A vent’anni dallo Statuto della Regione Piemonte: considerazioni storiche
Michele Rosboch[1]
Sommario:
1. Premessa – 2. Alcune vicende storiche – 3. Il primo Statuto regionale piemontese – 4. Lo Statuto del 2005 – 5. Cenni conclusivi
1. Premessa
Esattamente vent’anni anni fa, con la legge regionale 4 marzo 2005, n. 1, venne approvato lo Statuto della Regione Piemonte, quale atto necessario a seguito della legge costituzionale 22 novembre 1999, n. 1 e della riforma del Titolo V della Costituzione entrata in vigore nel 2001, contenenti – com’è noto – significative novità nell’assetto delle Regioni a statuto ordinario e circa i rapporti fra centro e periferia[2].
Voluta o casuale la scelta della data, il 4 marzo, salta all’occhio e all’attenzione di chiunque abbia qualche reminiscenza storica: si tratta, infatti, del giorno in cui nel 1848 venne concesso un altro Statuto, quello Albertino, primo testo costituzionale del Regno di Sardegna e poi, dal 1861, carta fondamentale del neonato Regno d’Italia, di cui ha accompagnato lo sviluppo fino all’avvento del regime repubblicano nel 1946.
Anche per questa ricorrenza, vorrei premettere qualche riflessione storica prima di alcune riflessioni sul vigente Statuto piemontese nel ventennale della sua entrata in vigore.
2. Alcune vicende storiche
Pur con differenze semantiche il termine “statuto” caratterizza fin dal medioevo lo sviluppo del diritto in Piemonte, con specifico riguardo alle origini del diritto patrio e alle risalenti legislazioni del particolare (o ius proprium) dei comuni piemontesi[3].
Con riguardo alle prime consolidazioni sabaude, il termine “statuto” viene utilizzato già nel Duecento con gli statuti emanati da Pietro II fra il 1263 e il 1268, poi successivamente con Amedeo VI (1379) e infine con i più ampi “Decreta seu statuta” del duca Amedeo VIII del 1430: si tratta di una significativa raccolta di norme e consuetudini vigenti nel ducato di Savoia, volte a stabilire la centralità dell’autorità ducale e a delineare una sorta di “diritto patrio” sabaudo[4].
Ci si muove nell’ambito di un diritto plurale in cui, accanto alla dottrina dello ius commune e alle diverse consuetudini, emergono numerose forme di iura propria, alcune strettamente locali (come gli statuti comunali) e altre con maggior valenza territoriale; secondo la felice espressione di Mario Enrico Viora si tratta di forme di “consolidazione”, di cui è ricca anche la storia sabauda[5].
Dopo i citati testi “statutari” tardomedievali, anche nei secoli successivi prosegue l’opera di consolidazione promossa dai sovrani sabaudi, da Emanuele Filiberto a Vittorio Amedeo II e Carlo Emanuele III, rispettivamente con i Libri terzo e quarto degli “Ordini Nuovi” e con le Regie Costituzioni (1720, 1723 e poi 1770)[6].
Nel complesso si tratta di un percorso significativo, non privo di una certa coerenza e volto ad affiancare alle fonti del diritto comune vere e proprie manifestazioni sovrane di diritto locale territoriale, per lo più con riguardo a specifiche materie – quale l’ambito processuale – ma con un ruolo sempre più centrale nello sviluppo istituzionale degli Stati sabaudi dal tardo Medioevo all’epoca moderna. Essi segnano una sorta di “via sabauda” delle consolidazioni, tipiche di una compagine statuale composita e pluralista, ma caratterizzata da un crescente accentramento e da una progressiva e significativa crescita del ruolo del sovrano e della sua voluntas, anche a livello normativo[7].
Altrettanto rilevante è il fenomeno degli statuti cittadini; a partire dal periodo bassomedievale la loro presenza segna lo sviluppo delle autonomie comunali e ne caratterizza la natura istituzionale e la pluriformità. Si tratta di un fenomeno di notevoli dimensioni quantitative e di indubbio interesse per lo studio delle fonti del diritto e delle vicende locali dell’area sabauda[8].
A partire dai testi statutari più risalenti (come Asti e Vercelli), gli statuti cittadini si presentano – in alcuni casi – come vere e proprie raccolte caratterizzate da ampie dimensioni, il cui sviluppo accompagna lunghi periodi della storia: tipico esempio è quello del corpus statutario di Ivrea, che copre il passaggio fra il medioevo e la prima epoca moderna, registrando oltre all’evoluzione interna delle istituzioni cittadine anche le complesse vicende delle relazioni fra il Comune eporediese e le prerogative ducali dei Savoia, che giungono a condizionare l’autonomia comunale e a limitarne la portata[9].
In effetti, le vicende statutarie piemontesi si muovono nell’ambito delle diverse ampiezze e dimensioni del concetto di autonomia, per sua natura mai assoluta e sempre in relazione con altre iurisdictiones esterne a quelle cittadine. Sempre gli statuti offrono un significativo specchio della vita locale e mirano a consolidare le istituzioni e i valori più sentiti dalle comunità locali.
In linea generale il sorgere dei comuni è un fenomeno assai dinamico e complesso, che coinvolge elementi sociali e culturali (il cosiddetto “spirito associativo”), politici (l’affrancamento dai vincoli feudali e servili) e giuridici, con la formazione di nuovi ordinamenti “autonomi” che si esprimono propriamente nei testi dei loro statuti[10].
Senza dubbio contribuisce al sorgere dei comuni anche il rinnovato clima di sviluppo dei commerci e delle istituzioni mercantili, che proprio nel rinnovamento degli assetti cittadini troveranno adeguata collocazione e ulteriori spinte[11].
Da un punto di vista istituzionale, l’organizzazione dei comuni si caratterizza per una sempre maggior complessità, a progressivo presidio della crescente autonomia e delle crescenti prerogative politiche assunte dalle diverse città e secondo le differenti fasi di sviluppo delle città[12].
La nascita del comune medievale ha implicato una profonda trasformazione dell’ordine sociale, verso il superamento della società feudale e lo sviluppo dei commerci e della borghesia mercantile, con la fioritura all’interno dei comuni delle corporazioni delle arti (a loro volta autonome rispetto al comune e dotate di propri statuti)[13]. Come osserva Francesco Calasso, “La città è al centro della nuova storia: praticamente padrona assoluta della propria sorte, crea con piena libertà i propri ordinamenti, si dà proprie leggi (statuta), esercita la giurisdizione, impone tributi, batte moneta, stringe patti politici ed economici con altre città”[14].
In Piemonte, a partire dalle prime testimonianze di ordinamenti autonomi e di corrispondenti governi locali risalenti alla fine del secolo XI (con la cosiddetta carta di Biandrate del 1093 e i primi documenti astigiani di Castello di Annone risalenti al 1095) si può osservare una fioritura di statuti soprattutto nel secolo XIII, a documentazione di un incremento delle autonomie cittadine e di una tendenza a fissare per iscritto le diverse “libertà”, i propri privilegi e le proprie franchigie[15].
