Ticket sanitari e agevolazioni sociali: il Fattore famiglia piemontese supera il vaglio della Corte costituzionale

Monica Bergo1

(Abstract)

L’esame della sentenza della Corte costituzionale n. 91 del 2020 sul Fattore famiglia piemontese introduce all’analisi delle misure statali e regionali di compartecipazione alla spesa sanitaria e delle agevolazioni per l’eccesso ai servizi sociali, con un focus sullo stato di salute del nostro sistema “integrato” di welfare familiare, dove per integrato si intende la compresenza sul territorio nazionale di norme statali e regionali.

 

1. Premessa.

La Corte costituzionale con la sentenza n. 91 del 2020 ha offerto una interpretazione costituzionalmente orientata di una norma della legge regionale n. 16 del 2019 così salvando il c.d. “Fattore famiglia” piemontese, strumento di welfare regionale finalizzato a valorizzare il ruolo della famiglia nella società, a sostegno e integrazione delle misure attualmente presenti a livello nazionale.

Il punctum dolens della vicenda ruota intorno a due problematiche principali, che costituiscono anche le ipotesi di verifica della presente trattazione: la compatibilità a Costituzione di misure regionali di compartecipazione alla spesa sanitaria; la compatibilità a Costituzione di agevolazioni regionali per l’accesso alle prestazioni sociali.

L’esame della sentenza in commento introduce anche a qualche riflessione sul più ampio problema relativo alla valutazione di idoneità delle misure statali attualmente in vigore in tema di compartecipazione alla spesa socio-sanitaria e di agevolazione per l’accesso alle prestazioni sociali a garantire l’eguaglianza nell’accesso ai diritti. A tale scopo è di ausilio la giurisprudenza costituzionale sui rapporti Stato-Regioni in materia di ticket sanitari e politiche di welfare familiare.

Questo saggio si propone di verificare i menzionati quesiti, principiando dall’analisi del caso che ha dato origine alla sentenza in commento.

 

2. Alcuni cenni ricostruttivi della sentenza n. 91 del 2020.

Con il ricorso n. 69 del 2019, lo Stato ha impugnato due norme della Legge regionale Piemonte 9 aprile 2019, n. 16: la prima è l’art. 3, comma 1, lett. a), che, elencando gli ambiti di applicazione del Fattore famiglia, individua le “prestazioni sociali e sanitarie, comprese le compartecipazioni alla spesa”2; la seconda è l’art. 4, che affida alla Giunta regionale la determinazione dei criteri e delle modalità attuative del fattore famiglia, anche provvedendo alla definizione di specifiche agevolazioni integrative di quelle previste dalla normativa statale3.

Con riferimento alla prima censura, la Corte procede preliminarmente alla ricostruzione dell’intricato ordito normativo che caratterizza il sistema statale di compartecipazioni alla spesa sanitaria4, fissato originariamente dall’art. 8 della legge 24 dicembre 1993, n. 5375.

La disciplina statale del ticket sanitario, infatti, con un incedere a dir poco schizofrenico, è stata introdotta e poi soppressa per ben quattro volte6.

Da un punto di vista generale, al ticket ordinario per le prestazioni di pronto soccorso ospedaliero non seguite da ricovero è stato affiancato un ticket aggiuntivo di 10 euro per le prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale (ai sensi dell’art. 1, comma 796, lett. p), l. 296/2006).

Su questo ulteriore ticket, c.d. super-ticket, è stato introdotto un margine di discrezionalità per le Regioni, che sono libere di applicarlo o di adottare due tipi di misure alternative, a condizione che venga comunque garantita l’equivalenza tra il gettito da esse derivante e quello conseguente all’applicazione del criterio dettato dalla norma statale. Ai sensi della lett. p-bis) del medesimo comma 796, introdotta dall’art. 6-quater, d.l. 28 dicembre 2006, n. 300, le Regioni, infatti, possono alternativamente:

  • introdurre misure di partecipazione, previa verifica di equivalenza, sotto il profilo dell’equilibrio economico-finanziario e dell’appropriatezza, da parte del «Tavolo tecnico», oppure
  • procedere alla stipula di un accordo con il Ministero della salute e il Ministero dell’economia e delle finanze per l’adozione di ulteriori misure alternative.

Nello specifico, la Regione Piemonte ha deciso di avvalersi della facoltà di adottare misure alternative al ticket fisso di 10 € (ma con effetto finanziario equivalente al gettito previsto dall’applicazione della quota fissa sulla ricetta), prevedendo per i cittadini non esenti di incrementare il ticket ordinario con una quota aggiuntiva, modulata in ragione del valore della ricetta (cfr. Delibera di Giunta della Regione Piemonte n. 11-2490 del 29 luglio 2011).

Secondo il ricorrente, la disciplina dei ticket – in quanto finalizzata a reperire risorse necessarie alla spesa sanitaria – rientra al contempo nella competenza esclusiva dello Stato di determinazione dei Lea (ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lett. m), Cost.) e nella competenza statale di fissare principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica (materia concorrente, ex art. 117, terzo comma, Cost.).

In effetti la giurisprudenza costituzionale è concorde nel ritenere che la disciplina della compartecipazione alla spesa sanitaria «non costituisce solo un principio di coordinamento della finanza pubblica diretto al contenimento della spesa sanitaria, ma incide anche sulla quantità e sulla qualità delle prestazioni garantite, e, quindi, sui livelli essenziali di assistenza»7.

In questa prospettiva, sempre secondo un orientamento costante della Consulta, «la misura della compartecipazione deve essere omogenea su tutto il territorio nazionale, “giacché non sarebbe ammissibile che l’offerta concreta di una prestazione sanitaria rientrante nei LEA si presenti in modo diverso nelle varie Regioni”, considerato che “dell’offerta concreta fanno parte non solo la qualità e quantità delle prestazioni che devono essere assicurate sul territorio, ma anche le soglie di accesso, dal punto di vista economico, dei cittadini alla loro fruizione” (sentenza n. 203 del 2008)»8.

Dati questi assiomi “incontrovertibili” – quantomeno ad assetto costituzionale invariato – va ricordato che, in materia di Lea alle Regioni è concessa solo una differenziazione in melius9, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo. Le Regioni, cioè, possono diversificare l’offerta sanitaria solo per quanto riguarda i c.d. “extra lea”, cioè per tutto quanto non è contenuto nell’elenco di cui al d.p.c.m. del 12 gennaio 2017, che – come noto – ha da ultimo aggiornato e riscritto i livelli essenziali delle prestazioni sanitarie10. Anche la copertura finanziaria degli extra-Lea ricade interamente sulle Regioni, che a questo scopo possono introdurre misure aggiuntive di compartecipazione alla spesa11.

Nel caso di cui al Fattore famiglia piemontese, il primo profilo di impugnazione (art. 3, comma 1, lett. a)) concerne la facoltà per le Regioni di integrare il sistema statale di compartecipazioni alla spesa socio-sanitaria, per prestazioni che sono ricomprese nei Lea.

In merito, la Corte costituzionale ha verificato se esista una competenza regionale ad intervenire sul piano quantitativo/finanziario dei Lea.

La risposta in merito è negativa, data «l’intangibilità delle quote di compartecipazione come fissate dalla normativa statale»12. Già in precedenza, peraltro, la Corte costituzionale aveva ricordato che le prestazioni rientranti nei Lea sono definite tipologicamente, qualitativamente e per gli elementi di costo per gli assistiti. Tutti questi elementi rientrano nella potestà legislativa esclusiva statale (da esercitarsi previo coinvolgimento delle Regioni, attraverso l’intesa in Conferenza Stato Regioni)13.

Conseguentemente, nella sentenza n. 91 del 2020 il Giudice delle leggi ha escluso che il Fattore famiglia piemontese possa comportare alcuna integrazione normativa del regime statale delle compartecipazioni alle spese socio-sanitarie.

Si tratta di un’impasse solo apparente, poiché tale affermazione non ha impedito alla Corte di salvare la norma di cui all’art. 3, comma 1, lett. a), circoscrivendone l’operatività unicamente sui costi «relativi alle altre tipologie di prestazioni per le quali non opera il criterio di uniformità sull’intero territorio nazionale»14.

Secondo il dato testuale della sentenza n. 91 del 2020, i margini di intervento per le Regioni si esaurirebbero ai c.d. extra-lea, di cui sopra.

