Il Trattamento sanitario obbligatorio alla prova dei fatti: la necessità dello sguardo empirico sulle “cure coattive”

Carolina Di Luciano e Michele Miravalle[1]

Sommario:

1. Il Tso come pratica di cura e controllo – 2. Il Trattamento sanitario obbligatorio: le principali questioni aperte – 2.1 Quanti tipi di Tso? – 2.2 Uso della forza. Spunti di riflessione a partire dal caso Soldi – 3. I numeri a Torino, in Piemonte e in Italia – 4. Conclusioni. La necessità di un Osservatorio

1. Il Tso come pratica di cura e controllo

Questo saggio si propone come prima fase di una ricerca sociologico-giuridica sui Trattamenti sanitari obbligatori (d’ora innanzi, Tso) e sugli Accertamenti sanitari obbligatori (Aso) «per malattia mentale» così come denominati dalla l. 833/1978. Si intende dunque affiancare all’analisi della normativa in the books quello della law in action (Nelken, 1984).

Per lo studioso del diritto positivo il Tso «per malattia mentale» è d’interesse, perché è il più strutturato tra i «corpi normativi» (Negroni, 2017, p. 3) previsti dall’ordinamento italiano sul fronte delle cure obbligatorie, insieme alla disciplina delle vaccinazioni obbligatorie (legge 119/2017).

Recentemente poi, proprio il Tso è stato protagonista indiretto[2] dell’importante pronuncia della Corte Costituzionale (sentenza 22/2022), che ha “giurisdizionalizzato” la distinzione tra trattamenti sanitari obbligatori e coattivi, affermando che la legge italiana prevede tre livelli distinti di cure, a cui corrispondono tutele costituzionali progressive (Daly, 2022). La principale tipologia di trattamenti sanitari, dice la Consulta, è quella volontaria a cui il paziente sceglie liberamente di sottoporsi attraverso il suo consenso informato.

Il secondo livello è poi quello dei trattamenti obbligatori, in cui il paziente è costretto, su disposizione di legge, a sottoporsi a pena di una sanzione (amministrativa o penale), ma che non possono essere mai essere somministrati forzatamente. Questi trattamenti trovano tutela nell’art. 32 della Costituzione e hanno la loro giustificazione nella tutela individuale e collettiva della salute. È questo il tipico esempio dei vaccini.

Secondo la Corte costituzionale esiste però un terzo e più “invasivo” livello di trattamenti sanitari, definiti coattivi. In questo caso – e solo in questo caso – le cure possono essere imposte con la forza (anche intesa come forza fisica), restringendo la libertà personale. In questi casi, le tutele costituzionali previste dall’art. 32 Cost. per il diritto alla salute si sommano a quelle dell’art. 13 sulla libertà personale. In concreto significa che non solo serve una legge che preveda i casi in cui si può ricorrere a trattamento coattivo (riserva assoluta di legge), ma serve anche una decisione dell’autorità giurisdizionale, che deve autorizzare a priori oppure convalidare a posteriori il trattamento con atto motivato.

Come esplicitamente indicato dalla Corte costituzionale, il Tso è da considerarsi un trattamento coattivo (e non solo “solo” obbligatorio, come suggerirebbe il nome). Dunque non vi è più alcun dubbio che i Tso siano delle vere e proprie misure di privazione della libertà personale.

Per il sociologo del diritto la procedura che conduce al Trattamento sanitario involontario e alla sua attuazione si presta più di altre ad essere spunto di riflessione critica per due motivi principali.

Il primo motivo di interesse riguarda il coinvolgimento di una pluralità di attori istituzionali portatori di culture professionali diverse che si trovano a doversi relazionare – per obbligo di legge – riproducendo ora dinamiche cooperative ora conflittuali. Come vedremo oltre, nella procedura sono infatti coinvolti almeno tre gruppi di soggetti, facenti capo ognuno a registri lessicali, modalità operative e gerarchie differenti: vi sono i sanitari a cui spetta il compito di “proporre” il Trattamento sanitario obbligatorio, valutando la sussistenza dei requisiti previsti dalla norma[3], quindi vi sono gli operatori amministrativi (il sindaco e i suoi delegati) che debbono autorizzare il trattamento obbligatorio e vi è il giudice tutelare, quale operatore giurisdizionale chiamato a validare l’intera procedura. Vi è poi un quarto gruppo, gli operatori di polizia, cui spetta il compito della materiale esecuzione del trattamento o dell’accertamento involontario, anche attraverso l’uso della forza. Sul piano normativo la polizia, molto frequentemente la polizia municipale, non viene citata tra i “protagonisti” della procedura, ma sul piano fattuale assume un ruolo molto rilevante, precisato dalle Raccomandazioni scritte e approvate nel 2009 dalla Conferenza Stato-Regioni (Passerini e Arreghini, 2019).

Ognuno di questi operatori è dunque chiamato ad assolvere un preciso ruolo, che, in un complicato sistema di checks and balances, dipende da quello degli altri e ne risulta condizionato.

Si aggiunga poi che tale condizionamento si svolge in tempi molto compressi per la natura stessa dell’atto da svolgersi in condizioni di necessità e urgenza e con limiti temporali inderogabili fissati dalla normativa.

Proprio questa relazione tra attori istituzionali e i loro reciproci condizionamenti saranno uno degli oggetti della ricerca. Non è certamente l’unica procedura amministrativa che prevede l’incontro-scontro tra attori istituzionali diversi, ma nel Tso tale relazione rispecchia l’essenza stessa dell’atto, che corrisponde al secondo motivo di interesse per il sociologo del diritto.

Il Tso è infatti caratterizzato da una ambiguità che potremmo dire ontologica, in quanto misura al contempo di cura e di controllo.

Si tratta insomma di una procedura ambivalente che racchiude in sé, significati e ragioni in apparente contraddizione e comprensibili solo se inseriti in un preciso contesto.

Ancora una volta serve ricordare che anche in questo il Tso non è un unicum, ci sono altri esempi nell’ordinamento in cui la finalità soggettiva del curare si accompagna alla finalità general-preventiva del controllare, intesa nella sua forma più pervicace, della privazione della libertà del corpo malato e non collaborante del destinatario del trattamento.

Ma il fatto nuovo (e problematico) rispetto ad altri strumenti cura e controllo previsti dall’ordinamento, è che il Tso prescinde da un elemento verificabile (e giuridicamente certo), quale è, ad esempio, la commissione di un reato, come nel caso delle sanzioni penali “terapeutiche” – pene o misure di sicurezza – (Ronco, 2018). In questi casi alle ragioni punitive e di controllo, si aggiungono istanze terapeutiche di cura, che tuttavia vengono considerate solo e soltanto se vi è un reato. È il caso, ad esempio, della pena della persona tossicodipendente, che può svolgersi in luoghi alternativi al carcere per permettere un percorso di cura (il riferimento è alla detenzione domiciliare “speciale”, che si svolge, d’accordo con i servizi sanitari per le dipendenze, in luoghi di cura). Oppure, della misura di sicurezza del ricovero in Ospedale Psichiatrico Giudiziario, oggi Residenza per l’Esecuzione delle misure di sicurezza, riservato ai pazienti psichiatrici autori di reato dichiarati incapaci di intendere e volere al momento della commissione del reato (Miravalle, 2015).

