Politiche industriali e per l’innovazione in tempi turbolenti

Marco Cantamessa[1]

(ABSTRACT) ITA

Il lavoro intende fornire un contributo al processo di progettazione di politiche regionali per lo sviluppo industriale e per l’innovazione in Piemonte. Esso si basa sulla messa a confronto tra recenti dinamiche che influenzano il contesto europeo e locale, e alcune peculiarità che, seppur con evidenze impressionistiche, paiono caratterizzare i presupposti e le modalità con cui si sviluppa oggi questo processo di policy-making. Nell’argomentazione che segue, si mettono in evidenza le possibili discrasie tra questo approccio e il nuovo contesto tecnologico ed economico, e si suggeriscono alcune dimensioni di intervento ritenute prioritarie, e legate soprattutto all’attrattività del territorio piemontese nei confronti di attori economici esterni, individui o imprese.

(ABSTRACT) EN

The paper intends to contribute to the process of designing regional policies for industrial development and innovation in Piedmont. It is based on a comparison between recent dynamics influencing the European and local context, and some peculiarities that, although based on impressionistic evidence, seem to characterize the assumptions and methods by which this policy-making process is nowadays developed. The following discussion highlights the possible discrepancies between this approach and the new technological and economic context, and suggests a few policy interventions, mainly related to the attractiveness of the Piedmont territory towards external economic actors, individuals and companies.

Sommario:

1. Un contesto globale, con riflessi locali. – 2. Alcune peculiarità nel dialogo tra stakeholders. – 3. In un contesto mutato, cambiare l’approccio? – 4. Alcuni spunti per il policy-making

1. Un contesto globale, con riflessi locali

Il contesto nel quale vive l’Europa e nel quale, di conseguenza, si trovano il nostro Paese e il Piemonte è oggi estremamente difficile da interpretare e governare. Se uno studente chiedesse di esemplificare un contesto storico di tipo VUCA (Volatile, Uncertain, Complex, Ambiguous)[2], quello attuale si presterebbe mirabilmente a evidenziare tutte e quattro le dimensioni di “disordine”, che rendono difficile il comprendere, il decidere e l’agire a tutti i livelli: politico, aziendale, e anche individuale. Non solo queste dimensioni sono tutte presenti, ma riguardano i diversi ambiti della nostra società, soggetta – come è – a movimenti profondi e a cambiamenti dirompenti, che investono aspetti socioculturali, vedono l’emergere di grandi trasformazioni tecnologiche e industriali, indicano una strada che potrebbe portare ad acuire gli squilibri di tipo economico, e a cui si aggiungono le tensioni legate al quadro geopolitico e a una globalizzazione che mostra segni di “scollamento”[3].

Su queste dimensioni d’analisi, l’Europa si è ritrovata molto più debole e in difficoltà di quanto non si ritenesse (o, forse, di quanto non ci si fosse illusi, confondendo gli intenti ambiziosi che sovente accompagnano le attività di policy-making con la cruda realtà). Il rapporto Letta[4] e, soprattutto, il rapporto Draghi[5], usciti nel 2024, hanno messo a nudo un’Europa nella quale la distanza tra il “potenziale e l’essere” e tra il “dire e il conseguire” impone non tanto, e non solo, un forte cambio di passo nell’implementazione delle policy esistenti, ma anche la necessità di verificarne l’efficacia e l’efficienza, eventualmente cambiandone impostazione laddove necessario, se non addirittura direzione.

Come è noto, il nostro territorio piemontese, pur con alcune non trascurabili differenze nei singoli territori che lo compongono, vive profondamente questa turbolenza, soprattutto nei riflessi legati all’attività economica[6]. In particolare, si vede una forte incertezza legata alle tradizionali specializzazioni tecnologiche, come ad esempio l’automotive. In questi ambiti si deve affrontare il difficile vaglio tra le attività da considerarsi ormai al tramonto, quelle che possono ancora fornire valore economico se opportunamente sostenute, e quelle, invece, che possono condurre a veri e propri percorsi di rilancio e di crescita.