Tale soluzione però non sembra né l’unica percorribile, né quella effettivamente sposata dalla Corte. Il passaggio richiamato della sentenza, infatti, non chiarisce se il riferimento alle “altre tipologie di prestazioni” sia da considerarsi rispetto a tutte le prestazioni sanitarie, da cui discenderebbe una possibilità di modulare unicamente i costi delle prestazioni a carattere socio-sanitario (nell’ambito riservato alla competenza regionale residuale); ovvero se sia da considerarsi con riferimento agli spazi di manovra in ambito sanitario che lo stesso legislatore statale riserva alle Regioni (il c.d. super-ticket di 10 €).

Le due interpretazioni non sono confliggenti, poiché entrambe sembrano percorribili dal punto di vista della loro sostenibilità costituzionale.

Con riferimento alla prima, va ricordato che analoga soluzione è stata adottata dalla Regione Lombardia con la disciplina del “Fattore famiglia” lombardo, di cui alla legge regionale 27 marzo 2017 n. 10. L’ambito di applicazione del “Fattore famiglia” lombardo, infatti, ha espressamente escluso il settore sanitario, essendo circoscritto «nell’ambito sociale e nella quota a valenza sociale delle prestazioni sociosanitarie, nel sostegno per l’accesso all’abitazione principale, ad eccezione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica, nei servizi scolastici e di formazione anche per favorire la libertà di scelta educativa, nel trasporto pubblico locale e nei servizi al lavoro» (art. 3, l. r. Lombardia n. 10 del 2017). La Regione Lombardia ha dunque optato per un meccanismo di valorizzazione delle famiglie con maggiori carichi che non interviene sui ticket sanitari.

Quanto alla seconda interpretazione, che apre ad una autonomia regionale in materia di compartecipazione alla spesa per i Lea, seppur limitata al c.d. super-ticket – tesi che sembrerebbe maggiormente avvalorata dalla Corte – si tratta di una autonomia che potrebbe definirsi “derivata”, poiché consegue a una disposizione normativa dello Stato (ex art. 6-quater, d.l. n. 300 del 2006, introduttivo della lettera p-bis)15.

Tale tesi peraltro era stata sostenuta anche dalla Regione Piemonte – nonché dal ricorrente16 – che nella propria memoria di costituzione ha precisato che l’unico spazio di operatività per il Fattore famiglia piemontese è quello riservato dall’art. 1, comma 796, lett. p-bis), legge n. 296 del 2006, relativo al c.d. super-ticket (su cui la Regione Piemonte è intervenuta optando per un regime alternativo al ticket fisso dei 10 euro, con la citata DGR n. 11-2490 del 2011), e perciò nel pieno rispetto della normativa nazionale17.

Su questa interpretazione sembra opportuno soffermarsi.

Viene, infatti, da chiedersi se siano legittime quelle forme di compartecipazione alla spesa che determinano una differenziazione su base regionale del diritto della popolazione assistita ad accedere alle prestazioni sanitarie comprese nei Lea.

Sono molteplici, infatti, le prestazioni incluse nei Lea per le quali è previsto il pagamento del ticket, differenziato a livello regionale. Si pensi alle visite specialistiche o agli esami di diagnostica strumentale e di laboratorio; o, ancora, alle cure termali che rappresentano prestazioni ricomprese nei Lea e – ad esclusione dei soggetti esenti – sono gravate dal super-ticket, applicato in modo disomogeneo nelle diverse Regioni in Italia e quindi il cui costo complessivo è diverso a seconda della regione di residenza.

Da un lato il legislatore statale – suffragato da una concorde giurisprudenza costituzionale – esercita la potestà di disciplinare in modo unitario la compartecipazione alla spesa sanitaria, per garantire un assetto unitario dei Lea, sia quantitativamente che qualitativamente; dall’altro e contemporaneamente il legislatore statale, introducendo la facoltà per le Regioni di applicare in autonomia il c.d. super-ticket, ha aperto a una differenziazione territoriale sulle soglie di accesso a prestazioni ricomprese nei Lea, che si riflette sull’eguaglianza nell’accesso alle cure.

Nelle Regioni che applicano misure alternative al super-ticket, infatti, la quota ricetta è rimodulata in base al reddito familiare oppure la rimodulazione è basata sul valore della ricetta con differenze sia per le fasce di reddito applicate, sia per le modalità di calcolo del reddito considerato, sia per le fasce di valore delle ricette.

Tale differenziazione rischia di essere irragionevole se riferita ai livelli essenziali delle prestazioni che, proprio ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lett. m), Cost., devono essere garantiti in modo uniforme in tutto il territorio nazionale, non solo nell’an e nel quantum, ma anche nel costo.

 

3. L’assetto unitario della compartecipazione alla spesa sanitaria in Italia: sogno o realtà?

Come noto, la logica sottesa all’introduzione di meccanismi di compartecipazione alla spesa sanitaria da parte dei cittadini è di generare comportamenti responsabili e controllare l’accesso ingiustificato alle prestazioni. La figura dei ticket sanitari però si è progressivamente trasformata18 in un importante capitolo di entrate per le Regioni in un periodo storico segnato da una consistente riduzione del finanziamento pubblico al Servizio Sanitario Nazionale (SSN)19.

La stessa giurisprudenza costituzionale ha rilevato che il ticket inizialmente «era concepito più in funzione di dissuasione dal consumo eccessivo di medicinali», ma con il passare del tempo è diventato sempre più un mezzo «per la riduzione della spesa pubblica in materia sanitaria»20.

Dal punto di vista normativo, è interessante notare come la parziale regionalizzazione dei ticket sia avvenuta parallelamente alla trasformazione di questo strumento in un meccanismo di finanziamento delle prestazioni sanitarie, sempre più sottoposte ai limiti della finanza pubblica.

Intorno ai primi anni ’90 viene consentito alle Regioni di far fronte con risorse proprie «agli effetti finanziari conseguenti all’erogazione di livelli di assistenza sanitaria superiori a quelli uniformi»21. Per finanziare la corrispondente spesa è prevista la “facoltà” per le Regioni di aumentare – e quindi differenziare – i ticket previsti dalla legislazione nazionale (comma 2). Infine, le Regioni avrebbero potuto introdurre nuove “forme di partecipazione alla spesa per eventuali altre prestazioni da porre a carico dei cittadini” (comma 3).

Un dato da non trascurare è che tali norme hanno formalmente attribuito ai ticket una funzione di finanziamento della spesa – anche se solo di una spesa “aggiuntiva” – così abbandonando l’impostazione originaria, ossia di far diminuire la domanda (e quindi la spesa), e non certo di aumentarne il finanziamento.

In seguito, l’art. 4, comma 3, d.l. 18 settembre 2001, n. 347 recante “Interventi urgenti in materia di spesa sanitaria”22, ha previsto che le Regioni potessero coprire eventuali disavanzi di gestione con l’introduzione di ulteriori misure di partecipazione alla spesa.

Le successive modifiche alla disciplina del ticket sanitario23 sono concepite in risposta al problema della limitatezza delle risorse e della sostenibilità del debito pubblico – statale quanto regionale – principi che entrano così in bilanciamento con il diritto di accesso eguale alle cure.

Tali scelte hanno ottenuto il placet della Corte costituzionale che in alcune occasioni ha riconosciuto come legittimo il bilanciamento operato dal legislatore statale nella disciplina del super-ticket, sia quando è stato introdotto, sia quando è stato abolito (temporaneamente, a livello statale, ma rimesso alla discrezionalità degli enti territoriali a livello regionale).

Nella sentenza n. 203 del 2008, ad esempio, il giudice delle leggi ha ricordato che la spesa sanitaria deve necessariamente essere «compatibile con “la limitatezza delle disponibilità finanziarie che annualmente è possibile destinare al settore sanitario” (sentenza n. 111 del 2005)»24. Di conseguenza, l’introduzione del super-ticket, vincolante per tutte le Regioni e finalizzata a finanziare almeno in parte il SSN, giustificava una limitazione «dell’autonomia legislativa concorrente delle Regioni nel settore della tutela della salute ed in particolare nell’ambito della gestione del servizio sanitario alla luce degli obiettivi della finanza pubblica e del contenimento della spesa»25.

