gabbia troppo costrittiva, in Sistema penale, n. 2/2021, pp. 5-31; Giannelli V. (2020), Dalle rime obbligate al dispositivo “cedevole”. Brevi note sugli ultimi approdi del sindacato costituzionale sulla proporzionalità delle sanzioni penali, in federalismi.it, n. 15/2020, pp. 85-96; Ruotolo M. (2021), Oltre le “rime obbligate”?, in federalismi.it, n. 3/2021, pp. 59 ss. Si segnala, tuttavia, che talvolta la giurisprudenza costituzionale pare oscillare. Ad esempio, la recente Corte Cost. sent. n. 143 del 2022 sembra ritornare indietro e chiedere, a pena di inammissibilità, il rispetto delle rime obbligate. L’aggiunta sottoposta alla Consulta riguardava l’attribuzione al giudice del potere di ordinare la cancellazione della trascrizione della domanda giudiziale tramite un provvedimento d’urgenza ex art. 700 c.p.c. Al Considerato in diritto §3.7. si legge, tuttavia, che “Le soluzioni capaci di ridurre le incongruenze segnalate sono plurime, nessuna priva di controindicazioni, e soprattutto nessuna costituzionalmente obbligata, neanche con riguardo a domande delle quali si assuma la manifesta infondatezza o il carattere emulativo. La scelta tra l’una e l’altra non può che competere al legislatore, trattandosi in definitiva di rimodellare l’architettura complessiva del microsistema pubblicitario”. Dunque, dopo aver elencato le numerose soluzioni possibili, la Corte afferma (Considerato in diritto §3.8.) che “Pur segnalando la reale esistenza di un problema sistemico, le questioni sollevate dal Tribunale di Roma tendono ad una pronuncia additiva che imponga una tra le varie opzioni riservate alla discrezionalità del legislatore, ciascuna delle quali reclama, peraltro, interventi di dettaglio, correttivi e cautele, eccedenti l’ambito della giurisdizione costituzionale”.
  45. Si rintraccia, infatti, sia nella disciplina dei Comuni con più di 15.000 abitanti (nell’ipotesi in cui la cancellazione dei candidati eccedenti la quota di legge non permetta di raggiungere la soglia minima di candidati prescritta), sia nella disciplina dei Comuni con meno di 5.000 abitanti (essendo prevista anche per essi nel caso di liste con un numero di candidati inferiore al minimo, ex art. 30, co. 1, l. e), d.P.R. n. 570/1960).
  46. La Corte ribadisce, anche in tale passaggio, che la soluzione individuata si limita “a garantire l’effettività [della rappresentanza di entrambi i sessi nelle liste] con l’introduzione di una sanzione per il caso di sua violazione”, così -si immagina- nuovamente escludendo che ci si muova in una materia lato sensu penale-afflittiva.
  47. Considerato in diritto §7.2.
  48. Si segnala che la Rassegna trimestrale di giurisprudenza costituzionale, Anno II, n. 1 (gennaio-marzo 2022) dei Servizi Studi di Camera e Senato ha espressamente inquadrato la presente sentenza tra “I moniti, gli auspici e i richiami rivolti al legislatore” (paragrafo 3). Disponibile in https://documenti.camera.it/leg18/dossier/testi/RCost_II_1.htm.
  49. A monte vi è il lungo processo di marginalizzazione (talvolta auto-indotta) del Parlamento a favore dell’emersione del ruolo del Governo, in concomitanza con una generale crisi dei partiti, su cui v. ex multis, Luciani M. (2001), Il paradigma della rappresentanza di fronte alla crisi del rappresentato, in Zanon F., Biondi F. (a cura di), Percorsi e vicende attuali della rappresentanza e della responsabilità politica, Milano, Giuffrè; Morelli A. (a cura di) (2015), La democrazia rappresentativa. Declino di un modello?, Giuffrè, Milano; Giuffrè F. (2016), Crisi dei partiti, trasformazione della politica ed evoluzione della forma di governo, in federalismi.it, n. 23/2016. Tra i sintomi di ciò può, forse, segnalarsi l’espansione della sfera tecnocratica all’interno e al posto di scelte rimesse a organi di natura politica, su cui v. Zanfarino G. (2021), Il ruolo dei tecnici nell’evoluzione della forma di governo italiana, in Nomos, n. 3/2021, p. 4. E’ stato altresì evidenziato come alcune revisioni costituzionali abbiano marginalizzato, a causa della crisi dei partiti e dell’emersione di un sistema elettorale maggioritario, il ruolo del Parlamento nei processi di modifica costituzionale: De Martino F. R. (2017), La crisi del ruolo parlamentare nella revisione costituzionale, in Rivista AIC, n. 3/2017.