In altri termini, si potrebbe dire che se nell’ambito del penale, le finalità di controllo sono esplicite e manifeste, nel Tso si tratta di una finalità latente e implicita, che richiama un tema classico della sociologia del diritto, quella della distinzione tra controllo penale e controllo sociale.

La letteratura sociologica discute da tempo sull’opportunità di distinguere gli strumenti del controllo sociale e quelli del controllo penale (su tutti, l’incarcerazione), oppure di considerarli assimilabili e legati da un continuum.

Secondo l’impostazione classica, il controllo penale è istituzionalizzato, formalizzato, pubblico, quello sociale è invece svolto in contesti non istituzionali, è informale e spesso affidato ad agenzie private.

Tale distinzione però dimentica «the social component of coercive control, just as the coercive component of social control» (Lowman et al, 1987, p. 3) rendendo troppo rigido e “teorico” il dualismo.

Almeno da metà Novecento e certamente dalla dirompente pubblicazione di Asylums da parte del sociologo canadese Erving Goffman (1961) la questione del controllo delle persone si è legata allo studio delle istituzioni dove una qualche forma di controllo si svolge, denominando istituzioni totali quei luoghi dove il controllo è più violento e coercitivo.

Si è dunque affermata l’idea che esistano tipologie di controllo (sia esso sociale o coercitivo) che si svolgono in luoghi (istituzioni) anche molti diversi, come prigioni, scuole, caserme, monasteri ed anche ospedali e manicomi, ma tra loro accomunati dall’esigenza, tipica delle società capitalistiche contemporanee, di “controllare” interi gruppi sociali.

Su queste basi teoriche, con maggior intensità dagli anni Ottanta, ci si è chiesti quale fosse il ruolo della medicina ed in particolare della psichiatria nell’assolvere tali funzioni di controllo. Studiosi come Schneider (1988) e Conrad (1992), preceduti dagli studi del Foucault di Storia della follia nell’età classica (1963), hanno aperto il filone di studi e ricerca legati alla medicalizzazione, cioè a quelle forme di intervento sanitario che, in nome di esigenze terapeutiche («in the name of health»), «limitano, regolano, modificano, isolano o eliminano un comportamento deviante» (Conrad e Schneider, 1980, p. 29). In quest’ottica, la stessa sfuggente e cangiante nozione di malattia mentale (Frances, 2013), diagnosticata da un medico psichiatra, servirebbe in fin dei conti proprio a tracciare una invisibile linea di demarcazione tra normali e a-normali, che giustifica l’applicazione di strumenti di controllo.

Così ragionando, l’agency del sanitario finisce per assomigliare molto a quella del sorvegliante, differente nel lessico e negli strumenti, ma non nelle finalità.

Se adottiamo questa impostazione teorica, è chiaro che l’aspetto più problematico del Tso risulta essere quello delle modalità con cui viene svolto e praticato, in altre parole interessa analizzare il Tso come pratica coercitiva, che può prevedere interventi violenti e contenitivi sul paziente, di vera e propria contenzione (Algostino, 2020), ma anche l’uso strumenti e strategie che si rifanno sì alla «logica coercitiva implicita» (Gariglio, 2017), ma prescindono da un’imposizione forzata del trattamento.

Ecco perché la sola etichetta di Tso non è sufficiente a comprendere la complessità di questa pratica e può racchiudere pratiche dall’impatto considerevolmente differente sui diritti del paziente. Serve dunque “guardare oltre” quei documenti contenuti nei fascicoli mandati alla firma del sindaco e al controllo giurisdizionale del giudice tutelare, riconducendo il Tso nell’alveo delle pratiche di salute.

2. Il Trattamento sanitario obbligatorio: le principali questioni aperte

La legge n.180 del 1978 segna un momento storico cruciale per l’evoluzione del trattamento dei disturbi mentali in Italia, dando esito a quel rovesciamento istituzionale (Basaglia, 1968) già sperimentato sul campo nelle esperienze dei manicomi liberati e della radicale trasformazione dell’intervento psichiatrico. Il percorso culturale che porta all’approvazione della legge è radicato nelle lotte per i diritti civili e politici dei decenni ‘60 e ‘70, anni in cui la partecipazione è attiva, il personale diventa politico[4] e gli interessi delle minoranze ottengono una rilevanza pubblica. Basaglia, riconosce che «il malato mentale – uno degli out della nostra società – è quasi dovunque segregato e soggetto, in istituzioni che non consentono il minimo contatto con gli in e che sono, appunto, deputate ad impedirlo» (Basaglia F. e Onglaro F., 1968, p.403); da qui l’ossimoro del suo pensiero: reinserire portando fuori, chiudere per aprire, riportare gli “out” tra gli “in”. Il lavoro degli psichiatri democratici[5], grazie anche ad un rilevante consenso pubblico – in una forse irripetibile conciliazione tra anelito sociale e rappresentanza politica[6] – porta all’approvazione della legge 180, nota, appunto, come legge Basaglia.

Fino ad allora, la cura della salute mentale era pressoché una questione di ordine pubblico. La legge che istituiva i manicomi, la n. 36 del 1904, prevedeva infatti, l’assoluta centralità del contenimento asilare del soggetto affetto da disturbo mentale, con la finalità di difendere la società dalla presunta pericolosità sociale del soggetto e dal rischio intrinseco di pubblico scandalo[7]. Tale sistema normativo decretava un automatismo tra malattia mentale, pericolosità sociale e incapacitazione, per cui il trattamento sanitario era prima di tutto strumento di controllo, poi di cura[8].

In un evidente cambio di paradigma, la l. legge n. 833/78 decretava la chiusura di tutti gli ospedali psichiatrici civili e il divieto di costruirne di nuovi, promuovendo la creazione di servizi territoriali di presa in carico, in una visione del trattamento allora copernicana ed oggi definibile community-based (Rossi S., 2015). Gli articoli 33 e 34, in linea con il dettato costituzionale, sancivano la definitiva volontarietà degli accertamenti e dei trattamenti sanitari, ammettendo l’esistenza, ma in via residuale ed eccezionale, del Trattamento sanitario obbligatorio. Quest’ultima è l’unica forma possibile di “cura forzata” e per questo necessita di una procedura di “doppio controllo” in cui vengono coinvolte le autorità amministrative e giudiziarie, oltre a quelle sanitarie.

La legge, pur rappresentando una conquista garantista del tempo, nasceva «sotto il segno dell’ineffabilità» (Daly, 2021, p. 235). Il testo, infatti, pone non pochi problemi interpretativi e lascia diverse questioni aperte, alcune delle quali vengono prese in esame in questa sede.

