Il nuovo corso della legislazione regionale: semplificazione, riordino e “taglia-leggi”

Luca Geninatti Satè[1]

1. Nel programma politico del Presidente Alberto Cirio hanno assunto un significativo rilievo gli obiettivi di “semplificazione”, riduzione di leggi e razionalizzazione normativa. In attuazione di questi obiettivi, è stato anzitutto presentato il DDL regionale n. 46, del 9 ottobre 2019, che prevede di modificare lo Statuto regionale stabilendo che, “al fine di evitare la proliferazione legislativa”, ogni nuovo disegno di legge debba prevedere “l’abrogazione in modo espresso delle disposizioni con questa incompatibili e relative al medesimo ambito di materia” e sia promossa “la formazione di testi unici legislativi e regolamentari distinti per settori organici di materia”. Nello stesso giorno è anche stato presentato il DDL regionale n. 47 (“Misure di semplificazione dei percorsi normativi e amministrativi”), che mira, “ai fini della razionalizzazione e del controllo delle fonti effettive”, ad “abrogare o sostituire almeno una legge esistente con l’emanazione di una nuova ed incentivare, al contempo, la produzione di testi unici”. Sotto il profilo organizzativo, inoltre, è attualmente in esame, presso la Giunta per il Regolamento, una proposta di deliberazione recante “Modifiche del regolamento interno del Consiglio regionale ai fini dell’istituzione della commissione permanente con competenze in materia di autonomia, affari istituzionali, federalismo, enti locali, sburocratizzazione e semplificazione”.

 

2. Questi dati sono indicatori di un “nuovo corso” della legislazione regionale, fondato sulla semplificazione, sul riordino e sulla abrogazione (o, come suggestivamente titola la stampa, la “rottamazione”) delle leggi, un “nuovo corso” che corrisponde a uno specifico indirizzo politico e che contraddistingue la legislatura in modo molto più netto di quanto avvenuto in passato.

L’analisi degli atti che si sono menzionati mostra che questa strategia non è quella di abdicare dall’esercizio della funzione legislativa, rinunciando a produrre leggi, ma quella di approvare un minor numero di testi normativi e di adottare interventi mirati al riordino e alla semplificazione.

Questo esito non è scontato, perché non sono mancate, anni addietro, posizioni secondo le quali il “miglioramento della regolazione” dovrebbe comportare la riduzione del numero di regole (v., p.e., Cons. Stato, sez. Consultiva per gli Atti Normativi, parere 21 maggio 2007, n. 2024), il che implicherebbe la possibilità di perfezionare un’attività smettendo di compierla.

L’obiettivo della Regione Piemonte sembra invece diverso, e può riassumersi nell’intento di semplificare il sistema amministrativo attraverso il riordino della legislazione e, in particolare, l’abrogazione espressa di norme.

 

3. Perseguire questo obiettivo richiede però alcuni accorgimenti, perché gli strumenti per semplificare e riordinare la legislazione sono molto insidiosi (come dimostrano i modesti risultati ottenuti, negli ultimi anni, dai vari tentativi compiuti dal legislatore statale).

Alcune di queste insidie consistono in persistenti confusioni lessicali, che inducono talora a utilizzare strumenti che sono in realtà destinati a raggiungere obiettivi opposti a quelli che ci si prefigge (un’insidia, per dirla con Weber, di irrazionalità rispetto al fine); altre derivano dalle caratteristiche del sistema delle fonti, che impongono di rispettare quelle regole tecniche che permettono di mantenere (non solo ordinato, ma soprattutto) in equilibrio il sistema stesso.

 

4. A proposito della semplificazione, ci si deve anzitutto ricordare di distinguere fra la “semplificazione normativa” e quella “amministrativa”: la prima concerne la riduzione del numero delle disposizioni normative vigenti, l’incremento della loro reciproca coerenza e il miglioramento della loro qualità linguistica; la seconda riguarda lo snellimento dei procedimenti amministrativi mediante la riduzione degli oneri richiesti ai soggetti che vi intervengono.