  50. Carlotto I. (2021), L’ondivaga giurisprudenza amministrativa sulla promozione delle pari opportunità in ambito elettorale al cospetto della Corte Costituzionale (a proposito di alcune recenti decisioni del giudice amministrativo), in Osservatoriosullefonti.it, n. 3/2021, p. 1081.
  51. Considerato in diritto §8. Sull’assorbimento dei parametri v. Bonomi A. (2013), L’assorbimento dei vizi nel giudizio di costituzionalità in via incidentale, Napoli, Jovene. Carnevale P. e Pistorio G. (2004), Il principio di tutela del legittimo affidamento del cittadino dinanzi alla legge fra garanzia costituzionale e salvaguardia convenzionale, in Costituzionalismo.it, n. 1/2014 evidenziano come tale tecnica, con non manifesto impatto, testimoni un’allontanamento da Strasburgo. La Corte costituzionale, infatti, dimostrerebbe di privilegiare i principi costituzionali “interni” rispetto ai principi convenzionali “esterni”, benché entrambi aspirino al medesimo risultato della declaratoria di incostituzionalità. In tal modo, dunque, la divaricazione fra ordinamento interno e ordinamento sovranazionale si anniderebbe non già nell’esito, bensì nelle ragioni dell’argomentazione, assumendo un chiaro significato simbolico.
  52. Considerato in diritto §3 laddove si legge “D’altra parte, anche per questi ultimi Comuni [con 5.000-15.000 abitanti] si può dubitare dell’effettività della misura scelta dal legislatore per promuovere il riequilibrio della rappresentanza di genere. Non solo, infatti, il mancato rispetto della quota non comporta l’esclusione della lista, ma nemmeno il meccanismo della riduzione, nei limiti fissati dall’art. 30, primo comma, lettera d-bis), del d.P.R. n. 570 del 1960, elide il rischio di possibili soluzioni interamente elusive. L’impossibilità di ricusare la lista, se la sua riduzione determinasse «un numero di candidati inferiore al minimo prescritto per l’ammissione della lista medesima», consentirebbe infatti di presentare liste “minimali” con candidati di un solo sesso, facendo coincidere il numero massimo dei candidati di un sesso con il numero minimo dei candidati in lista. L’unico rimedio effettivo nel caso di liste di candidati di un solo sesso è quello riservato, come visto, ai Comuni con più di 15.000 abitanti, per i quali è stabilita la ricusazione (e dunque l’esclusione) delle liste che, a seguito della riduzione per inosservanza delle quote, scendano al di sotto del numero minimo di candidati (art. 33, primo comma, lettera d-bis, del d.P.R. n. 570 del 1960), ipotesi, questa, che comprende anche quella “limite”, in cui l’impossibilità di rispettare la quota sia dovuta al fatto che la lista è formata da candidati di un solo sesso.” Quanto al fatto che esistesse un’altra soluzione disponibile nell’ordinamento, non perseguita dalla Corte in quanto fortemente sospetta di incostituzionalità, v. Groppi T. (2022), Il (ri-)equilibrio di genere alla prova della nuova “stagione” della giustizia costituzionale italiana. Il caso dei piccoli Comuni, cit., p. 90.
  53. Groppi T. (2022), Il (ri-)equilibrio di genere alla prova della nuova “stagione” della giustizia costituzionale italiana. Il caso dei piccoli Comuni, cit., p. 91.
  54. Art. 27, l. n. 87/1953. Su tale tecnica v. Romboli R. (1992), Illegittimità costituzionale consequenziale e formazione “giurisprudenziale” delle disposizioni processuali, in Giurisprudenza costituzionale, p. 4368; Gragnani A. (2002), Il giudizio in via incidentale: la dichiarazione di illegittimità consequenziale delle leggi, in Pizzorusso A., Romboli R., Le norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale dopo quasi mezzo secolo di applicazione, Torino, Giappichelli, p. 21; Morelli A. (2008), L’illegittimità consequenziale delle leggi. Certezza delle regole ed effettività della tutela, Soveria Mannelli; Chinni D. (2009), Lasciarle vivere e aiutarle a morire? L’illegittimità consequenziale di disposizioni inutili, in Giurisprudenza italiana, p. 2624.