Può destare qualche perplessità che nella stessa pronuncia il Giudice delle leggi abbia valutato come legittima sia la norma che introduceva il super-ticket di dieci euro in modo omogeneo su tutto il territorio, sia la norma che ne ha ammesso l’applicazione differenziata a livello regionale, «nella considerazione bilanciata dell’equilibrio della finanza pubblica e dell’uguaglianza di tutti i cittadini nell’esercizio dei diritti fondamentali, tra cui indubbiamente va ascritto il diritto alla salute»26.

Perplessità che non sembra diradarsi leggendo le motivazioni conclusive della sentenza n. 203 del 2008, dove scompare l’esigenza di stabilità finanziaria, e la Corte ribadisce che i criteri di compartecipazione alla spesa sanitaria devono essere omogenei, onde evitare differenziazioni passibili di minare l’eguaglianza nell’accesso alle prestazioni comprese nei Lea27.

In un’altra pronuncia, la norma che aboliva (temporaneamente) il super-ticket, lasciando alle Regioni la possibilità di applicarlo o meno, in misura integrale o ridotta28, è stata valutata come un intervento di coordinamento della finanza pubblica, legittimo nella misura in cui lascia «alle Regioni la possibilità di scegliere in un ventaglio di “strumenti concreti da utilizzare per raggiungere gli obiettivi di riequilibrio finanziario”»29. Lo Stato, infatti, con la norma in questione ha trasferito alle Regioni la competenza a definire il dettaglio della compartecipazione alla spesa sanitaria, fissandone solo il limite complessivo, pari al gettito che deriverebbe da un’applicazione uniforme del super-ticket di 10 euro.

Nel ragionamento seguito dalla Corte, le norme oggetto di impugnazione «non contraddicono l’omogeneità delle forme di compartecipazione alla spesa, dal momento che esse si limitano a consentire una contenuta variabilità dell’importo del ticket fra Regione e Regione, pur sempre entro una soglia massima fissata dallo Stato»30.

La Corte, in altri termini, ha valutato legittima la “regionalizzazione” del super-ticket perché le differenziazioni prodotte dai sistemi regionali di compartecipazione alla spesa nell’accesso alle prestazioni sanitarie sarebbero «contenute».

In effetti, se si guarda all’ammontare complessivo del fondo sanitario nazionale, pari a circa 114,4 miliardi (2019), la quota raccolta con i ticket (farmaci e prestazioni) ammonta a circa 3 miliardi. Di questi tre miliardi, la quota del super-ticket non supera i 400 milioni di euro. In questo senso, a confronto con i 114,4 miliardi del Fondo sanitario nazionale, 400 milioni di euro possono apparire una cifra “contenuta”.

Eppure, se si osservano i dati sulle differenze ragionali prodotte dai ticket, emergono valori che non sembrano così trascurabili. Diversi studi, infatti, dimostrano che l’autonomia con cui le Regioni hanno introdotto sistemi di compartecipazione alla spesa sanitaria ha generato una vera e propria “giungla dei ticket”31. Le differenze regionali riguardano sia le prestazioni su cui vengono applicati i ticket (farmaci, prestazioni ambulatoriali e specialistiche, pronto soccorso, etc.), sia gli importi che i cittadini sono tenuti a corrispondere, sia le regole utilizzate per definire le esenzioni.

Intorno agli anni 2000, mentre è stata abolita, a livello nazionale, ogni forma di partecipazione degli assistiti per l’assistenza farmaceutica, la maggior parte delle Regioni, proprio per fare fronte al proprio disavanzo, hanno introdotto sui farmaci di “fascia A” specifiche forme di compartecipazione alla spesa farmaceutica (i ticket per i farmaci), che in genere consistono in una quota fissa per ricetta o per confezione, e ne hanno regolato le esenzioni (art. 5 del decreto-legge n. 347 del 2001).

Questo mosaico normativo si è rivelato un moltiplicatore delle differenze regionali sugli importi totali dei ticket.

Tali disuguaglianze si accentuano considerando separatamente l’impatto del ticket sui farmaci e quello per le prestazioni. In particolare, se il dato della quota pro-capite totale per i ticket oscilla da € 88 in Valle d’Aosta a € 33,7 in Sardegna, per i farmaci tale quota varia da € 36,2 in Campania a € 16 in Piemonte, mentre per le prestazioni specialistiche va dai € 64,2 della Valle d’Aosta agli € 8,5 della Sicilia32.

La variabilità dei sistemi di compartecipazione al costo può determinare condizioni di diseguaglianza tra i cittadini, poiché a seconda della regione di residenza i cittadini sono costretti a corrispondere per le stesse prestazioni importi diversi33.

Alla evidente variabilità derivante dall’articolazione del sistema di compartecipazione si aggiunge la variabilità delle esenzioni.

A livello nazionale sono previste esenzioni per specifiche condizioni di salute (alcune patologie croniche, specifiche malattie rare, gravidanza, invalidità), per alcune attività di prevenzione, o per alcune categorie di cittadini individuate in base all’associazione tra condizioni personali, sociali e reddituali.

A livello regionale, invece, le esenzioni previste dallo Stato sono state di frequente estese a ulteriori condizioni di salute o a ulteriori categorie di cittadini oppure sono stati modificati i limiti di reddito. Ad esempio, in alcune regioni sono esenti tutti i disoccupati, i lavoratori in cassa integrazione o in mobilità o con contratto di solidarietà, in altre regioni sono esenti dalla partecipazione al costo i figli a carico dal terzo in poi, in altre sono esenti gli infortunati sul lavoro per il periodo dell’infortunio o affetti da malattie professionali, i danneggiati da vaccinazione obbligatoria, trasfusioni, somministrazione di emoderivati, le vittime del terrorismo e della criminalità organizzata e familiari, i residenti in zone terremotate.

Se l’assistenza sanitaria deve essere disponibile su tutto il territorio nazionale secondo un medesimo principio di equità nell’accesso ai Lea, il sistema della compartecipazione dovrebbe probabilmente essere ridefinito, alla luce della duplice natura del ticket, in quanto trattasi di una misura volta al contempo a promuovere la consapevolezza del costo delle prestazioni, favorendone una richiesta appropriata, e ad ottenere un gettito finanziario per le regioni.

Su questo, la giurisprudenza costituzionale solo di recente sembra aver preso una posizione più lineare.

Ancora nel 2011 la Corte costituzionale ha ribadito che il fine del contenimento della spesa può giustificare l’introduzione di forme di compartecipazione ancorché con effetti differenziati sul territorio nazionale.

Ad esempio, nella sentenza n. 330 del 2011, sulla disciplina dei ticket farmaceutici, la Corte costituzionale ha avuto modo di precisare che, sebbene l’erogazione dei farmaci rientri nei Lea, che sono dotati di una “generale finalizzazione egualitaria”, ciononostante «una Regione possa differenziare per il suo territorio il livello di rimborsabilità dei farmaci», purchéquesto avvenga attraverso un provvedimento amministrativo e purché «la Regione operi al fine del contenimento della propria spesa farmaceutica»34.

In questo passaggio, dunque, la Corte ha valutato come legittima la differenziazione regionale nell’accesso ai farmaci unicamente perché tale differenziazione consentiva di «coniugare “una necessaria opera di contenimento della spesa farmaceutica” con la garanzia che continuino “ad erogarsi a carico del Servizio sanitario nazionale i farmaci reputati idonei a salvaguardare il diritto alla salute degli assistiti” (citata sentenza n. 44 del 2010)»35.

L’esigenza di contenimento della spesa è espressamente indicata come la ratio dell’introduzione di forme di compartecipazione alla spesa anche nella già citata sentenza n. 187 del 2012, dove la Corte ha precisato che «la disciplina in materia di compartecipazione al costo delle prestazioni sanitarie persegue un duplice scopo: “l’esigenza di adottare misure efficaci di contenimento della spesa sanitaria e la necessità di garantire, nello stesso tempo, a tutti i cittadini, a parità di condizioni, una serie di prestazioni che rientrano nei livelli essenziali di assistenza (entrambe fornite di basi costituzionali )”»36.

In questo quadro giurisprudenziale la soluzione di continuità è senza dubbio segnata dalla sentenza n. 275 del 2016 che ha espressamente chiarito che «una volta normativamente identificato, il nucleo invalicabile di garanzie minime per rendere effettivo il diritto allo studio e all’educazione degli alunni disabili non può essere finanziariamente condizionato in termini assoluti e generali» poiché è la tutela dei diritti fondamentali a pesare sul bilancio e non l’equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione37.