In primo luogo si propone una disamina legislativa, utile ad orientarsi nel “sistema Tso” e a restituire la misura della distanza esistente tra disposizioni normative e prassi. Segue una riflessione sulle forme e le modalità in cui si realizza la coazione nel trattamento sanitario obbligatorio, volta a questionare il ruolo che tale istituto ha assunto, oggi, nei processi di controllo sociale del «corpo malato» (Basaglia F. e Ongaro F., 1968).

Il trattamento sanitario obbligatorio, nel suo essere una procedura ibrida, insieme sanitaria ed amministrativa, ed avendo un impatto diretto sulla sfera personale e sociale dell’individuo, impone come scelta di campo l’utilizzo di un approccio multidisciplinare, insieme giuridico, sociologico e scientifico, al fine di studiare il fenomeno nel suo insieme e trarre considerazioni che siano indicative dello stato di salute della società tutta.

2.1 Quanti tipi di Tso?

Nel tentativo di interpretare l’ambiguità ontologica del Tso, come istituito dalla l. 833/1978, si è assistito ad un affastellamento di norme secondarie di competenza regionale, principalmente ispirate alle Raccomandazioni in merito all’applicazione di accertamenti e trattamenti sanitari obbligatori per malattia mentale formulate nel 2009 in seno alla Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome[9]. Il documento fornisce delle linee guida per indirizzare i protocolli operativi delle istituzioni territoriali, fornendo delucidazioni in merito all’attuazione pratica degli accertamenti e dei trattamenti sanitari obbligatori.

In primo luogo, secondo la formulazione della legge n. 833/78, occorre parlare di una pluralità di trattamenti possibili; i primi sono i trattamenti volontari, ovvero prestati con il consenso (informato, ex artt. 2, 13 e 32 Cost. e L. n. 219/2017) del paziente. Quando il consenso è assente, la legge ammette l’esistenza di accertamenti e trattamenti sanitari che possono essere attuati anche mediante coazione fisica, in un’escalation dell’uso della forza dipendente sia dal grado di consenso e collaborazione del paziente sia dall’urgenza del trattamento[10]. La prima opzione possibile, infatti, è relativa all’accertamento sanitario obbligatorio (Aso) una valutazione medica delle condizioni di salute di una persona ritenuta in stato di bisogno. La valutazione è volta in primis a raccogliere il consenso della persona a sottoporsi alla cura, ed è utile, poi, per valutare la corretta modalità di intervento, potendo ricorrere, se necessario, ad un trattamento sanitario obbligatorio. Nella pratica, gli accertamenti sanitari obbligatori sono spesso disposti nei confronti di pazienti in cura presso i servizi territoriali che si sottraggono alla somministrazione della terapia o per i quali appare necessario effettuare una nuova valutazione specialistica.

Il trattamento sanitario obbligatorio è disposto a tutela dell’individuo e della salute pubblica e nella sua formulazione generale può non implicare l’uso della forza[11]. La coercizione sovviene, come detto, quando è assente il consenso della persona e la cura è indifferibile; Per questo tipo di trattamenti e accertamenti sanitari obbligatori la legge dispone una specifica procedura, per cui la richiesta deve provenire da un medico e deve essere convalidata dal sindaco, autorità verso cui chiunque può rivolgere istanza di revoca o modifica del trattamento/accertamento[12].

Un tipo specifico di trattamento sanitario obbligatorio è, invece, quello previsto per la cura della malattia mentale[13]. Si tratta, in questo caso, di un ricovero psichiatrico coatto da effettuarsi, di norma, nei reparti di psichiatria del Servizio psichiatrico di diagnosi e cura (SPDC). Il TSO appena descritto può essere disposto solo in presenza di tre condizioni, che devono sussistere contestualmente affinché il trattamento sia legittimo: (a) la persona rifiuta le cure mediche; (b) si è in presenza di alterazioni psichiche e comportamentali tali da richiedere urgenti interventi terapeutici; (c) non vi siano le condizioni e le circostanze che consentano di adottare tempestive ed idonee misure sanitarie extraospedaliere. Per questo tipo di procedura la norma prevede un “doppio controllo”, ossia la convalida di un medico psichiatra alla prima proposta di trattamento, un provvedimento motivato del sindaco ed infine una seconda convalida giudiziale[14].

Dai presupposti necessari per l’applicazione del TSO è possibile desumere, in negativo, un’ulteriore distinzione tra TSO “ospedaliero” e “extraospedaliero”. Mentre per i TSO in regime ospedaliero, come visto, la legge disciplina la procedura, la durata e le dovute garanzie[15] per il TSO extraospedaliero non vi è alcun riferimento normativo, con la conseguenza che tanto è rimesso ai regolamenti territoriali (in palese violazione della riserva di legge in relazione ai casi e modi di privazione della libertà personale, di cui all’art. 13 Cost.) e poco è tracciabile a livello di prassi, come si vedrà oltre.

Il quadro sinora esposto aiuta a comprendere le varie opzioni possibili di cui il medico dispone nel richiedere un trattamento, tuttavia, molte e diverse sono le variabili che incidono su questa scelta: la conoscenza del paziente, la sua accettazione o il rifiuto della cura, la necessità di un ricovero ospedaliero e la possibilità di effettuare il trattamento in sede domiciliare o ambulatoriale (Rossi S., 2015). Nella pratica, quindi, i confini tra la scelta di una disposizione ed un’altra sono labili, con la non trascurabile conseguenza che solo a determinate disposizioni seguono le tutele e garanzie previste dalla legge, negli altri casi, invece, poche o del tutto assenti sono le procedure di controllo, aumentando il rischio di un ricorso abusivo all’uso della forza.

2.2 Uso della forza. Spunti di riflessione a partire dal caso Soldi

Il Tso, come già osservato, implica la presenza di diversi operatori istituzionali: sanitario, amministrativo, giudiziario e di pubblica sicurezza. La coazione, insita nel trattamento sanitario obbligatorio, giustifica la presenza di un organo amministrativo deputato al mantenimento dell’ordine pubblico, individuato, per via della competenza del sindaco in materia sanitaria, nella Polizia locale. Un nodo difficile da sciogliere è rappresentato dal corretto riparto di competenze tra operatori sanitari e di polizia nell’azione di accertamento o di trattamento coattivo. Le Raccomandazioni, sul punto, ribadiscono[16] che “la titolarità della procedura di TSO appartiene alla Polizia municipale in tutta la fase di ricerca dell’infermo e del suo trasporto al luogo dove inizierà il trattamento[…]la Polizia municipale è presente per tutta la fase di attuazione del TSO, fino al ricovero in SPDC, esercitando ogni sollecitazione necessaria per convincere il paziente a collaborare, nel rispetto della dignità della persona” Il personale sanitario, invece, rimane coordinatore dell’azione “tecnica” sanitaria, dovendo inoltre “suggerire le precauzioni opportune per rendere meno traumatico il procedimento e per praticare gli interventi sanitari che si rendessero necessari[…]la collaborazione tra le due componenti permetterà di conciliare sicurezza e qualità dell’assistenza”. La Polizia locale, dunque, da un lato ha un ruolo meramente amministrativo e di gestione del paziente (nel trasporto sino al reparto, ad esempio), dall’altro, rimane unico titolare dell’uso della forza e dunque tutore della sicurezza pubblica ed individuale del paziente[17]. Il tenore cauto delle Raccomandazioni stona con la dinamicità delle pratiche – che, in quanto coattive, implicano necessariamente un presupposto di agitazione o di pericolo – lasciando, di fatto, un vuoto normativo.