Ridurre il numero delle disposizioni vigenti può però significare (a) ridurre l’area coperta dalla regolamentazione pubblica (azione che corrisponde al significato più diffuso del termine “deregolamentazione”) oppure (b) ridurre le disposizioni di rango legislativo a favore delle fonti regolamentari (ossia ricorrere all’istituto, ormai piuttosto desueto, della delegificazione).

Non porta invece a ridurre il numero delle norme vigenti qualsiasi operazione (che potremmo definire meramente editoriale) che riproduca le norme stesse in documenti che si propongono di costituirne una silloge omogenea e completa per materia (documenti un tempo chiamati “testi unici compilativi”), sebbene queste operazioni possano comunque assolvere a un compito della semplificazione, quanto meno nel senso di semplificare la conoscibilità del diritto.

Occorrerebbe dunque chiarire quali obiettivi effettivamente ci si proponga con la semplificazione normativa, perché – evidentemente – l’abrogazione non è uno strumento utile alla delegificazione e, viceversa, la delegificazione non riduce il numero di tutte norme vigenti (ma solo di quelle primarie).

Soprattutto, però, è necessario stabilire con cura il nesso che si vuole assumere fra “semplificazione normativa” e “semplificazione amministrativa”: se quest’ultima attività è intesa come volta a ridurre o snellire gli oneri procedimentali e diminuire gli adempimenti amministrativi, allora essa abbisogna di nuove norme, ossia di regole (normalmente legislative) che, al fine di semplificare i procedimenti amministrativi, arricchiscono – anziché ridurre – il corpus delle norme vigenti (come accaduto anni fa, per esempio, con la l. n. 15/2005, la l. n. 80/2005, il dl.g. n. 82/2005 o la l. n. 69/2009).

Se la “semplificazione amministrativa” viene attuata mediante l’introduzione di nuove disposizioni normative, essa allora contrasta con la deregolamentazione (sia quest’ultima intesa come accezione, o come segmento, della “semplificazione normativa”), e se ciò comporta l’approvazione di nuove disposizioni di legge (com’è tipicamente richiesto dal principio di legalità), allora il contrasto si genera anche con la delegificazione.

C’è insomma il rischio che la “semplificazione amministrativa” conduca ad aumentare il numero delle regole, anziché ridurle, e a incrementare la quantità delle fonti primarie, anziché diminuirle a favore di quelle secondarie.

 

5. In merito al riordino normativo (e quindi al problema rappresentato dalla necessità di tenere conto dei meccanismi che governano il sistema delle fonti), è necessario considerare che l’utilizzo dell’abrogazione espressa, alla quale la Regione Piemonte intendere affidare il compito, addirittura sancito a livello statutario, di “evitare la proliferazione legislativa”, presenta profili molto problematici.

Alcuni di questi problemi si concentrano sullo strumento denominato “taglia-leggi”, sul quale si tornerà nel paragrafo successivo.

Ma, fra gli altri casi particolarmente critici cui espone il ricorso generalizzato all’abrogazione espressa, vi è per esempio quello che si verifica quando una norma disponga l’abrogazione di disposizioni normative recanti a propria volta una o più abrogazioni espresse.

A rigore, in queste ipotesi la questione dell’eventuale possibilità di riviviscenza delle disposizioni abrogate non avrebbe ragione di porsi, stante il cosiddetto “effetto istantaneo” dell’abrogazione (secondo quanto prevede l’art. 11 delle “Disposizioni sulla legge in generale”).

Tuttavia, l’obiettivo della semplificazione induce spesso il legislatore a introdurre irrituali clausole di “persistente abrogazione”, spingendolo a rendere esplicite (nel dichiarato intento di supportare l’interprete nella ricostruzione delle norme vigenti) quali sono le norme che “sono o restano abrogate”.

Ora, da una parte l’uso di questa clausola è sintomatico di un ricorso concettualmente incerto all’abrogazione espressa, ma questo profilo potrebbe pacificamente rientrare nel fenomeno – osservato da Luhmann – della generale indifferenza dell’ordinamento giuridico verso il fatto che non si è più in grado di conoscere il diritto (fenomeno che, secondo il desolato giudizio di Luhmann stesso, deve necessariamente risolversi “mediante meccanismi psichici interni”, come a dire: facendosene una ragione).