Si tratta di una pronuncia di assoluto rilievo, poiché ha precisato – in una fase successiva all’introduzione in Costituzione del principio dell’equilibrio di bilancio – che per alcuni tipi di prestazioni attinenti alla tutela di diritti fondamentali non è ammesso un bilanciamento “paritario” con il principio dell’equilibrio di bilancio38, rievocando così la teoria delbilanciamento ineguale, secondo la felice formula coniata da autorevole dottrina ben prima della modifica costituzionale del 2012 39.

Dalla richiamata pronuncia sembra potersi inferire che una differenziazione territoriale nell’acceso alle prestazioni rientranti nell’elenco fissato dal legislatore con i Lea – benché giustificata da ragioni di stabilità finanziaria – non possa ritenersi pienamente legittima40.

In proposito, merita un cenno la modifica al sistema di compartecipazioni alla spesa sanitaria intervenuta con la legge 27 dicembre 2019, n. 160 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2020 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021) che ha – si spera definitivamente – abolito la quota di compartecipazione al costo delle prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale, facendo cessare, a decorrere dal 1° settembre 2020, le misure alternative adottate dalle Regioni ai sensi della lettera p-bis) del comma 796, l. 296 del 2006.

Questa modifica può essere salutata con favore, perché sembra il preludio a una riforma complessiva del sistema di compartecipazione alla spesa sanitaria, mirata a garantire maggiore eguaglianza nell’accesso alle prestazioni essenziali41.

Al contempo, però, l’introduzione di tale norma non può non sollevare qualche interrogativo sulla effettiva portata del Fattore famiglia piemontese con riferimento alla compartecipazione alla spesa sanitaria. Se l’unico spazio di operatività riconosciuto come legittimo dalla Corte costituzionale riguarda il super-ticket, una volta abolito questo “ambito” dalla legge di bilancio per il 2020, l’art. 3, comma 1, lett. a) della l. r. 16 del 2019 rischia di essere svuotato di ogni efficacia, a meno che non si ritenga che il Fattore famiglia piemontese possa intervenire anche sulla compartecipazione alla spesa riferita agli extra-lea. In questo caso, allora, l’ambito applicativo della norma regionale impugnata potrebbe sopravvivere all’abrogazione del super-ticket.

 

4. Il fattore famiglia piemontese e la sua compatibilità con l’Indicatore di situazione economica equivalente (Isee).

La seconda censura proposta nel ricorso statale riguardava la compatibilità a Costituzione dell’art. 4, l. r. Piemonte n. 16 del 2019, nella parte in cui demanda alla Giunta regionale la «definizione di specifiche agevolazioni integrative di quelle previste dalla normativa statale» nell’attuazione del Fattore famiglia.

Secondo il ricorrente tale norma sarebbe illegittima perché si sovrapporrebbe all’Isee, ossia ai criteri stabiliti dallo Stato per l’accesso alle prestazioni sociali agevolate.

A titolo ricognitivo, va rilevato che la disposizione impugnata attiene a un ambito materiale in cui concorrono la competenza esclusiva statale a fissare i livelli essenziali delle prestazioni sociali (c.d. Liveas) e la competenza residuale regionale in materia di servizi sociali42.

Come nel caso dei Lea, anche con riferimento ai Liveas l’esercizio della competenza legislativa esclusiva a determinare le prestazioni comprese nei servizi sociali non comporta la regolazione di tutte le fattispecie, «e dunque non esclude, che le Regioni e gli enti locali possano garantire, nell’ambito delle proprie competenze, livelli ulteriori di tutela»43.

Secondo la Corte costituzionale la censura sull’art. 4 della l.r. n. 16 del 2019 è perciò infondata perché tale disposizione è destinata ad intervenire nell’ambito “extra-Liveas”, ossia nell’ambito in cui si «riespande la generale competenza della Regione sulla materia, residuale, oggetto di disciplina (sentenza n. 222 del 2013)»44.

Peraltro, sempre la Corte ricorda che è la stessa disciplina statale in materia di Isee a fare salve le competenze regionali sulla formazione, programmazione e gestione delle politiche sociali45. Il d.P.C.m. n. 159 del 2013, infatti, se da un lato identifica gli «standard strutturali e qualitativi delle prestazioni, da garantire agli aventi diritto su tutto il territorio nazionale in quanto concernenti il soddisfacimento di diritti civili e sociali … tutelati dalla Costituzione»46, al contempo lascia «ampi spazi normativi alle Regioni nel campo delle politiche sociali»47.

Secondo una giurisprudenza consolidata48, «la determinazione dell’ISEE, delle tipologie di prestazioni agevolate, delle soglie reddituali di accesso alle prestazioni e, quindi, dei LIVEAS incide in modo significativo sulla competenza residuale regionale in materia di «servizi sociali» e, almeno potenzialmente, sulle finanze della Regione, che sopporta l’onere economico di tali servizi»49.

In questa prospettiva, la disposizione regionale impugnata rappresenta – nel ragionamento del Giudice delle leggi – «la necessaria proiezione nel programma e nel bilancio dell’ente territoriale delle modalità e dei costi di erogazione dei servizi»50.

Trattandosi di interventi che ricadono interamente nella competenza residuale della Regione, la loro quantificazione economica diventa una operazione funzionale a garantire il buon andamento dell’amministrazione, che implica non solo la programmazione degli interventi sociali ma anche la quantificazione e la copertura dei relativi oneri.

 

5. Uno sguardo d’insieme.

Della sentenza in commento non deve sfuggire un passaggio, che a una lettura veloce rischierebbe di essere trascurato, o di passare come mero obiter dictum. Il riferimento è al penultimo periodo del “considerato in diritto n. 3”, dove la Corte, a giustificazione della interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 3, comma 1, lett. a), l.r. 16 del 2019, evoca la ratio legis che ha ispirato il legislatore piemontese sul Fattore famiglia e a cui la norma impugnata è orientata.

Il Giudice delle leggi, infatti, sembra prestare particolare attenzione alle ragioni che hanno condizionato l’istituzione del Fattore famiglia, individuate nella possibilità di «favorire l’accesso e la fruizione delle prestazioni in relazione alla situazione complessiva della famiglia»51.

La legge sul Fattore famiglia piemontese, infatti, è considerata come un «intervento d’insieme» che peraltro si pone in continuità con le misure adottate negli ultimi anni dal Piemonte in materia di assistenza sociale52. Si tratta cioè di uno strumento di vitale importanza che si rivolge a tutela di un soggetto della società, quale è la famiglia, che specie in presenza di carichi consistenti – come il numero di figli o le persone affette da disabilità – si trova in una posizione di debolezza.

In proposito, il Rapporto Istat 2020 sulle famiglie in povertà rivela che le famiglie con un maggior numero di componenti registrano un’incidenza di povertà assoluta più elevata: 11,1% tra quelle con due figli minori e 19,7% tra quelle con tre o più figli, a fronte di un dato medio nazionale del 7%53.

Fra le cause che pongono questo prezioso elemento della società in una situazione di fragilità va probabilmente annoverata la scarsità delle risorse destinate ai nuclei familiari, sia a confronto con quanto destinato alla famiglia da altri Paesi europei54, sia a confronto con quanto destinato nel nostro Paese ad altri settori del sociale55.

A questi dati – che in qualche modo sono indicativi delle tensioni cui è sottoposta la famiglia in Italia, soprattutto in considerazione del numero di figli – si aggiunga che le misure fiscali attualmente previste a livello nazionale a beneficio delle famiglie numerose sono tutt’altro che soddisfacenti.

Emblematico è lo strumento dell’Indicatore della situazione economica equivalente (Isee) che, istituito originariamente con d. lgs. 31 marzo 1998, n. 109 «al fine di assicurare una maggiore equità del sistema della compartecipazione alla spesa sanitaria e delle relative esenzioni e per la disciplina dei criteri unificati di valutazione della situazione economica dei soggetti che richiedono prestazioni sociali agevolate nei confronti di amministrazioni pubbliche»56, in molti casi ha addirittura alimentato le disuguaglianze, invece di colmarle.