Nel 2015, proprio nella Città di Torino, l’attenzione sul tema veniva rinnovata dalla vicenda di Andrea Soldi, morto a causa di un TSO effettuato con modalità estremamente violente. Il caso – pur non essendo rappresentativo della prassi, anzi, costituendo un esempio critico di pratiche scorrette e irrituali – restituisce all’osservatore esterno una fotografia utile a comprendere la complessa dinamica che si instaura tra le parti nell’esecuzione del trattamento. Nella sentenza della Corte di Cassazione[18], che conferma le condanne allo psichiatra e ai tre poliziotti intervenuti nella procedura, viene descritta “l’assoluta mancanza di coordinamento fra il medico e i tre agenti, tanto che la manovra di contenimento ebbe inizio improvvisamente, lasciando spiazzato il D.P.[19] [lo psichiatra, N.d.A] per contro, nessuna indicazione fu data dal D.P. agli operanti sull’avvio della manovra di contenimento, in tal modo contribuendo a creare i presupposti per un’azione repentina degli agenti, incontrollata ed incontrollabile da parte del medico, che pure era sul posto allo scopo di garantire e preservare le condizioni di salute del paziente, anche e soprattutto nel caso di uso della forza da parte degli agenti di pubblica sicurezza, eventualità certamente non imprevedibile nell’ambito di una procedura di TSO programmato come quella in oggetto”. L’intervento nei confronti di Andrea Soldi era “programmato”, il paziente, in cura da anni presso i servizi territoriali, aveva sospeso da qualche tempo la terapia, per questo, con il consenso anche dei familiari, il medico di riferimento ne aveva disposto il ricovero coatto. Neppure tale grado di “familiarità” con il paziente e con la malattia, tuttavia, permetteva di evitare il ricorso ad uno uso eccessivo e sproporzionato della forza dal parte del personale “che gravò in maniera eccessiva sul collo di S.A., stringendolo in maniera tale da comportare una diminuzione di afflusso di sangue e ossigeno al cervello; che in seguito gli agenti scaraventarono a terra il S. in posizione prona, ammanettandolo; che in tale frangente il S. ebbe un rilascio di urina e perse conoscenza; che successivamente venne caricato in barella, sempre in posizione prona, e così trasportato in ospedale; che nessuno si preoccupò di verificare che il paziente, disteso prono sulla barella e ammanettato, fosse in buona salute ed in condizioni idonee al trasporto”.

Il “caso Soldi”[20] ha sicuramente contribuito a riaprire il dibattito sul tema, dando nuovo impulso per rafforzare le norme e le pratiche in materia[21] e rendendo altresì necessario un aggiornamento nella formazione degli operatori di polizia e sanitari, sull’impronta delle più moderne tecniche di de-escalation e holding[22]. Aldilà dei profili di colpevolezza, altre sono le questioni rimaste aperte: il ricorso ad un trattamento coattivo senza la dovuta considerazione di opzioni trattamentali diverse, i limiti non eludibili all’uso della forza. Rimane da chiarire, inoltre, se esista un automatismo nel disporre il trattamento coattivo per la gestione di un determinato tipo di acuzie – o di pazienti- nonché quale sia il grado di discrezionalità degli operatori nell’applicare determinate pratiche coercitive. Tali informazioni sono desumibili solo attraverso una nuova e mirata osservazione, che tenga conto anche del background socio-sanitario di ciascun paziente: pochi e insufficienti, infatti, sono i dati rilevati e resi pubblici sul “sistema TSO” in Italia.

3. I numeri a Torino, in Piemonte e in Italia

Una delle criticità relative all’analisi dei TSO consiste nella difficoltà di ottenere dati statistici relativi al suo funzionamento. I dati nazionali disponibili provengono principalmente dall’Istat e dal Rapporto sulla salute mentale del Ministero della salute, in entrambi i casi, i numeri sono tratti dalle Schede di dimissioni ospedaliere (SDO)[23]. I dati estraibili, dunque, hanno diversi limiti: in primo luogo, sono aggregati relativi alle dimissioni per tipologia di malattia (in questo caso, Tso) e non consentono un’analisi dei pazienti singoli, tale da permettere di sviluppare, ad esempio, degli studi sui percorsi pre e post ricovero; non comprendono i casi in cui il paziente presta il proprio consenso nel corso della degenza ospedaliera, trasformando così il trattamento obbligatorio in trattamento volontario; infine, non tengono conto dei trattamenti sanitari obbligatori extraospedalieri.

Il Rapporto sulla salute mentale pubblica annualmente il numero dei trattamenti effettuati in ciascuna regione e i tassi di ricovero.

Tabella 1: Distribuzione regionale dei trattamenti sanitari obbligatori (TSO) anni 2013-2021

Fonte: Rapporto sulla salute mentale, anni 2015-2021

Regione 2013 2014 2015 2016 2017 2018 2019 2020 2021
PIEMONTE 547 602 512 525 474 401 406 336 384
VALLE D`AOSTA 35 33 32 30 27 21 17 25 24
LOMBARDIA 963 983 797 829 938 926 818 716 681
PA BOLZANO 22 22 9 20 20 15 18 19 10
PA TRENTO 49 43 42 43 62 80 66 48 37
VENETO 458 372 403 376 395 322 331 255 215
FRIULI VENEZIA GIULIA 41 38 45 46 36 43 42 69 88
LIGURIA 246 250 162 145 201 205 215 182 174
EMILIA ROMAGNA 939 975 986 995 929 910 921 810 852
TOSCANA 295 350 368 293 220 230 204 129 139
UMBRIA 169 145 147 179 194 213 222 190 181
MARCHE 208 325 741 252 178 245 261 166 169
LAZIO 947 874 717 615 541 545 387 318 341
ABRUZZO 210 212 168 156 223 246 233 204 179
MOLISE 46 40 43 19 24 26 16 27 23
CAMPANIA 902 949 903 755 489 402 307 179 211
PUGLIA 641 751 700 738 751 657 613 437 412
BASILICATA 37 59 35 26 31 20 20 15 10
CALABRIA 324 346 345 389 359 314 239 162 189
SICILIA 1.585 1.347 1.290 1.199 1.203 1.245 1.098 857 966
SARDEGNA 286 351 332 333 313 341 303 254 253
ITALIA 8.950 9.067 8.777 7.963 7.608 7.407 6.737 5.398 5.538

Dal momento che il Tso è una modalità di intervento straordinaria, il tasso di ricovero rappresenta un dato utile per misurare l’efficacia dei programmi di presa in carico ordinaria dei pazienti, attuati nei Dipartimenti di Salute Mentale. A livello nazionale il dato è pari a 1,1 ricovero per TSO ogni 10.000 abitanti, con variazioni sensibili tra le regioni. I ricoveri in Tso rappresentano in media il 7% del totale dei ricoveri nei reparti SPDC.