Fra gli statuti più significativi del periodo vanno ricordati, senza dubbio, quelli di Vercelli (1247), Asti (1252) e Novara (1277-1286), dove – accanto alle tradizionali norme di organizzazione, a quelle processuali e alle disposizioni amministrative e penali – si trovano significative disposizioni in materia ecclesiastica, che comportano in alcuni casi (ad esempio a Vercelli) una significativa reazione dell’autorità ecclesiastica[16]. Anche gli statuti comunali, infatti, sono sottoposti ai vincoli generali (oggi potremmo dire “costituzionali”) imposti dal diritto comune (e in specie dallo ius canonicum), oltre ad avere ovvi limiti territoriali e di giurisdizione[17].
La maggiore fioritura si può però riscontrare a partire dal secolo XIV, in un periodo in cui – in alcune altre zone d’Italia – la spinta autonomistica delle città è in netto declino per il sorgere delle prime avvisaglie degli ordinamenti signorili. A ben vedere, la situazione piemontese è in parte diversa, per l’affermazione – invece – di realtà politiche territoriali di derivazione feudale (come il marchesato di Saluzzo, quello di Monferrato, i domini degli Angiò e quelli dei Savoia), entro cui si sviluppano nel corso del basso medioevo importanti raccolte di statuti.
Significativo è il caso di Alessandria (fra i pochi comuni medievali di nuova istituzione, fondato nel 1168) dove, dapprima, vengono redatte per iscritto le consuetudini alessandrine (1179) e, in seguito, viene adottato il corpus statutario (1297); nella gran parte dei casi, invece, le consuetudini non hanno una collocazione autonoma, ma sono ricomprese all’interno delle redazioni statutarie[18].
Per quanto riguarda gli statuti del comune di Torino – non fra i più importanti in Piemonte fino al Cinquecento – essi risalgono al 1360 (anche se esistono alcune testimonianze di disposizioni precedenti)[19].
In Piemonte non sono molti i comuni totalmente liberi: prevalgono, infatti, quelli inseriti nell’orbita di un radicato potere territoriale oppure comuni a loro volta sottoposti all’autorità di un comune egemone, come il comune di Cuneo fondato dagli astigiani alla fine del XII secolo e poi passato dal controllo medievale angioino a quello sabaudo, pur con importanti intervalli di vero autogoverno. Per quanto riguarda le redazioni statutarie, quella di Cuneo risale al 1380[20].
In linea generale i comuni maggiori – ed egemoni – godono di un’ampia autonomia anche nei confronti dei signori feudali e tendono ad affermare il proprio primato sugli altri comuni; i comuni minori, al contrario, incontrano ostacoli alla loro autonomia e stentano a emanciparsi dai comuni maggiori o dalle autorità locali, accettando poi di sottomettersi a questi, purché sia loro garantita protezione e sicurezza.
Nel complesso la situazione dell’evoluzione statutaria in Piemonte vede il susseguirsi di numerose redazioni e aggiunte testuali nei singoli comuni, ad opera delle differenti classi dirigenti che si alternano nel corso del tempo. Gli statuti offrono in genere uno spaccato abbastanza fedele degli equilibri politici cittadini e delle strutture presenti all’interno dei comuni: il consiglio e l’assemblea cittadina, cui partecipano rispettivamente un determinato numero, più ristretto, di cittadini e un numero più ampio di essi[21].
Per quanto riguarda la “sistematica” degli statuti piemontesi, essa ricalca quella generale, con una divisione del testo in rubriche e in libri ordinati per materia; di regola, un primo libro (o “collatio”) riguarda le magistrature comunali (consoli, podestà, consigli, assemblea), seguito da disposizioni sul procedimento civile, da quelle (mai particolarmente organiche) sul diritto privato e dalle rubriche dedicate al diritto penale; gli ultimi libri dello statuto contengono, invece, disposizioni sull’amministrazione dei beni comunali, sulla finanza della città e su argomenti “straordinari”, perché non rientranti nelle categorie precedenti[22].
Va osservato, inoltre, che la disciplina statutaria risulta essere molto casistica e senza disposizioni generali e, per completezza, accanto alla produzione statutaria si deve menzionare quella dei cosiddetti “bandi campestri” di pertinenza delle stesse autorità comunali o dello stesso signore feudale (ove presente). Anche la normativa campestre, pur espressione di una sorta di “diritto minore”, esprimeva pur sempre un diritto quotidiano e proveniente dal basso, legato alla vita agricola, alla tutela del suolo, etc. [23].
Con il tramonto del medioevo si afferma in Piemonte la supremazia della casa di Savoia, per cui sempre di più “sotto il dominio sabaudo, molte di quelle terre, specialmente nel periodo più antico, ottennero di mantenere la propria legislazione e, in particolare, i propri statuti, o per patto di dedizione, trattandosi di comuni in precedenza liberi, o per privilegio. Anche in seguito, il diritto locale fu sempre rispettato, almeno formalmente, pur riducendosi progressivamente lo spazio ad esso lasciato dalla legislazione dei sovrani sabaudi”[24].
In tale periodo si viene a ridurre progressivamente la forza innovativa e il contenuto derogatorio degli statuti, ormai sottoposti al controllo degli organi centrali sabaudi e tendenti ormai a riprodurre per lo più la disciplina del diritto patrio, pur continuando a rappresentare il vessillo della tradizione e dell’orgoglio delle autonomie locali.
Tutto ciò si mantiene fino all’avvento della codificazione carloalbertina (1838), che cancella il pluralismo giuridico ed elimina gli statuti quali fonti del diritto: essi si trasformano perciò ben presto in fonti storiche e in utile materiale per le ricerche storico-giuridiche[25].
Nel complesso, quindi, la storia degli statuti nelle diverse aree del Piemonte è particolarmente rilevante e attraversa tutta la storia degli Stati sabaudi dal medioevo al periodo della Restaurazione, pur con progressive limitazioni dei loro ambiti operativi, soprattutto a partire dal Regolamento dei pubblici del 1775, e trova la sua fine solo con l’emanazione del Codice civile albertino del 1837 e la sua completa ridefinizione monista delle fonti ammesse, fra le quali non rientrano più gli statuti comunali e le altre espressioni di diritto locale (come i bandi campestri).
Gli Statuti e le manifestazioni del diritto “patrio” sabaudo rappresentano nel corso dei secoli – a diversi livelli e con differenti caratteri – i tratti di identità locali e territoriali assai marcate e indicative di culture e istituzioni, che hanno fatto emergere nel tempo i tratti della “piemontesità”.
Il successivo passo delle vicende statutarie in Piemonte è quello dello Statuto albertino, approvato il 4 marzo 1848 (esattamente 157 anni prima del vigente statuto piemontese); com’è noto, esso rappresenta un passaggio essenziale della storia sabauda, tappa fondamentale del passaggio da una Monarchia di Antico Regime a una Monarchia costituzionale, caratterizzata da una nuova identità politica e dalla presenza di uno Stato fondato, oltre che sulla Monarchia, anche sul Parlamento[26].