L’Isee, infatti, avrebbe dovuto migliorare il c.d. universalismo selettivo del nostro sistema di welfare57, attraverso l’introduzione di criteri ulteriori rispetto a quello del reddito imponibile IRPEF per valutare la ricchezza (o la povertà) dei soggetti richiedenti prestazioni sociali agevolate. Tuttavia, l’ampia discrezionalità accordata fin dal principio all’ente erogatore ha “tradito” l’aspirazione dell’Isee di rappresentare uno strumento di maggiore eguaglianza e giustizia58.

È così progressivamente emersa l’esigenza di prevedere nuovi indicatori della situazione reddituale accanto a quelli già esistenti, in grado di fotografare le condizioni economiche reali dei nuclei familiari, considerando, per esempio, il numero di persone e l’eventuale presenza di anziani o portatori di handicap. Sono molteplici gli interventi correttivi che si sono susseguiti negli anni, il più importante dei quali risale al 201559, e il più recente al 201960, nessuno dei quali però sembra aver segnato quel cambio di registro che le parti sociali si attendevano61.

Nelle more di un intervento decisivo da parte dello Stato, a livello territoriale sono fioriti diversi modelli “integrativi” all’Isee.

Oltre al caso del Fattore famiglia lombardo del 2012 di cui si è già fatto menzione, va annoverata anche l’esperienza della Toscana che ha introdotto alcune modifiche (seppur marginali) sulla modalità di calcolo dell’Isee, soprattutto rivolte alla tutela della non-autosufficienza62. La provincia di Trento, invece, ha percorso la strada di una misura alternativa all’Isee, denominata ICEF (Indicatore della Condizione Economica delle Famiglie)63.

Si tratta di tentativi che partono dalla “periferia” ma che sono il sintomo dell’inadeguatezza dell’attuale sistema statale di deduzioni e detrazioni riservato alle famiglie numerose, e che dovrebbe perciò essere sostituito da meccanismi alternativi, come il quoziente familiare francese, o quanto meno da una adeguata revisione (in aumento) delle detrazioni, in attuazione dell’art. 31 Cost.

In Germania, per esempio, vige il principio che impone la garanzia del “minimo esistenziale fiscale” e la conseguente esenzione fiscale. L’art. 6, comma 1, L.F. (secondo cui “il matrimonio e la famiglia sono sotto la tutela particolare dell’ordinamento giuridico”) esige che, quando si tassa una famiglia, il livello minimo di sussistenza di tutti i componenti della famiglia deve rimanere esente da imposte. In proposito, il Tribunale costituzionale federale tedesco con una giurisprudenza consolidata ha riconosciuto che il familienexistenzminimum deve dunque costituire il livello di base per l’applicazione dell’imposta sul reddito64.

Rispetto alla richiamata giurisprudenza del BVerfG, la Corte costituzionale italiana sembra mantenere una posizione di self-restaint in materia di misure fiscali e favor familiae, considerando che l’ultimo monito rivolto espressamente al legislatore statale risale alla sentenza n. 358 del 199565.

In quest’ottica, il recente favor del Giudice delle leggi per le iniziative regionali di tutela delle famiglie numerose e della non-autosufficienza, legittimando interventi che rispondono al bisogno di una maggiore giustizia sociale, potrebbe far presagire che i tempi sono maturi per una presa di posizione più marcata nei confronti dello Stato66.

 

1 Dottoressa di ricerca diritto costituzionale, Università degli studi di Padova.

 

2 L. r. Piemonte n. 16 del 2019, Art. 3 “Ambiti di applicazione”.
1. Il Fattore famiglia trova applicazione, tenendo conto delle diverse modalità di erogazione delle prestazioni, nei seguenti ambiti: a) prestazioni sociali e sanitarie, comprese le compartecipazioni alla spesa; b) servizi socio-assistenziali; c) misure di sostegno per l’accesso all’abitazione principale; d) servizi scolastici, di istruzione e formazione, anche universitari, comprese le erogazioni di fondi per il sostegno al reddito e per la libera scelta educativa; e) trasporto pubblico locale.
2. La Giunta regionale, con il provvedimento di cui all’articolo 4, comma 1, può estendere l’applicazione ad ulteriori ambiti rispetto a quelli individuati al comma 1.

 

3 L. r. Piemonte n. 16 del 2019, Art. 4, “Criteri e modalità attuative del Fattore famiglia”. 1. I criteri e le modalità attuative del Fattore famiglia sono determinati con apposito provvedimento della Giunta regionale, previo parere dell’Osservatorio di cui all’articolo 5 e delle commissioni consiliari competenti e sono aggiornati ogni tre anni con le medesime modalità. 2. Nella determinazione dei criteri e delle modalità attuative di cui al comma 1, la Giunta regionale tenuto conto della rilevanza del numero dei componenti del nucleo familiare, compresi i minori in affido, provvede: a) alla definizione di specifiche agevolazioni integrative di quelle previste dalla normativa statale che tengano conto, a parità di altri fattori: 1) della presenza nel nucleo familiare di persone con disabilità e di non autosufficienti, così come individuate ai sensi dell’allegato 3 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 159/2013; 2) della composizione del nucleo familiare, dell’età dei figli e dello stato di famiglia monogenitoriale, nonché, nel caso di genitori separati, del contributo per il mantenimento dei figli stabilito a seguito di provvedimento dall’autorità giudiziaria; b) all’introduzione di elementi di priorità per le famiglie che hanno in essere un mutuo per l’acquisto dell’abitazione principale, per la presenza di persone anziane, non autosufficienti ovvero diversamente abili, nonché per le madri in accertato stato di gravidanza, in coerenza con gli ambiti e i servizi ai quali il Fattore famiglia viene applicato. 3. Possono accedere ai benefici previsti dalla presente legge i componenti dei nuclei familiari che abbiano adempiuto al pagamento delle imposte regionali.

 

4 Si noti che le compartecipazioni alla spesa sanitaria possono essere attuate in diversi modi, ad oggi però sia lo Stato che le Regioni hanno introdotto compartecipazioni alla spesa sanitaria solo attraverso i ticket.

 

5 L’art. 8 della l. 537 del 1993 ha posto il principio della compartecipazione alla spesa sanitaria per i farmaci (comma 14) e per le prestazioni (comma 15) da parte dei cittadini. Il comma 15 della l. n. 537 del 1993 dispone che «tutti i cittadini sono soggetti al pagamento delle prestazioni di diagnostica strumentale e di laboratorio e delle altre prestazioni specialistiche, ivi comprese le prestazioni di fisiokinesiterapia e le cure termali, fino all’importo massimo di lire 70.000 per ricetta, con assunzione a carico del Servizio sanitario nazionale degli importi eccedenti tale limite». Il comma 16 indica le categorie di cittadini esentate per patologia o per appartenenza a nuclei familiari con determinati livelli di reddito complessivo.

 

6 L’art. 1, comma 796, lettera p), della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007), ha introdotto il ticket di dieci euro per le prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale per gli assistiti non esentati e il ticket di venticinque euro per le prestazioni erogate in regime di pronto soccorso ospedaliero non seguite da ricovero.
La lettera p-bis) del medesimo comma 796 introdotta dall’art. 6-quater del decreto legge 28 dicembre 2006, n. 300 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni diverse), convertito, con modificazioni, nella legge 26 febbraio 2007, n. 17 ha consentito alle Regioni che non intendessero applicare il ticket di dieci euro per le prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale, di cui al primo periodo della lettera p), di ricorrere a misure alternative di partecipazione al costo delle prestazioni sanitarie, purché sia garantita l’equivalenza tra il gettito da esse derivante e quello conseguente all’applicazione del criterio dettato dalla norma statale.
L’art. 61, comma 19, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 2008, n. 133, ha abolito il ticket di dieci euro per le prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale per il triennio 2009-2011. Ma il comma 21 del medesimo articolo ha lasciato, comunque, alle Regioni la possibilità di continuare ad applicarlo «in misura integrale o ridotta».
L’art. 17, comma 6, del d.l. n. 98 del 2011 ha ripristinato l’efficacia della disciplina del ticket introdotta nel 2006 e poi temporaneamente «abolita».
L’art. 1, comma 446, della legge 27 dicembre 2019, n. 160 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2020 e bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022), ha stabilito che a decorrere dal 1° settembre 2020, è nuovamente abolita la quota di compartecipazione al costo per le prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale, facendo cessare, a decorrere dalla stessa data, le misure alternative adottate dalle Regioni ai sensi della lettera p-bis) del medesimo comma 796. Sino al 31 agosto 2020, dunque, l’art. 1, comma 796, lettere p) e p-bis), della legge n. 296 del 2006, richiamato nell’ultimo periodo dell’art 17, comma 6, del d.l. n. 98 del 2011, continuerà a produrre effetti sulla disciplina del ticket e delle misure alternative che le Regioni possono adottare.