Tabella 2: Trattamenti sanitari obbligatori (TSO) – tassi per 10.000 abitanti, anni 2015-2021

Fonte: Rapporto sulla salute mentale, anni 2015-2021

Regione 2015 2016 2017 2018 2019 2020 2021
PIEMONTE 1,37 1,4 1,3 1,1 1,1 0,9 1,1
VALLE D`AOSTA 2,99 2,8 2,5 2,0 1,6 2,4 2,3
LOMBARDIA 0,96 1,0 1,1 1,1 1,0 0,9 0,8
PA BOLZANO 0,22 0,5 0,5 0,4 0,4 0,4 0,2
PA TRENTO 0,95 1,0 1,4 1,8 1,5 1,1 0,8
VENETO 0,98 0,9 1,0 0,8 0,8 0,6 0,5
FRIULI VENEZIA GIULIA 0,43 0,4 0,3 0,4 0,4 0,7 0,9
LIGURIA 1,19 1,1 1,5 1,5 1,6 1,4 1,3
EMILIA ROMAGNA 2,64 2,7 2,5 2,4 2,5 2,1 2,3
TOSCANA 1,16 0,9 0,7 0,7 0,6 0,4 0,4
UMBRIA 1,94 2,4 2,6 2,8 3,0 2,6 2,5
MARCHE 5,68 1,9 1,4 1,9 2,0 1,3 1,3
LAZIO 1,46 1,2 1,1 1,1 0,8 0,7 0,7
ABRUZZO 1,49 1,4 2,0 2,2 2,1 1,9 1,6
MOLISE 1,61 0,7 0,9 1,0 0,6 1,0 0,9
CAMPANIA 1,90 1,6 1,0 0,8 0,6 0,4 0,5
PUGLIA 2,07 2,2 2,2 1,9 1,8 1,3 1,2
BASILICATA 0,72 0,5 0,6 0,4 0,4 0,3 0,2
CALABRIA 2,10 2,4 2,2 1,9 1,5 1,0 1,2
SICILIA 3,08 2,9 2,9 3,0 2,6 2,1 2,4
SARDEGNA 2,33 2,3 2,2 2,4 2,1 1,8 1,8
ITALIA 1,73 1,6 1,5 1,5 1,3 1,1 1,1

Tabella 3: Tasso dei TSO sul totale dei ricoveri nei reparti psichiatrici -Anni 2015-2021

Fonte: Rapporto sulla salute mentale, anni 2015-2021

Italia 2015 2016 2017 2018 2019 2020 2021
n. TSO in SPDC 8.777 7.963 7608 7407 6.737 5.398 5.538
tot. Ricoveri SPDC 100.271 98.663 97.276 97.207 96510 76.351 78.950
tasso 8,8% 8,1% 7,8% 7,6% 7% 7,1% 7%

La Regione del Piemonte negli ultimi anni è in linea al tasso nazionale di ricoveri in Tso. I dati relativi alle province mostrano invece rilevanti differenze sia in termini di numero di Tso effettuati, sia in relazione al tasso di ricovero, in alcuni casi ben al di sopra della media nazionale.

Tabella 4: Distribuzione dei trattamenti sanitari obbligatori (TSO) per provincia di riferimento – ultimi 10 anni

Fonte: ISTAT

2011 2012 2013 2014 2015 2016 2017 2018 2019 2020 2021
Italia 9372 9214 9021 9102 8815 7995 7649 7446 6774 5473 5505
Piemonte 667 538 553 617 517 538 476 410 413 335 383
Torino 341 273 304 304 239 195 175 168 137 142 166
Vercelli 0 4 9 28 29 34 33 40 28 11 0
Novara 98 51 33 54 57 84 68 58 75 57 71
Cuneo 77 61 68 75 51 50 43 16 11 12 9
Asti 0 0 0 0 0 2 19 16 8 1 2
Alessandria 126 114 94 111 95 140 107 85 125 92 112
Biella 4 15 29 24 29 27 14 20 18 17 21
Verb.Os.Cus 21 20 16 21 17 6 17 7 11 3 2

Tabella 5: Trattamenti sanitari obbligatori (TSO) – tassi per 10.000 abitanti delle province del Piemonte – ultimi 10 anni

Fonte: rielaborazione degli autori su dati ISTAT

2011 2012 2013 2014 2015 2016 2017 2018 2019 2020 2021
Italia 1,9 1,8 1,8 1,8 1,8 1,6 1,5 1,5 1,3 1,1 1,1
Piemonte 1,8 1,4 1,5 1,7 1,4 1,5 1,3 1,1 1,1 0,9 1,1
Torino 1,8 1,4 1,6 1,6 1,2 1,0 0,9 0,9 0,7 0,7 0,9
Vercelli 0,0 0,3 0,6 1,9 1,9 2,3 2,2 2,7 1,9 0,8 0,0
Novara 3,2 1,6 1,1 1,7 1,8 2,7 2,2 1,9 2,4 1,8 2,3
Cuneo 1,6 1,2 1,4 1,5 1,0 1,0 0,9 0,3 0,2 0,2 0,2
Asti 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,1 1,0 0,9 0,4 0,1 0,1
Alessandria 3,4 3,0 2,5 3,0 2,6 3,8 2,9 2,3 3,4 2,5 3,2
Biella 0,3 1,0 1,8 1,5 1,9 1,7 0,9 1,3 1,2 1,1 1,4
Verb.Os.Cus 1,5 1,4 1,2 1,5 1,2 0,4 1,2 0,5 0,8 0,2 0,1

Il Tso, in quanto misura privativa della libertà personale, rientra tra le materie di competenza del Garante Nazionale delle Persone private della libertà personale, nonché dei Garanti territoriali. In alcuni casi questi ultimi, per la diretta connessione con i consigli regionali e comunali, pubblicano i dati relativi alle attività di monitoraggio svolte nel territorio di competenza[24].

Dal 2018 nelle Relazioni annuali della Garante dei diritti delle persone private della libertà personale della Città di Torino vengono pubblicati i dati sui Tso effettuati nella Città. I dati sono forniti dall’Ufficio Tso della Polizia Locale, pertanto, sono relativi ai fascicoli formati per ciascuna disposizione di trattamento, con riferimento alle eventuali proroghe e alle mancate convalide, sia provenienti dal sindaco sia dall’autorità giudiziaria.

Tabella 6: Fascicoli relativi ai trattamenti sanitari obbligatori effettuati a Torino- Anni 2018-2022

Fonte: Garante dei diritti delle persone private della libertà personale del Comune di Torino, dati forniti dall’Ufficio TSO del Comune di Torino.