L’impatto sul sistema economico regionale di questa complessa transizione è ben rappresentato dagli studi comparativi della performance di differenti regioni europee, quali il Regional Innovation Scoreboard, focalizzati sulla capacità di innovazione come leva imprescindibile per la produttività e la competitività. Negli ultimi dieci anni, si osserva un progressivo peggioramento nel posizionamento relativo del Piemonte rispetto ad altre regioni italiane ed europee, assimilabili per storia e vocazione industriale[7]. Le analisi mostrano un sistema regionale con una capacità di produzione scientifica superiore alla media europea per volumi e qualità, ma con un sistema industriale in grado di capitalizzare solo parzialmente questo stock di conoscenza, per seguire nuove traiettorie di sviluppo.

Al contempo, ed è il caso del settore aerospaziale, si osservano segni molto promettenti su specializzazioni che non solo hanno dinanzi prospettive di significativa crescita, ma che si fondano anche su radici e competenze significative. Quest’ultimo è un elemento importante, in quanto rassicura del fatto che queste prospettive non siano un qualcosa di improvvisato ed estemporaneo.

2. Alcune peculiarità nel dialogo tra stakeholders

In questo contesto complesso e articolato, si ritiene utile osservare alcune peculiarità che caratterizzano il dibattito che avviene in seno alla politica, e tra politica e stakeholders, nella regione piemontese. È doveroso premettere che quanto segue è frutto di uno sguardo “impressionistico” da parte di un osservatore attento e informato, e non è frutto di una ricerca sistematica e rigorosa. Peraltro, ciò potrebbe suggerire qualche interessante attività di indagine, suffragata da adeguate metodologie di ricerca empirica.

In primo luogo, il dibattito piemontese sulle politiche industriali appare caratterizzato da una continua ricerca di “strategie”, generalmente intese nell’accezione tradizionale della politica industriale e che mira a scegliere, in modo relativamente “dirigista”, settori e attori sui quali investire[8]. Ora, è difficile immaginare che questo imprinting, significativo soprattutto nell’area torinese, derivi da un’impostazione politica e ideologica comune alla classe dirigente che interviene in questo dibattito.

Da un lato, tale impostazione probabilmente deriva dalla spinta dell’Unione Europea, che da 15 anni circa richiede ai policymaker regionali la definizione di strategie che prevedano l’identificazione di tecnologie e ambiti industriali prioritari, secondo l’approccio della Smart Specialization Strategy (o S3), basata anche su tavoli di concertazione tra differenti stakeholders regionali[9]. Tale approccio, condivisibile nella finalità di ricercare una allocazione efficace di risorse pubbliche limitate, può però dare origine ad alcune criticità: esso infatti si fonda su analisi “interne” ai sistemi economici regionali, limitando la valutazione di rischi ed opportunità connesse all’integrazione in dinamiche innovative di respiro internazionale, oltre a generare rilevanti costi di transazione.

Al netto della spinta che deriva dalla principale agenzia di finanziamento delle politiche regionali di sviluppo economico, è probabile che la tendenza a ricercare “strategie” sia anche figlia di una particolare e assai radicata cultura imprenditoriale, caratterizzata storicamente da una forte organizzazione verticale delle filiere produttive[10]. In un simile contesto, molte imprese tendono a riconoscersi come “fornitori alla ricerca di committenti” (ai quali si mettono in evidenza le proprie competenze, per poi chiedere loro cosa sia opportuno produrre), e non invece come “produttori alla ricerca di clienti” (cui proporre prodotti sviluppati con decisione autonoma)[11]. Da ciò deriva il desiderio di individuare un dominus, pubblico o privato, che non solo orienti l’attività di investimento e di impiego delle risorse ma che, addirittura, ne possa diventare lo sbocco commerciale.

Nel dibattito piemontese sulle politiche industriali emerge anche sovente quello che si potrebbe definire come il luogo comune del “fare sistema”. Questo termine viene impiegato non solo a proposito del vasto (e per alcuni versi assai confusionario) panorama di enti che, nel tempo, sono stati istituiti con l’obiettivo di favorire i processi di sviluppo industriale e di innovazione, ma viene anche usato dagli, e riferito agli, attori privati. L’obiettivo è senz’altro condivisibile, se finalizzato a creare sinergie tra attori aventi competenze e finalità tra loro complementari. Può, però, diventare inefficace, se non addirittura controproducente, se dovesse portare a processi decisionali che, ricercando a tutti i costi il consenso tra i diversi enti, porterebbero l’intero sistema al passo del più lento. Anche questo orientamento ha probabilmente radici storiche e culturali. Oltre alla tradizione industriale cui si è fatto cenno sopra, è possibile che abbiano un ruolo schemi culturali tipici della società sabauda, caratterizzata com’era da una élite nobiliare e militare intenta a ricercare soprattutto cooperazione, riconoscimento da parte del sovrano e stabilità[12]. Per contro, sul territorio è sempre stata relativamente meno presente una società borghese e mercantile, composta da attori capaci di competere e cooperare liberamente e autonomamente in base alle circostanze del momento, e orientata non a ricercare la permanenza nello status quo, ma il successo e la crescita (al contempo accettando i possibili fallimenti).