E proprio lo Statuto albertino, dopo i primi travagliati anni di applicazione nel decennio di preparazione, accompagna il processo di unificazione nazionale, avviato con la legge 17 marzo 1861, n. 4671, e poi realizzato a partire dall’unificazione legislativa e amministrativa del 1865[27], da molti considerata in buona parte una sorta di ‘estensione’ o sviluppo della normativa sabauda (con al centro il testo dello Statuto) all’intera nazione italiana in via di formazione[28].
La lunga vigenza dello Statuto albertino caratterizza sia le diverse fasi dello Stato liberale, in cui emerge il suo carattere di carta duttile e flessibile[29], sia il successivo periodo del regime fascista in cui viene più volte modificato e per certi versi “sfigurato” rispetto al tenore iniziale, tanto che alcuni studiosi lo considerano nei fatti decaduto; peraltro esso riemerge nella sua vitalità al momento della caduta del fascismo e il delicato periodo di transizione fino al referendum del 2 giugno 1946, il cui esito a favore della Repubblica ne determina la fine.
3. Il primo Statuto regionale piemontese
Proprio al testo della Costituzione repubblicana è legata l’istituzione delle Regioni (titolo V), riprendendo alcune istanze regionaliste già presenti nella cultura ottocentesca per lo più di stampo cattolico e liberale[30], ma solo nel 1970 – com’è noto – si realizza effettivamente l’avvio delle Regioni, il cui primo atto, dopo l’insediamento dei loro organi di governo, è quello di procedere alla redazione di un testo statutario[31].
Le vicende della formazione del primo Statuto della Regione Piemonte sono di un certo rilievo e, come si può leggere nei corposi resoconti dei lavori preparatori e dei dibattiti in Consiglio regionale, riannodano i fili con una tradizione istituzionale risalente, cercando di delineare i tratti di una precisa identità politica del territorio[32].
A ben vedere, peraltro, i margini di manovra lasciati alle Regioni dal testo costituzionale non sono amplissimi, ma dalla documentazione del lavoro svolto emerge con chiarezza il tentativo delle diverse forze politiche, e delle singole personalità, presenti in Consiglio di dare il proprio contributo per disegnare i tratti di un documento destinato a orientare i primi passi del percorso dell’autonomia regionale piemontese, nel contesto degli articoli 117 e 118 della Costituzione, che ne indicavano i limiti e gli ambiti.
Inoltre, la legge 10 febbraio 1953, n. 62 sulla costituzione e il funzionamento degli organi regionali poneva una serie ulteriori di vincoli al legislatore regionale, per cui gli spazi di effettiva autonomia per la redazione degli Statuti risultavano assai angusti, vincolando ex ante la forma di governo regionale e lasciando spazi per lo più alla definizione dell’organizzazione degli organi regionali, ad aspetti della finanza locale, allo status dei dipendenti regionali e ai rapporti con gli enti locali[33].
L’iter della discussione si era aperto con una discussione generale nei giorni 22/23 luglio 1970, a cui era seguito il lavoro di una Commissione rappresentativa di tutti i gruppi consiliari incaricata dall’aula (con voto unanime) di predisporre una bozza di Statuto da sottoporre all’Assemblea[34]; la Commissione tenne 23 sedute plenarie e numerose riunioni delle sue sottocommissioni, fino a licenziare, il 28 ottobre 1970, un testo di 80 articoli e due norme transitorie da sottoporre al Consiglio per la discussione e la successiva approvazione[35]. Di rilievo, fra le attività svolte dalla Commissione è un’attività di consultazione degli Enti locali e delle principali categorie del Piemonte sfociata in un gran numero di risposte a un apposito questionario inviato, esaminato poi dalla Commissione prima della redazione della bozza finale[36].
A partire dal 30 ottobre 1970 i lavori ripresero in seduta plenaria del Consiglio Regionale, proseguendo poi nei giorni 5 e 6 novembre, fino alla seduta del 10 novembre nella quale – dopo le dichiarazioni di voto – il testo finale dello Statuto fu approvato con 45 voti favorevoli e 2 soli voti contrari.
Con l’approvazione dell’aula, in realtà, l’iter non era ancora terminato: il testo approvato venne mandato a Roma per i prescritti passaggi parlamentari, a seguito dei quali il Testo fu leggermente modificato in alcune sue parti e definitivamente approvato il 18 marzo 1971 e pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 14 giugno dello stesso anno a seguito della legge 22 maggio 1971, n. 338, ai sensi dell’art. 123, comma secondo, della Costituzione.
La lettura dei lavori preparatori è di grande interesse e fa emergere le diverse visioni della Regione da parte delle forze politiche presenti in Consiglio regionale, oltre alle ulteriori e specifiche sottolineature dei singoli consiglieri[37].
Di particolare rilievo sono anche i lavori della Commissione redigente in cui si può apprezzare lo sforzo di mediazione compiuto per giungere a un testo il più possibile condiviso, e infatti approvato, poi, con ampia maggioranza[38].
A ben vedere, il testo definitivo rispecchia la situazione di una istituzione come quella regionale che stava muovendo i suoi primi passi, alla ricerca di una sua specifica dimensione e identità e nei limiti abbastanza stringenti del dettato costituzionale e della normativa ordinaria di riferimento.
Il testo è diviso in otto titoli: La Regione, Organi e funzioni, Funzioni legislative del Consiglio, La partecipazione popolare, Attività amministrativa e rapporto con gli Enti locali, Programmazione economica, Finanza e Bilancio della Regione, Stato giuridico ed economico del personale, Revisione dello Statuto. È utile soffermarsi un momento sul primo e sul quarto titolo, in cui si concentrano alcune delle scelte politicamente più rilevanti[39].
Al titolo primo è affidata, infatti, l’individuazione della definizione dell’identità regionale e dei princìpi generali dello Statuto, con particolare riguardo all’autonomia dell’ente regionale, al decentramento, allo sviluppo economico e sociale del territorio e alla programmazione regionale; si fa, inoltre, riferimento alla tutela della salute e al patrimonio culturale delle comunità locali[40].
Con riguardo al titolo quarto ci si sofferma, secondo modalità innovative, sui diversi istituti della partecipazione popolare, sia da parte dei cittadini sia da parte degli enti locali, introducendo anche l’istituto referendario (peraltro pressoché mai utilizzato nel corso degli anni), le petizioni, interrogazioni e consultazioni popolari[41].
Lo sforzo compiuto dal legislatore regionale è quello di cogliere l’importanza dell’autonomia e di darne corpo soprattutto attraverso il coinvolgimento degli Enti locali e dei soggetti della società civile, nella convinzione che la Regione rappresenti una “Istituzione del pluralismo e al tempo stesso livello di governo della società, con forte accentuazione delle componenti sociali”[42].