2018 2019 2020 2021 2022
ordinanze tot. 226 195 191 193 258
M. 149 117 124 120 171
F 77 78 67 73 87
prolungamento 76 59 96 76 115
M. 51 33 68 48 88
F 25 27 28 28 27
revoche giudice 1 2 0 1
revoca sindaco 1 2 0 1
non eseguita dal medico 1 1 0 7
TSO extraospedaliero 1
2018 2019 2020 2021 2022
tot.ordinanze 226 195 191 193 258
tot. proroghe 76 59 96 76 115
tasso di prolungamento 33,63% 30,26% 50,26% 39,38% 44,57%

I dati mostrano un aumento del ricorso alle misure di trattamento sanitario obbligatorio in degenza ospedaliera, con un picco di 258 ricoveri raggiunto nel corso dell’anno scorso[25]. Almeno un terzo dei trattamenti disposti vengono prorogati oltre i 7 giorni (nel 2020, si arriva fino al 50% di prolungamenti), al contrario, le mancate convalide da parte del sindaco o dell’autorità giurisdizionale sono di misura irrilevante (un caso sul totale, oppure assenti).

In merito ai trattamenti sanitari extraospedalieri, come detto non tracciabili nei dati nazionali, a Torino viene registrato un unico caso nel 2021. Se il TSO extraospedaliero è strumento potenzialmente idoneo a realizzare quel trattamento territoriale e comunitario auspicato nella legge 180/1978, rimane da domandarsi come mai non sia utilizzato nella prassi e perché non esistano dati pubblici a riguardo.

In conclusione, il trattamento sanitario obbligatorio e coattivo incide profondamente sulla sfera personale dell’individuo, mettendone a rischio l’integrità e la dignità. L’assenza di dati chiari e uniformi rende tale fenomeno oscuro, di difficile analisi e di monitoraggio, sia in riferimento all’andamento della salute mentale della popolazione, sia in merito alle procedure operative effettuate nel caso specifico. Il Garante Nazionale delle persone private della libertà, sin dalla sua istituzione, ha proposto di rendere obbligatoria la notifica al Garante per ogni Tso effettuato e di creare un Registro nazionale dei Tso[26]. Queste due misure aiuterebbero ad incrementare la trasparenza in merito all’utilizzo di trattamenti e sarebbero funzionali ad una sistematizzazione uniforme dei dati, rendendo molto più facile l’accesso al monitoraggio dei reparti e della tutela diretta della persona. Al momento nessuna di queste due proposte è operativa.

4. Conclusioni. La necessità di un Osservatorio

Nel gennaio 2023, con delibera di giunta n. 38/2023, la Città di Torino è la prima città d’Italia a istituire un Gruppo di Ricerca e Studio sui temi degli Accertamenti sanitari obbligatori e dei Trattamenti sanitari obbligatori finalizzato alla costituzione di un Osservatorio sui Trattamenti sanitari involontari.

Tra i soggetti firmatari dell’Accordo vi sono l’Università di Torino, rappresentata dai Dipartimenti di Giurisprudenza e di Culture, Politiche e Società, le istituzioni sanitarie, l’Azienda sanitaria locale “Città di Torino” e la Città della Salute e della Scienza, gli Assessorati alle Politiche sociali e alla Sicurezza (con delega alla Polizia municipale) e l’Ufficio del garante comunale delle persone private della libertà.

L’idea è nata dalla necessità di studiare a fondo un fenomeno in crescita sul piano quantitativo e dalla necessità di individuare buone pratiche e suggerimenti operativi. Sono tre gli obiettivi esplicitati dalla convenzione: lo studio e la ricerca; la sensibilizzazione e la formazione e la creazione del vero e proprio Osservatorio.

Il gruppo di ricerca studierà le serie storiche, sugli Accertamenti Sanitari Obbligatori (ASO) e i Trattamenti Sanitari Obbligatori (TSO) sia c.d. “ospedalieri” che “extra ospedalieri”.

La ricerca, che potrà utilizzare metodologie di tipo sia quantitativo sia qualitativo, ha l’obiettivo di redigere e disporre un report che dia conto dei risultati della ricerca da rendere disponibile entro il mese di gennaio 2024.

Si prevede, in particolare, la ricostruzione statistico-quantitativa del numero di ASO/TSO effettuati nella Città di Torino, con focus sulle caratteristiche socio anagrafiche dei destinatari di ASO/TSO. Questo permetterà di individuare correlazioni e ricorrenze che possono poi essere approfondite con strumenti di ricerca qualitativi. Con gli strumenti qualitativi, che prevedono tra gli altri, lo studio documentale dei fascicoli pseudonimizzati dei singoli ASO/TSO, interviste e focus group con gli operatori coinvolti nelle varie fasi, individuazione di “studi di caso” di particolare interesse scientifico, si potrà restituire a policy makers, comunità scientifica e popolazione un quadro completo e aggiornato, che potrà ispirare ulteriori ricerche e approfondimenti, nonché l’individuazione di buone pratiche.

Tra le metodologie utilizzate potrà prevedersi, l’osservazione diretta (nelle forme dell’etnografia o dello shadowing) o il monitoraggio da svolgersi nell’ottica integrata della cooperazione interistituzionale, allo scopo di rafforzare le conoscenze comuni, implementare “buone prassi” e fornire raccomandazioni. L’attività di monitoraggio consiste nel verificare, attraverso le informazioni acquisite nelle fasi di studio e ricerca e nelle fasi successive, che le operazioni di ASO/TSO svolte nel Comune di Torino siano effettuate secondo gli standard normativi in materia e nel rispetto dei diritti delle persone sottoposte al trattamento.

Il Gruppo di ricerca si impegna poi nella sensibilizzazione della cittadinanza, attraverso eventi pubblici sui temi della salute mentale, in particolare, sugli Accertamenti Sanitari Obbligatori (ASO) e sui Trattamenti Sanitari Obbligatori (TSO). Diffonde, inoltre, materiale informativo, grazie alla creazione di uno spazio web dedicato, che utilizzi anche materiali visuali e interattivi.

Entro 12 mesi dalla creazione del Gruppo di ricerca, i soggetti promotori si impegnano a promuovere la costituzione dell’Osservatorio sui Trattamenti sanitari involontari della Città di Torino.

L’osservare richiama l’esigenza del guardare scevri da pregiudizi. È l’atto del vedere che porta consapevolezza verso la dimensione reale del diritto (Marzocco, 2018) e delle sue pratiche, non a casa i Costituenti avevano fondato le riflessioni sui diritti di libertà e sulle finalità della pena ispirati da quel monito “bisogna avere visto” che Pietro Calamandrei scelse quale titolo dell’editoriale della rivista Il Ponte nel 1949. L’osservazione produce conoscenza e quindi deliberazione consapevole.