Infine, si osserva come nel “sistema piemontese”, così come peraltro accade presso altre regioni, sia abbastanza debole la presenza di meccanismi rigorosi di valutazione delle policy e delle iniziative, mentre vi sia una certa tendenza a orientare l’attenzione in base alle emergenze e alle parole-chiave del momento[13]. Ciò ovviamente comporta il rischio di creare una stratificazione di policy e iniziative, di mantenere in vita quelle inefficaci, di non potenziare e investire adeguatamente in quelle che funzionano e, in aggiunta, di avviare ulteriori iniziative estemporanee che, di volta in volta, si spera possano risolvere e compensare le mancanze non pienamente comprese che hanno caratterizzato quelle precedenti.

3. In un contesto mutato, cambiare l’approccio?

Ipotizzando che la precedente analisi sia condivisibile, e che effettivamente vi siano alcune peculiarità storicamente radicate nel modo con cui, sui temi della politica industriale, viene condotto il dialogo politico e con gli stakeholders, e che queste influenzino i processi di policymaking regionale, c’è da chiedersi se queste peculiarità siano adatte al contesto odierno, o se non richiedano un qualche mutamento.

In generale, il “dirigismo” e il “fare sistema” possono funzionare quando i policymaker godono di una chiarezza sul futuro tale da permettere un approccio vicino a quello che si potrebbe definire di “pianificazione”. Ora, questa chiarezza può essere presente per due motivi. O ci si trova a operare in una condizione di stabilità, nell’ambito di paradigmi economici e tecnologici chiari e ben definiti. O, in alternativa, ci si trova in condizioni turbolente, ma il policymaker ritiene di disporre di risorse finanziarie, di meccanismi di governo e di un sistema socioeconomico tali da poter “plasmare il futuro” secondo i propri intenti. Ora, è abbastanza evidente che i cambiamenti tecnologici e industriali in atto sono tutt’altro che ben definiti. Più che dirigismo, essi probabilmente richiedono una “ricerca Hayekiana” distribuita. Non solo, questi cambiamenti potenzialmente dirompenti implicano dinamiche estremamente fluide e “darwiniane”, con importanti flussi di ingresso e di uscita delle imprese sul mercato; dinamiche, queste, che mal si adattano a una cultura orientata al “fare sistema” tra gli attori incumbent. Infine, è evidente che i cambiamenti tecnologici in atto richiedano risorse finanziarie di diversi ordini di grandezza superiori alle risorse pubbliche disponibili[14].

Vi è, inoltre, il rischio che la ricerca del “fare sistema” tra incumbent restringa lo sguardo al livello locale. Anche se il contesto attuale vede un rapido cambiamento, se non una disgregazione, nelle relazioni economiche internazionali, ciò non implica che si possa immaginare una qualche “autarchia”. Soprattutto in un contesto locale in cui il tessuto imprenditoriale ha l’abitudine di ricercare dei “capifiliera”, diventa ancora più necessario ricercare la sua integrazione in nuove catene globali del valore. Il fatto poi che queste catene del valore si stiano rapidamente riconfigurando[15] potrebbe aprire nuove e interessanti opportunità di inserimento, che sono però da cogliere con immediatezza e con un approccio più “opportunistico”, che derivante da una strategia formulata ex ante.