Lo sviluppo successivo della Regione non sarà un cammino facile, con notevole ampliamento delle competenze regionali, il trasferimento alle Regioni di numerose funzioni amministrative (su tutte quella sanitaria a partire dal d.P.R. n. 616 del 1977) e – per quanto riguarda la forma di governo – l’accentuazione del ruolo presidenziale a scapito delle prerogative politiche consiliari, fino alla riforma costituzionale del 1999 e alla successiva riforma organica del Titolo V della Costituzione del 2001[43].
4. Lo Statuto del 2005
A seguito della legge costituzionale n. 1/1999 e della successiva riforma del 2001, si giunge alla necessità di porre nuovamente mano ai fondamenti statutari della Regione Piemonte al fine di adeguarne i contenuti al mutato contesto generale il testo fondamentale della Regione[44].
Com’è noto, il nuovo Titolo V della Costituzione, che a oltre vent’anni dalla sua entrata in vigore attende ancora di essere pienamente implementato, prevede una ridefinizione dei rapporti fra centro e periferia, l’introduzione del principio di sussidiarietà nel testo Costituzionale e la modifica in senso presidenzialista della forma di governo delle Regioni[45].
Il percorso riformatore regionale per adeguarsi al nuovo dettato costituzionale viene avviato dal Consiglio regionale il 27 luglio 2001 con l’istituzione di una “Commissione speciale per lo Statuto della Regione Piemonte”, composta da 25 consiglieri (poi innalzati a 27) con il compito di proporre entro 15 mesi (periodo poi allungato fino al termine della legislatura) una bozza di Statuto[46]: il procedimento avviato non è solo l’occasione per riscrivere lo Statuto del 1971, in parte ormai obsoleto, ma anche per riflettere sul ruolo istituzionale della Regione e sull’identità del Piemonte[47].
La Commissione si trova a prendere in esame anzitutto un certo numero di proposte di Statuto provenienti da consiglieri appartenenti a diversi gruppi politici (Vaglio, Chiezzi, Tapparo, Cattaneo, Manica, Contu) e due progetti presentati di istituzione del “Consiglio delle Autonomie Locali”[48].
I lavori della Commissione, presieduta dal consigliere avv. Ennio Galasso, contano ben 108 sedute dal 13 novembre 2001 al 23 luglio 2004; evidentemente è impossibile dare conto dell’amplissimo dibattito svolto e dell’ingente materiale preso in esame[49]. In estrema sintesi alcune osservazioni: il primo punto preso in esame è quello, assai delicato, della nuova forma di governo regionale, il presidenzialismo; il dibattito si concentra soprattutto sul peso del Presidente, sul ruolo della Giunta e sulla necessità – evidenziata soprattutto da alcuni commissari – di rafforzare, come “contrappeso”, il potere di controllo del Consiglio regionale.
Un secondo ambito di discussione è quello relativo ai rapporti fra la Regione e gli Enti locali, avviato con l’audizione dei rappresentanti delle Province e dei Comuni piemontesi: si tratta di un nodo di non poco conto, soprattutto in considerazione del gran numero di piccoli comuni (precipitato, come si è visto, della secolare storia della nostra Regione) e di un vasto territorio montano, e altresì della necessità di superare il mero meccanismo della delega indifferenziata di funzioni regionali agli Enti locali[50]. Significativamente all’audizione degli Enti locali seguono quelle degli Atenei, di Centri studi regionali, delle Camere di commercio, delle rappresentanze imprenditoriali e sindacali, arrivando poi a una prima bozza del testo sul Consiglio delle Autonomie locali[51].
Non senza difficoltà e aspre divisioni fra maggioranza e opposizione[52], i lavori della Commissione procedono a partire dal settembre 2003, giungendo a tappe serrate alla predisposizione di una bozza relativa ai princìpi generali, alla forma di governo, alle funzioni degli organi regionali e ai rapporti con lo Stato e l’Unione europea; in seguito si procede alla redazione degli articoli sugli istituti di garanzia, sul personale e sulla revisione statutaria.
Le votazioni dell’articolato in Commissione si svolgono a partire dalla seduta del 7 gennaio 2004 con una significativa accelerazione dei lavori proprio nei mesi di gennaio, febbraio e marzo dello stesso anno, fino a licenziare un testo pressoché completo nella seduta del 5 marzo 2004; nel mese di aprile si riprendono le consultazioni di numerosi soggetti sociali attivi sul territorio piemontese (dall’Abi alle sigle sindacali, da Unioncamere alla Confcommercio, da Uncem alla Coldiretti, da Ires ad Anci e molti altri), concludendo le audizione il 16 aprile 2004 con l’intervento, fra gli altri, della Presidente della Provincia di Torino Mercedes Bresso.
A questo punto i lavori della Commissione subiscono una lunga battuta d’arresto, riprendendo poi nel mese di luglio 2004, in cui si procede alla modifica di alcuni articoli del testo statutario licenziato a marzo; in data 23 luglio il Presidente della Commissione trasmette all’aula il testo approvato dalla Commissione, individuando come relatori del provvedimento i consiglieri Ennio Galasso e Giovanni Caracciolo (componenti della presidenza della Commissione statuto).
La prima lettura in aula impegna il Consiglio regionale per 9 sedute, concludendo i lavori con l’approvazione del testo il 6 agosto 2004; il dibattito in aula prende in esame il testo approvato dalla Commissione, che consta 8 titoli e 100 articoli, prendendo le mosse da un’articolata relazione del consigliere Galasso[53], e vede l’intervento di numerosi consiglieri in rappresentanza di tutti i gruppi. È significativo osservare che il dibattito non si concentra soltanto sulle singole norme o sull’articolato presentato, ma spazia anche sull’identità regionale, sui valori fondativi della Regione e sulla collocazione della stessa sia nel contesto nazionale sia nel contesto europeo. Peraltro, un certo numero di articoli sono emendati e riformulati, per cui il testo licenziato dall’aula risulta in alcune parti (ad esempio, con riguardo alle prerogative della Giunta e del Presidente, alle funzioni programmatorie della Regione, all’istituto del referendum e all’Ufficio del Difensore Civico Regionale) decisamente modificato: il testo viene approvato nella seduta del 6 agosto 2004 con 41 voti favorevoli e 5 contrari[54].
La seconda lettura avviene, ai sensi dell’art. 123 della Costituzione, in 6 sedute consiliari dal 16 al 19 novembre 2004; la discussione verte per lo più su una serie di emendamenti presentati da alcuni consiglieri di minoranza, tutti respinti dall’aula a larga maggioranza, fino alle dichiarazioni finali di voto (con interventi conclusivi del Presidente della Regione, Enzo Ghigo, e del Consiglio Regionale, Roberto Cota) e votazione con 47 favorevoli e 5 contrari del medesimo testo già approvato due mesi prima.