Non è irrilevante lo spazio sociale e il tempo storico in cui l’osservazione si svolge. Perchè anche il più radicato degli enunciati normativi è sensibile al “clima sociale”. E così, ad esempio, sul fronte della salute mentale e delle devianze, occorre avere consapevolezza che riprendono vigore le pratiche asilari di “contenimento” e “confinamento”, giuridicamente archiviate nel 1978, ma che ancora – e anzi con ritrovato vigore – plasmano il governo della follia.

Tale strategia governamentale continua a essere influenzata da tecniche di intervento “asylum-oriented” (Molodynsky et al. 2016) dove l’urgenza dell’azione del medico diventa la collocazione fisica del paziente, specie se in fase acuta, in uno “spazio sicuro” (Allegri et al., 2022, p.807), separato dall’altro mondo, quello dei sani e dei normali.

Si tratta di una strategia nota, ma che inesorabilmente si espande anche altre forme di devianza, contigue – e solo in parte sovrapposte – alla patologia psichica: i dati più recenti raccolti dal Garante nazionale delle persone private della libertà calcolano che in Italia, nel 2022 vi sono 392.831 persone che vivono in un “istituzioni residenziali” non penali variamente denominati dalle normative regionali (Rsa, case di cure, comunità teraputico-riabilitative…). Di queste, 297.970 sono anziani con più di 65 anni d’età. Se vivessero nello stesso luogo, formerebbero la settimana città italiana.