Infine, l’impostazione data al dialogo di policy-making rischia di non andare a incidere in modo sufficiente sull’humus che rende possibile lo sviluppo economico di un territorio, e che costituisce una precondizione affinché le politiche industriali possano poi attecchirvi. A questo riguardo vi è un pluridecennale dibattito accademico che discute se questo sviluppo dipenda da singoli individui (visione riconducibile a uno Schumpeter o a un Becker), oppure da un milieu culturale e istituzionale favorevole (visione più moderna, che richiama autori come North, Mokyr e Phelps). Ai sensi pratici, è evidente che questi due fattori siano entrambi importanti, che siano tra loro sinergici, e che vadano entrambi coltivati. Soprattutto in situazioni turbolente, in cui è difficile prevedere quali tecnologie e settori “verticali” possano essere vincenti, è chiaro che è meno rischioso investire in fattori abilitanti trasversali, che più facilmente potranno essere ridispiegati in base alle dinamiche emergenti.

4. Alcuni spunti per il policy-making

Se si tirano le somme della discussione precedente, emergono due spunti di policy meritevoli di essere discussi.

Il primo è legato al tema del “post-PNRR”. Il Piano ha riversato in Piemonte risorse importanti in tempi molto compressi, e ha portato alla costituzione di nuove bridging institutions deputate a favorire l’implementazione di infrastrutture di ricerca e/o l’attuazione di programmi anche complessi di ricerca e innovazione. In teoria, ciascuna di queste iniziative dovrebbe assicurare una qualche forma di auto-sostenibilità al cessare dell’afflusso di fondi PNRR. È tuttavia evidente che la natura “sperimentale” che le caratterizza rende difficile che questo obiettivo sia raggiungibile da tutte quante. Sarà, pertanto, necessario assicurare l’implementazione di un sistema di valutazione serio e rigoroso, che sappia “misurare” ciascuna di queste entità sotto il profilo della sostenibilità e dell’impatto generato, così che si possano operare scelte efficaci in merito a quali di esse debbano essere sostenute in futuro, e quali invece vadano ridimensionate, aggregate, o anche soppresse[16]. Non attuare ciò rischia di generare, in futuro, un sistema territoriale per l’innovazione ancora più complesso e confuso che in passato, privo però delle risorse economiche “straordinarie” che l’hanno generato e sostenuto, e composto da una pluralità di iniziative impegnate più a ricercare la propria autoperpetuazione che l’efficacia della propria azione.

Il secondo spunto di policy-making è, invece, relativo alla necessità di attirare sul territorio talenti e investimenti, tema che peraltro inizia negli ultimi anni a dare interessanti segnali di vivacità[17]. Nello specifico, si tratta di favorire l’insediamento di una varietà di attori economici, affinché costituiscano collettivamente una significativa e diversificata massa critica di attività economica, che affondi le sue radici nelle competenze del territorio, e che le proietti a livello internazionale in settori emergenti e ne favorisca il progresso, anziché rischiare di vederle abbandonate a una progressiva stagnazione e obsolescenza.

I grandi gruppi multinazionali potranno essere interessati nel localizzare unità operative di dimensioni sia piccole che grandi, dal laboratorio di R&S ospitato in un campus universitario alla grande fabbrica, e con operazioni sia brownfield che greenfield. Fondatori di startup, o anche scale-up in fase di internazionalizzazione, potranno godere di iniziative di soft landing che permettano di insediare centri di R&S, attività produttive collegate a fornitori locali, e basi operative dalle quali sviluppare attività di business development a livello nazionale o europeo. Nello specifico, si tratterebbe di creare un più stretto e sinergico legame tra le politiche per l’innovazione e l’imprenditorialità hi-tech (quest’ultima, ad oggi, ancora relativamente marginale) e quelle per l’attrazione di investimenti esteri.

Come già accennato in un altro lavoro[18], si tratta di riattualizzare le politiche di attrazione degli investimenti che furono all’origine dello sviluppo industriale del Piemonte nella seconda metà del XIX secolo, cui oggi si possono aggiungere due interessanti leve. In primo luogo, la facilità di comunicazione che caratterizza il mondo attuale permette di offrire ai potenziali investitori di localizzare sul territorio unità operative anche di dimensioni limitate, per le quali sia più evidente la sinergia con le competenze disponibili sul territorio, riducendo il peso della decisione sulle dinamiche aziendali, e aumentandone i potenziali ritorni. In secondo luogo, la massiccia emigrazione intellettuale che ha caratterizzato il nostro Paese negli ultimi decenni ha costituito un bacino di potenziali talenti e imprenditori che, anche a causa di una globalizzazione in progressivo scollamento, potrebbero vedere con favore una prospettiva di rimpatrio.