Lo Statuto viene poi promulgato con la legge regionale statutaria n. 1 del marzo 2005, così l’iter di riforma dello Statuto del Piemonte può dirsi concluso. Come si è potuto vedere, il procedimento di approvazione è stato particolarmente lungo e laborioso, ben più di quello del 1970-1971, a testimonianza di una difficoltà di individuare i margini dell’autonomia regionale e le modalità attraverso cui tradurre in norme gli elementi più significativi dell’identità regionale; in ogni caso, il testo, approvato con ampia maggioranza, è comunque apprezzabile e ha avuto il merito di presidiare lo sviluppo della Regione negli ultimi vent’anni[55].
Nello specifico del testo, esso consta di 102 articoli, oltre alle norme transitorie e finali, con un significativo “Preambolo”[56] dalla forte valenza ideale e identitaria (non presente nella versione precedente)[57]; a differenza dello Statuto precedente, ampio spazio è dedicato ai “Principi fondamentali” (artt. 1-15), con particolare attenzione all’autonomia statutaria, alla partecipazione e al principio di sussidiarietà, nonché ai diritti sociali (fra i quali, quelli alla salute, all’abitazione e all’istruzione). Di rilievo è anche l’attenzione alla funzione programmatoria della Regione (art. 4), allo sviluppo economico-sociale (art. 5) e ai rapporti internazionali e con l’Unione europea (art. 15).
Si tratta in linea generale di un chiaro allargamento delle funzioni regionali; per riprendere – mutatis mutandae – considerazioni svolte nell’ambito dalla storia costituzionale dei secoli XIX e XX, rispetto allo Statuto precedente si è realizzato anche qui una sorta di passaggio fra una “costituzione corta” (con attenzione soprattutto alla forma di governo e agli organi deputati) a una “costituzione lunga” con l’attribuzione di un espresso rilievo ai diritti sociali e al ruolo proattivo della società civile, oltre al disegno della forma istituzionale e al funzionamento degli organi[58].
Il titolo secondo è di gran lunga il più ampio dell’intero Statuto e tratta di “Organi e funzioni” (secondo la rubrica originaria), delineando la composizione e il ruolo del Consiglio regionale con la sua funzione legislativa (artt. 16-49) e del Presidente e della Giunta regionale (artt. 50-61): di rilievo è il ruolo del Presidente della Giunta, eletto – in applicazione alla riforma costituzionale del 1999 – a suffragio universale e la cui sfiducia o decadenza per qualsiasi causa comporta lo scioglimento del Consiglio regionale e l’indizione di nuove elezioni.
Il titolo seguente riguarda “Programmazione, finanza e bilancio regionale”, inserendo la contabilità regionale nel contesto dell’autonomia e delle finalità proprie della Regione (artt. 62-69) e assicurando, nel contesto degli equilibri della finanza pubblica, l’assolvimento dei compiti e delle funzioni assegnati[59].
Il titolo quarto si occupa degli “Istituti di partecipazione” (artt. 70-89), integrando quanto già previsto nello Statuto precedente e ampliando la portata della partecipazione popolare alla vita della Regione, mentre il titolo seguente (artt. 90-94) regola gli “Istituti di garanzia”.
Gli ultimi tre titoli, dal sesto all’ottavo, trattano rispettivamente di “Organizzazione e personale” (artt. 95-96), dei “Rapporti con le altre istituzioni” (artt. 97-100) e della “Revisione dello Statuto (artt. 101-102); le norme transitorie e finali assicurano il passaggio fra la vecchia e la nuova forma di governo regionale e la salvaguardia dei regolamenti approvati nella fase transitoria.
Nel complesso ci si trova di fronte a un testo statutario organico e adeguatamente inserito nel quadro delineato dalla carta costituzionale, con un solido fondamento valoriale espresso dal Preambolo e dal titolo primo, peraltro sottoposto – insieme a tutti gli organi e gli uffici regionali – in questi vent’anni a numerose prove di resistenza, con particolare riguardo alla crisi finanziaria della Regione (e ai successivi piani di rientro avviati oltre dieci anni fa), allo scioglimento anticipato per via giudiziaria della IX legislatura, alla recente crisi pandemica e alla richiesta di applicazione dell’art. 116 novellato della Costituzione[60].
Il testo statutario ha individuato altresì, in continuità con il precedente Statuto, il presidio delle forme di partecipazione democratica regionale e alcuni tratti di quella identità regionale su cui da qualche anno si è tornati proficuamente a riflettere[61].
5. Cenni conclusivi
Al termine di questa breve ricostruzione, anche in chiave storica, dell’assetto statutario della Regione Piemonte può essere opportuno proporre qualche breve cenno conclusivo su alcune prospettive della nostra Regione.
Il Piemonte ha fatto l’Italia[62]; oggi non può mancare il suo contributo allo sviluppo del Paese, attraverso la piena valorizzazione delle sue risorse e delle sue specifiche vocazioni[63].
Seguendo la suddivisione degli antichi Stati italiani, il legislatore italiano ha plasmato la regione Piemonte facendola coincidere a grandi linee (con l’eccezione della Valle d’Aosta, del Nizzardo, della Savoia e della Lomellina) ai settecenteschi Stati di terraferma del regno di Sardegna[64].
Si trattava già nel XVIII secolo, trecento anni or sono, di un territorio plurale e composito, fatto di realtà molto differenti da un punto di vista territoriale, culturale, economico e sociale: anche oggi il Piemonte non è monolitico, ma vanta molteplici realtà e centri di sviluppo, per lo più complementari e con livelli di sviluppo fra loro diversi[65].
Come autorevolmente affermato proprio a proposito del nuovo Statuto regionale, “La regione quindi riflette questa realtà dopo il lungo periodo conseguente all’unità nazionale e all’amministrazione fascista e rappresenta la nuova realtà che la costituzione repubblicana ha voluto descrivere intorno all’ordinamento di tipo regionale e quindi su questa realtà che si innesta lo statuto regionale piemontese rappresentando la realtà in divenire dello sviluppo di un territorio”[66].
Una seconda caratteristica del Piemonte è l’essere l’unica regione italiana a statuto ordinario confinante con più di una nazione straniera (la Francia a Ovest; la Svizzera a Nord): è importante dire che il passaggio dei confini da frontiere ad assi di scambio ha caratterizzato la storia recente del Piemonte, che ad essi deve anche molto del suo futuro[67]: l’incrocio proprio in area piemontese di due fra i grandi assi di comunicazione europea (Lisbona-Kiev e Genova-Rotterdam) costituisce una notevole opportunità che occorre adeguatamente sfruttare.
In estrema sintesi: il senso delle istituzioni, la dimensione transnazionale e la pluralità di territori e degli attori economico-sociali (nello spirito della sussidiarietà) sono le caratteristiche intrinseche e le più importanti “vocazioni” della Regione Piemonte[68], che potrebbero essere ulteriormente valorizzate con il perfezionamento del procedimento di attribuzione di maggiori competenze ai sensi dell’art 116 della Costituzione, laddove il percorso riprenda il suo iter dopo l’interruzione dovuta anche al recente giudizio della Corte costituzionale sulla legge 26 giugno 2024, n. 86[69].