 

7 Sentenza n. 187 del 2012, Cons. dir. 3.3.2. Nella disciplina del ticket, sostiene la Corte, l’«intreccio» e la «sovrapposizione di materie» non rendono possibile «individuarne una prevalente» (sentenza n. 330 del 2011), né tracciare una «precisa linea di demarcazione» tra le competenze (sentenza n. 200 del 2009). Nel caso di cui alla sentenza 187 del 2012, la Corte ha fatto discendere l’illegittimità costituzionale dell’art. 17, comma 1, lett. d) del d.l. n. 98 del 2011 (convertito in l. n. 111 del 2011), nella parte in cui prevede che le misure di compartecipazione nell’ambito del ticket sanitario siano introdotte con regolamento in delegificazione, ex art. 17, comma 2, l. n. 400 del 1988, poiché lo Stato non può esercitare la potestà regolamentare in un caso caratterizzato da una concorrenza di competenze

 

8 Ibidem.

 

9 Considerando il livello essenziale come limite al di sotto del quale si avrebbe una erogazione inferiore di quella fissata e all’opposto, oltre tale limite si tratta di prestazioni superiori, o “in melius”.

 

10 Su questo la dottrina è vastissima, sia concesso un rinvio a Bergo (2017), I nuovi livelli essenziali di assistenza. Al crocevia fra la tutela della salute e l’equilibrio di bilancio, in Rivista AIC, 2/2017 e dottrina ivi richiamata. Con particolare riferimento alla differenziazione e al riparto di competenza, si vv. anche S. de Goetzen (2012), La disciplina in materia di ticket incidente sui livelli essenziali di assistenza sanitaria. Divieto di differenziazione in melius?, in Le Regioni; G. Demuro, (2012), La leale collaborazione nella differenziazione della spesa farmaceutica, in Le Regioni; Mannella (2012), Concorrenza di competenze e potestà regolamentare nella disciplina del ticket sanitario, in Giur. cost., fasc. 5, 2012, pag. 3751; nonché L. Busatta (2013), Il c.d. super ticket e la Corte costituzionale: solo una questione di competenze?, in Le Regioni, 5-6/2013.

 

11Cfr. infra, par. 3. Il primo riferimento normativo in merito si annovera nell’art. 13, d. lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 “Riordino della disciplina in materia sanitaria”, che dettava disposizioni finanziarie relativamente a quelli che allora venivano definiti “livelli uniformi di assistenza”. Per un excursus sull’evoluzione dei Lea, sia consentito un rinvio a Bergo (2017), I nuovi livelli essenziali di assistenza. Al crocevia fra la tutela della salute e l’equilibrio di bilancio, cit.

 

12 Sentenza n. 91 del 2020, Cons. dir. 3.

 

13 Cfr. sent. n. 187 del 2012.

 

14 Ibidem.

 

15 Dal punto di vista tributario, va ricordato in proposito che i ticket, in quanto prestazioni patrimoniali imposte, sono coperti da riserva di legge relativa e, nel caso dei ticket regionali, si tratterebbe di imposte regionali proprie derivate, poiché la legge che è statale.

 

16 Cfr. Reg. ric. n. 69/2019, dove si legge che «L’utilizzo dell’indicatore regionale sembra, infatti, possibile solo relativamente all’ulteriore quota fissa di € 10 sulla ricetta e alle eventuali quote di compartecipazione introdotte a livello regionale, che possono essere eventualmente rimodulate, alle condizioni sopra descritte, a seconda della diversa situazione reddituale dell’assistito, oppure alla partecipazione alla quota sociale relativa alle prestazioni residenziali, semiresidenziali e domiciliari di cui al Capo IV del d.P.C.M. 12 gennaio». Questa opzione interpretativa non è tuttavia sembrata sufficiente al Presidente del Consiglio dei Ministri per fugare i dubbi di costituzionalità della norma impugnata, che sarebbe perciò viziata da una vaghezza tale da rendere impossibile definire con precisione l’ambito di applicazione del “Fattore famiglia”. Tale norma si porrebbe pertanto in contrasto con la normativa statale di riferimento che, nello stabilire la compartecipazione per l’assistenza specialistica ambulatoriale, non prevede la possibilità di rimodulazione in base alla situazione economica dell’assistito.

 

17 Cfr. Regione Piemonte, Memoria di costituzione depositata presso la Cancelleria della Corte costituzionale il 12 luglio 2019.

 

18 Sulle problematicità di questa involuzione, si v. E. Ferrari (2017), Bilancio, ticket sanitari, prestazioni imposte e livelli essenziali delle prestazioni, in Rivista AIC, 4/2017, che avanza dubbi di costituzionalità di un sistema di ticket mirato al finanziamento del sistema sanitario nazionale.

 

19 Dal 2001 al 2019, il finanziamento del SSN a carico dello Stato è sempre cresciuto in valore assoluto (tranne che fra il 2012 e il 2013 e fra il 2014 e il 2015), passando da 71,3 miliardi di euro a 114,5 miliardi di euro. Tuttavia se si osservano i dati in rapporto al Pil, dal 2010 il finanziamento del SSN è sempre diminuito. Nel 2010 i 105,6 miliardi di euro corrispondevano al 7 per cento della ricchezza nazionale; i 114,5 miliardi di euro del 2019 al 6,6 per cento. Un taglio, in valori rapportati al Pil, dello 0,4 per cento. A questa cifra si aggiungono i tagli rispetto a quanto programmato di anno in anno per gli anni successivi e il mancato adeguamento all’inflazione. Cfr. Istat, Audizione Fondi sanitari, in XII Commissione (Affari sociali), Camera dei deputati, Roma, 9 aprile 2019; nonché Gimbe, (2019), Il definanziamento 2010-2019 del Servizio Sanitario Nazionale, Report Osservatorio 7/2019.

 

20 Corte cost., sent. n. 184 del 1993, Cons. dir. 3.

 

21 Art. 13, d. lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 “Riordino della disciplina in materia sanitaria” adottato ai sensi dell’articolo 1 della L. 23 ottobre 1992, n. 421“Disposizioni in materia di finanza pubblica”.

 

22 Convertito in legge 16 novembre 2001, n. 405.

 

23 Di cui si è dato conto supra, cfr. nota n. 4.

 

24 Sentenza n. 203 del 2008, Cons. dir. 6.2.

 

25 Dal punto di vista procedurale, poi, perché tale limitazione sia legittima, occorre che lo Stato agisca previa intesa con le Regioni. Nella stessa sede, infatti, la Corte chiarisce che «la stessa offerta “minimale” di servizi sanitari non può essere unilateralmente imposta dallo Stato, ma deve essere concordata per alcuni aspetti con le Regioni, con la conseguenza che “sia le prestazioni che le Regioni sono tenute a garantire in modo uniforme sul territorio nazionale, sia il corrispondente livello di finanziamento sono oggetto di concertazione tra lo Stato e le Regioni stesse” (sentenza n. 98 del 2007)», sent. n. 203 del 2008, cons. dir. 6.2.

 

26 Corte cost., sent. n. 203 del 2008, cons. dir. 7 «Sia la previsione di un ticket fisso uguale in tutto il territorio nazionale (che peraltro ha avuto vigenza limitata al periodo intercorrente tra il 1° gennaio e il 20 maggio 2007), sia il ricorso a forme diverse di compartecipazione degli assistiti – entrambe previste dalle norme statali che si sono succedute nel tempo e tutte impugnate dalla Regione Veneto – sono da ritenersi compatibili con i principi costituzionali, nella considerazione bilanciata dell’equilibrio della finanza pubblica e dell’uguaglianza di tutti i cittadini nell’esercizio dei diritti fondamentali, tra cui indubbiamente va ascritto il diritto alla salute».

 

27 Nel passaggio conclusivo la Corte afferma poi che «i criteri di compartecipazione devono assumere carattere omogeneo. Né potrebbe essere diversamente, giacché non sarebbe ammissibile che l’offerta concreta di una prestazione sanitaria rientrante nei LEA si presenti in modo diverso nelle varie Regioni. Giova precisare che dell’offerta concreta fanno parte non solo la qualità e quantità delle prestazioni che devono essere assicurate sul territorio, ma anche le soglie di accesso, dal punto di vista economico, dei cittadini alla loro fruizione» sent. n. 203 del 2008, cons. dir. 7.