  55. Sulla tecnica di sollevare davanti a se stessa dubbi di illegittimità costituzionale v. Caravita B. (1988), Appunti in tema di “Corte giudice a quo” (con particolare riferimento alle questioni sollevate nel corso dei giudizi incidentali di legittimità costituzionale), in Giurisprudenza costituzionale, p. 70; Patroni Griffi A. (2012), Accesso incidentale e legittimazione degli organi a quo, Jovene, Napoli. In relazione a specifici casi recenti v., Patroni Griffi A. (2021), Forza e limiti dell’autorimessione della questione di costituzionalità (A proposito della ord. n. 18/2021), in Quaderni costituzionali, pp. 414 ss.; Monaco G. (2021), Una nuova ordinanza di “autorimessione” della Corte costituzionale, in federalismi.it, n. 11/2021; Marone F. (2018), Sindacato della Corte costituzionale in materia elettorale e coerenza processuale: la strada non coltivata dell’autorimessione, in Rivista AIC, n. 1/2018. Cala tale tecnica all’interno di una più ampia “stagione” della Corte costituzionale, Padula C. (2020), Le “spinte centripete” nel giudizio incidentale di costituzionalità, in Questione Giustizia, n. 4/2020, pp. 62 ss.
  56. Cecchini S. (2020), La Corte costituzionale paladina dell’eguaglianza di genere, Editoriale scientifica, Napoli; Leone S. (2017), Il ruolo dei giudici e della Corte costituzionale nella più recente fase di attuazione del principio costituzionale di parità di genere, in D’Amico M., Leone S., La donna dalla fragilitas alla pienezza dei diritti? Un percorso non ancora concluso, Milano, Giuffrè; Falcone A. (2016), Partecipazione politica e riequilibrio di genere nelle assemblee elettive e negli organi di governo: legislazione e giurisprudenza costituzionale nell’ordinamento italiano, in Rivista AIC, n. 1/2016; M. D’Amico, S. Catalano (2012), Le sfide della democrazia paritaria. La parità dei sessi fra legislatore, Corte costituzionale e giudici, in D’Elia G., Tiberi G., Viviani Schlein M. P., Scritti in memoria di Alessandra Concaro, Milano, Giuffrè. Si è altresì formata una positiva giurisprudenza amministrativa sul punto, su cui v. D’Amico M. (2013), La lunga strada della parità fra fatti, norme e principi giurisprudenziali, in Osservatorio AIC, n. 3/2013, p. 3 ss.; Adamo U. (2011), La promozione del principio di pari opportunità nella composizione delle giunte e degli enti locali alla luce della più recente giurisprudenza amministrativa, in Rivista AIC, n. 2/2011; Amato A., Focus sulla giurisprudenza amministrativa in materia di pari opportunità nell’accesso agli uffici pubblici e alle cariche elettive, in Le Istituzioni del federalismo, n. 4/2011, pp. 913 ss. Segnala delle criticità Carlotto I. (2021), L’ondivaga giurisprudenza amministrativa sulla promozione delle pari opportunità in ambito elettorale al cospetto della Corte Costituzionale (a proposito di alcune recenti decisioni del giudice amministrativo), cit.
  57. De Leo M. (2022), Storia LGBTQI+: sesso, genere, sessualità in prospettiva storica, in Pelissero M., Vercellone A. (a cura di), Diritto e persone LGBTQI+, Torino, Giappichelli, pp. 1-15; Butler J. (2013), Questione di genere. Il femminismo e la sovversione dell’identità, Roma, Laterza; Robustelli C., Linee guida per l’uso del genere nel linguaggio amministrativo, Progetto Genere e Linguaggio. Parole e immagini della Comunicazione svolto in collaborazione con l’Accademia della Crusca, disponibile in https://www.uniss.it/sites/default/files/documentazione/c._robustelli_linee_guida_uso_del_genere_nel_linguaggio_amministrativo.pdf; Robustelli C. (2012), Pari trattamento linguistico di uomo e donna, coerenza terminologica e linguaggio giuridico, in Zaccaria R., La buona scrittura delle leggi, Atti del convegno (Roma, 15.9.2011), Roma, Camera dei deputati, pp. 181-198.
  58. Un riferimento di ciò si trova nella sentenza del Tar Lazio, n. 6673/2011 con nota di Ragno F. (2012), Pari opportunità: il caso della Giunta di Roma Capitale. Commento alla Sentenza del Tar Lazio 6673/2011, in Nomos, n. 1/2012, pp. 5-6. Lorello L. (2021), Alcune osservazioni sull’effettività del principio delle pari opportunità, in Nuove Autonomie, n. 3/2021, pp. 831-832 ss. cita altresì la sentenza del Tar Lazio, n. 4706/2020 e sostiene che così si attribuisce al principio di parti opportunità “un’ulteriore dimensione funzionale, quella cioè di strumento di attuazione dei principi di buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione dell’art. 97 Cost.”.