A vent’anni di distanza lo Statuto della Regione, pur con i suoi limiti, assicura la funzionalità degli organismi regionali e ne accompagna lo sviluppo in una logica di diffusa partecipazione e di rappresentanza dei territori e della società civile, essenziale per la crescita dell’intero contesto regionale[70].
- Professore ordinario di Storia del diritto italiano ed europeo presso l’Università di Torino; Direttore del Centro interuniversitario di studi regionali “Giorgio Lombardi”. ↑
- Per recenti considerazioni ‘critiche’, Melis G. (2024), Le Regioni 50 anni dopo. Un bilancio critico, in Le Carte e la Storia, 2/2024, pp. 5-13; Macciotta G. (2024), La deriva del regionalismo italiano, ibidem, pp. 14-19. ↑
- Per le vicende storiche si veda Bianchi P. -Merlotti A. (2017), Storia degli Stati sabaudi (1416-1848), Brescia, e, in sintesi, Lombardi G. (2006), Le basi storiche del Piemonte, in Pizzetti F.-Poggi A.M. (cur.), Commento allo Statuto della Regione Piemonte, Torino, Integrazione, pp. 1-7; cfr. anche Gandolfo R. (2019), Conoscenza – e coscienza attuale – del passato piemontese, Torino. ↑
- Dei “Decreta seu Statuta” è stata fatta di recente una pregevole edizione critica con approfonditi studi promossi dal compianto Professor Gian Savino Pene Vidari: cfr. La loi du prince. La raccolta normativa sabauda di Amedeo VIII, sous la direction de F. Morenzoni avec la collaboration de M. Caesar, Torino, 2019. ↑
- Per un percorso, cfr. Soffietti I.-Montanari C. (2001), Il diritto negli Stati sabaudi: le fonti (secoli XV-XIX), Torino. ↑
- Per tutti Pecorella C. (a cura di, 1989), Il libro terzo degli “Ordini nuovi” di Emanuele Filiberto, Torino; Id. (a cura di, 1992), Il libro quarto degli Ordini nuovi di Emanuele Filiberto, Torino; e Viora M.E. (1986), Le costituzioni piemontesi: leggi e costituzioni di s. m. il Re di Sardegna, 1723, 1729, 1770, rist. Torino. ↑
- Interessanti osservazioni in Dogliani M. (2017), Il riformismo sabaudo e la Regione Piemonte, in questa Rivista, 1/2017, pp. 71-77, con riguardo anche al XIX secolo. ↑
- Montanari C. (1990), Gli statuti piemontesi: problemi e prospettive, in Legislazione e società nell’Italia medievale, Bordighera, 1990, pp. 103-207. ↑
- Pene Vidari G. S. (ed. e cur.), Statuti del comune di Ivrea, 3 voll., Torino, 1968, 1969, 1974. ↑
- Richiamo qui alcune osservazioni già proposte in Rosboch M. (2015), “Ubi societas, ibi ius”. Considerazioni storico-giuridiche su persona, autonomie e società intermedie, in questa Rivista, 2/2015, pp. 29-37 e Id. (2016), Autonomie locali e statuti comunali in Piemonte: fra medioevo ed epoca moderna, ivi, 2/2016, pp. 101-106. ↑
- Per tutti, Caravale M. (1994), Ordinamenti giuridici dell’Europa medievale, Bologna, pp. 243-276. ↑
- Pene Vidari G. S. (2010), Storia del diritto. Età medievale e moderna, Torino, pp. 73-131; per una sintesi sulle vicende storiche piemontesi nell’epoca precedente, a partire dal periodo romano, rimando a Roda S., Torino e il Piemonte in età tardoantica, in questa Rivista, 1/2015, pp. 37-39. ↑
- In generale, cfr. Costa P. (1969), Iurisdictio. Semantica del potere politico nella pubblicistica medievale (1100-1433), Milano. ↑
- Calasso F. (1961), Comune (Premessa storica), in Enciclopedia del diritto, VIII, Milano, p. 169. ↑
- In generale, per l’intero percorso storico delle autonomie locali in Piemonte: Pene Vidari G. S. (2020), Note storiche su enti locali e potere centrale nello Stato sabaudo, in Studi in onore di Franco Pizzetti, III, Napoli, pp. 167-179. ↑
- Cfr. Pene Vidari G. S. (1997), Aspetti di storia giuridica piemontese, Torino, pp. 9-62; mi permetto di rinviare anche a Rosboch M. (2003), Invalidità e statuti medievali. Pisa, Bologna, Milano, Ivrea, Roma. ↑
- In generale Gualazzini U. (1958), Considerazioni in tema di legislazione statutaria comunale, Milano. ↑
- Pene Vidari G. S. (1988), Consuetudini di Alessandria e ius statuendi, in Rivista di storia del diritto italiano, LXI/1988, pp. 285-305. ↑
- Mi permetto di rinviare a Rosboch M. (1996), Le invalidità negli statuti di Torino, in Rivista di storia del diritto italiano, LXIX/1996, pp. 267-335. ↑
- Per le vicende statutarie nell’area cuneese, cfr. Lombardi G., I Comuni della provincia di Cuneo nello Stato Sabaudo: problemi evolutivi delle autonomie locali, in Id. (2011), Scritti scelti, a cura di Palici di Suni E.-Sicardi S., Napoli, pp. 139-165 e Coscia E. (2011), Aspetti delle autonomie locali nella provincia di Cuneo in prospettiva storica, in Sicardi S. (a cura di), Le autonomie territoriali e funzionali nella provincia di Cuneo in prospettiva transfrontaliera (alla luce del principio di sussidiarietà), Napoli, pp. 67 ss.. ↑
- Cfr. Montanari C. (1990), Gli statuti piemontesi, cit., in specie pp. 103-134. ↑
- In generale Benedetto M. A. (1978), Statuti (diritto intermedio), in Novissimo Digesto Italiano, XVIII, Torino, pp. 385-398. ↑
- Cfr. esemplificativamente Spina L. (a cura di, 1997), L’Alpe e la terra: i bandi campestri biellesi nei secoli XVI-XIX, Biella. ↑
- Cfr. Montanari C. (1990), Gli statuti piemontesi, cit., pp. 105-106. ↑
- Cfr. Soffietti I. (2004), Storia giuridica e storia economica: nuove fonti giudiziarie, in Rivista di storia del diritto italiano, LXXVII/2004, pp. 5-15. ↑
- Per tutti, cfr. Soffietti I. (2004), I tempi dello Statuto albertino: studi e fonti, Torino; mi permetto di rimandare anche a Rosboch M. (1999), Lo Statuto Albertino dalla concessione all’applicazione, in Bollettino Storico Vercellese, 1/1999, pp. 59-86. ↑
- Fra i molti, Miglio G. e Benvenuti F. (a cura di, 1969), L’unificazione amministrativa e i suoi protagonisti, Atti del congresso celebrativo del centenario delle leggi amministrative di unificazione, Vicenza e Pene Vidari G.S. (2015), Note e considerazioni su unità e unificazione italiana a 150 anni dall’unificazione legislativa e amministrativa, in Bollettino Storico-Bibliografico Subalpino, CXIII/2015, pp. 519-566. ↑
- Si è parlato specificamente di “piemontesizzazione” del neonato Regno d’Italia. ↑