Tutto ciò richiede però condizioni abilitanti. A parte la rapidità e l’efficacia dei processi amministrativi connessi alle operazioni di investimento e alle eventuali agevolazioni a esse connesse, si tratta di far sì che il territorio sia effettivamente attrattivo. E, tra i fattori di attrazione, uno tra i primi è senz’altro costituito dalla presenza di una forza lavoro competente e di alto livello, il che è collegato alle competenze già operative presso le imprese del territorio e alla qualità del sistema educativo[19]. Si tratta, pertanto, di supportare il sistema educativo nel suo insieme, curando non solo i percorsi core, che vanno dalla primaria all’università. Le azioni di reskilling e upskilling nell’ambito della formazione continua, così come l’inserimento di giovani NEET in percorsi formativi, sono altrettanto importanti per assicurare un milieu attrattivo per le imprese[20].

È evidente che le azioni di cui sopra ricoprono uno spettro di competenze ampie, che non sono relative al solo ente regionale, e richiedono pertanto il concerto dei diversi enti, pubblici e privati, che potrebbero porre in essere azioni sinergiche. Qui si evidenzia il senso virtuoso di una “policy di sistema” orientata a creare sinergie, e senza cadere nelle criticità discusse in precedenza.

  1. Il contributo non è stato sottoposto a procedura di referaggio, in quanto riconducibile a un’area disciplinare diversa da quella cui afferisce la Rivista. Professore Ordinario, Dipartimento di Ingegneria Gestionale e della Produzione presso il Politecnico di Torino.
  2. Per una interessante disamina di questo termine assai popolare, si veda ad esempio Taskan B., Junça-Silva A., Caetano A. (2021), Clarifying the conceptual map of VUCA: a systematic review, in International Journal of Organizational Analysis, 30(7), pp. 196-217.
  3. Magnani M. (2024), Il grande scollamento. Timori e speranze dopo gli eccessi della globalizzazione, Milano, Bocconi University Press.
  4. Letta E. (2024), Much more than a market: Empowering the Single Market to deliver a sustainable future and prosperity for all EU Citizens. European Council (https://www.consilium.europa.eu/media/ny3j24sm/much-more-than-a-market-report-by-enrico-letta.pdf).
  5. Draghi M. (2024), A competitiveness strategy for Europe. European Commission (https://commission.europa.eu/topics/eu-competitiveness/draghi-report_en).
  6. Il tema era stato trattato qualche tempo fa dall’autore in Cantamessa M. (2021), Il PNRR e il rilancio del Piemonte tra opportunità e rischi, in questa Rivista.
  7. Per un’analisi degli indicatori utilizzati dal Regional Innovation Scoreboard 2023 della Commissione Europea si veda https://research-and-innovation.ec.europa.eu/statistics/performance-indicators/regional-innovation-scoreboard_en.
  8. Tra i diversi, un esempio recente di questo approccio è rappresentato dal “Piano Industriale del Piemonte” presentato dalla Confindustria regionale nel gennaio 2025, documento che è reperibile al seguente link: https://www.regione.piemonte.it/web/media/46311/download.
  9. Alcune informazioni di base sulle strategie S3 sono reperibili al seguente link: https://ec.europa.eu/regional_policy/policy/communities-and-networks/s3-community-of-practice/about_en. Per approfondire il background intellettuale che ha portato a questa impostazione, ci si può riferire ai lavori dell’Expert GroupKnowledge for Growth” che l’ha concepita (https://ec.europa.eu/invest-in-research/monitoring/knowledge_en.htm).
  10. Nell’osservare un sistema industriale, è opportuno non limitarsi a guardare all’intensità dell’attività imprenditoriale, come viene sovente misurata dalle statistiche sulla natimortalità delle imprese, ma guardare alle diverse tipologie di imprenditori (ad esempio, Schumpeteriani vs. Kirzneriani oppure, rifacendosi alla classificazione di Baumol, innovativi-produttivi vs. replicativi-improduttivi vs. estrattivi-dannosi). Questi diversi orientamenti sono legati non solo a fattori individuali ma anche, e con forti persistenze temporali, al contesto che caratterizza una determinata regione. In particolare, risultano rilevanti gli aspetti di tipo culturale (Fritsch, M., Wyrwich, M. (2018), Regional knowledge, entrepreneurial culture, and innovative start-ups over time and space―an empirical investigation, in Small Business Economics, 51, pp. 337–353) e quelli di tipo istituzionale (Sobel, R.S. (2008), Testing Baumol: Institutional quality and the productivity of entrepreneurship, in Journal of Business Venturing, 23(6), pp. 641-655).