Dall’altra parte, però, il ricorso alle clausole di “persistente abrogazione” rischia di diffondere una percezione rovesciata del rapporto regola-eccezione, inducendo a considerare necessaria l’espressa dichiarazione circa la persistenza dell’effetto abrogativo e perciò facendo credere all’interprete che, in mancanza di questa clausola, si possa verificare una reviviscenza di norme precedentemente abrogate.

Un secondo, e altrettanto pericoloso, problema si verifica poi quando si utilizza l’abrogazione espressa relativamente a norme che istituiscono fonti secondarie.

Anche in questo caso, di per sé, l’irretroattività delle leggi e l’art. 11 delle “Disposizioni sulla legge in generale” portano a dire che, quando una norma legislativa venga abrogata dopo l’entrata in vigore della disposizione secondaria da essa prevista, quest’ultima non subirà effetti, poiché la “previa legge” abrogata continuerà ad avere efficacia rispetto alle fattispecie anteriori all’abrogazione (e, dunque, anche rispetto all’esercizio della potestà normativa che ha prodotto la fonte secondaria).

Nella prassi degli ultimi anni, invece, dato anche l’esteso intervallo di tempo che solitamente intercorre fra la pubblicazione di una legge e quella delle relative norme secondarie, l’intento di semplificare il lavoro dell’interprete, e in particolare di supportarlo nel risolvere il dubbio se le norme secondarie emanate in attuazione di norme legislative abrogate siano ancora vigenti, ha portato a introdurre clausole di “persistente applicabilità” delle norme secondarie.

In forza di queste clausole, e con l’obiettivo di riordinare il corpus normativo, si dichiara esplicitamente la persistente applicabilità  delle norme secondarie attuative di norme abrogate, generando confusione (i) sul fatto che le norme secondarie si applichino anche a fattispecie alle quali, invece, le norme primarie non si applicano più (perché abrogate), (ii) sul fatto che le norme attuative di disposizioni abrogate svolgano funzione esecutiva anche delle nuove norme promulgate e (iii) sul fatto che sia la norma “di riordino” a rendere ultrattivamente efficace, rispetto agli eventi passati, le disposizioni secondarie (e quindi inducendo a ritenere, a contrariis, che in assenza di questa “sanatoria” anche le norme attuative di norme abrogate siano automaticamente abrogate).

In questo modo, l’uso non sorvegliato dell’abrogazione espressa (non solo non aiuta a riordinare, ma) destruttura fortemente il sistema delle fonti, come accade anche nel caso in cui si procede ad abrogare espressamente norme secondarie afflitte da invalidità sopravvenuta per promulgazione di una fonte primaria incompatibile con la precedente norma autorizzatrice (come avvenuto, per esempio, con l’art. 264, c. 1, lett. b), del d.lg. n. 152/2006 o con l’art. 256 del d.lg. n. 163/2006): in questi casi, l’abrogazione espressa si propone di “riordinare” il sistema delle fonti dichiarando esplicitamente inapplicabili norme che sono invece illegittime, sovrapponendo un improprio effetto abrogativo all’applicazione del criterio gerarchico e – in definitiva – facendo “dire troppo” all’abrogazione espressa.

 

6. Con riguardo, infine, al “taglia-leggi”, l’ordinamento statale ha registrato, negli ultimi quindici anni, innumerevoli provvedimenti di riordino contrassegnati da questo appellativo; tuttavia, la singolare fortuna del termine ha spesso offuscato le differenze operative e i problemi applicativi che l’istituto presenta.

E’ esistito, per esempio, un “taglia-leggi” non di nome, ma di fatto: si tratta del primo esempio dell’istituto, risalente all’art. 14, c. 12, della l. n. 246/2005, il quale introduceva un meccanismo in forza del quale una legge ordinaria delegava al Governo il compito di individuare, entro un certo termine, le disposizioni legislative statali vigenti, anteriori al 1° gennaio 1970, “delle quali si ritiene indispensabile la permanenza in vigore”; decorso tale termine, le disposizioni non individuate come indispensabili “sono abrogate”.