- Per tutti, Ferrari Zumbini R. (2008), Tra idealità e ideologia. Il Rinnovamento costituzionale nel Regno di Sardegna fra la primavera del 1847 e l’inverno del 1848, Torino, e Id. (2023), Diritto e costituzioni. Fra Costituzione e costituzioni. Riflessioni a geometria variabile fra mosaico e teso, in Cassi A.A. (a cura di), Le danze di Clio e Astrea. Fondamenti storici del diritto europeo, Torino, pp. 513-556. ↑
- Cfr. Genta E.- Rosboch M. (2021), Prove di regionalismo nell’Ottocento, in questa Rivista, 2/2021, pp. 11-19. ↑
- Le modalità e i tempi di approvazione degli Statuti regionali erano stati stabiliti dalla legge 10 febbraio 1953, n. 62. ↑
- La documentazione del percorso che porta al primo Statuto della Regione Piemonte è pubblicata ne Lo statuto piemontese. 1. Lavori preparatori, Consiglio Regionale del Piemonte, Torino, 1973 e Lo statuto piemontese. 2. Dibattiti, Consiglio Regionale del Piemonte, Torino, 1973. ↑
- Come ben esplicitato nel suo intervento introduttivo dal Presidente del Consiglio Regionale Vittorelli: Lo statuto piemontese. 1, cit., pp. 11- 19. ↑
- La Commissione era composta da 11 membri e presieduta dal vicepresidente anziano avv. Gianni Oberto. ↑
- Al testo proposto dalla Commissione vennero allegate alcune proposte emendative ad opera di singoli consiglieri. ↑
- Cfr. Lo statuto piemontese. 1, cit., pp. 219-238. ↑
- Cfr. gli interventi delle sedute consiliari del 22 e 23 luglio 1970 dedicate ai “principi ispiratori” dello Statuto (Lo statuto piemontese. 1, cit. pp. 11-168). ↑
- Cfr. Lo statuto piemontese. 1, cit., pp. 171-217. ↑
- Come ha osservato Dogliani M. (2017), Il riformismo, cit., p. 1: “Tale modello “consultivo” non può non evocare (per quanto prudentissime) suggestioni di rimandi e persistenze in chi, riflettendo sul nostro recente passato, cerchi di ricostruire l’ispirazione di fondo della legislazione che tra gli inizi degli anni Settanta e la fine degli anni Ottanta, a livello soprattutto regionale – e in modo particolarmente vivace e creativo nella Regione Piemonte – tentò di affiancare al circuito rappresentativo fondato sulle assemblee elettive – e dunque sul tessuto connettivo rappresentato dai partiti politici – un diverso, parallelo e complementare circuito di trasmissione dei bisogni fondato sulla partecipazione (non puntuale ed episodica, ma istituzionalizzata) delle collettività territoriali e delle forze economiche e sociali, e consistente nell’elaborazione a cascata di una complessiva (sinottica) programmazione socio-economica e pianificazione territoriale. Programmazione da realizzare attraverso la consultazione degli interessi espressi da ambiti territoriali omogenei (zone agricole, bacini di traffico, aree ottimali per l’attuazione di politiche della salute e dei servizi socio-assistenziali … comprensori”. ↑
- “Il Piemonte è Regione autonoma nell’unità politica della Repubblica italiana, secondo i princìpi e nei limiti della Costituzione e secondo le norme dello Statuto. Il territorio della Regione comprende le circoscrizioni delle attuali province di Alessandria, Asti, Cuneo, Novara, Torino e Vercelli. La città di Torino è il capoluogo della Regione. La Regione con propria legge adotta un gonfalone ed uno stemma” (art. 1, Costituzione della Regione). ↑
- Con riguardo all’evoluzione della forma di governo e alla finanza regionale nei primi anni di vita delle Regioni, cfr. Lombardi G. (2000), Prefazione, in Trent’anni di Regione, Torino, pp. 11-19. ↑
- Lombardi G. (2000), op. cit., p. 13. ↑
- Considerazioni di rilievo in Pizzetti F.-Lombardi G. (2006), Introduzione, in Pizzetti F.-Poggi A.M. (a cura di), Commento allo Statuto, cit., pp. XV-XXXI; si veda anche, in generale, Dogliani M., Autonomie regionali e innovazione politica, in Dogliani M. (2015), Alla ricerca dell’ordine perduto. Scritti scelti, Bologna, pp. 439-454. ↑
- Sulle prospettive statutarie in Piemonte, Lombardi G. (2003), Lo Statuto della Regione Piemonte: alcune prospettive, in Quaderno di storia contemporanea, 33/2003, pp. 66-70. ↑
- Per tutti, in generale, Cheli E. (2000), La riforma mancata: tradizione e innovazione nella Costituzione italiana, Bologna; Caravita di Toritto B. (2001), Il Titolo V della Costituzione tra riforma e referendum, in AA.VV., Problemi del federalismo, Milano, pp. 9 ss; Pizzetti F. (2001), La legge costituzionale n. 1 del 1999 e riforma del titolo V della parte II della Costituzione; qualche riflessione fra cronaca già scritta e cronaca da scrivere, ivi, pp. 87 ss. e Antonini L.-Lombardi G. (2003), Principio di sussidiarietà e democrazia sostanziale: profili costituzionali della libertà di scelta, in Diritto e società, 2/2003, pp. 155-185. ↑
- La documentazione dell’iter di approvazione dello Statuto regionale è interamente disponibile online al link http://arianna.consiglioregionale.piemonte.it/dossier_statuto.html, consultato in data 6 aprile 2025. A tale dossier si fa riferimento nel presente paragrafo. ↑
- Sulle prerogative del Consiglio regionale in ambito legislativo dopo la riforma costituzionale cfr. Lombardi G. (2001), La competenza del legislatore regionale, in Le Assemblee regionali nel nuovo sistema istituzionale. Modifiche al titolo V della Parte II della Costituzione, Seminario di studio ed aggiornamento per i Consiglieri regionali, Consiglio Regionale del Piemonte, 2001. ↑
- Alla Commissione viene affiancato un “Gruppo tecnico di lavoro a supporto della Commissione speciale per lo Statuto”, composto da funzionari regionali, che svolge un importante ruolo di supporto tecnico. ↑
- Va segnalato che nella prima riunione viene reso disponibile ai commissari un pregevole e ampio documento di lavoro redatto dal Gruppo tecnico dal titolo Verso una fase costituente: la revisione dello Statuto regionale. In effetti, il tema del valore costituente dei lavori e l’organizzazione degli stessi occupa le prime sedute con pareri nettamente divergenti fra i componenti. ↑
- Esemplificativamente riporto un breve passo dell’intervento del Presidente della Provincia di Cuneo Giovanni Quaglia: “Credo che debba rispondere a tre esigenze di fondo la nuova Carta della Regione Piemonte: perseguire una democrazia più efficace e trasparente, prevedere nuovi strumenti di effettiva partecipazione alla vita regionale, tenere conto di una vera sussidiarietà fra le diverse istituzioni pubbliche ma anche con i soggetti rappresentativi della società piemontese”. (Resoconto della seduta della Commissione Statuto, Cuneo, 24 marzo 2003, p. 21). ↑