  11. Il diverso posizionamento temporale tra l’emergere della domanda e lo sviluppo del processo innovativo è indicativo del legame tra stile imprenditoriale e modelli innovativi delle imprese (Calderini M., Cantamessa M. (1997), Innovation paths in product development: an empirical research, in International Journal of Production Economics, 51 (1-2), pp. 1-17).
  12. Si veda, ad esempio, Barberis W. (1988), La nobiltà militare sabauda fra corti e accademie scientifiche. Politica e cultura in Piemonte fra Sette e Ottocento, in Les noblesses européennes au XIXe siècle. Actes du colloque de Rome, 21-23 novembre 1985, Rome, École Française de Rome, pp. 559-576.
  13. Per esempio, nel settore delle startup, si è assistito a un certo altalenarsi dell’attenzione data a esse, oscillando dallo scetticismo al considerarle come elemento sufficiente a determinare lo sviluppo del territorio. In modo simile, si è passati dall’attenzione alle attività di “incubazione d’impresa” al luogo comune che “non basta incubare, bisogna accelerare”, senza peraltro approfondire il significato tecnico dei meccanismi che sottendono a queste attività di “accelerazione”, o i prerequisiti che possono renderli efficaci.
  14. Per scendere nel concreto, un approccio “dirigista” richiede o il dialogo con incumbent forti, o la capacità di creare dei “campioni” da zero. Ora, nel contesto attuale, i primi sono messi in crisi dai cambiamenti dirompenti in atto e difficilmente sono in grado di affrontarli rapidamente e con successo. Sarebbe piuttosto necessario puntare su attori entranti, i quali però, per definizione, hanno difficoltà a partecipare al dialogo di policymaking. Per contro, ipotizzare la creazione ex novo di “campioni” richiederebbe risorse finanziarie eccessive.
  15. In questo preciso momento storico, si osservano riconfigurazioni estremamente rapide e varie: le guerre commerciali tra Stati aprono a riconfigurazioni di tipo geografico (si cercano fornitori più vicini o collocati in Paesi dove siano meno forti le barriere tariffarie); i cambiamenti tecnologici, a riconfigurazioni architetturali (i nuovi prodotti e servizi hanno architetture tecniche nuove, i cui sottosistemi devono essere realizzati da fornitori o di nuova costituzione, o che abbiano operato una riconversione produttiva); le dinamiche geopolitiche portano a spostare fortemente l’attività di investimento e spesa (si pensi al rinnovato interesse al settore della Difesa).
  16. Trattandosi per lo più di iniziative che operano in ambiti a fallimento di mercato, è importante che le iniziative siano valutate non solo in base alla sostenibilità economica, ma anche in base all’impatto, purché questo sia misurato in modo rigoroso e oggettivo. Una esclusiva focalizzazione sui risultati economici rischierebbe, infatti, di distorcere gli incentivi posti ai loro gestori e la selezione operata dal policymaker.
  17. Per un riscontro oggettivo, si veda il forte posizionamento della Regione nei ranking proposti dal servizio FDI Intelligence del Financial Times (https://www.fdiintelligence.com/). Questi risultati sono peraltro suffragati dalle molte e varie attività attratte in tempi recenti, e che vanno dai grandi investimenti produttivi alle diverse startup e scale-up con fondatori stranieri.
  18. Cantamessa M. (2021), Il PNRR e il rilancio del Piemonte tra opportunità e rischi, cit..
  19. Sul legame tra sistemi educativi e attrazione degli investimenti, si veda ad esempio Kottaridi C., Louloudi K., Karkalakos S. (2019), Human capital, skills and competencies: Varying effects on inward FDI in the EU context, in International Business Review, 28(2), pp. 375-390.
  20. Ottime scuole, istituti tecnici, enti di formazione post-secondaria e università non solo rendono interessante l’impiantare attività economica, ma anche vivere sul territorio con la propria famiglia. Da questo punto di vista, potrebbe essere utile porre in essere azioni più ampie, finalizzate a rendere facile la vita degli expat sul territorio, dalle scuole internazionali alla diffusione del multilinguismo nelle attività di servizio.