 

28 Art. 61, comma 19, d. l. 25 giugno 2008, n. 112, convertito con modificazioni in legge 6 agosto 2008, n. 133.

 

29 Corte cost., sent. n. 341 del 2009.

 

30 Sentenza n. 341 del 2009, cons. dir. 5.3.1.

 

31 Report Osservatorio GIMBE n. 5/2019, Ticket 2018, Fondazione GIMBE, Bologna, luglio 2019, in www.gimbe.org/ticket2018. Similmente, si v. anche Fondazione Farmafactoring (2015), Efficacia dei meccanismi di compartecipazione sulla spesa sanitaria: le differenze regionali e gli effetti in termini di salute e spesa sanitaria, I Quaderni della Fondazione Farmafactoring, 2/2015; nonché AGENAS, La compartecipazione alla spesa nelle regioni. Sintesi della normativa vigente al 1 maggio 2015, consultabile al sito www.agenas.gov.it.

 

32 Report Osservatorio GIMBE n. 5/2019, op. cit., p.

 

33 In Emilia-Romagna ad esempio il super-ticket è eliminato dal 1° gennaio 2019 per i nuclei familiari con redditi fino a 100 mila euro, mentre in Veneto dal 1° gennaio 2020 non deve farsene carico chi ha redditi inferiori ai 29 mila euro.

 

34 Sentenza n. 330 del 2011, cons. dir. 3.2.

 

35 Ibidem.

 

36 Sent. n. 187 del 2012, cons. dir. 3.3.1.

 

37 Sent. n. 275 del 2016, cons. dir. 11.

 

38 Il caso di specie fa riferimento al diritto all’istruzione per i ragazzi affetti da disabilità e il relativo trasporto, che la regione Abruzzo voleva erogare a condizione che le risorse in bilancio fossero disponibili. La Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità della norma regionale chiarendo che «è la garanzia dei diritti incomprimibili ad incidere sul bilancio, e non l’equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione» (considerato in diritto, 11) su cui, ex multis, si v. E. Furno, Pareggio di bilancio e diritti sociali: la ridefinizione dei confini nella recente giurisprudenza costituzionale in tema di diritto all’istruzione dei disabili, in http://www.giurcost.org/ 16 marzo 2017.

 

39 Cfr. M. Luciani, Sui diritti sociali, in Democrazia e diritto, 1995, pp. 560 ss., dove l’A. fa notare che il “fine” (la tutela dei diritti sociali della persona) non può essere considerato sullo stesso piano del “mezzo” (cioè, l’efficienza economica); nonché Id., Diritti sociali e livelli essenziali delle prestazioni pubbliche nei sessant’anni della Corte Costituzionale, Rivista AIC, n. 3/2016.

 

40 Si pensi al sistema di monitoraggio sull’attuazione dei Lea che è stato di recente modificato dal decreto ministeriale 12 marzo 2019 “Nuovo sistema di garanzia per il monitoraggio dell’assistenza sanitaria” (G.U. il 14 giugno 2019) e in vigore dal 1° gennaio 2020. La precedente “griglia Lea” in cui venivano inseriti 18 indicatori è stata sostituita da un sistema in cui vengono valutati 88 indicatori, e che sembra dischiudere un quadro a dir poco raccapricciante: meno di metà delle Regioni in Italia risultano pienamente capaci di erogare i Lea. Alla luce di questi dati, lo Stato dovrebbe attivarsi, ai sensi dell’art. 120 Cost., intervenendo con il commissariamento delle realtà inefficienti e l’introduzione di un organismo statale in grado di garantire le prestazioni essenziali.

 

41 È infatti in lavorazione un “ddl Sanità” (che avrebbe dovuto essere contenuto nel D.L. 124/2019, collegato alla legge di bilancio ma che poi è stato fatto slittare) che dovrebbe procedere a riscrivere per intero la disciplina del ticket ordinario, per rimodularlo in relazione al reddito.

 

42 Per la nozione di servizi sociali si fa tradizionalmente riferimento alla legge 8 novembre 2000, n. 328 “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”, la quale all’art. 1, comma 1, nel fissare i principi generali e la finalità della legge ha affermato che «la Repubblica assicura alle persone e alle famiglie un sistema integrato di prestazioni».

 

43 Sent. n. 91 del 2020, cons. dir. 4.

 

44 Ibidem.

 

45 Art. 2, comma 1, del d.P.C.m. 5 dicembre 2013, n. 159 «Regolamento concernente la revisione delle modalità di determinazione e i campi di applicazione dell’Indicatore della situazione economica equivalente (ISEE)».

 

46 Sent. n. 387 del 2007.

 

47 Sent. n. 92 del 2020, cons. dir. 4. Tale lettura peraltro è confermata anche da una cospicua giurisprudenza amministrativa, per tutte, si v. T.A.R. Roma, (Lazio) sez. I, 11 febbraio 2015, (ud. 19/11/2014, dep. 11/02/2015), n. 2458, in cui si precisa che la disciplina statale in materia di Isee garantisce «per gli enti regolatori – nell’ambito della ricognizione delle “situazioni locali” anche di ordine finanziario – solo la possibilità di prevedere criteri “ulteriori” – e non integrativi – di selezione unicamente della platea dei beneficiari e ciò in relazione alle attribuzioni regionali specificamente previste in materia di assistenza socio-sanitaria, secondo il su ricordato riparto di cui alla sentenza della Corte Costituzionale n. 297/12. Non è, dunque, prevista alcuna elaborazione di criteri “paralleli” o “alternativi” all’ISEE, come ritenuto dai ricorrenti, ma unicamente la possibilità di allargare la platea dei beneficiari mediante criteri ulteriori, che non si sovrappongono o sostituiscono l’ISEE, ma lo integrano secondo le attribuzioni regionali specifiche e facendo comunque salva – come ribadito esplicitamente dal ricordato art. 2 – la “valutazione della condizione economica complessiva del nucleo familiare attraverso l’ISEE”, a conferma della circostanza per la quale è comunque l’ISEE il nucleo valutativo imposto per determinare la condizione economica di riferimento».

 

48 In questo senso, si vv. sent. n. 207 e n. 10 del 2010; n. 322 e n. 200 del 2009; n. 387 del 2007; n. 248 del 2006.

 

49 Sentenza n. 297 del 2012, cons. dir. 5.2, su cui si v. A. Venturi – G. Corvetta (2013), Regioni e servizi sociali: la Consulta legittima i “modelli regionali” fondati sulla partecipazione degli utenti (ma non solo) al costo delle prestazioni, in Le Regioni, 2013; A. Candido, Liveas o non liveas. Il diritto all’assistenza e la riforma dell’Isee in due pronunce discordanti, in Rivista AIC, 2/2013.

 

50 Sent. n. 91 del 2020, cons. dir. 4.

 

51 Sent. n. 91 del 2020, cons. dir. 3.

 

52 Su cui si v. T. Cerruti, La Corte “salva” il Fattore famiglia piemontese, «necessaria proiezione nel programma e nel bilancio dell’ente territoriale delle modalità e dei costi di erogazione dei servizi», in Questa Rivista.

 

53 I dati fanno riferimento alle famiglie con figli minori, cfr. ISTAT, Report povertà 2019, 16 giugno 2020, www.istat.it

 

54 Si pensi alla Francia, che destina il 2,9% del Pil alla famiglia, mentre l’Italia solo lo 0,9%. Se si considera poi la spesa complessiva per famiglia e minori, in Italia si spende il 5,98% del Pil contro una media europea dell’8,08%, cfr. Famiglie. Ocse “L’Italia agli ultimi posti in Europa per spesa pubblica destinata ai nuclei familiari”. Difficile in Italia essere mamme e lavoratrici, 29 marzo 2019, in www.euroroma.net/; nonché F. Pezzatti, Fisco, famiglie italiane le più penalizzate in Europa. Ecco i numeri del confronto, in Il Sole 24 Ore, 6 aprile 2019.