- Seduta del 17 luglio 2003. ↑
- Si veda, in proposito, il resoconto della seduta del giorno 11 settembre 2003. ↑
- Seduta del 30 luglio 2004. ↑
- La seduta termina in realtà alle ore 3,34 del 7 agosto 2004; probabilmente, vista l’ora tarda, non risultano dichiarazioni di voto salvo un breve intervento conclusivo del Presidente Roberto Cota. ↑
- Le modifiche successivamente apportate al testo dello Statuto sono otto; le più rilevanti sono probabilmente la prima (sulle prerogative e gli strumenti di informativa per i Consiglieri regionali, di cui alla legge regionale statutaria n. 2 del 13 novembre 2009) e l’ultima (di cui alla legge regionale statutaria n. 8 del 13 settembre 2023), che introduce nella Giunta regionale le figure dei Segretari alla Presidenza; di rilievo è stata anche la modifica della legge elettorale regionale del 2024: cfr. Boggero G. (2023), Habemus Piemontelllum, in questa Rivista, 2/2023, pp. 1-4. ↑
- Eccone il testo: “Il Piemonte, Regione autonoma nell’unità e indivisibilità della Repubblica italiana, nel quadro dei principi dell’Unione europea, ispirandosi ai principi della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, proclamando la sua fedeltà alla Carta costituzionale fondata sui valori propri della Liberazione e della democrazia riconquistata dal nostro Paese; riaffermando il proprio impegno e la propria vocazione alla libertà, alla democrazia, alla tolleranza, all’uguaglianza, alla solidarietà e alla partecipazione, coerentemente al rispetto della dignità della persona umana e dei valori delle sue Comunità; perseguendo per la sua storia multiculturale e religiosa, per il suo patrimonio spirituale e morale proprio sia della cultura cristiana sia di quella laica e liberale, nel rispetto della laicità delle Istituzioni, le finalità politiche e sociali atte a garantire il pluralismo in tutte le sue manifestazioni; riconoscendo che attraverso gli enti locali, le autonomie funzionali, le formazioni sociali, culturali, politiche ed economiche si realizza la partecipazione dei cittadini alle funzioni legislative e amministrative secondo il principio di sussidiarietà; promuovendo il riconoscimento e la valorizzazione delle identità culturali, delle specificità linguistiche e delle tradizioni storico-locali che caratterizzano il suo territorio; promuovendo, nel rispetto della vocazione del territorio la tutela dell’ambiente e la salvaguardia dei beni naturalistici e assicurando il riconoscimento dei diritti degli animali; assumendo, come valori fondanti, l’educazione alla pace e alla nonviolenza; la cultura dell’accoglienza, della coesione sociale e della pari dignità di genere; l’integrazione e la cooperazione tra i popoli; operando a favore delle fasce più deboli della popolazione mediante il superamento delle cause che ne determinano la disuguaglianza sociale; riconoscendo e sostenendo il ruolo della famiglia”. ↑
- Per un’analisi puntuale ed esaustiva rimando al Commento allo Statuto della Regione Piemonte, cit.; si veda anche Dogliani M.-Luther J.-Poggi A. M. (a cura di, 2018), Lineamenti di diritto costituzionale della Regione Piemonte, Torino. ↑
- Per tutti, fra i moltissimi, in generale: Fioravanti M. (2021), Lezioni di stori costituzionale. Le libertà fondamentali, le forme di governo, le costituzioni del Novecento, Torino; cfr. anche Pizzetti F.-Lombardi G. (2006), Introduzione, in Pizzetti F.-Poggi A.M. (a cura di), Commento allo Statuto, cit., pp. XV-XXXI. ↑
- Considerazioni generali in Bergo M. (2018), Coordinamento della finanza pubblica e autonomia territoriale. Tra armonizzazione e accountability, Napoli. ↑
- Per osservazioni generali sullo “stato di salute” dell’autonomia, si veda per tutti Onida V. (2019), Autonomia e regionalismo nell’Italia di oggi, in questa Rivista, 2/2019, pp. 11-17; nello specifico, Boggero G. (2024), Quale differenziazione per la Regione Piemonte dopo la sentenza 192/2024?, ivi, 3/2024, pp. 260-262. Considerazioni e dati sulle vicende della Regione Piemonte negli ultimi anni si possono trovare nei numeri monografici della rivista online “Politiche Piemonte”, reperibili al seguente link https://www.politichepiemonte.it/, consultato in data 6 aprile 2025. ↑
- Si vedano Luther J. (2010), La democrazia regionale piemontese dopo quarant’anni, in Federalismi, 2/2010, pp. 1-7 e Boggero G.-Conte L. (2024), Una legislatura da alto “tasso simbolico”. Integrazione e differenziazione attraverso l’identità regionale piemontese, in Diritti regionali. Rivista di diritto delle autonomie territoriali, 3/2024, pp. 813-856. ↑
- Per tutti, Pene Vidari G. S. (2010), Verso l’Unità italiana. Contributi storico-giuridici, Torino. ↑
- Dati utili sono contenuti nelle relazioni annuali presentate da Ires Piemonte, reperibili al seguente link https://www.ires.piemonte.it/archivio-relazioni-annuali/, consultato in data 6 aprile 2025. ↑
- Per tutti, Bianchi P.-Merlotti A. (2017), Storia degli Stati sabaudi, cit., passim. ↑
- Cfr. Ossola C.-Raffestin C.-Ricciardi M. (a cura di, 1987), La frontiera da Stato a Nazione. Il caso Piemonte, Roma. ↑
- Cfr. Lombardi G. (2006), Le basi storiche del Piemonte, cit., p. 7. ↑
- Per importanti considerazioni generali, cfr. Cerruti T.-Poggi A. M.-Rosboch M. (a cura di, 2022), “Spazio e frontiera”. In ricordo di Giorgio Lombardi, Torino. ↑
- Segnalo anche l’importante crescita degli Atenei piemontesi; invertendo la rotta negli ultimi anni la Regione è diventata decisamente attrattiva per studenti universitari extra regionali. ↑
- Sulla questione del “regionalismo differenziato”, si veda Grosso E.-Poggi A. M., Il regionalismo differenziato: potenzialità e aspetti problematici, in questa Rivista, 2/2018, pp. 1 ss.. ↑
- Interessanti considerazioni in Poggi A.M. (2015), Le regioni e la riunificazione «politica» tra società civile e territori, in Dogliani M., Alla ricerca dell’ordine perduto. Scritti scelti, cit., pp. 433-437. ↑