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Documenti

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  1. Carolina Di Luciano, Borsista di ricerca, Michele Miravalle, ricercatore t.d. lett. b) in Filosofia e sociologia del diritto, Unito. L’articolo è frutto di riflessioni condivise tra gli autori. Carolina Di Luciano è autrice del secondo e terzo paragrafo, Michele Miravalle del primo e del quarto paragrafo.
  2. La decisione aveva come oggetto principale la questione delle misure di sicurezza personali detentiva e in particolare l’ordine di ricovero in Residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza (ex Opg).
  3. Dal combinato disposto degli artt. 33, 34 e 35 della l. 833/1978 sono: a) la presenza di alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici; b) se non vi è accettazione da parte della persona dei trattamenti ritenuti necessari; 3) se non vi siano le condizioni e le circostanze che consentano di adottare tempestive ed idonee misure sanitarie extraospedaliere.
  4. Il noto slogan femminista rivendica puntualmente il benessere personale come conquista di un bene collettivo. In quegli stessi anni veniva approvato il referendum sul divorzio e poi la legge n. 194/78 sull’interruzione volontaria della gravidanza. Altre vittorie politiche si ottenevano sul piano della lotta sindacale, con l’approvazione, nel 1970, dello Statuto dei lavoratori. Sono gli anni del “disgelo costituzionale”, in cui i precetti della carta costituzionale trovano formulazione nelle riforme legislative.
  5. Il movimento di Psichiatria democratica è fondato da medici e direttori sanitari, attivi anche nel Réseau, la rete europea di psichiatria alternativa. La loro attività contribuisce a diffondere sul territorio nazionale esperimenti alternativi di cura della malattia mentale e sono volti a smantellare l’istituzione manicomiale. In alcune regioni vengono introdotti i “settori psichiatrici” su modello importato dalla Francia, in Emilia Romagna si sperimenta il primo modello di servizio psichiatrico territoriale. I primi scandali sulle condizioni in cui versavano i manicomi portano alla chiusura di diverse strutture (Pulino D., 2016).
  6. Con la sentenza n. 16 del 7 febbraio 1978 la Corte Costituzionale dichiarava ammissibile il referendum portato avanti dal Partito Radicale sull’abolizione della legge istitutiva dei manicomi, la n. 36 del 1904. Dal 1977 in Parlamento si discuteva il testo di legge che avrebbe istituito il Servizio Sanitario Nazionale, tuttavia, per l’urgenza di promulgare la legge prima della votazione per il referendum abrogativo (un diverso scenario avrebbe creato un problema di gestione delle persone internate, dal giorno seguente potenzialmente libere) la parte relativa alla salute mentale venne stralciata ed approvata con la l. n. 180 del 1978.
  7. Le istituzioni manicomiali deputate all’internamento di persone affette da patologie psichiatriche iniziano a diffondersi in Europa a partire dal 1600 (Foucault M., 1963). Come detto, in Italia la prima – e per molto tempo, l’unica- disciplina organica sui manicomi è rappresentata dalla L. 36/1904, di chiaro assetto custodialistico. L’articolo 1 prevedeva che “debbono essere custodite e curate nei manicomi le persone affette per qualunque causa da alienazione mentale, quando siano pericolose a sé o agli altri o riescano di pubblico scandalo e non siano e non possano essere convenientemente custodite e curate fuorché nei manicomi”. Con un contenuto squisitamente classista, divenuto poi noto per esperienza storica, la legge prevedeva che il ricovero in strutture asilari potesse essere disposto solo per chi non avesse possibilità di ricorrere a case di cura private. La misura dell’internamento, poi, poteva essere proposta da chi fosse vicino alla persona o da chiunque ne avesse interesse, e non soltanto quando vi fosse la commissione di atti violenti o scandalosi, ma anche quando fosse percepita la sola predisposizione a porre in essere tali condotte (sull’internamento come misura di prevenzione, Merlini S., 1970). Alla degenza senza termine nei manicomi si accompagnava un annullamento totale della persona all’interno nella società, oltre che recluso, veniva privato di una serie di diritti civili e politici: il quadro normativo del tempo prevedeva l’iscrizione nel casellario giudiziale del provvedimento del tribunale sull’internamento, la privazione del diritto di voto, della legittimazione attiva ad agire in alcuni procedimenti nonché l’interdizione dallo svolgimento di determinate professioni (Rossi S., 2015, p. 189-200; Pulino D., 2016, p. 54-59). Sempre la legge n. 36/1904, e il suo regolamento attuativo, regio decreto n. 615/1909, disciplinavano l’uso della contenzione meccanica nel trattamento del paziente psichiatrico, trattamento ancora diffusamente in uso negli SPDC italiani. Tale norma sopravviveva all’entrata in vigore della Costituzione e alla successiva L. 833/78, in un quadro normativo incerto e di difficile interpretazione (Algostino A., in in Cardano M. et al., 2020, p. 51 e ss.).
  8. La materia veniva parzialmente riformata solo nel 1968 con l’approvazione della legge n. 431, detta “legge Mariotti”, che ebbe il merito di mettere in discussione la logica custodiale dell’internamento, promuovendo una visione maggiormente terapeutica della cura. Le modifiche più rilevanti attengono, infatti, all’eliminazione dell’automatismo tra internamento e interdizione e alla previsione, per la persona affetta da disturbo mentale, di poter accedere o scegliere di rimanere volontariamente in ricovero ospedaliero.
  9. Le Raccomandazioni sono state recepite dalla Regione Piemonte con Deliberazione di Giunta Regionale del 29 marzo 2010, n. 93-13746.
  10. Gli accertamenti e i trattamenti sanitari così come normati all’art. 33 della l. 833/78 possono essere disposti verso qualunque tipo di malattia. In questo testo, si fa riferimento agli interventi rivolti alle persone affette da disturbo mentale che rappresentano l’utenza primaria verso cui tali trattamenti sono disposti.
  11. si pensi, ad esempio, all’obbligo vaccinale per minori di età.
  12. Ai sensi dell’art. 33, c.2, L. 833/78.
  13. Art. 34, L. 833/78.
  14. La procedura di avvio del trattamento sanitario coattivo in degenza ospedaliera è descritta all’articolo 35 della L. 844/78. Il Tso viene attuato su proposta motivata di un medico, non necessariamente da uno psichiatra, e deve essere convalidato da un secondo medico in servizio presso il Dipartimento di salute mentale. La richiesta di attuazione del trattamento coattivo viene comunicata al sindaco del Comune presso cui si trova il paziente che, in qualità di autorità amministrativa sanitaria, dispone il trattamento. Entro quarantotto ore il sindaco è tenuto ad inviare il fascicolo, compreso della documentazione sanitaria, al Giudice tutelare che, entro quarantotto ore, deciderà se convalidare o meno il ricovero. Il ricovero ha durata di sette giorni, eventualmente rinnovabili. Anche in questo caso la proroga del trattamento avviene su proposta del primario del reparto, nuovamente disposta dal sindaco e convalidata dal magistrato. La stessa legge stabilisce anche disposizioni circa i diritti che devono continuare ad essere garantiti durante il ricovero ospedaliero coatto, che deve avvenire nel rispetto della dignità della persona e dei diritti civili e politici, compreso, per quanto possibile, il diritto alla libera scelta del medico e del luogo di cura. Il ricovero deve essere accompagnato da iniziative rivolte ad assicurare il consenso e la partecipazione da parte di chi vi è obbligato, per il quale permane, ad esempio, il diritto a comunicare con chi ritenga opportuno durante la durata della degenza.
  15. Sempre l’art. 35 descrive la procedura di opposizione alla convalida del giudice tutelare. Chi è sottoposto a trattamento sanitario obbligatorio, e chiunque ne abbia interesse, può proporre ricorso contro il provvedimento convalidato al tribunale competente per territorio. Analogo ricorso può essere proposto dal sindaco avverso la mancata convalida del provvedimento che ha disposto il trattamento sanitario obbligatorio. Il provvedimento, inoltre, può essere sospeso in via cautelare sia su richiesta delle parti sia ex officio dal presidente del tribunale, acquisito il provvedimento che ha disposto il trattamento sanitario obbligatorio e sentito il pubblico ministero.
  16. Ministero dell’Interno Circolare n. 3/2001 del 20 luglio 2001 Trattamento sanitario obbligatorio per soggetti con patologia mentale. Competenze della polizia Municipale, la circolare riprende quanto statuito dal Ministero della Sanità (circ. n.900.3/SM-E1/896 del 21.9.1992).
  17. rimane sempre ammessa la possibilità di attivare in soccorso altre forze di polizia.
  18. Cass. pen. sez. IV, 12 luglio 2022, n. 39010.
  19. N.d.a. iniziali del medico di riferimento del sig. Soldi intervenuto sul posto.
  20. E per la memoria dei tanti altri “casi”: Giuseppe Casu (Del Giudice, 2015), Francesco Mastrogiovanni (Dell’Aquila D. S., 2011), Massimiliano Malzone (Massimiliano Malzone morto due anni fa durante un Tso, 2017, https://www.stefanocucchi.it/massimiliano-malzone-morto-due-anni-un-tso/), Mauro Guerra (Il Tso mortale di Mauro Guerra, 2022, https://left.it/2022/02/16/il-tso-mortale-di-mauro-guerra/)
  21. Nel 2015 a Torino il Comando della Polizia Municipale emette due circolari di regolamentazione delle pratiche operative durante gli interventi di ASO e TSO, consultabili al link: https://www.poliziamunicipale.it/documenti/47539/tso-e-aso. Con successiva Deliberazione della Giunta Comunale n. mecc. 2017 01486/048 del 3 maggio 2017 veniva applicato il nuovo Schema Operativo Ordinanze ASO/TSO, reperibile al link: https://www.poliziamunicipale.it/documenti/60667/tso-e-aso.
  22. Garante Nazionale delle persone private della libertà personale, Libertà e Salute, 2018, p. 46.
  23. La scheda di dimissione ospedaliera (SDO) è lo strumento di raccolta delle informazioni relative ad ogni paziente dimesso dagli istituti di ricovero pubblici e privati in tutto il territorio nazionale. Il Sistema informativo SISM da cui vengono tratti i dati per il Rapporto sulla Salute Mentale rileva i soli assistiti maggiorenni, pertanto la popolazione utilizzata per la costruzione dei tassi si riferisce ai soli adulti. Inoltre, vengono inclusi soltanto gli assistiti per i quali la regione abbia inviato i dati di anagrafica, di contatto e prestazioni.
  24. Di particolare riguardo, l’attività di monitoraggio svolta a partire dal 2018 dal Garante delle persone sottoposte a s misure restrittive della libertà personale della Regione Toscana, cui un resoconto è disponibile nella relazione annuale del 2021, http://www.consiglio.regione.toscana.it/upload/GARANTE-DETENUTI-TOSCANA/documenti/relaz2022garante.pdf; Si veda anche lo studio sui trattamenti sanitari obbligatori promosso dal Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale della Regione Campania, Relazione annuale del 2021, https://www.cr.campania.it/garante-detenuti/images/documenti/relazione-annuale-garante-detenuti-2021.pdf.
  25. La pandemia ha segnato un peggioramento del benessere psicologico della popolazione italiana: l’analisi dell’indice di salute mentale per ripartizione territoriale rivela un deterioramento delle condizioni nel Nord-ovest nel 2020 che persiste nel 2021 (da 69,0 nel 2019 a 67,9 nel 2021), in calo rispetto al dato nazionale (pari a 68,4 nel 2021). In Piemonte il deterioramento è particolarmente accentuato: gli indici di benessere psicologico sono inferiori rispetto alla media del Nord-ovest e passano dal 68,5 nel 2019 al 66,8 nel 2021. I dati sono tratti dall’Osservatorio Sistema Salute Mentale di IRES Piemonte, https://www.sistemasalutepiemonte.it/index.php/salute-e-servizi/salute-mentale.
  26. Il Registro dovrebbe contenere: il numero complessivo dei pazienti ricoverati nei diversi Spdc; il numero complessivo dei pazienti sottoposti a Tso; il numero dei pazienti sottoposti a trattamento sanitario volontario; la data d’inizio del trattamento; la durata presumibile del trattamento all’atto dell’ingresso e la durata effettiva dello stesso; l’eventuale uso della contenzione (nelle sue diverse declinazioni); la durata della contenzione; la conversione del trattamento sanitario da obbligatorio a volontario per avvenuto consenso; il totale dei Tso effettuati nel corso dell’anno e la loro distribuzione sul territorio; la durata media dei trattamenti. Si veda, Garante Nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, Libertà e Salute, p. 47.