Ricorrere a questo meccanismo sollevava molti profili problematici, riassumibili in questi: (a) il mancato esercizio della delega avrebbe comportato l’abrogazione indifferenziata di tutte le norme anteriori al 1970; (b) l’adozione dei decreti legislativi oltre il termine indicato avrebbe determinato l’inutilità della individuazione delle norme ritenute indispensabili (le quali, stante l’effetto istantaneo dell’abrogazione, sarebbero comunque ormai state abrogate); (c) la fissazione del termine di abrogazione coincidente con la scadenza della delega, anziché con la data di entrata in vigore dei decreti legislativi, lasciava spazio ai dubbi dell’interprete sulla reale decorrenza dell’effetto abrogativo.

E’ poi esistito un “taglia-leggi” di nome, ma non di fatto: l’art. 24 della l. n. 133/2008, che ha convertito in legge il d.l. n. 112/2008, veniva infatti rubricato “Taglialeggi”, ma esso si limitava a prevedere un’automatica abrogazione della serie di leggi elencate in un allegato, “a far data dal centottantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore” del decreto stesso.

Però, l’elenco allegato al secondo “taglia-leggi” comprendeva anche testi normativi anteriori al 1970, e perciò inclusi nell’ambito di operatività del primo “taglia-leggi”: da una parte, dunque, il secondo istituto anticipava alcuni degli effetti del primo (contribuendo assai poco al riordino e alla semplificazione), e dall’altra parte lo ampliava, estendendosi a provvedimenti che dall’effetto abrogativo del primo istituto erano stati esplicitamente esclusi.

Entrambi gli istituti hanno inoltre mostrato quanto sia rischioso ricorrere all’abrogazione generalizzata, per esempio quando negli elenchi di atti destinati ad essere abrogati compaiono provvedimenti che modificano testi normativi i quali, a propria volta, non erano compresi fra quelli da abrogare, lasciando notevole incertezza sulla ricostruzione del perimetro entro il quale rientrano i provvedimenti rimasti in vigore.

Negli ultimi anni, sono infine stati appellati “taglia-leggi” decreti legislativi chiamati ad abrogare intere categorie di provvedimenti normativi, da identificarsi secondo i criteri di delega (per esempio: il d.lg. n. 10/2016, che ha proceduto all’abrogazione di “disposizioni legislative, entrate in vigore dopo il 31 dicembre 2011 …, che prevedono provvedimenti non legislativi di attuazione”, in attuazione della l. n. 124/2015).

Un conto è, dunque, se con “taglia-leggi” s’intende suggestivamente denominare qualunque provvedimento normativo che si colloca nell’alveo sistematico di uno specifico indirizzo politico volto ad abrogare testi normativi ritenuti non più meritevoli di vigenza; un altro conto è, invece, elaborare e rimaneggiare modelli spurii, che combinano in modo non sempre sorvegliato i meccanismi dell’abrogazione.

Nel primo caso, si può presumere che le regole che presiedono al sistema delle fonti, e i profili problematici dell’abrogazione espressa, siano attentamente governati; nel secondo, si deve verificare che ciò effettivamente avvenga.

 

7. Il “nuovo corso” della legislazione regionale piemontese deve dunque cimentarsi con un’attività complessa e delicata.

E’ vero che questa attività, come tutti i processi decisionali, presenta inevitabilmente il carattere della precarietà, nel senso che il suo risultato si dovrà al concorso occasionale e casuale di una pluralità di fattori, talché una diversa serie di elementi, o una loro differente combinazione, o ancora l’intervento di un fattore nuovo potrà determinare un esito diverso.

Ma, nel caso della semplificazione e del riordino normativo, tra le variabili intervenienti va tenuta in speciale considerazione l’elevata tecnicità dei meccanismi che regolano il sistema delle fonti, perché la sicurezza nel governare questi meccanismi resta un presupposto indispensabile affinché l’indirizzo politico regionale proceda, secondo la metafora di Cooper e Law, come un vascello: il quale, con il suo equipaggio, è un insieme di relazioni altamente precarie che si rinforzano e si sostengono a vicenda, così da costituire un’imbarcazione capace, “a condizione che tutto vada bene”, di navigare efficacemente.


 


[1]Professore associato di Istituzioni di Diritto Pubblico presso l’Università degli Studi del Piemonte Orientale “A. Avogadro”.