  59. Ragno F. (2012), Pari opportunità: il caso della Giunta di Roma Capitale. Commento alla Sentenza del Tar Lazio 6673/2011, cit. A tal proposito Gardini S. (2022), L’effettività del principio di parità di genere nell’accesso alle cariche elettive nei piccoli Comuni (nota a Corte cost., 25 gennaio 2022, n. 62), in Giustizia insieme, richiama il concetto di “democrazia paritaria” (su cui v. D’Amico M. (2011), Il difficile cammino della democrazia paritaria, Torino, Giappichelli). Con esso si valorizza il pieno sviluppo dei diritti e doveri connessi alla cittadinanza per entrambi i generi, così superando la logica della tutela paternalista di individui deboli per definizione. Inoltre, si afferma una nuova eguaglianza formale, intesa quale assenza di discriminazioni, che riequilibri le condizioni di partenza, influendo tanto sulla vita pubblica quanto sulla sfera privata.
  60. Sui poteri Comunicativi della Corte, v. Sobrino G. (2020), «Uscire dal Palazzo della Consulta»: ma a che scopo? E in che modo? La “rivoluzione Comunicativa” della Corte nell’attuale fase della giustizia costituzionale, in federalismi.it, n. 15/2020; Fusco A. (2020), Un problema di civic constitutional culture: la legittimazione del giudice costituzionale tra nuovi canali di dialogo con la società civile e l’effettiva conoscibilità dell’organo e della sua fisiologia, in federalismi.it, n. 15/2020; D’Amico G. (2018), Comunicazione e persuasione a Palazzo della Consulta: i Comunicati stampa e le «voci di dentro» tra tradizione e innovazione, in Diritto e società, n. 2/2018; Cosmelli G. (2013), Ancora in tema di illegittimità della mediazione c.d. obbligatoria: sugli effetti dei Comunicati-stampa della Corte costituzionale, in Giurisprudenza costituzionale, n. 1/2013.
  61. Verbale della Commissione elettorale circondariale di Tivoli, n. 234, 31 maggio 2022, per la cui venuta a conoscenza si ringrazia l’Ufficio elettorale provinciale della Prefettura di Torino. Notizie online sono reperibili al link https://tiburno.tv/2022/06/01/elezioni-casape-una-lista-annullata-per-assenza-di-donne/.
  62. Si v. https://www.lavocedialba.it/2022/06/07/leggi-notizia/argomenti/politica-17/articolo/possibile-ricusazione-per-sette-liste-in-corsa-per-le-elezioni-comunali-ce-anche-quella-del-presi.html, in cui si citano i casi di Cravanzana, Frabosa Soprana, Rittana e Salmour (tutti in Provincia di Cuneo).
  63. Su recenti vicende elettorali v. Lorello L. (2021), Il difficile cammino verso la parità di genere nell’accesso alle cariche elettive, in Osservatorio AIC, n. 5/2021; Aureli E., La parità di genere nell’accesso alle cariche elettive nelle elezioni regionali del 2020. Analisi e prospettive, in federalismi.it, 2020, n. 34; Bissaro S. (2021), Parità di genere, autonomia regionale e potere sostitutivo del Governo ex art. 120, secondo comma, Cost.: alcune riflessioni a partire dal caso della Regione Puglia, in Rivista del Gruppo di Pisa, n. 1/2021; Adamo U. (2020), Principio di pari opportunità e legislazione elettorale regionale. Dal Consiglio calabrese una omissione voluta, ricercata e “votata”. In Calabria la riserva di lista e la doppia preferenza di genere non hanno cittadinanza, in Le Regioni, n. 2/2020.
  64. Fogliame V. (2018), La parità di genere nella legge elettorale e il ruolo dei partiti politici, in Osservatorio AIC, n. 3/2018. Lorello L. (2021), La dialettica tra giudice costituzionale e legislatore sulla parità di genere, in federalismi.it, n. 18/2021, pp. 194 ss. definisce i partiti “convitati di pietra” di fronte al processo di evoluzione e maturazione culturale del sistema politico e costituzionale in tema di parità nell’accesso alle cariche elettive, condotto dalla Corte costituzionale e dal legislatore.