 

55 La maggior parte delle prestazioni sociali erogate in Italia riguardano la previdenza sociale (66,3%), il 22,7% prestazioni di tipo sanitario e solo l’11% di assistenza sociale, al cui interno si annoverano le spese per la famiglia, cfr. ISTAT, La protezione sociale in Italia e in Europa, 28 aprile 2020. Così l’Italia è ai primi posti in Europa per spesa sociale complessiva, perché gravata dalla spesa previdenziale, ma se si distingue la spesa per le famiglie e i figli, il posto dell’Italia scende inesorabilmente.

 

56 L’art. 59, commi 50-52, l. 27 dicembre 1997, n. 449 “Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica” conferiva al Governo la delega per l’introduzione di quello che poi prenderà il nome di ISEE.

 

57 In questo senso si vv. ex multis, M. Baldassarri, Per un Welfare State fondato sulla selezione degli obiettivi e il controllo dell’efficienza, in A. Baldassarre (a cura di), I limiti della democrazia, Roma – Bari, 1985, p. 179, secondo il quale la prima scelta da fare è quella di selezionare i servizi fondamentali che lo Stato deve continuare a garantire e di limitare il loro godimento ad alcuni cittadini, ossia a quelli che non sono in grado di sopportare da soli l’onere finanziario di tali servizi; nonché C. Colapietro, Alla ricerca di un Welfare State “sostenibile”: il Welfare “generativo”, in Diritto e società, 2014, p. 29, secondo il quale «è necessario passare a quell’universalismo selettivo da tempo auspicato, che garantisce a tutti l’accesso alle prestazioni garantite, ma filtrandolo in base alla situazione economica familiare, al fine di evitare, come purtroppo sta avvenendo, che di fronte alla crisi fiscale dello Stato sociale e ad una sua possibile implosione per l’incombente crisi finanziaria, il Parlamento si faccia sic et simpliciter promotore di una serie di interventi normativi limitativi dei servizi connessi al godimento di taluni fondamentali diritti sociali».

 

58 In materia la dottrina è molto ampia, a mero titolo esemplificativo, si v. M. Motta (2011), Le criticità dell’Isee, in Prospettive sociali e sanitarie, n. 16-18/2011; Betti, Cappellini, Maitino, Sciclone (2011), L’Isee come strumento di equità nel welfare locale: l’evidenza empirica e una proposta di riforma per la Toscana, Conferenza della Società italiana di economia pubblica, Pavia XXIII 19 – 20 settembre; E. Ranci Ortigiosa (2011), L’Isee: strumento utile ma da riformare, Editoriale, in Prospettive sociali e sanitarie, n. 16-18/2011.

 

59 D.P.C.M. 5 dicembre 2013, n. 159, “Regolamento concernente la revisione delle modalità di determinazione e i campi di applicazione dell’Indicatore della situazione economica equivalente (ISEE)”.

 

60 L’art. 10, comma 1, D. lgs. n. 15 settembre 2017, n. 147 “Disposizioni per l’introduzione di una misura nazionale di contrasto alla povertà” ha introdotto la Dichiarazione Sostitutiva Unica precompilata, caratterizzata dalla coesistenza di dati auto-dichiarati da parte del cittadino con altri dati forniti dall’Agenzia delle Entrate e dall’INPS. In attuazione del comma 2, art. 10, d. lgs. 147 del 2017 è stato emanato il Decreto del Ministro del Lavoro e delle politiche sociali 9 agosto 2019, che ha disciplinato l’accesso alla DSU precompilata, le componenti della DSU precompilata che continuano ad essere auto-dichiarate, nonché le omissioni o difformità rispetto al patrimonio mobiliare dichiarato.

 

61 Sulle recenti modifiche all’Isee, si v. M. Motta, S. Caffer (2020), Isee 2020: meglio o peggio?, in www.welforum.it, 17 marzo 2020.

 

62 Il riferimento è alla l.r.18 dicembre 2008, n. 66 “Istituzione del Fondo regionale per la Non autosufficienza”che si colloca nel contesto di cui alla l. r. 24 febbraio 2005, n. 41, recante “Sistema integrato di interventi e servizi per la tutela dei diritti di cittadinanza sociale”, diretto ad ampliare la tutela e la protezione delle persone fragili con lo scopo di migliorare la qualità, quantità e appropriatezza delle risposte assistenziali a favore delle persone non autosufficienti, disabili e anziani, di promuovere la realizzazione di un sistema improntato alla prevenzione della non autosufficenza e della fragilità e di favorire percorsi assistenziali che realizzano la vita indipendente e la domiciliarità. Nello specifico, la Regione Toscana ha modificato l’applicazione dell’Isee nell’ambito delle prestazioni per la non autosufficienza, intervenendo in due direzioni: da un lato ha modificato i soggetti da prendere in considerazione per la valutazione della condizione economica del non autosufficiente; dall’altro, a seconda del servizio offerto, ha aggiunto le poste di reddito non soggette a tassazione nel calcolo della condizione economica. L’art. 14 della l.r. 66 del 2008 stabilisce quanto segue: “a) nel caso di prestazioni di tipo semiresidenziale e domiciliare si tiene conto della situazione reddituale e patrimoniale del solo beneficiario della prestazione, determinata secondo la normativa in materia di ISEE; b) nel caso di prestazioni di tipo residenziale, oltre alla situazione reddituale e patrimoniale della persona assistita, determinata secondo il metodo ISEE, sono computate le indennità di natura previdenziale e assistenziale percepite per il soddisfacimento delle sue esigenze di accompagnamento e di assistenza; c) nel caso di cui alla lettera b) la quota di compartecipazione dovuta dalla persona assistita ultrasessantacinquenne è calcolata tenendo conto altresì della situazione reddituale e patrimoniale del coniuge e dei parenti in linea retta entro il primo grado”. La norma di cui alla lett. c) è stata peraltro oggetto di scrutinio da parte della Corte costituzionale che però si è pronunciata per la non fondatezza (sent. 296 del 2012, cfr. supra nota 49).

 

63 Legge della Provincia autonoma di Trento 22 aprile 2014, n. 1 (Disposizioni per l’assestamento del bilancio annuale 2014 e pluriennale 2014-2016 della Provincia autonoma di Trento – legge finanziaria provinciale di assestamento 2014), artt. 53, comma 2), e 54, commi 5 e 8, lettera b). Rispetto all’Isee, l’ICEF presenta alcune differenze rilevanti: i) è calcolato per ogni individuo, e non per famiglia, in modo da ponderare meglio il grado di meritorietà del singolo beneficiario della prestazione; ii) la metodologia di calcolo cambia a seconda della prestazione richiesta (le variabili prese in esame, le soglie di accesso, la ponderazione dei carichi familiari e l’entità delle detrazioni e/o deduzioni sono definite specificatamente per ciascun servizio); iii) i redditi da lavoro dipendente non sono conteggiati nella interezza; iv) la valorizzazione del patrimonio avviene in misura progressiva rispetto ai valori dichiarati; v) è’ sufficiente essere ricchi di patrimonio (ma non anche di reddito), o viceversa, per essere esclusi dalla agevolazione tariffaria; vi) il reddito e il patrimonio, essendo trasformati in un indice che assume valori compresi fra zero ed uno, contano nella medesima proporzione.

 

64 Ad es. BVerfG 99, 246 “Kinderexistenzminimum I”. Su cui amplia L. Antonini, (2005), Sussidiarietà fiscale: la frontiera della democrazia, Rubbettino.

 

65 Nella sentenza n. 358 del 1995 la Corte costituzionale rilevava che l’allora vigente disciplina dell’IRPEF penalizzava i nuclei monoreddito e le famiglie numerose, concludendo che «pur con queste cautele e nella prospettiva di tutto il quadro delle varie situazioni, il legislatore non dovrà consentire ulteriormente, per rispetto ai principi costituzionali indicati ed ai criteri di giustizia tributaria, il protrarsi delle indicate sperequazioni in danno delle famiglie monoreddito e numerose» (cons. dir. 6).

 

66 Il riferimento è alle tecniche decisorie utilizzate con l’ordinanza n. 207 del 2018 e la successiva sentenza n. 242 del 2019 sulla punibilità dell’aiuto al suicidio nel c.d. “caso Cappato” in cui la Corte ha elaborato una sorta di pronuncia di illegittimità “differita” per lasciare “un tempo congruo” al legislatore per intervenire, tema che ha alimentato profonde riflessioni nella dottrina, cfr. www.giurcost.org che da solo raccoglie al momento 25 commenti in proposito.